IL SEGNO DEL CELIBATO E DELLA PATERNITA’ DEL SACERDOTE

Prof. Gary Devery – Sydney -  28 aprile 2006

 

Il segno del celibato come accoglienza della volontà di Dio

            La vita sacerdotale celibataria comporta una rinuncia al grande bene del matrimonio. Tuttavia, non può mai rimanere soltanto al livello della rinuncia. Questa viene compiuta soprattutto per il regno dei cieli. E’ una rinuncia fatta per amore. Lo speciale carisma attribuito al sacerdote dallo Spirito Santo nella sua chiamata vocazionale lo forma a un particolare tipo di amore: un amore paterno spirituale.

            Il celibato è per il regno dei cieli. Ha un orientamento escatologico. Eleva la visione dell’umanità per guardare oltre l’immediato, all’eterno. Nel Vangelo di Marco, Gesù risponde alla domanda sulla risurrezione dei morti con una sfumatura: “Quando risusciteranno dai morti, infatti, non prenderanno moglie né marito” (Mc 12, 25). In questo stato, la persona umana sperimenta la gioia della pienezza del dono personale e la pienezza della comunione intersoggettiva tra le persone. Questo è già scritto nella nostra carne e c’è una particolare sensibilità verso questo aspetto nello spirito umano. La vita sacerdotale celibataria serve a sensibilizzare e mettere in luce questo aspetto per l’umanità, in mancanza della qual cosa la bellezza della persona umana verrebbe perduta di vista, e gli uomini e le donne verrebbero ridotti a vivere per questo mondo soltanto.[1]

            Questa è una verità che non viene accettata facilmente. Presentava delle difficoltà per gli ebrei dell’epoca di Gesù, e gli stessi discepoli avevano difficoltà a comprenderla. Il celibato era solamente per coloro che soffrivano di handicap fisici o che erano stati ridotti in tale stato dagli uomini. L’insegnamento di Gesù sul corpo è una nuova rivelazione.

            Cristo ha parlato in maniera specifica di continenza per il regno dei cieli. Viene scelta nella vita presente – quando la norma è che gli uomini e le donne si sposino – “per una singolare finalità soprannaturale”, nelle parole di Papa Giovanni Paolo II.[2] Anche nel caso in cui un sacerdote viva la propria vita in una continenza esterna perfetta, fedele all’insegnamento della Chiesa sulla sessualità, se questa continenza non viene scelta con questa singolare finalità soprannaturale, non rientra nello spettro d’azione di ciò che Cristo ha rivelato. Ha bisogno di essere scelta e messa in pratica come una rinuncia con una particolare determinazione e sforzo spirituale in vista del regno.

            Il celibato per il regno dei cieli è un segno escatologico. Invita ogni generazione della Chiesa e del mondo a sollevare le teste rivolte al sepolcro dell’uomo irredento per il significato della vita. Essa pone davanti all’umanità - nelle parole di Papa Giovanni Paolo II – “la verginità escatologica dell’uomo risorto”.[3]

            L’importanza del celibato per il regno dei cieli è presente e attiva nel momento stesso dell’inizio della storia del cristianesimo: l’evento dell’annunciazione. Due giovani, in obbedienza alla bontà dell’ordine naturale creato da Dio, hanno l’intenzione di sposarsi. Questa intenzione è già diventata comunitaria nella misura in cui è stato annunciato un fidanzamento formale. In questa situazione irrompe un evento di Dio. Alla giovane vergine fidanzata, l’angelo Gabriele annuncia la buona novella. Questo disegno di Dio, che è differente da come ella aveva programmato la propria vita, Maria lo accoglie con umiltà, semplicità e gioia. Rinuncia al proprio piano, pur buono, quello del normale percorso di sposarsi, avere rapporti sessuali con il proprio sposo e accogliere i figli che sono il frutto del loro incontro. Accoglie il disegno di Dio su di lei, che include il mistero di una maternità verginale.

            E’ lo stesso, ma anche differente, dell’esperienza di San Giuseppe. E’ dallo sposo di Maria che possiamo imparare la spiritualità del celibato sacerdotale. Il mistero verginale di Giuseppe corrisponde a quello di Maria. Egli deve rinunciare al proprio piano e accettare il piano di Dio sulla sua vita. Questo comporta una crisi esistenziale per Giuseppe, che viene descritta in sintesi nel primo capitolo del Vangelo di Matteo.

            L’iconografia antica aveva ben compreso questo dramma della rinuncia e dell’accettazione in Giuseppe. Nella rappresentazione della scena della natività, spesso Giuseppe è collocato da un lato, in posizione di riposo. Al centro c’è il neonato Gesù, con Maria e i pastori. Giuseppe è in profonda riflessione, spesso con una mano che si tiene il mento e il braccio appoggiato al ginocchio. E’ in crisi. Di fronte a lui c’è un anziano con la barba che dialoga con lui. Si tratta di Satana, che tenta Giuseppe dicendogli: “Questo bambino non è tuo figlio”. San Giuseppe ci insegna che non è sufficiente rinunciare ai propri piani per Dio. E neppure è sufficiente, avendo rinunciato a se stessi per il piano di Dio, accettare il piano di Dio, diverso dal proprio. Questo potrebbe essere fatto senza libertà, anzi con un atteggiamento di costrizione servile. No, la volontà di Dio deve essere accolta; accolta con la libertà di un figlio di Dio. Perché la risposta sia pienamente umana, questo disegno deve essere accolto con gioia. Esiste una dimensione eucaristica iscritta nella natura stessa dell’uomo. Con gioia, San Giuseppe mette in pratica la sua paternità spirituale come custode del Bambino Gesù.

            Nell’accogliere questa continenza  per il regno dei cieli, Giuseppe e Maria, la Sacra Famiglia di Nazareth, sperimentano la fecondità spirituale del celibato. Nella storia della salvezza, questa continenza era la fecondità più perfetta dello Spirito Santo. Il matrimonio tra Giuseppe e Maria, vissuto nella continenza per il regno dei cieli, rivela il mistero della comunione tra le persone nel matrimonio e il mistero della continenza del sacerdote per il regno dei cieli.[4]  Tanto il matrimonio quanto il celibato sacerdotale sono tesori della Chiesa. Il testo del capitolo 5 della Lettera agli Efesini di San Paolo sul matrimonio pone le fondamenta sia per una teologia del matrimonio che per una teologia del celibato sacerdotale. Lo stesso Paolo precisa che sta parlando di Cristo e della sua Chiesa.

 

La paternità del sacerdote

            Quando Cristo comincia a parlare ai discepoli del celibato in vista del regno, essi hanno difficoltà a comprendere, dal momento che quest’idea era in contrasto con la tradizione dell’Antico Testamento che essi vivevano. Il corpo era orientato verso una fecondità naturale nel matrimonio, nella procreazione. Riuscirono a comprenderlo un poco per volta dall’esempio personale di Gesù stesso. Cristo era rimasto celibe per il regno. Lentamente avrebbero compreso che il celibato in vista del regno possiede una fecondità spirituale e soprannaturale che proviene dallo Spirito Santo.

            Regolarmente, in particolare in Occidente, il valore simbolico del celibato come forma particolare di paternità spirituale è diventato più prominente nella teologia del sacerdozio. Un’antropologia del sacerdozio è stata ora sviluppata per comprendere come questo genere di continenza contenga in se stessa il dinamismo interiore del mistero della redenzione del corpo. Questa antropologia è già presente nel Vangelo di Luca, nel quale Gesù insegna: “I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35 ma quelli che sono giudicati degni dellaltro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; 36 e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.” (Lc 20, 34-36).

            Gesù, vivendo il suo celibato, stava già facendo un sacramento del suo corpo, una sorta di speciale partecipazione al mistero della redenzione del corpo. San Paolo, nella Lettera ai Colossesi, parla della propria esperienza di utilizzare il proprio corpo per l’edificazione della comunità:

 

E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate, ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne, per presentarvi santi, immacolati e irreprensibili al suo cospetto: purché restiate fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono diventato ministro. Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1, 21-24).

 

            In questo medesimo atteggiamento e spirito il sacerdote celibe può diventare un vero dono agli altri (GS 22). Si tratta di una modalità di sacrificio di se stesso che orienta il sacerdote a edificare la comunione tra persone. Questa comporterà una successione di sacrifici di sé che durerà tutta la vita, perché l’antropologia della persona umana consiste, allo stesso tempo, nell’eredità del peccato e in quella della redenzione. Egli si orienta, attraverso questo esercizio di libertà, verso una risposta eucaristica a un carisma specifico, verso la risurrezione futura del corpo.

            Il sacerdote celibe, fedele alla predicazione della Parola di Dio, cerca di edificare il Regno di Dio facendo diventare degli uomini e delle donne figli di Dio attraverso il battesimo. Avendoli portati nel grembo della Chiesa, il sacerdote, nella sua qualità di padre spirituale, cerca di guidare, come un pastore, il gregge che gli è stato affidato al buon pascolo dell’Eucaristia. E’ poi dall’Eucaristia che il matrimonio trae nutrimento spirituale. I genitori traggono la forza spirituale e la sapienza per la loro missione dalla Chiesa domestica. E’ verso il sacerdote che la famiglia viene attirata in tempi di crisi e di divisione per essere riconciliata dalla misericordia di Cristo, che è amministrata dal sacerdote attraverso il sacramento della riconciliazione.

            Il matrimonio e la continenza sono complementari tra loro. Si incoraggiano l’un l’altro nell’edificare la comunità delle persone e una civiltà dell’amore. Il celibato in vista del regno dei cieli riposa sul fondamento del significato sponsale del corpo. Il corpo ha un significato sponsale per natura propria. Raggiunge la sua vera realizzazione soltanto nel dono totale di sé. E’ orientato verso la comunità delle persone. E’ orientato verso Gesù Cristo risorto corporalmente. L’amore coniugale perfetto è fondato sulla fedeltà e sulla donazione a Gesù Cristo, lo Sposo perfetto. L’orientamento del sacerdote celibe verso questa speciale intimità con lo Sposo funge da complemento e incoraggia gli sposi nel loro sacramento del matrimonio a tenere Gesù Cristo al centro. La fecondità del matrimonio nella vocazione alla paternità e alla maternità ricorda costantemente al sacerdote celibe che il suo amore deve essere anche paterno in un senso spirituale. Deve essere aperto alla fecondità dello Spirito Santo. Questo avviene a costo di perdere la propria vita per i “figli”.

            Affinché questa scelta della rinuncia del valore del matrimonio e della sua fecondità nei figli risulti pienamente umana (compiuta coscientemente, liberamente e in uno spirito d’accoglienza), il sacerdote celibe deve avere un profondo apprezzamento della bellezza del matrimonio. Presuppone anche che abbia un profondo apprezzamento della propria mascolinità. E’ simile alla prima domanda che poniamo alle giovani coppie prima che si scambino le promesse matrimoniali: siete venuti qui liberamente e senza riserve a donare voi stessi in matrimonio?

            Papa Giovanni Paolo II osservava che questa scelta del celibato per il Regno “si produce sul fondamento della piena coscienza di quel significato sponsale che la mascolinità e la femminilità contengono in se stessi. Se questa scelta dovesse essere effettuata ‘prescindendo’ in maniera quasi artificiale da questa reale ricchezza di ogni soggetto umano, non corrisponderebbe in modo appropriato e adeguato al contenuto delle parole di Gesù in Mt 19, 11-12”.[5] Gesù conclude il suo insegnamento sul celibato con l’invito: “chi ha orecchie per intendere, intenda”; una piena comprensione è necessaria per una risposta pienamente umana.

            Il celibato per il Regno serve a mettere l’uomo di fronte all’antropologia più completa: l’uomo risuscitato dalla morte e nell’amore; un amore che è aperto alla vita.

 



[1] Cf. Papa Giovanni Paolo II, Theology of the Body, 1977, Daughters of St. Paul, p. 262.

[2] Cf., Ibid., p. 266.

[3] Ibid., p. 267.

[4] Cf., Ibid., p. 268.

[5] Ibid., p. 284.