CONTINUITÀ E NOVITÀ NEI DOCUMENTI

DEL MAGISTERO

 

 

Il periodo di tempo che va dalla pubblicazione della Sacerdotalis Caelibatus (1967) a oggi è stato caratterizzato da una notevole produzione di documenti magisteriali relativi alla formazione del clero, con particolare attenzione a quell'area strategica rappresentata dalla maturazione affettiva del presbitero, scelto - nella Chiesa latina - tra coloro che son chiamati a esser celibi. Scopo di questo articolo è osservare in qualche modo il rapporto interno esistente tra i vari testi prodotti dal Magistero, per coglierne la continuità e il tipo di relazione che lega l'uno all'altro, in una sorta di lectio continua. I documenti ufficiali della Chiesa, infatti, da un lato sono figli del loro tempo, ne esprimono tensioni e difficoltà, cui cercano di dare risposta; d'altro canto, però, fanno riferimento a una linea ideale che permane costante nei valori e negli orientamenti di fondo e che risulta evidente particolarmente dall'insieme dei testi stessi, soprattutto se riferiti al medesimo tema. Per questo diventa utile e arricchente compiere un'operazione quale quella che ci accingiamo a fare. Consente di cogliere un'evoluzione che fa risaltare ancor meglio il dettato magisteriale nella sua costante e faticosa ricerca della verità e nel suo lasciarsi illuminare dallo "splendore della verità".

Concretamente prenderemo in esame, come detto, i testi ufficiali (interventi pontifici, di congregazioni vaticane e di sinodi dei vescovi) che si riferiscono al celibato sacerdotale, a partire dall'enciclica di Paolo VI Sacerdotalis Caelibatus. Ma sarà necessario, ancor prima, descrivere brevemente il contesto culturale-ecclesiale che ha portato a questa enciclica, che è il contesto del Concilio Vaticano II con quanto dice circa il sacerdozio e il celibato. A questo punto proporremo una chiave di lettura che fa in qualche modo emergere sia la continuità che la progressione dell'approfondimento operato dai testi magisteriali sull'argomento; e passeremo quindi all'analisi dei singoli documenti. Data la natura e i limiti del presente studio ci dovremo accontentare d'una lettura più globale e sintetica che non analitica e puntuale dei singoli documenti. Ovviamente senz'alcuna pretesa di completezza (documenti e riferimenti al riguardo sono molti e di notevole spessore), ma restando nell'ambito d'una riflessione che vuol cogliere solo alcune linee di tendenza più significative nel Magistero degli ultimi trent'anni circa il celibato sacerdotale.

 

 

Contesto culturale-ecclesiale: il Concilio Vaticano II

 

Partiamo dal presupposto che la Sacerdotalis Caelibatus, come per altro tutta l'azione magisteriale di Paolo VI, non sarebbe comprensibile al di fuori dell'evento conciliare e di ciò che esso ha significato, esplicitamente e implicitamente, circa la dottrina sul celibato.

È indubbio che, nonostante l'apparente o reale situazione di tranquillità, o di tregua, sul versante della dottrina circa la legge celibataria, il Concilio Vaticano II, già nella sua fase preparatoria, abbia in qualche modo contribuito a sollevare il problema, o sia stato visto da parte di qualcuno come l'occasione propizia per ridiscutere la legge celibataria. "Eppure nulla, nelle intenzioni esplicite e nelle dichiarazioni ufficiali del Magistero poteva dar adito a tale ipotesi, che era più frutto d'una enfatica risonanza esterna alla Chiesa, alimentata dai «media» che se ne facevano portavoce, ma che nell'aula conciliare mai prese consistenza nel senso di una proposta di abolizione del medesimo celibato"[1], Sappiamo che, con una lettera indirizzata al card. E. Tisserant il 10 ottobre 1965, Paolo VI chiedeva che i Padri non discutessero pubblicamente del celibato dei sacerdoti: "Non è opportuno dibattere pubblicamente questo argomento che richiede la più grande prudenza e riveste una tale importanza. Abbiamo il proposito non solo di conservare fino a quando dipenderà da noi questa legge antica, santa e provvidenziale, ma inoltre di rafforzare la sua osservanza, richiamando i sacerdoti della Chiesa latina alla consapevolezza delle cause e delle ragioni che oggi, proprio oggi in modo speciale, fanno sì che si consideri molto adeguata questa stessa legge grazie alla quale i sacerdoti possono consacrare tutto il loro amore unicamente a Cristo e donarsi totalmente e generosamente al servizio della Chiesa e delle anime"[2]. Ma sappiamo, tuttavia, che - anche se in numero non consistente - si levarono anche voci e richieste in senso contrario, come racconta il card. Stickler, a proporre "l'abolizione della disciplina celibataria per i ministri sacri, soprattutto in continenti e regioni ove il celibato non viene compreso e difficilmente praticato, come, per esempio, in Africa e Asia", o a proporre "che si conceda l'opzionalità per il celibato anche nella Chiesa latina così come esiste in quella orientale"[3].

Di fatto la stragrande maggioranza dell'episcopato mondiale si pronunciò per "una strenua conservazione del celibato"[4]. Il Vaticano II, possiamo ben dire, ha riaffermato senza ambiguità l'ideale della verginità consacrata e del celibato nel quadro della vocazione cristiana[5]. Tale riaffermazione è indicata in alcuni testi specifici: nel decreto Presbyterorum Ordinis al n. 16 [6] che, votato assieme ai nn. 15 e 17 ebbe 2243 sì, 27 no e 1 invalido[7], nel decreto Optatam Totius al n.10 [8], oltreché, per quanto concerne la verginità del religioso, al n.12 del Perfectae Caritatis [9].

In sintesi il Concilio ha confermato la legislazione vigente per la Chiesa latina circa il sacro celibato riaffermandone il valore quale dono di grazia; ha approfondito le ragioni (specie biblico-teologiche) della convenienza del legame tra sacerdozio e celibato[10]; ha sottolineato l'importanza di un'adesione libera e totale a tale dono, indicando anche dei mezzi di formazione e perseveranza nello stato del celibato sacerdotale: la concezione e il modello del dono, l'insistenza sulla libertà interiore e sulla maturità umana, l'invito a integrare le norme ascetiche cristiane con l'apporto della psicologia e pedagogia ecc.

In particolare nel Presbyterorum ordinis, la "carta sacerdotale" del Concilio, l'argomentazione procede secondo questi tre punti (al n.16):

 

 

 

 

 

 

 

 

la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, raccomandata dal Signore, e tenuta in alta stima dalla Chiesa, "non è richiesta dalla natura del sacerdozio". E ciò che mostrano "la pratica della Chiesa primitiva e la tradizione delle Chiese orientali".

Il celibato però "ha molteplici convenienze con il sacerdozio": come la missione sacerdotale è "tutta dedicata al servizio della nuova umanità", così il celibato porta ad aderire a Cristo "più facilmente con cuore non diviso", a dedicarsi "più liberamente al servizio di Dio e degli uomini", a servire "con maggior efficacia il suo Regno" così da ottenere una "più ampia paternità in Cristo". Il celibato evoca anche lo sposalizio tra Chiesa e Cristo che si manifesterà nel mondo futuro, di cui i sacerdoti celibi diventano "segno vivente".

Di qui la legge in vigore nella Chiesa latina: "È quindi per motivi fondati sul mistero di Cristo e sulla sua missione" che il celibato viene connesso col sacerdozio e raccomandato al presbitero. Il quale dovrà esser fedele a questo "dono prezioso" impiegando i mezzi naturali e soprannaturali necessari.

 

Il documento sulla formazione sacerdotale, Optatam totius, offre invece questi stimoli riguardo alla formazione alla castità (10-11):

 

il celibato dev'esser visto non come una legge ecclesiastica, ma come "prezioso dono di Dio"[11]. È la famosa teologia del dono tipica del Concilio, che al modello della perfezione preferisce decisamente il modello del dono[12]. Il concetto non è elaborato, ma avrebbe notevoli ripercussioni nel modo di concepire il celibato stesso e la formazione alla scelta celibe. Ma almeno un'implicanza è chiaramente espressa: se è dono il giovane deve imparare a viverlo nella logica del dono, ossia con gratitudine...,

ma anche con libertà e generosità, e rispondendo al dono da parte di Dio con "la donazione completa del corpo e dell'anima, per mezzo di una scelta operata con matura deliberazione e magnanimità"[13]. Per questo i giovani candidati al sacerdozio siano avvertiti circa i pericoli cui è esposta la loro castità nella società; facciano uso dei mezzi divini e umani; imparino a integrare la rinuncia al matrimonio per vivere positivamente, secondo "la beatitudine del Vangelo", la loro scelta.

 

In particolare il decreto invita a perfezionare le norme dell'educazione cristiana "coi dati recenti della sana psicologia e pedagogia"[14]. E a coltivare la necessaria maturità, ricorrendo ai mezzi soprannaturali e naturali di cui tutti dispongono"[15].

 

 

 

 

 

 

Mi sembra, in definitiva, di poter enucleare due grandi preoccupazioni o urgenze nelle proposte conciliari, come due grandi linee offerte alla riflessione post-conciliare: una normativa e l'altra formativa.

Tali linee diverranno i solchi, di fatto, su cui s'inseriranno anche i documenti magisteriali nei decenni a seguire e che noi assumiamo, nel presente studio, come chiave di lettura degli stessi.

Per esser più precisi, ci sembra di poter distinguere, senza stabilire demarcazioni troppo rigide, due fasi tra loro successive nell'epoca post-conciliare, determinate esattamente da queste due attenzioni: quella relativa alla definizione dottrinale della legge celibataria, come disciplina ecclesiastica, coi suoi supporti biblico-teologici e il versante giuridico-canonico; e quella relativa alla preoccupazione formativa della opzione celibataria, con le corrispondenti indicazioni circa i mezzi e gli strumenti della formazione iniziale e permanente all'opzione stessa.

Vediamole brevemente, specificando - per ogni fase - significato generale, tipo di problematica in relazione al celibato sacerdotale, risposta del Magistero, recezione dei documenti stessi.

 

 

1- Fase normativa: dal Concilio al Codice

 

Questa fase abbraccia, approssimativamente, l'arco di tempo che va dagli anni del Concilio (1962-1965) alla promulgazione del Codice di Diritto Canonico (25 gennaio 1983). I documenti ufficiali più rilevanti, sia in quanto a risonanza nell'opinione pubblica ecclesiale che per quanto concerne lo spessore dottrinale, sembrerebbero i seguenti: l'enciclica Sacerdotalis Caelibatus (1967)[16], anzitutto, quindi la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (1970)[17], il documento post-sinodale sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus (1971)[18], gli Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale (1974)[19], e infine il Codice di Diritto Canonico (1983)[20].

Altri testi significativi che appartengono a questo periodo e rientrano in questa prospettiva, anche se - per la loro natura - hanno avuto meno risonanza, sono la lettera circolare della Segreteria di Stato ai presidenti delle Conferenze episcopali sulla messa in discussione, specie in certi ambienti, del celibato ecclesiastico (1969)[21] e, in particolare, la lettera di Paolo VI al card. Villot sempre sul problema del celibato in Olanda (1970)[22]. Così pure sono degni di nota due documenti circa le cause e le norme procedurali di dispensa dal celibato e dagli impegni derivanti dalla sacra ordinazione (1970,1980)[23].

 

1.1- Significato generale

 

Il senso generale di questa fase è, come lascia intendere il titolo che le abbiamo dato, il proposito esplicito di definire, e ribadire, come dice Paolo VI, "l'antica, sacra e provvidenziale legge del celibato sacerdotale"[24]; il sinodo dei vescovi del '70 lo dice esplicitamente: "la legge del celibato sacerdotale, vigente nella Chiesa latina, deve essere integralmente osservata"[25].

In tale prospettiva vanno anche interpretati i due documenti, appena citati, che indicano le cause e definiscono le norme procedurali per la concessione della dispensa dal celibato stesso.

All'interno sempre di tale urgenza per la definizione della norma, i documenti di questa fase si propongono d'illustrare i motivi che la sorreggono, o le ragioni che continuano a giustificare il nesso tra sacerdozio e celibato, rendendo quella norma non solo giuridico-disciplinare, ma anche e soprattutto spirituale.

C'è anche una preoccupazione relativa alla formazione, evidente - soprattutto - nella Sacerdotalis caelibatus, come nella Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis e negli Orientamenti per la formazione al celibato sacerdotale, ma sembra di gran lunga prevalente l'esigenza e la volontà di non lasciare dubbi circa la disciplina in vigore nella Chiesa latina. E il perché è presto detto...

 

 

1.2- Problematica celibatario

 

In quel periodo, afferma con certezza il card. Tomko (all'epoca segretario generale del Sinodo dei vescovi), "si era ancora in piena crisi dottrinale oltreché disciplinare"[26]. D'altronde siamo nell'epoca della contestazione, non solo a livello ecclesiale. Sei anni dopo la fine del Concilio i vescovi riuniti in sinodo a Roma avvertono nuovamente l'atmosfera di dubbio circa il celibato sacerdotale. Né il decreto Presbyterorum ordinis, né l'enciclica Sacerdotalis caelibatus erano riuscite a por fine alle domande che molti continuano a porsi sull'opportunità della legge in vigore nella Chiesa latina e su eventuali possibilità d'adattamento[27].

Se vogliamo analizzare più precisamente il tipo di problematica circa il celibato sacerdotale in quell'epoca, due sono le caratteristiche che sembrano contraddistinguere tale problematica: una certa tensione valoriale e la psicologia (idealizzante) del frutto proibito[28].

 

1.2.1- Tensione valoriale

 

A cavallo tra gli anni '60 e gli anni '70, la crisi del celibato ecclesiastico era dovuta in buona parte a una valutazione o rivalutazione positiva della sua ...alternativa naturale, il matrimonio, realtà umana meravigliosa e mistero di santità, vista non più come alternativa ma addirittura funzionale al sacerdozio[29]; o alla riscoperta di valori che la condizione celibataria, si riteneva, non consentirebbe sufficientemente di apprezzare e vivere, quali l'integrazione affettiva, la potenzialità psicologicamente liberatoria della sessualità quale principio dinamico della relazione con l'altro, la positività (e, per alcuni, la necessità) dell'esercizio sessuale; o, ancora, la crisi del celibato era dovuta all'emergere d'una sensibilità apostolica nuova, come - ad esempio - la consapevolezza dell'esigenza d'un inserimento più immediato e reale del prete nella condizione secolare e il bisogno di capire più da vicino, sperimentandoli su di sé, i problemi della gente qualsiasi e delle famiglie[30].

 

 

 

 

 

 

 

D'altronde fu una certa recezione de Concilio, come dirà Paolo VI ai padri del sinodo '70, a far nascere, in nome d'una più grande e pur necessaria apertura al mondo, nuove difficoltà per i sacerdoti, che si vogliono ormai sentire più vicini al popolo di Dio[31]. Particolarmente contestato, in questo stesso periodo, fu un certo tipo di formazione sacerdotale alla castità perfetta, per altro molto esplicita e a volte invadente (nell'economia generale formativa), che sembrava privilegiare l'aspetto negativo del celibato, inteso come "continenza" individuale, più che le possibilità positive d'una vita celibe per il regno, come la libertà del cuore e la ricchezza dei rapporti[32]. Allo stesso tempo è oggetto di contestazione l'affinità fra il sacerdozio e il celibato, con le motivazioni che la sorreggono.

Era insomma una crisi legata, almeno teoricamente, a una certa tensione valoriale, o a una sorta di conflitto tra valori, di cui alcuni relativamente nuovi; e faceva séguito - quasi una reazione - a un periodo in cui l'ascetica presbiterale sottolineava con vigore la sublimità del celibato, forse anche un po' idealizzandolo, nonostante quella certa interpretazione negativo-difensiva.

 

 

1.2.2- Psicologia idealizzante del "frutto proibito"

 

In realtà la nuova cultura emergente nascondeva comunque - su un piano più psicologico e a livello probabilmente inconscio - anche una specie d'incanto illusorio o esprimeva un'altra sorta di idealizzazione anche un po' enfatica, l'idealizzazione del frutto proibito, accompagnata in molti casi da accenti più o meno polemici nei confronti d'una legge ecclesiale considerata lesiva della libertà[33] e causa di tutti i guai della categoria, dall'immaturità affettiva alla crisi d'identità[34]. In sostanza vengono da un lato contestati i motivi che giustificano il nesso tra sacerdozio e celibato, nesso vincolante che non rispetterebbe la libertà del chiamato al sacerdozio, mentre dall'altro si vede nel celibato facoltativo e nel matrimonio la prospettiva davvero liberatoria.

 

 

 

 

 

 

Più in particolare "si parlò - da parte dei contestatori della legge celibataria - di interpretazioni distorte o almeno discutibili della sacra Scrittura, di influssi di una concezione non cristiana della sessualità abbinata all'idea di purità legale, di pregiudizio nei confronti della donna..., di scarsità numerica del clero a causa della vigente disciplina del celibato con grave danno della cura pastorale e dell'evangelizzazione dei popoli, della possibilità di evitare infedeltà, scandali e defezioni con l'introduzione di un clero uxorato, degli inconvenienti del celibato, in relazione all'equilibrio psichico e alla maturazione della personalità umana del sacerdote"[35]. E al di sopra o dietro a questi ed altri rilievi critici, come detto, la supposizione o la certezza - più o meno dichiarate - che l'abolizione del celibato obbligatorio avrebbe risolto tutti questi problemi[36], ovvero, la psicologia idealizzante del frutto proibito.

Il problema era molto vivo e abbondantemente dibattuto.

 

 

1.3- Risposta del Magistero

 

La risposta del Magistero, come abbiamo già accennato, è ferma e precisa. Viene dal Sommo Pontefice (Paolo VI) attraverso l'enciclica Sacerdotalis Caelibatus[37], in cui la riaffermazione è non solo netta e perentoria, ma pure accorata e motivata. La risposta viene anche dal Sinodo del '71, dopo una discussione franca e approfondita "i Padri si sono trovati non solo unanimi nel riaffermare il valore del celibato per il regno, ma si sono schierati con una massiccia maggioranza che sfiora l'unanimità anche per la difesa della disciplina vigente nella Chiesa latina come forma addotta per esercitare il ministero sacerdotale"[38]. Nella stessa linea tutti gli altri documenti del periodo, fino a giungere al Codice di Diritto Canonico che conferma nella sostanza la legislazione antecedente circa il celibato ecclesiastico e la piena considerazione del suo valore[39]. Oggi può sembrare forse una linea scontata, non lo era certamente allora, con la tensione di quel tempo all'interno della Chiesa...

Tale risposta limpida e inequivocabile non ignora tuttavìa difficoltà e obiezioni contro lo stesso celibato sacerdotale. Paolo VI dedica tutta l'Introduzione della sua enciclica alla considerazione attenta e rispettosa di queste obiezioni[40], entra in dialogo con loro, le recepisce, dalla presunta violenza sulla natura alla scarsità del clero indotta proprio dall'obbligo celibatario, alla formazione inadeguata. E la risposta non cade dall'alto, come una norma disciplinare che impone d'autorità un fardello pesante, ma ha sempre queste due caratteristiche:

è motivata da ragioni biblico-teologiche (i significati, che diverranno classici, cristologico, ecclesiologico ed escatologico) che rendono il legame tra sacerdozio e celibato "un bene sommamente prezioso e insostituibile"[41] per motivi di "molteplice convenienza"[42], e sorretta da una tradizione storica che consente di ritrovare le radici di tale legge fin nei primi tempi della vita della Chiesa, anche se la codificazione sarà lunga e comunque sempre confermata dai Pastori della Chiesa latina. Grazie a queste ragioni e all'interno di questa tradizione il celibato eccl. appare sempre più come elemento vincolante e come legge, dunque, ma anche come carisma[43], dono[44], grazia[45].

È esposta, tale risposta, soprattutto nei testi di Paolo VI e che a lui in qualche modo s'ispirano, con profonda partecipazione emotiva, con piena consapevolezza della delicatezza e gravità della cosa, con grande dolore e profonda comprensione per le crisi di tanti preti, con affetto paterno e riconoscente ammirazione per la fedeltà di tanti altri (e sono la grande maggioranza), ecc. Basterebbe rileggere certi passaggi della Sacerdotalis caelibatus o della lettera di Paolo VI al card. Villot per sentire il cuore del Pastore e intuire lo spirito di questa disposizione ecclesiale, che è tutt'altro che una fredda imposizione.

Ancora, tale risposta magisteriale, proprio perché prende in seria considerazione le obiezioni, affronta il problema della realizzazione umana e affettiva nel celibato, e dunque anche il problema dei rapporti tra grazia e natura. E di nuovo Papa Montini che, nel più autentico spirito conciliare, delinea un quadro della personalità del sacerdote in cui la grazia non distrugge né fa violenza alla natura, ma la eleva e le dà soprannaturali capacità e vigore. Stupendo questo passaggio: "Nel cuore del sacerdote non è spento l'amore. Attinta alla più pura sorgente (cf. 1 Gv 4,86), esercitata a imitazione di Dio e di Cristo, la carità non meno di ogni autentico amore, è esigente e concreta (1 Gv 3,16-18), allarga all'infinito l'orizzonte del sacerdote, approfondisce e dilata il suo senso di responsabilità - indice di personalità matura - educa in lui, come espressione d'una più alta e vasta paternità, una pienezza e delicatezza di sentimenti che lo arricchiscono in sovrabbondante misura"[46]

Di conseguenza, molta importanza dev'esser data all'aspetto formativo: per coltivare il senso della ricettività del dono, della gratitudine, della libertà affettiva[47]; per verificare con attenzione la presenza di precisi requisiti (non solo doti morali e spirituali, ma anche salute fisica e psichica)[48]; per favorire la libertà e responsabilità della decisione[49], fino a sentire "l'intima gioia d'una scelta fatta per amore di Cristo"[50]; per integrare progressivamente l'azione della grazia e della natura, nel primato dell'azione divina e considerando con attenzione il condizionamento, anche inconscio, dello psichismo umano[51]; per attuare con un'attenta indagine un serio discernimento vocazionale[52]. Per Paolo VI, in fondo, "il motivo vero e profondo del sacro celibato è ...la scelta d'una relazione personale più intima e completa con il mistero di Cristo e della Chiesa a vantaggio della intera umanità"[53], e questa relazione porta al massimo grado di sviluppo la libertà dell'individuo. Come dire: il massimo dell'amore e il massimo della libertà.

 

 

1.4- Recezione dei documenti

 

Non rientra direttamente negli obiettivi del presente studio, ma ci è utile considerare il tipo di risposta da parte del clero ai testi magisteriali, per quanto è possibile questo tipo d'indagine a distanza di anni, per comprendere meglio il senso di questa stagione ecclesiale e il motivo del passaggio a una stagione successiva. Accenniamo brevemente, per punti essenziali, ad alcuni segnali di questa risposta, certo non universali né generalizzabili a tutto il clero, ma lo stesso interessanti per capire certe tendenze nei confronti dell'impegno celibatario.

 

Sembra permanere ancora in troppi sacerdoti una lettura del celibato eccl. come legge, con ciò che questo significa dal punto di vista della risonanza psicologica interiore. Stenta a entrare nel cuore e nella mente del clero la prospettiva del celibato come dono, come carisma e grazia liberatrice, pure sottolineata nei testi conciliari come in quelli successivi.

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Ciò ha inevitabili conseguenze sul piano non solo della concezione, ma anche del vissuto celibatario: se il celibato è soprattutto legge, rischia di divenire un peso, e un peso sempre più difficile da portare. Ma soprattutto, se è sentito come legge, non è più vissuto con libertà. Si continua a percepire il celibato, da parte di alcuni, come un'esigenza legata al presbiterato, quasi non avesse valore in sé, con il rischio che per alcuni non diviene mai oggetto d'una scelta esplicita e intenzionale, di qualcosa che è scelto per il suo valore intrinseco, o è più sopportato che apprezzato, più osservato che amato, o è valutato solo per alcuni aspetti di funzionalità pratica (perché garantirebbe al presbitero disponibilità di tempo ed energie).

C'è chi crede di poter cogliere nei documenti magisteriali dell'epoca un'eccessiva preoccupazione apologetica, una sorta di frenesia difensiva che svelerebbe una certa debolezza dell'impianto motivazionale. Per costoro, di conseguenza, le ragioni di supporto del celibato non sono abbastanza convincenti.

Di fatto il celibato continua a essere problema, all'ordine del giorno d'innumerevoli discussioni e oggetto dei soliti rilevamenti d'opinione dall'esito scontato, qualcosa che riesce a dividere l'opinione dentro e fuori della Chiesa, tra chi lo difende e chi lo attacca. L'impressione è che certe sollecitazioni spirituali, presenti e abbondanti nei testi presi in considerazione, stentino non solo a divenire patrimonio di tutti, ma pure a costituire il linguaggio di base e lo sfondo interpretativo comune, almeno per i preti, nell'affrontare il problema.

Un'altra sensazione è che del molto materiale prodotto in quest'epoca solo una minima parte sia divenuta mediazione formativa, metodo educativo all'opzione verginale. Nei Seminari, in questo tempo, son venute a cambiare molte cose; probabilmente si sono chiariti certi obiettivi, perfino un certo modello di presbitero è stato più correttamente definito sul piano biblico-teologico e pastorale, ma non si può dire la stessa cosa per quanto concerne i percorsi educativi, che restano piuttosto vaghi, specie in relazione alla maturazione affettivo-sessuale. C'è chi disse, in quell'epoca, che non c'è nei seminari una vera e propria formazione alla scelta celibataria. Nonostante la provocazione d'un documento accurato e innovativo come gli Orientamenti per la formazione al celibato sacerdotale.

 

Tutto questo non poteva non aprire verso una nuova fase nel dialogo, diretto e indiretto, tra Magistero e presbiteri.

 

2. Fase formativa: dalle Catechesi al Direttorio

 

Questa seconda fase, che è quella nella quale tuttora ci troviamo, abbraccia un arco di tempo che va, all'incirca, dai primi anni '80 a oggi. Come abbiamo già ricordato si tratta d'una stagione ecclesiale che non nasce improvvisamente o operando uno stacco deciso rispetto a quella precedente, al contrario, si tratta d'una linea di pensiero e intervento già evidente in quei testi della stagione post-conciliare che dedicavano un'attenzione particolare al tema della formazione al celibato (come la seconda parte della Sacerdotalis caelibatus e gli Orientamenti per la formazione al celibato sacerdotale), linea che ora s'afferma in modo ancor più forte e sistematico. I documenti più significativi ed emblematici sono: alcuni cicli di catechesi alle udienze generali di Giovanni Paolo II, particolarmente il V, dal titolo Verginità o celibato "per il Regno dei cieli" (1982)[54], o altri interventi del S. Padre come delle lettere del giovedì santo a tutti i sacerdoti[55], o alcuni Suoi discorsi alle udienze generali[56] o in occasioni particolari[57]; la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, (1985)[58]; l'esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (1992)[59]; il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri (1994)[60].

Tra i documenti indirettamente collegati col nostro tema possiamo citare altri documenti di Giovanni Paolo II, come "Uomo e donna li creò"[61] e la lettera apostolica Mulieris dignitatem[62]; o di dicasteri vaticani, come gli Orientamenti educativi sull'amore umano[63], e Sessualità umana: verità e

significato. Orientamenti educativi in famiglia[64]; come pure le Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari[65], e le Direttive sulla formazione dei seminaristi circa i problemi relativi al matrimonio ed alla famiglia[66]; e due documenti sulla vita consacrata, ma con riflessioni vicine al nostro tema, il Potissimum institutioni[67] e l'esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata[68].

 

 

2.1- Significato generale

 

C'è perfetta continuità e, al tempo stesso, novità di proposta tra le due fasi che stiamo indicando e che ci sembra di poter rilevare nell'arco di tempo da noi considerato. Potremmo dire, con altra formula, che il Magistero passa progressivamente dalla indicazione normativa a quella formativa, dalla preoccupazione di ribadire la legge del celibato ecclesiastico a quella di provvedere alla formazione all'opzione celibatario. Non che prima tale attenzione fosse assente, ma certamente ora diventa preminente; mentre, al tempo stesso, sembra meno urgente la necessità di continuare a chiarire la volontà della Chiesa circa il celibato medesimo.

A questo che è il senso centrale di tale fase, si aggiungono altre due connotazioni sempre molto significative. La prima è che tale preoccupazione non riguarda solo i candidati al sacerdozio (e al celibato), ma tutti i presbiteri lungo le stagioni della vita e all'interno d'una concezione che estende il tempo della formazione a tutta l'esistenza. La seconda, strettamente correlata alla prima, è che i documenti magisteriali sembrano assumere una nuova fisionomia, quasi una nuova funzione, come fossero gli strumenti di questa formazione permanente per tutto il clero. Il testo magi-steriale diviene così sempre più non solo il documento normativo-discipli-nare, ma testo che espone una dottrina che nutre lo spirito, catechesi sapienziale o lectio spiritualis, offerta non solo allo studio del lettore, ma alla sua meditazione e preghiera[69].

 

I due termini che abbiamo posto nel titolo del paragrafo, come punto di partenza e d'arrivo di questa stagione ecclesiale stanno proprio a dirne il significato centrale: dalle catechesi (l'aspetto spirituale) al direttorio (l'aspetto metodologico-formativo).

 

 

 

2.2- Problematica celibatario

 

La situazione in questi ultimi 15 anni appare ben diversa da quella precedente. Se il problema prima era costituito da una certa psicologia idealizzante del frutto proibito e dalla tensione valoriale, ora non sembra più così[70].

 

2.2.1- Sguardo più obiettivo e realistico

 

Da un lato, infatti, lo sguardo del prete sembra più obiettivo sull'argomento celibato e assieme, almeno all'apparenza, meno problematico e polemico: vogliamo dire che in genere sembrano venir meno quegli atteggiamenti contestatori che nel recente passato portavano a riconoscere nel celibato la causa dei problemi del prete, e nel matrimonio l'unica possibilità di risolverli. C'è senz'altro più realismo nel clero attuale circa la valutazione della problematica affettivo-sessuale, delle sue radici e della sua complessità, come circa l'interpretazione più ampia e articolata del cammino della maturazione affettivo-sessuale e delle componenti della stessa maturità. Il presbitero d'oggi sa che dietro e dentro alle crisi affettive si possono nascondere altre realtà personali problematiche, sa o intuisce che le difficoltà nel vivere il celibato possono avere, anzi normalmente hanno, una loro storia o preistoria, più o meno lunga, e che la crisi attuale nell'area affettivo-sessuale potrebbe essere solo il punto terminale, la cassa di risonanza di problemi alla radice non sessuali (es. crisi di fede o d'insignificanza, d'identità o fedeltà generale, ecc.). "Sulle cause degli abbandoni viene ribaltata l'opinione comune che le individuerebbe essenzialmente nella difficoltà a vivere il celibato. Per i preti questa è una causa reale. Ma viene solo dopo la 'crisi ideologica', ossia dopo la sfiducia nella propria missione, insomma, in una 'crisi d'identità' che colpirebbe alcuni preti"[71], e che potrebbe dar luogo, in un secondo momento, a difficoltà specifiche nell'area dell'affettività e del celibato. Di conseguenza, grazie ad un'interpretazione più corretta delle vere cause della crisi (e forse anche all'apporto dell'analisi psicologica), oggi anzitutto sembra esserci una minor illusione circa la capacità "terapeutica" del matrimonio, come soluzione di tutti i problemi del prete. Si direbbe che è la fine dell'incanto di cui dicevamo prima, ma anche dell'equivoco secondo cui è il celibato in quanto tale che determina immaturità affettiva e incapacità di comunione, crisi d'identità e d'immagine del prete, con ricaduta quanto mai negativa sull'animazione vocazionale. E se non è proprio la fine dell'equivoco (che ogni tanto in effetti sembra riemergere), in ogni caso è chiara l'inversione di tendenza e mentalità.

Credo, in definitiva, che almeno dal punto di vista dell'autoconsapevolezza circa la radice del problema-celibato e la possibile soluzione di tale problema, vi sia stata una certa maturazione nel clero in questi ultimi anni, nella linea d'un maggior realismo.

 

2.2.2- Celibato apatico

 

L'altro dato su cui possiamo operare un confronto con la situazione precedente è la tensione valoriale, quale motivo d'una certa problematica celibataria del passato, ma non del presente. A fronte, infatti, del recupero d'una considerazione più realista e disincantata del problema celibatario, sembra oggi emergere uno strano atteggiamento nei confronti della stessa scelta verginale di vita: la mancanza o il calo di passione. Per cui, dalla "tensione valoriale" tipica della seconda metà degli anni '60 e '70 (pur con le sue contraddizioni e irrigidimenti) siamo passati a una sorta di "assenza di tensione" o, quanto meno, a una diminuzione notevole di tensione circa il problema-celibato nella sua globalità, celibato in quanto valore che chiede una forte rinuncia e in quanto rinuncia che a sua volta suppone una forte passione. È senz'altro un problema che non investe solo il celibato in quanto tale, ma che certamente si manifesta e s'esprime in modo particolare nell'area affettiva, determinando una sorta di celibato senza amore, che è poi una contraddizione in termini, come dire un matrimonio senza amore.

Forse tutto ciò ha ed ha avuto effettivamente come effetto la riduzione d'un certo tipo di conflitto (pur non risolvendolo alla radice). Ma è proprio questo il problema o un'ulteriore conseguenza, forse non voluta: l'azzeramento emotivo, o la a-patia, quasi un black out generale dell'emozione che toglie energia sia all'amore che al conflitto, fors'anche alla tentazione e senz'altro alla capacità o voglia di superarla, o a quei poli naturali creanti tensione e quella particolare tipica tensione del prete. Tensione inevitabile, che ci dovrebbe essere in ogni caso, legata com'è alla grandezza dell'ideale e al limite della natura umana. Se forse un tempo tale tensione era eccessiva (e degenerante a volte in complesso di superiorità quando non in vere e proprie manie ossessive), oggi potrebb'essere, al contrario, poco viva, quasi assente, per niente incisiva, in nome d'un "realismo" che immunizza certo dalle idealizzazioni, ma che finisce poi per livellare tutto e creare indifferenza: un "realismo indifferente" in un prete apatico... Di conseguenza il rischio, o il dubbio, è quello d'un celibato forse più controllato che "vissuto", una specie di celibato tecnico, risultato o sintesi d'una "fusione fredda", privo della dimensione misterica e gestito da una persona senza entusiasmo e poco innamorata.

Tale presbitero, nel migliore dei casi, sarà più osservante che "fedele", o il suo celibato sarà più espressione di un "no" alla genitalità e ai rischi del coinvolgimento interpersonale, che un "sì" al Signore Gesù scoperto come supremo valore dell'esistenza; oppure sarà uno che avverte e soffre con minor ansia e scarso senso di colpa l'eventuale trasgressione, magari "confortato" in questo da una certa cultura compiacente; o che rischia di non conoscere né gustare mai le gioie umane e divine del celibato per il regno, perché vive in situazione di aperto (anche se nascosto) e stabile compromesso, cui s'adatta di buon grado e senza apparente crisi d'identità, magari confondendo la gratificazione dell'istinto con la realizzazione dell'identità; o che vive con non particolare angoscia l'eventuale crisi affettiva, magari seguita "senza né traumi, né eccessivi problemi" dall'abbandono del sacerdozio appena ricevuto. È la preoccupazione e denuncia emerse anche al Sinodo dell'ottobre '90 sulla formazione dei sacerdoti: giovani preti che "lasciano" a pochi anni o addirittura pochi mesi dall'ordinazione, e sono irremovibili e appaiono tranquilli o comunque impermeabili a un certo richiamo valoriale-spirituale[72].

Proprio per questo il problema non è solo quello del conteggio delle cadute o dell'osservanza esteriore, ma del "tono generale" con cui il celibato è vissuto, o della qualità deh"osservanza. Da ciò viene il dubbio che ai nostri giorni il celibato consacrato sia un celibato di basso profilo, quasi apatico.

 

Quale è stata e quale è la risposta alla situazione che s'è venuta creando in questi ultimi tempi, da parte del Magistero?

 

 

2.3- La risposta del Magistero

 

Tale risposta fondamentalmente segue due direzioni. Da un lato continua a ribadire l'aspetto normativo, a fugare qualsiasi dubbio in materia. Vedi , ad esempio, il sinodo del '90, ripreso poi dalla Pastores dabo vobis:

 

 

 

 

"Il sinodo non vuole lasciare nessun dubbio nella mente di tutti sulla ferma volontà della Chiesa di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all'ordinazione sacerdotale nel rito latino"[73]. In tal senso è evidente la continuità con le dichiarazioni della fase precedente. Ma, d'altro lato, recepisce la crisi che permane, anche se di tipo diverso da quella del decennio precedente. Lo dice molto bene il discorso del card. Pimenta in apertura sempre del sinodo del '90: "Siamo riconoscenti a Dio per tanti sacerdoti che sono, senza alcun dubbio, uomini colmi dello Spirito di Cristo; ma siamo anche consapevoli che c'è una crisi nella vita di molti dei nostri sacerdoti: molti hanno lasciato il ministero, mentre altri sembrano incerti della loro identità sacerdotale, della loro fede, del loro ministero..."[74]. La crisi che continua a colpire il clero richiede un'ulteriore riflessione, in modo del tutto particolare, sulla formazione sacerdotale nel mondo moderno. E proprio questa è la novità della risposta, così com'è emersa soprattutto al sinodo del '90, dedicato esplicitamente, e finalmente!, alla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali. Quale formazione e quale formazione celibataria?

 

2.3.1- Formazione specifica al celibato

 

Per una scelta esplicita

 

Per prima cosa si resta colpiti da un fatto scorrendo gl'interventi dei Padri sinodali[75]: quasi tutti hanno raccomandato che... anzitutto vi sia formazione alla scelta celibataria. L'insistenza con cui è risuonata in aula la raccomandazione costringe a pensare che la cosa non sia così pacifica: in molti seminari, per quanto paradossale possa sembrare e al di là dell'apparenza, sembra non esserci una vera e propria formazione alla scelta celibataria, è come se questa fosse implicita, o data per scontata una volta che si sono verificate in un candidato le attitudini al ministero presbiterale, o così subordinata alla più ampia vocazione e opzione sacerdotale da non esigere né provocare una cura e attenzioni esplicite a contenuto e motivazioni, esigenze e condizioni di tale scelta. Il che sarebbe ed è dannoso. Il sinodo su questo prende decisamente posizione: il celibato, per esser vissuto autenticamente, dev'essere scelto esplicitamente[76]; "il direttore spirituale deve aiutare il seminarista perché egli stesso giunga a una decisione matura e libera"[77]. Ancor più esplicito l'intervento di mons. Flynn: "Il candidato (al sacerdozio) deve dire con sincerità se ha sentito anche l'ispirazione alla vita celibataria e l'ha scelta liberamente. La chiamata al celibato viene dall'interno ... È autentica solo se è un impegno positivo e non se accettato come penitenza o come via di scampo a difficoltà personali (paura di responsabilità, avversione al sesso, incapacità d'un amore profondo, semplice mancanza di opportunità ecc.). Invece le migliori doti che si possono trovare in un uomo sposato devono essere anche caratteristiche del celibe. Nessuno deve impegnarsi al celibato permanente per un atto di abnegazione volontaria o perché è condizione all'ordinazione"[78].

 

Teologia e psicologia del dono

 

Circa poi il tipo di formazione sottolineerei questi aspetti che forse non sono del tutto nuovi, ma portano a piena maturazione, in ogni caso, elementi già presenti nei documenti precedenti. Mi riferisco alla percezione del celibato come dono: "dono inestimabile e prezioso", "carisma", "grazia speciale"..., termini che non appaiono per la prima volta nei testi magisteriali, ma che ora hanno un posto molto più centrale sia per esprimere la natura del celibato sia per indicare un percorso pedagogico alla scelta celibataria. Scorrendo i pronunciamenti ufficiali ecclesiali si ha questa nettissima impressione: il celibato sacerdotale viene sempre meno presentato come "legge ecclesiastica" e sempre pia come "dono dello Spirito", e non solo come scelta dell'individuo, ma anche e primariamente come dono ricevuto. Non si tratta d'una semplice preferenza e cambiamento di termini, ma d'una prospettiva teologica specifica, che s'è via via chiarita nella sua originalità, con riflessi immediati nella dinamica formativa. Se infatti si tratta di dono diventa importante formare anzitutto alla capacità di riconoscere il dono stesso, d'apprezzarne la ricchezza, di coglierne il valore per la propria vita. È solo dalla gratitudine per il dono ricevuto che può venire la gratuità del dono di sé.

La formazione, allora, non può che divenire formazione alla libertà e alla libertà affettiva, che non vuol dire solo garantire la libertà della scelta esplicita celibataria, ma significa, ancor prima, educare il cuore ad amare la vocazione alla verginità, per restare attratto dalla sua verità e bellezza. Solo allora hanno senso, poiché trovano il terreno ricettivo adatto, tutte le indicazioni ascetiche, la raccomandazione dell'intimità con Dio, l'invito all'autodisciplina, la necessità della direzione spirituale, l'esperienza della solitudine come dell'amicizia, la stessa educazione sessuale..., tutto mirato al raggiungimento di quella maturità umana e spirituale indispensabile per scegliere liberamente ed esplicitamente d'esser vergini per il regno e non perché è semplicemente richiesto dalla vocazione sacerdotale. Sia le catechesi di Giovanni Paolo II sulla verginità (del 1982) che la Pastores dabo vobis insistono con forza su queste tematiche[79]. Crediamo fermamente che esse, una volta divenute modalità pedagogiche, possano costituire una valida risposta al fenomeno del celibato anemico e senza passione di questi tempi.

 

Aspetto umano

 

Altro elemento di relativa novità, sempre all'interno di questa sensibilità per l'aspetto formativo, è il riferimento esplicito alla dimensione umana del candidato e l'invito a usare alcuni strumenti d'aiuto, come raccomanda questo intervento al sinodo: "l'alto ideale sacerdotale richiede un buon fondamento di equilibrio umano. Bisogna aiutare i candidati a conoscere bene le proprie condizioni e i propri condizionamenti psichici. La non conoscenza di motivi inconsci, di eventuali traumi psicologici della prima infanzia ecc., può in seguito influire negativamente specie sull'osservanza del celibato. Questo non dev'essere visto come conquista di una volontà impositiva, né solo come fratto di un dominio che a forza di volontà controlla gli atti contrari alla castità, ma suppone una normale evoluzione della realtà sessuale affettiva, l'integrazione dell'affettività, cioè la capacità di relazionarsi agli altri sul piano emozionale, il piano del cuore. L'intellettualismo nella formazione esclude gli affetti e l'amicizia, disumanizza il futuro sacerdote, lo fa diventare arido e duro nel trattare le persone.

 

E d'altro canto tale formazione non di rado è causa di esplosioni successive della sessualità repressa"[80]. Sono dunque da curare particolarmente "l'integrazione umana, cioè un equilibrato e dinamico sviluppo psicosessuale; ...la maturazione affettiva, necessaria non solo per il celibato, ma per l'equilibrio dell'intera vita sacerdotale...; servendosi anche del sussidio delle scienze psicologiche, perché dal campo affettivo, più ancora che da quello sessuale, possono sorgere le maggiori difficoltà"[81]. Probabilmente questo richiamo alla formazione, in termini così chiari e specifici, e anche inusitati per questo tipo d'assemblee (vedi l'accenno all'inconscio o a eventuali traumi del passato), rappresenta un elemento nuovo, quanto mai rilevante, che comunque riprende una sensibilità emersa già al Concilio e rintracciabile negli scritti di Paolo VI.

 

 

Formazione dei formatori

 

Per questo tipo di formazione è necessario formare in modo esplicito e mirato formatori idonei. È l'aspetto veramente nuovo di questa stagione di documenti ecclesiali. Per la prima volta un documento ufficiale d'un dicastero vaticano è dedicato esclusivamente e interamente al tema della formazione dei formatori[82]. Ponendosi nella linea di precedenti interventi[83] e sviluppandola ulteriormente, tale documento offre delle Direttive molto importanti e pertinenti, a partire dal presupposto che "la vocazione dell'educatore implica da un lato un certo «carisma», che si esprime nelle doti naturali e di grazia, e dall'altro alcune capacità ed attitudini da acquisire. In ogni discorso sulla sua personalità andrà sempre considerato questo duplice aspetto: ciascuna delle caratteristiche auspicabili in un educatore di seminario presenta degli elementi per così dire innati ed altri che devono essere progressivamente maturati attraverso lo studio e l'esperienza"[84]. Tanto più, questo rapporto ordinato tra elementi innati e acquisiti è indispensabile per la formazione alla maturità affettiva tipica del celibe.

Tale documento, allora, insiste sulla necessità che il formatore possieda una "limpida e matura capacità d'amare intensamente... e di lasciarsi voler bene in modo retto e purificato", non leghi gli altri a sé, ma sia "invece in grado di educare in loro un'affettività altrettanto oblativa, centrata e fondata sull'amore ricevuto da Dio in Gesù Cristo"[85]. "Occorre quindi agli educatori un autentico senso pedagogico, cioè quell'attitudine di paternità spirituale che si esprime in un accompagnamento premuroso, e in pari tempo rispettoso e discreto, della crescita della persona, unito ad una buona capacità d'introspezione e vissuto in un clima di reciproca fiducia e stima. Si tratta d'una dote speciale che non s'improvvisa"[86]. Il documento precisa che il formatore deve avere una preparazione dottrinale, spirituale, pastorale e pedagogica. Circa la preparazione dottrinale il testo, citando la Pasto-res dabo vobis, rileva come "l'importanza e la delicatezza della preparazione al celibato sacerdotale, specialmente nelle attuali situazioni sociali e culturali, richiedano che i responsabili della formazione sacerdotale stabiliscano princìpi, offrano criteri e diano aiuti per il discernimento in questa materia"[87]. Centrale, infine, per l'educazione alla maturità affettiva, l'indicazione riguardo la preparazione pedagogica: "l'educatore dev'essere in grado di non illudersi e di non illudere sulla presunta consistenza e maturità dell'alunno. Per questo non basta il «buon senso», ma occorre uno sguardo attento ed affinato da una buona conoscenza delle scienze umane per andare al di là delle apparenze e del livello superficiale delle motivazioni e dei comportamenti, ed aiutare l'alunno a conoscersi in profondità, ad accettarsi con serenità, a correggersi e a maturare partendo dalle radici reali, non illusorie, e dal «cuore» stesso della sua persona"[88].

 

2.3.2- Celibato come sponsalità

 

Un altro elemento degno di nota in questo processo di continuità e novità di sollecitazioni è l'insistenza con cui Giovanni Paolo II, nelle catechesi del 1982 e pure successivamente, ha indicato nella sponsalità l'autentica chiave di lettura dell'opzione verginale: "la scoperta ... del significato sponsale del corpo... sembra essere in questo ambito un concetto-chiave, e insieme il solo appropriato e adeguato"[89]. Una prospettiva decisamente insolita e profetica. Ma che presenta notevoli vantaggi. Quello di usare un linguaggio moderno, anzitutto, che è al tempo stesso molto umano e molto spirituale-simbolico; il vantaggio, in particolare, di venire incontro a un'obiezione che nel passato, come abbiamo visto, ha visto nel celibato uno stato esistenziale privo di quei valori che si potrebbero invece vivere nella sponsalità; il vantaggio, infine, dì porre in correlazione tra loro i due differenti e complementari stati di vita, il matrimonio e il celibato, per un arricchimento reciproco. In estrema sintesi il Papa sviluppa così il suo pensiero in relazione al celibato sacerdotale[90]:

 

«la verginità per il regno rientra, come parte viva ed essenziale, in quella che Giovanni Paolo II ama chiamare la teologia del corpo, cioè la visione del corpo dell'uomo e della donna qual'è offerta ai credenti da Dio. Questa teologia fa luce sul valore della verginità e ne è al tempo stesso illuminata. La verginità, in altre parole, fa comprendere il disegno divino sul corpo dell'uomo e della donna[91].

Il significato che da Dio è stato impresso nel corpo umano, e quindi la sua interiore e nativa vocazione e missione, è il significato sponsale[92]. Il corpo umano, cioè, nella sua intima e dinamica struttura, svela la verità, il significato fondamentale della vita umana, quale bene ricevuto che tende, per natura sua, a divenire bene donato. In tal senso parla il linguaggio dell'amore che si fa dono di sé e genera la comunione interpersonale. Tale dono sincero di sé ha due modi fondamentali e specifici di realizzazione: il matrimonio e la verginità. Come due stati di vita che s'illuminano, si completano e si compenetrano a vicenda[93]. La verginità, allora, non significa affatto disistima o rifiuto della sessualità umana, anzi, è una fondamentale modalità espressiva della sessualità umana e, ancor prima, una sorta di memoria dell'origine e del destino della stessa sessualità umana[94].

Il significato sponsale del corpo dell'uomo e della donna trova la sua suprema e definitiva realizzazione nel mondo futuro; di questo mondo futuro la verginità è profezia, essa vibra d'un dinamismo escatologico, il vergine grida la grande attesa del mondo nuovo ed eterno di Dio e del matrimonio dell'umanità con Dio. Ancora, lo stesso significato sponsale del corpo umano trova piena luce nel mistero del Verbo Incarnato, e, ancora una volta, il vergine è colui che, imitando lo stato di vita del Figlio di Dio sulla terra, esprime in modo particolare questa luce come sapienza e verità per l'uomo. Se, in altre parole, la relazione del vergine con Cristo è così piena da esprimere l'amore sponsale, la sua verginità diventa la prova di come l'uomo possa vivere pienamente tale amore con Dio, realizzando in pieno la sua potenzialità affettiva. Il vergine, allora, esprime con la sua vita la verità d'ogni essere umano e il destino del cuore umano, creato da Dio e appagato solo dal suo amore. Nel cuore d'ogni creatura c'è uno spazio verginale che può esser riempito unicamente da Dio[95].

 

La verginità ha un particolare valore per l'instaurazione del regno di Dio sulla terra: contribuisce all'edificazione e alla crescita della Chiesa. Ha dunque un'esplicita dimensione ecclesiale. È un dono che, mentre santifica il singolo, lo pone al servizio della Chiesa, come un carisma che costruisce la comunità ecclesiale. Come specifica anche il Direttorio per il ministero e la vita del presbiteri: "il celibato, allora, è dono di sé «in» e «con» Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa «in» e «con» il Signore"[96].

Cosa può voler dire questo approccio al celibato dal punto di vista della formazione iniziale e permanente? Lasciamo la parola direttamente al Papa: "La parola di Cristo in Matteo (19,11-12) mostra in séguito che quel «per», presente «dal principio» alla base del matrimonio, può anche stare alla, base della continenza «per» il regno dei cieli! Poggiandosi sulla stessa disposizione del soggetto personale, grazie a cui l'uomo si ritrova pienamente attraverso un dono sincero di sé, l'uomo (maschio o femmina) è capace di scegliere la donazione personale di se stesso, fatta a un'altra persona nel patto coniugale, in cui essi divengono «una sola carne», ed è anche capace di rinunciare liberamente a tale donazione di sé a un'altra persona, affinché, scegliendo la continenza «per il regno dei cieli», possa donare se stesso totalmente a Cristo. In base alla stessa disposizione del soggetto personale e in base allo stesso significato sponsale dell'essere, in quanto corpo, maschio o femmina, può plasmarsi l'amore che impegna l'uomo al matrimonio nella dimensione di tutta la vita (cf. Mt 19,3-10), ma può anche plasmarsi l'amore che impegna l'uomo per tutta la vita alla continenza «per il regno dei cieli» (cf. Mt 19,11-12)"[97].

           

Questa teologia del corpo apre prospettive insospettate, e forse inesplorate da una certa formazione forse troppo ..."spirituale": prospettive d'intimità mistica per un cuore umano chiamato a vivere al limite delle sue possibilità! Prospettive certamente ideali, ma al tempo stesso anche realistiche, perché fondate sulla verità dell'essere, e su quel dato incontrovertibile che è costituito dall'essere psicosomatico, maschile o femminile, con le sue caratteristiche. Non può esistere donazione a Dio che non tenga conto di tale dato e non lo porti a compimento. L'acquisizione d'esso, o del significato sponsale del corpo, non solo impedisce l'interpretazione riduzionistica istintuale della sessualità umana, ma indirizza la formazione, iniziale e permanente, lungo vie corrispondenti: quella, fondamentalmente, dell'educazione alla scelta d'amare Dio al di sopra delle creature (= con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze), per amare col cuore e la libertà di Dio ogni creatura, senza legarsi ad alcuna (sarebbe il matrimonio), né escludendone alcuna (sarebbe l'amore solo umano che fa sempre preferenze ed...esclusioni).

E proprio questo è il celibato per il regno: compimento della vocazione umana alla libertà dell'autotrascendenza dell'amore teocentrico, l'unico amore pienamente umano e pienamente sponsale.

 

 

2.4- Recezione dei documenti

 

Cerchiamo di cogliere semplicemente alcuni cenni di risposta alla proposta contenuta nei documenti magisteriali. Anche qui senza la pretesa di esprimere l'atteggiamento universale o qualcosa che possa esser esteso a tutti indistintamente i sacerdoti, e senza dimenticare che stiamo parlando della situazione attuale, tuttora in movimento.

 

Un'osservazione generale, anzitutto. Abbiamo prima detto della nuova identità o funzione del documento magisteriale, quale strumento di formazione permanente del clero. Ma non pare ancora ovunque assimilato questo cambiamento di rapporto; molti preti mantengono una relazione di sostanziale distanza psicologica con il documento del Magistero, come non ne fossero i destinatari: relazione che in certi casi conduce a non tenere nella debita considerazione o a ignorare tali testi, o a interpretarli come documenti unicamente disciplinari, e solo raramente a cercarvi e trovarvi alimento spirituale. Chi invece s'è aperto a questa prospettiva sta imparando a nutrirsene con notevole profitto.

La situazione sembra ambivalente. Se da un lato non c'è la forte contestazione d'un tempo, come abbiamo già ricordato, dall'altro non c'è nemmeno la forte tensione spirituale. In buona parte del clero sembra permanere, anche se non forse come una volta, una certa diffidenza verso l'elemento marcatamente spirituale, mistico, sempre più presente nei testi ufficiali, ma sentito da molti, con malcelata sufficienza, come "cosa da monaci...". Ma cosa diventa il celibato sacerdotale se privato della dimensione mistica? È solo un tributo, da pagare a qualcuno (foss'anche Dio), sempre più costoso e sentito come ingiusto.

Altro atteggiamento che stenta ad affermarsi in modo univoco e forte è la convinzione teorica e pratica di dover fare un cammino di formazione permanente. Con fenomeni preoccupanti di immobilismo psicologico ed esistenziale e, in certi casi, di rigidità affettiva e blocco relazionale. Se la vita del prete non è formazione permanente, diventa frustrazione permanente. Il celibato apatico e il calo di passione per Gesù Cristo e la sua Chiesa che si riscontra in più di qualche sacerdote ne sono una amara dimostrazione.

 

Per quanto riguarda la formazione, preoccupazione primaria di questa fase di documenti, credo sia innegabile l'accoglienza positiva degli stessi nella formazione iniziale: accoglienza come adesione ai valori da essi sottolineati, come attenzione maggiore all'area affettiva e al discernimento circa la libertà della scelta, come atteggiamento diverso, meno negativo e difensivo, più franco e positivo a riguardo della sessualità ecc. Forse non ovunque è così, ma la tendenza è questa. Permane, tuttavia, un elemento debole nella formazione iniziale: la questione del metodo, ingiustamente sottovalutato da certa cultura neo-illuminista. Normalmente sono chiari gli obiettivi, non lo è altrettanto il percorso pedagogico che vi dovrebbe condurre; ogni educatore di seminario sa che deve formare alla libertà affettiva, ma non sempre sa bene come e per quale strada, lungo quali obiettivi intermedi e con che tipo d'approccio, specie in presenza di casi complessi (oggi sempre meno rari). Tale assenza o indefinitezza di metodo è ancor più pesante ed evidente circa la formazione permanente. E un settore, questo, in cui dovrà continuare la riflessione teorica e la condivisione d'esperienze da parte degli educatori, e in cui è particolarmente attesa una parola magisteriale che sappia unire il richiamo ai valori con l'indicazione di metodo (con Direttive su temi mirati).

Altro settore in cui è visibile il cambio è quello della formazione dei formatori. L'appello dei documenti, specie delle Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari, è stato recepito. La sensibilità circa tale problema è parecchio cresciuta (specie da parte degli educatori stessi), le iniziative al riguardo si moltiplicano, anche se ancora non ovunque e allo stesso livello qualitativo; forse i frutti si vedranno più avanti, ma in tal senso possiamo dire che è iniziata una nuova fase. Purché si riesca a evitare il rischio d'intendere la formazione dei formatori come il semplice apprendimento di nozioni e prassi pedagogiche e non, anzitutto, come un lavoro in profondità sulla persona del formatore stesso.

C'è un punto molto bello delle catechesi di Giovanni Paolo II che ancora sembra lontano non solo dall'esser attuato, ma dall'esser pienamente compreso come obiettivo naturale e finale dell'esser vergini: è la dimensione carismatico-ecclesiale del celibato per il regno, il suo esser dono che non può esser considerato bene privato di preti e religiosi, ma bene di per sé appartenente a tutti, perché ogni uomo è chiamato in qualche modo, cioè secondo il suo stato di vita, a esser vergine, perché in ogni cuore umano c'è una dimensione di verginità che rimanda immediatamente a Dio. Siamo ancora piuttosto lontani da questa capacità di condivisione, ma è la strada del futuro, d'una Chiesa in cui ogni carisma viene condiviso e riceve luce dagli altri carismi, d'una Chiesa "promessa, quale vergine casta, a un unico sposo... Cristo" (2 Cor 11,2).

Infine, nonostante queste osservazioni e rilievi, vi sono segni di risveglio nel clero d'una certa coscienza della verginità e della sua bellezza (prim'ancora della sua funzionalità), come delle ragioni profonde che la rendono conveniente al ministero presbiterale. Sappiamo bene che, al di là della risonanza che certuni voglion dare alla trasgressione (più o meno presunta) del reverendo, esistono tanti celibati consacrati lieti e silenziosamente fedeli al proprio vincolo di consacrazione a Dio[98], anche se -chissà perché - non solo non fanno notizia, ma neppure riescono mai a entrare in certe statistiche, o sono relegati nelle cosiddette "code" dei grafici a curva dei vari rilevamenti. Sta forse nascendo, paradossalmente o forse proprio perché viviamo tempi di banalizzazione e impoverimento del sesso, una nuova cultura della verginità? È presto per dirlo, e forse azzardato e un po' ottimistico. Ai tempi dei Padri della Chiesa il pericolo maggiore per la castità era costituito dalla superbia[99], dal vano esibizionismo d'una verginità troppo sicura di sé, segno presuntuoso di superiorità nei confronti degli altri. Oggi le cose son cambiate, il pericolo è un altro: quello d'un celibato fin troppo timido e riservato, pudicamente ripiegato su di sé, che stenta a "dire" la bellezza dell'appartenere totalmente a Dio, e a testimoniare la verità d'ogni essere umano chiamato all'intimità sponsale con Dio. I documenti che abbiamo passato in rassegna consegnano al prete celibe di oggi proprio questo compito: vivere il celibato come segno che introduce tutti nel mistero dell'amore di Dio. C'è chi è consapevole di questa consegna e sta già camminando per questa via. La sua forma verginale di vita "lo chiama a rivelare la persistente volontà di Dio di attirare a Sé tutte le cose, create vergini, e riportarle a quello stato di appartenenza costitutiva a Lui"[100]. Per questo presbitero il celibato è davvero "carisma", dono che edifica la comunità, nuova evangelizzazione nella Chiesa del 2000!

 

 

 

 

Amedeo Cencini

 



[1] G.Versaldi, Celibato sacerdotale: aspetti canonici e psicologici, in R. Latourelle (ed.), Il Vaticano II. Bilancio e prospettive, II, Assisi 1987, p. 1171.

 

[2] Paolo VI, cit. in Cochini, La legge, 86; cf. anche Documentation Catholique, t. LXII ( 19 dicembre 1965), pp. 2183-2184.

[3] A. Stickler, Concilio Ecumenico Vaticano II. Fase antepreparatoria; studio introduttivo, in AA.VV., Celibato e Magistero. Interventi dei Padri nel Concilio Vaticano II e nei sinodi dei vescovi del 1971 e 1990, Cinisello Balsamo 1994, p.108.

[4] Ibidem, 109.

[5] Per una lettura globale della pedagogia del celibato nei testi conciliari cf. Marcus E., Pédagogie du célibat dans les orientations et documents récents de l'église, in "Seminarium", 1/1993/15-31.

[6] EV 1/1296-1298.

[7] Commentando il n. 16 del Presbyterorum Ordinis Wulf scrive che l'approvazione così generale da parte del Concilio "significa che viene accordato al c.s. nella Chiesa un posto più importante di quanto parecchie discussioni post-conciliari su questo soggetto possano farci supporre", F. Wulf, Commentary on the Decree on the Ministry and Life of Prìests, in Vorgrimler (ed.), Commentary on the Documents of Vatican II, IV, New York 1969, p.287.

[8] EV 1/792-794.

[9] EV 1/737-739.

[10] Secondo Boisvert "bisogna attendere il Vaticano II perché, nei documenti ufficiali, si ponga il celibato ministeriale in riferimento esplicito con Mt 19,12 «a causa del regno di Dio»" (L. Botsvert, Il celibato religioso, Cinisello B. 1993, p.34).

 

[11] Stessa prospettiva in Presbyterorum Ordinis, 16, EV1/1298.

[12] Così, ad esempio, il concilio interpreta la vita consacrata, come dono che Dio fa alla Chiesa e al mondo, prim' ancora che alla singola persona consacrata.

[13] Optatam totius, 10, EV 1/793.

[14] Ibidem, 795. Circa questo importante argomento (rapporto tra norme d'ascetica cristiana e dati della psicologia) il concilio, nel suo insieme, ha assunto una posizione innovativa e coraggiosa, a partire dall'affermazione che tale dialogo può servire per "una più pura e matura vita di fede" {Gaudium et Spes 62b, EV 1/1527), dunque non solo per una maggio re maturità umana, né per una maggiore professionalità degli operatori-educatori o per una più qualificata specializzazione culturale o efficienza pastorale, ma per la maturità cristiana, perché la scienza umana può aiutare a vivere in maggior profondità la sequela di Cristo, at traverso un processo d'integrazione fra strutture psichiche ed esigenze della sequela stessa. Cf. su questo, anche Gaudium et Spes, 54, EV 1/1495; Optatam Totius, 2d, 3a, 11a, 15a, 20, EV 1/776, 778, 792, 802, 815; Perfectae Caritatis, 12b, 12c, EV 1/738, 739.

[15] Presbyterorum Ordinis, 16, EV 1/1298.

[16] Paolo VI, Sacerdotalis Caelibatus, 24 giugno 1967, EV 2/1415-1513.

[17] Congregazione per l'educazione cattolica, Ratio fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, 6 gennaio 1970, EV 3/1796-1947, specie il n.48 (EV 3/1876-1879).

[18] Sinodo dei Vescovi, Ultimis temporibus, 30 novembre 1971, EV 4/1135-1237.

[19] Congregazione per l'educazione cattolica, Orientamenti per la formazione al celibato sacerdotale, 11 aprile 1974, EV 5/190-426.

[20] Codice di Diritto Canonico, promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983.

[21] Segreteria di Stato, L'année qui vieni de s'écouler, 2 febbraio 1969, EV 3/791-795.

[22] Paolo VI, Le dichiarazioni rese pubbliche sul sacro celibato ecclesiastico, 1 febbraio 1970, EV 3/1958-1971.

[23] Congregazione per la dottrina della fede, Pro gratia dispensationis, 16 aprile 1970,

EV S1/352-356; idem, Per litteras ad universos, 14 ottobre 1980, EV 7/572-586.

[24] Paolo VI, Sacerdotalis Caelibatus, 17, EV 2/1431.

[25] Sinodo dei vescovi, Ultimis temporibus, 4 c), EV 4/1219. L'esito della votazione di questo numero fu il seguente: 168 placet, 10 non placet, 21 placet iuxta modum, 3 astensioni (cf. ibidem, nota 2).

[26] J. Tomko, Sinodo dei vescovi 1971. Studio introduttivo, in AA.VV., Celibato, 149.

[27] Cf. Segreteria di Stato, L'annéè, EV 791-795.

[28] Per questa analisi mi permetto rimandare al primo dei miei tre volumi sul celibato: in A. CENCI, Per amore. Libertà e maturità affettiva nel celibato consacrato, Bologna 1995, pp.63-66.

[29] "Il matrimonio non m'impedisce di fare il prete, il celibato sì", così una testimonianza in un'inchiesta dell'epoca (cit. in Cencini, Per amore, 63).

[30] Cf. intervento di mons. Schmitt P.J. al Sinodo dei vescovi del 1971, in "Il Regno Documentazione", 16/1971/475-478.

[31] Cf. AAS 63 (1971), p.899, cit. da Cochini, La legge, 93.

[32] "La pedagogia negativa -secondo il pedagogista Gianola, applicata alla formazione al cel.- esalta la radicale incompatibilità di sacerdozio, sesso e affettività. Presenta subito l'obbligo della rinunzia alla famiglia, alla donna, al corpo, agli affetti. Presenta il sacrificio, l'olocausto di quelle realtà, per il Regno e il sacerdozio. "Sicut angeli"... Insiste sul dovere ascetico della lotta intransigente, verso l'obiettivo di un angelismo disincarnato che sa di pseudomisticismo. Purtroppo la condizione esistenziale che suscita e che ne consegue, spesso è ben altro che angelica, ma equivoca e pericolosa, carica di falsi problemi e di tentazioni, d'inettitudine affettiva comunitaria interna e apostolica esterna, d'incomprensione d'ogni realtà altrui, di vanità personale. L'amore casto e verginale può assumere toni inautentici, equivoci. Spesso la lotta che impone è improba, idealistica, irrealizzabile, esposta a crolli spaventosi, a compensazioni ancora peggiori... Un atteggiamento formativo meno negativo si ha nel mantenimento della dualità dei piani, senza conflitti radicali, ma anche senza particolare continuità. 11 celibe rinunzia e controlla, senza condannare, ma anche senza avere nulla in comune. Tollera, quasi ignora. Condanna il male, mette da parte il bene coniugale o laico e s'incammina per le proprie vie sacerdotali... Attorno ai valori del c.s. erige steccati di difesa: la rinunzia, il distacco, il deserto, la solitudine, la purificazione da ciò che è mondano, pericoloso, tentatore e inferiore anche quando è necessario. Restano tracce di repressione, soppressione, nascondimento..." (Gianola P., Pedagogia formativa del celibato sacerdotale, in "Seminarium", 1/1993/61).

[33] 33        Cf. tra gli altri, Fiori S., Il celibato dei preti come libera scelta, Milano 1969; Leist F., Celibato, legge o libertà, Assisi 1971; Fichter J.H., Celibacy, the necessary option, New York 1968; Hermand P., Condition du prétre: mariage ou cèlibat?, Paris 1963; O'Neill D.P., Célibat du prétre et maturité humaine, Paris 1967; Diana A., Obiezioni al celibato da un esame delle pubblicazioni nei paesi di lingua tedesca e in Olanda, in "Ekklesia", III. 2/1969/25-50.

[34] Come emerge da questa testimonianza, sempre dell'epoca: "moltissimi sacerdoti si distruggono giorno per giorno in questo stato di vita obbligatorio come in una prigione. Per molti la chiesa è matrigna spietata" (Cit. in Cenoni, Per amore, 65).

[35] A. Favale., Il celibato sacerdotale nel pensiero di Giovanni Paolo II, in "Salesianum", 44/1982/224-225.

[36] Sulle critiche mosse allora al celibato cf, G. De Rosa, Preti per oggi, Roma 1972, pp. 91-112; cf. anche J. Galot, Un nuovo volto del prete, Assisi 1972, pp.161-192.

[37] Ad esempio ai nn. 14 e 17, EV 2/1428, 1431.

[38] Tomko, Studio introduttivo, 150.

[39] Codice di Diritto Canonico, Roma 1983, cann.1037, 1042, 1087-1088.

[40] Paolo VI, Sacerdotalis Caelibatus, 5-12, EV 2/1419-1427.

[41] PAOLO VI, Le dichiarazioni, EV 3/1963.

[42] Paolo VI, Sacerdotalis Caelibatus, 18, EV 2/1432.

[43] Orientamenti, 47, EV 3/294.

[44] Ibidem, 53. 75, EV 3/307. 370.

[45] Ibidem, 70, EV 3/356

[46] Sacerdotalis Caelibatus, 56, EV 2/1470.

[47] Ibidem, 62, EV 2/1476. Cf. anche Ratio fundamentalis, 48, EV 3/1876-1879; Orientamenti, 1, 16, EV 5/196, 229-230.

[48] Cf. Codice di Diritto Canonico, cann.241, 1029.

[49] Sacerdotalis Caelibatus, 63, EV 2/1477; Codice di Diritto Canonico, 247.

[50] Sacerdotalis Caelibatus, 72, EV 2/1486.

[51] Ibidem, 63, EV 2/1477; Orientamenti, 28, 38, 90, EV 256, 276, 426.

[52] Cf. Codice di Diritto Canonico, 1051-1052.

[53] Sacerdotalis Caelibatus, 54, EV 2/1468.

[54] Si tratta di 13 allocuzioni contenute nelle udienze generali de! mercoledì, dal 10 marzo al 21 luglio 1982 (Verginità o celibato "per il Regno dei cieli", catechesi sul celibato ecclesiastico e sulla verginità religiosa, Milano 1982).

[55] Cf. tra le altre, quella del 26 marzo 1985, sul lavoro pastorale coi giovani, e quella del 13 aprile 1995 sull'importanza della donna nella vita del sacerdote.

[56] Come quelle sui presbiteri dal 31 marzo al 22 settembre 1993, specie quella del 17 luglio 1993 sulla logica della consacrazione nel celibato sacerdotale.

[57] Vedi il discorso ai partecipanti al simposio internazionale sulla Pastores dabo vobis il 28 maggio 1993.

[58] Congregazione per l'educazione cattolica, Tria iam lustra, 19 marzo 1985, EV S1 /918-1072, specie il n. 48, EV S1/997-1000.

[59] EV 13/1154-1553, specie i nn.27.29.50, EV 13/1286-1287, 1294-1298, 1404-1410.

[60] Pubblicato dalla Congregazione per il clero il 31 gennaio 1994. La parte riguardante il celibato va dal n.57 al n.60.

[61] Si tratta d'una catechesi sull'amore umano, condotta lungo i mercoledì dell'udienze generali nel 1985.

[62] Lettera apostolica del 15 agosto 1988, EV 11/1206-1345, specie 1224-1235.

[63] Pubblicato dalla Congregazione per l'educazione cattolica l'1 novembre 1983.

[64] Pubblicato dal Pontificio Consiglio per La Famiglia l'8 dicembre 1995, con sapienti riflessioni sulla vocazione alla verginità e al celibato ai nn. 34-36.

[65] È della Congregazione per l'educazione cattolica (4 novembre 1993).

[66] Sempre della Congregazione per l'educazione cattolica (19 marzo 1995).

[67] Della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, sulla formazione negli istituti religiosi (2 febbraio 1990, EV 12/1-139, specie nn. 39-41.59, EV 12/47-50.73).

[68] Pubblicata il 25 marzo 1996, al n.88 si parla della "sfida della castità consacrata".

[69] Pensiamo, ad esempio, a certi passaggi delle catechesi del Papa sulla verginità per il regno o della Paslores dabo vobis.

 

[70] Cf. Cenoni, Per amore, 68-75, 83-86.

[71] Da un sondaggio di 409 preti nell'imminenza dell'8° sinodo dei vescovi, cf. U. Folena, Fare il prete è ancora bello, in "Avvenire", 24 ottobre 1990, p. 3.

 

[72] Cf. G. Brunet, Un bilancio del sinodo, in "Settimana", 39/1990/16.

 

[73] Propositio 11, ripresa dalla Pastores dabo vobis al n. 29 (EV 13/1294-1298). La necessità di ribadire la posizione della chiesa al riguardo è anche provocata dall'atteggiamento di certa stampa, secondo la quale il Pontefice avrebbe confidato, nel corso di colloqui informali con giornalisti, d'aver sì la volontà di mantenere la legge del celibato durante il suo Pontificato, ma di prevedere che dopo di lui la disposizione disciplinare cadrà. Nel viaggio di ritorno dalla Scandinavia, nel 1989, ad es., vi fu chi scrisse che dialogando in aereo coi giornalisti Giovanni Paolo II si sarebbe lasciato andare a questa previsione, affermando che l'attuale legge del celibato obbligatorio è destinata a sparire. Interrogato esplicitamente su questo fatto il Direttore della Sala Stampa del Vaticano, Navarro Valls, così ha risposto: "ero accanto a S.S. Giovanni Paolo II nel volo di ritorno dalla Scandinavia nel 1989. Questa frase, o altra analoga di simile contenuto, non fu mai pronunciata dal Papa e non rispecchia minimamente il suo pensiero" (dichiarazione scritta di J. Navarro Valls, 20 gennaio 1997).

[74] S.I. Pimenta, discorso rivolto al S. Padre all'apertura del Sinodo 1990, cf. L'Osservatore Romano, ed. sett., 41(1160), p. 8.

[75] Pur non costituendo direttamente il tema da discutere 34 Padri (su un totale di 239)

sono intervenuti sul celibato.

[76] In tale linea la quasi totalità degl'interventi, cf. G. Caprile, "Il celibato sacerdotale al Sinodo dei vescovi 1990"', in La Civiltà Cattolica, 3419 (1992), 488-501.

[77] Pastora dabo vobis, 50, EV 13/1409.

[78] Intervento al Sinodo dei vescovi di mons. Flynn, cit. da Caprile, Il celibato, 492-493.

[79] Pastores dabo vobis, 29. 50, EV 13/1294-1298. 1409-1410.

 

[80] Da un intervento del brasiliano Tepe: cf. Caprile, Il celibato, 492.

[81] Tali raccomandazioni sono venute da sei Circuii Minores: cf. Caprile, Il celibato, 499.

[82] Congregazione per l'educazione cattolica, Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari, 4 novembre 1993.

[83] Cf. tra gli altri, Optatam totius, 5, EV 1/782; Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, 30, EV 3/1855; Pastores dabo vobis, 66, EV 13/1470-1474.

[84] Direttive, 25.

[85] Ibidem, 35.

[86] Ibidem, 36.

[87] Ibidem, 54, cf. anche Pastores dabo vobis, 50, EV 13/1407.

[88] Direttive, 57.

[89] Giovanni Paolo II, Verginità, 35.

[90] Cf. l'ottimo commento di D.Tettamanzi, La verginità per il. Regno. Dalle catechesi di Giovanni Paolo II, Milano 1982.

[91] Cf. Giovanni Paolo II, Verginità, 3-7.

[92] Cf. Ibidem, 33-37.

[93] Cf. Ibidem, 24-27.

[94] Cf. Ibidem, 19-27.

[95] Cf. Ibidem, 38-41.

[96] Direttorio, 59.

[97] Giovanni Paolo TI, Verginità, 36.

[98] Cf. D. Maruca, "History: a School of Humility and a Source of Hope", in Seminarium 1(1993), 106.

[99] Così Agostino: "La santità della vita casta si perde sia violando la castità, sia diventando superbi" (Discorso 354, 4,4).

[100] J. Schotte, Sinodo dei Vescovi 1990. Studio introduttivo, in AA.VV., Celibato e Magistero, 249.