CELIBATO SACERDOTALE

E MATURITÀ DELLA PERSONA

 

 

Al celibato sacerdotale, per molte ragioni, è stato spesso criticato nel corso della storia. La maggior parte delle volte, la rimessa in discussione del celibato sacerdotale è stata accompagnata da quella del matrimonio, e oggi osserviamo un identico fenomeno. Esamineremo in modo particolare le ragioni che spesso vengono opposte all'impegno nel celibato sacerdotale. Condurremo questa riflessione tenendo conto dei dati della psicologia e della psicanalisi freudiana che permettono di capire le strutture psichiche che svolgono un ruolo nella maturazione della persona.

 

 

1. Gli argomenti contrari al celibato sacerdotale

 

Il celibato sacerdotale, in quanto impegno in uno stile di vita da singolo, viene talvolta contestato perché sottoporrebbe a violenza la persona nella sua espressione sessuale e sarebbe così fonte di squilibrio e quindi di nevrosi. L'uomo, per riconoscersi come tale e per realizzarsi, avrebbe bisogno di vivere se stesso tramite il godimento sessuale. Privarlo di tale realtà significherebbe mutilarlo della sua umanità, impedendogli di amare una donna e di diventare genitore. Le conseguenze di una tale scelta produrrebbero delle personalità frustrate e poco realizzate.

L'esigenza del celibato sarebbe, inoltre, un modo per mantenere un potere sulla vita intima del soggetto paragonabile alla relazione parentale che, in conseguenza della proibizione dell'incesto, pesa negativamente sulle rappresentazioni che il fanciullo si crea della sessualità. Restando in tal modo soggiogato, l'individuo non accede alla maturità delle sue funzioni e resta nell'economia della sessualità infantile, cioè quella che non si dà altri obiettivi al di là di se stesso. L'immaturità affettiva e sociale di queste personalità complicherebbe i loro rapporti con gli altri.

La necessità di inquadrare la propria vita affettivo-sessuale nel celibato tradurrebbe anch'essa la paura di esprimersi sessualmente. Questa regola sarebbe il riflesso del bisogno di associare la vita religiosa con il rigetto della sessualità attraverso la categoria dell'impurità rituale che si trova in un certo numero di religioni. Questa paura del sesso sarebbe in sintonia con un senso di colpa che non permette all'individuo di disporre realmente della propria sessualità e che sarebbe un effetto della castrazione psichica con la quale il bambino e l'adolescente si trovano a confrontarsi durante il loro sviluppo. In questa prospettiva la sessualità si oppone alla dimensione religiosa perché essa subordina lo spirito alla concupiscenza della carne.

La condizione celibataria del sacerdote nella società non gli permetterebbe di comprendere, nel lavoro pastorale, la vita affettivo-sessuale degli individui o l'esperienza coniugale delle coppie. Il celibato ecclesiastico sembrerebbe creare una distanza tra il sacerdote e l'insieme dei membri della società. Egli non apparirebbe più come un segno di libertà per il servizio a Dio, dal momento che il matrimonio cristiano, al pari dell'impegno sacerdotale, costituisce anch'esso una vocazione al servizio del Vangelo. La possibilità di ordinare dei diaconi sposati e la richiesta di ordinare degli uomini sposati farebbe probabilmente coesistere due tipi di clero, rispetto ai quali ciascuno potrebbe orientarsi. Il passaggio al cattolicesimo di sacerdoti anglicani o di pastori protestanti sposati, accettati nel loro stato coniugale, probabilmente accelererebbe, pensano alcuni, una modifica nella Chiesa della sola regola del celibato. La valorizzazione costante del matrimonio nella Chiesa, mentre la società tende invece a sottovalutarlo, evidenzia in quale stima sia tenuta la vita coniugale nell'Istituzione ecclesiale, che lo considera come un fattore di realizzazione e come uno dei segni dell'alleanza di Dio con l'umanità; perché, allora, in tali condizioni non permetterlo ai sacerdoti? Infine, sarebbe auspicabile dissociare il sacerdozio dal celibato in nome dell'ecumenismo. Un simile cambiamento favorirebbe il dialogo con i protestanti e consentirebbe di prevedere l'ordinazione delle donne.

Occorre dunque non solo concedere il dovuto spazio ai problemi affettivi, ma anche alle aspirazioni personali che sembrerebbero in contrasto con il celibato sacerdotale. Sarebbe ora di abrogare l'obbligo del celibato per evitare le difficoltà che incontrano taluni sacerdoti. Essi sarebbero turbati da un'eccessiva solitudine affettiva, che li porta, talvolta, ad intrecciare relazioni amorose, a lasciare l'esercizio del ministero pastorale, a sposarsi, a mettere in atto diverse pratiche sessuali, a praticare l'omosessualità, a deprimersi o a consolarsi con l'alcool.

Sono dunque questi i più comuni argomenti che vengono avanzati contro il celibato sacerdotale per motivazioni psicologiche o sociologiche. Anche nel nome della realizzazione della persona, dal momento che il celibato sacerdotale sarebbe contrario agli interessi dell'individuo, anche a rischio di essere lasciata libera di scegliere questo stato o di sposarsi. Ci accingiamo ora a discutere queste differenti questioni, che non sono nuove e che fanno prova di analisi sommarie e di conclusioni affrettate.

 

 

2. Il celibe è un importuno ed un "rivelatore"

 

Il celibe ha sempre rappresentato una provocazione per coloro che sono impegnati in una relazione di coppia, e non solo per loro. Egli appare libero e disponibile e, a volte, è considerato come colui che può, da un momento all'altro, destabilizzare la relazione amorosa. La letteratura evoca spesso tale situazione ed incita a temere il celibe, se non addirittura a sospettare di lui. Tale solitudine pare quindi strana ed offre il pretesto a interrogativi e proiezioni sulla sua vita sessuale. Lo si sospetta di tendenze, di mali di vario genere o di paure, senza cercare di verificarne l'obiettività, così come ci si dà da fare per sapere con quale mezzo egli possa mai astenersi da ogni legame affettivo-sessuale. Simile posizione pare insostenibile a molti, che si trasformano in altrettanti militanti per fare sposare i celibi che sono considerati come importuni. I celibi sono fonte di disagi, più per quelli che sono loro vicini che per loro stessi, ed essi stessi si meravigliano nel constatare come vengano considerati e come vengano attribuite loro numerose elaborazioni immaginarie.

Il celibe suscita timore in coloro che vivono in coppia o in coloro che, in effetti, hanno paura della solitudine. Ora esiste una solitudine inerente alla persona stessa in quanto individuo distinto e singolare, che rappresenta un universo che gli è proprio, che deve essere assunto come tale. Accade che la relazione di coppia venga ricercata per rassicurare se stessi e per sfuggire alla solitudine innata, piuttosto che per costruire una vita a due. Bisogna essere ad ogni costo con qualcuno per non doversi confrontare con la propria solitudine. In questo caso, ed in particolare nel periodo della post-adolescenza (24-30 anni), il soggetto corre il rischio di eludere lo sviluppo del proprio self, vale a dire la capacità di essere se stesso, di assicurare la propria continuità psichica e di essere stabile nelle proprie scelte. Quando l'individuo non riesce a realizzare questo compito psichico, cerca delle relazioni di appoggio, come si osserva in certe relazioni di coppia, che gli servono da "stampelle". In questo sistema, l'altro gioca il ruolo di un self che lo protegge interiormente dalle sue pulsioni, dalle sue emozioni, dai suoi desideri, che egli non riesce ad assumere da solo. Tale fenomeno è particolarmente evidente nelle coppie degli adolescenti ed in quegli adulti che hanno fondato il loro rapporto su tale bisogno di protezione.

La relazione di coppia non ha capacità riparatrici ed ancor meno terapeutiche quando la capacità psichica non è al meglio. La paura della solitudine, che non ha niente a che vedere con la desocializzazione rappresentata dall'isolamento, è significativa della paura di sé e del vivere con se stessi. L'angoscia che presiede in questo modo a queste relazioni affettivo-sessuali non apporta alcuna qualità dinamica a queste coppie o a queste relazioni di amicizia, poiché è necessario continuamente rassicurare l'altro, sostenerlo, consolarlo, aiutarlo, spesso attraverso delle domande e dei richiami indiretti. Questo fatto crea delle relazioni complesse: l'uno è in una posizione di lamentela, mentre l'altro è in una posizione di aiuto, ad immagine della relazione madre/figlio. Volendo aiutare a partire da tale atteggiamento, nessuno è realmente in grado di farlo. In questi casi il miglior modo di aiutare è esattamente quello di non aiutare e di non entrare in queste relazioni di coppia, sia che si tratti di rapporti di amicizia, sia che si tratti di rapporti amorosi. Queste relazioni, che sono chiuse ed esercitano un potere di ammaliamento, le ritroviamo sia per iniziativa dell'uomo che della donna. Esse si esprimono per mezzo di suppliche verbali, per mezzo di incessanti telefonate o per mezzo di innumerevoli lettere, sempre ripetitive, e sul modello della coppia formata dall'isterica (mai soddisfatta della sua sorte ed in posizione di sfida) e dall'ossessivo (il colpevole che ha sempre bisogno di riparare). In questo caso la donna si fa avviluppante e si esprime sempre in modo evasivo per raggiungere i suoi obiettivi nel ritrovare la posizione di seduzione infantile verso il padre; l'uomo, ancora attaccato ad un'immagine edipica[1] della madre, si lascia ciecamente coinvolgere per valorizzarsi e lottare contro una posizione depressiva.

Alcuni Sacerdoti sono spesso stati presi in questo ingranaggio senza discernere la seduzione incosciente che era a tal punto all'opera da erotizzare la relazione con l'altro. L'esperienza e numerosi studi[2] hanno ampiamente dimostrato che esiste un profilo psicologico particolare di donne che cercano di sedurre il sacerdote e di indurlo in uno stato di desiderio nei loro confronti.

Quando la relazione di coppia è vissuta come un rimedio alla solitudine e non come l'associazione di due esistenze per creare una vita comune, e vivere per l'altro e non semplicemente vivere con l'altro, il celibato degli altri sembra insopportabile, perché ripropone la questione della capacità dell'individuo di vivere se stesso, occupando da solo il suo campo psichico, e di essere il soggetto che si dà delle regole dall'interno. Nella migliore delle ipotesi, l'individuo cerca di vivere nell'autonomia psichica e non nella dipendenza dalla psicologia dell'altro. È a questa condizione che la relazione a due diventa possibile ed autentica e che si può parlare di tutto senza doppiezza.

Il celibe è, perciò, indipendentemente dalle sue capacità personali, il simbolo di una solitudine, di un'autonomia e di una sessualità che desta in coloro che gli rimproverano il suo celibato ciò che può restare di conflittuale e ciò che riguarda l'appoggiarsi, ovvero il bisogno di essere sostenuti; si tratta di personalità il cui self è incompiuto e che non sopportano l'esistenza del celibe. Quest'ultimo è uno specchio che riflette fantasticherie, che impedisce di riflettere serenamente su uno stile di vita che è un modo di assumere la propria esistenza.

Si trovano, evidentemente, dei celibi che sono tali a motivo delle proprie inibizioni e del bisogno di mettersi da parte per mantenere un'autosufficienza o per evitare l'impegno in una relazione amorosa che implica un certo «abbandono» di sé all'altro. La paura di perdersi nell'altro quando l'individuo non è sufficientemente assicurato nella sua identità sessuale o l'idealizzazione della coppia parentale predispongono a questo celibato d'isolamento. Una mancanza di investimento affettivo durante l'infanzia sugli oggetti parentali viene in evidenza quando il bambino e l'adolescente si trattengono dall'amare e manifestare il loro attaccamento ai genitori. Essi esitano ad investirli realmente e al contempo diffidano dei propri sentimenti nei loro confronti. Manifestano un certo rifiuto fino a credere di non essere amati o che nessuno si interessa a loro, mentre sono essi stessi a porsi in un atteggiamento di isolamento o addirittura di rigetto. Aggrediscono i loro genitori, evitando di esprimere dei segni d'affetto. Una volta adulti, hanno difficoltà a stabilizzarsi in una relazione di fedeltà e tendono ad organizzarsi moltiplicando le relazioni di tipo transitorio: passano da un partner all'altro. Il matrimonio li angoscia ed il celibato li rende nostalgici e melanconici al punto da voler far coesistere contemporaneamente delle relazioni contraddittorie. Avrebbero anche la tendenza a rilanciare le proprie antiche relazioni dette «amorose» per darsi l'illusione di possibilità relazionali che non esistono. In realtà queste personalità hanno difficoltà a privarsi di una relazione edipica fondata sul sostegno e cercano, con un atteggiamento passivo, di essere riconosciute quando non riescono ad accettarsi, salvo poi rimproverare agli altri di non amarle.

E se arrivano al matrimonio, le relazioni coniugali sono spesso aggressive e brutali, contrassegnate dal sadismo affettivo. Le donne sono fredde, altezzose e manipolatrici, mentre gli uomini sono intransigenti, testardi e spesso in contrasto con le loro immagini parentali.

Il celibato incute timore ad alcuni, ma può essere un rifugio per altri. Cionondimeno, l'esperienza dimostra che ci sono diversi modi di realizzarsi e di svilupparsi, in particolare nel celibato, senza tuttavia vivere attraverso una relazione coniugale e senza che questa scelta rappresenti un rifiuto della sessualità.

 

 

3. Il celibato sacerdotale e la realizzazione della persona

 

Esistono diverse forme di celibato[3]. Alcune sono finalizzate ed altre non lo sono. Il celibato sacerdotale è di fatto finalizzato ad un obiettivo poiché esso è, per la Chiesa cattolica, il segno del dono totale della propria persona a Dio per il servizio della sua Chiesa. Esso colloca l'uomo che è chiamato al sacerdozio in un legame sponsale con il Popolo di Dio ad immagine del Cristo, come la Chiesa lo ha progressivamente definito e distinto dal celibato religioso[4] nel corso dei secoli. In primo luogo, non si tratta di una privazione o di un divieto sessuale che graverebbe sul matrimonio dei sacerdoti, ma di una significativa scelta di vita. Ed è proprio perché il celibato è significativo che esso risulta di solito praticabile.

La Chiesa non impedisce a nessuno di sposarsi, ma riconosciamo che tocca a Lei definire che cos'è il sacerdote cattolico, tanto di rito latino che di rito orientale, e chiamare al sacerdozio gli uomini che sono adatti a viverne i requisiti. Non è perché soggettivamente una persona desideri diventare sacerdote, che può esserlo, come rivendicano tanto certi uomini che certe donne. Rimane necessario corrispondere all'oggettività e alla simbologia di tale ruolo, che non dipende dalle considerazioni psicologiche o sociologiche di un'epoca e ancor meno dalla variazione dei modelli sessuali di un determinato periodo storico. A maggior ragione considerando che viviamo in un tempo in cui la differenza dei sessi viene negata a favore di una mentalità unisessuata e che la vita sociale attuale non sempre sa vivere la simbologia inerente ad ogni sesso. Sarebbe d'altronde tendenzioso dequalificare il celibato sacerdotale con il pretesto che alcuni incontrano delle difficoltà per lo stesso motivo per cui sarebbe assurdo dichiarare invalido il matrimonio a motivo dei problemi incontrati dagli sposi e del moltiplicarsi dei divorzi.

Secondo una visione piuttosto riduttiva, alcuni hanno voluto contestare il celibato sacerdotale partendo da sedicenti concezioni psicanalitiche. Ad un attento esame, questi studi non sono sempre pertinenti, soprattutto quando, a partire da alcuni casi che pongono problemi specifici, si vorrebbero tirare delle conclusioni generali. Avremmo il diritto di chiedere una maggiore prudenza e più senso metodologico. Quando si proiettano sul sacerdote degli archetipi e delle immagini letterarie, attraverso la filosofia idealista ed il vitalismo romantico d'oltre Reno, si parla di altre cose, ben diverse dal sacerdote. Il sacerdote cattolico non ha nulla a che vedere con lo sciamanesimo e non è stato trasformato in un terapeuta. Il messaggio cristiano non va confuso con il trattamento dei complessi psichici e l'esperienza religiosa non è all'origine di nevrosi o di patologie mentali, che sono entrambe innanzitutto l'espressione dell'organizzazione della personalità o del suo disfunzionamento. Allo stesso modo, descrivere il sacerdote a partire da un inconscio collettivo, di cui egli sarebbe schiavo, è inammissibile. Infatti, perché un inconscio esista, occorre un apparato mentale, cosa della quale la collettività non dispone, a differenza dell'individuo. Per contro, è possibile parlare di memoria collettiva. D'altra parte queste considerazioni passano completamente in cima rispetto alla storia personale del soggetto, ai riassestamenti della sua vita psichica e alle sue radici socioculturali. Esse trascurano ugualmente l'originalità del sacerdozio cattolico, dal momento che colui che diventa sacerdote è «chiamato» dalla Chiesa e non è un «eletto» che, a nome di uno pseudo incoscio collettivo, potrebbe ergersi come tale. Infine, volendo esprimere una forma di compassione nei confronti dei sacerdoti in difficoltà, alcuni autori diventano soprattutto complici dei loro problemi, anziché aiutarli. Questo atteggiamento è contrario ad ogni genere di lavoro clinico in questo campo. Non si psicanalizza un'istituzione ed ancor meno una corporazione, ma una persona, a partire dal suo discorso e da ciò che egli ci rivela del suo inconscio. Alcuni teologi utilizzano in tal modo il discorso della psicanalisi in modo ideologico, proiettandolo sulla realtà per dei fini piuttosto di parte. Essi hanno ugualmente la tendenza a confondere le crisi esistenziali con gli stati nevrotici ed a voler prescrivere indifferentemente il ricorso alla psicoterapia. Essi danno prova, in questo caso, di un grave errore di diagnosi, per la quale, d'altronde, essi non sono stati preparati.

Le scoperte della psicanalisi hanno permesso di dare una migliore collocazione alle problematiche della sessualità nello sviluppo della personalità. Certuni hanno creduto di doverla estrapolare affermando che l'individuo non poteva fare a meno dell'espressione sessuale, poiché questo avrebbe comportato il rischio di gravi perturbazioni. In nome di tale affermazione si è voluto rimettere in questione il celibato sacerdotale, evitando del resto di interrogarsi sull'originalità della sessualità umana. Ora, per la psicanalisi, la sessualità non si riduce all'attività genitale, ma esprime le capacità di legame, di creazione e di trasmissione come fonti di gratificazioni e di piacere, che sono, queste ultime, indispensabili per l'equilibrio psichico. L'individuo può così moltiplicare gli atti sessuali senza tuttavia essere affettivamente realizzato e in coerenza con se stesso, mentre - al contrario - in casi di astinenza significativi, liberamente assunti, l'individuo potrà considerarsi come un uomo completo. Egli sarà persino capace di far riflettere sulla loro vita affettiva, coniugale e sessuale coloro che si rivolgono a lui nella sua vita pastorale, poiché ha al suo attivo un distacco che altri non hanno, soprattutto quando devono affrontare gli stessi interrogativi. Come vedremo più avanti, il celibato sacerdotale non implica l'estinzione della vita sessuale che è, al contrario, integrata in questa scelta di vita. Non è giusto affermare che i sacerdoti non possano esprimersi su tali argomenti con il pretesto che non praticano la genitalità. Questa concezione è, quanto meno, strana perché il sacerdote, che è un uomo, occorre ricordarlo, resta un essere sessuato e nel pieno possesso della sua vita affettivo-sessuale. L'esperienza genitale non qualifica in alcun modo l'individuo, poiché è il modo di vivere e di integrare tutte le componenti della sua umanità che gliene dona la comprensione intima.

La maturazione affettivo-sessuale non è infatti il risultato di esperienze sessuali ma la traduzione della messa in atto di una pluralità di strutture nel funzionamento psichico della personalità. Il bambino, che assume se stesso come proprio oggetto sessuale, così come s'impossessa dei suoi genitori e dei suoi fratelli per il proprio risveglio affettivo, dovrà progressivamente dare un'altra finalità alla propria pulsione sessuale. La pulsione non può avere la sua finalità in se stessa; essa trova il suo fine in un oggetto esterno, nella relazione con l'altro. Il bambino deve quindi compiere un lavoro di elaborazione per costruire una relazione con se stesso e con gli altri. In tal modo egli prenderà possesso di se stesso e imparerà a regolarsi in una organizzazione psichica che gli sarà propria. Nessuno può fare questo lavoro al suo posto, né i suoi genitori, né i suoi educatori. Detto in altri termini, l'educazione influenzerà il comportamento, ma non la strutturazione della vita intima, che dipende dallo stesso soggetto. Siamo messi di fronte alla singolarità ed all'autonomia psichica di ciascuno e ciò che l'individuo non giunge a fare da solo, potrà a volte rimproverarlo agli altri ed ai suoi genitori in particolare. La maggior parte delle volte, si tratta di un processo negativo e tra poco vedremo perché.

La pulsione sessuale è relativamente autonoma nella vita psichica ed esercita una pressione su di essa al punto che il soggetto ha l'impressione dì essere «aggredito» interiormente e di non poterci fare nulla. In realtà, egli integrerà progressivamente questo dinamismo pulsionale per costruire la sua relazione con gli altri, a partire dalla rappresentazione che egli si crea di se stesso e dell'esistenza. Il soggetto ha dunque bisogno di elementi culturali a partire dai quali attingerà le risorse e le prospettive per elaborare l'espressione delle sue pulsioni sessuali, per esempio a partire dal senso dell'amore. E ci sarà sempre una tensione tra la pulsione e la prospettiva nella quale l'individuo cercherà di inquadrarla. Alcuni, non riuscendo a gestire questo conflitto interno, tentano di liquidarlo con dei passaggi all'atto sessuale che sono sempre reattivi e non contribuiscono ad arricchire la relazione amorosa o una scelta di vita. L'obiettivo della psicanalisi è per l'appunto di permettere all'analizzando di affrontare questo conflitto e integrarlo nel suo desiderio e dunque nel suo rapporto con gli altri e con la società. Tale obiettivo non ha niente a che vedere con una visione falsa della psicanalisi, che sarebbe iniziatrice, complice e stimolante di ogni genere di pratiche sotto la maschera della liberazione, come per esprimere la pulsione allo stato grezzo. Ciò sarebbe per lo meno dannoso e distruttivo.

Uno dei compiti della psiche nello sviluppo della personalità consiste nel dissociare progressivamente il proprio corpo dal campo parentale, a partire dal quale si è formato ed a prendere possesso della propria genitalità disimpegnandola da una sessualità incestuosa. La sessualità incestuosa rappresenta infatti lo stato primario della sessualità umana, ed è destinata a cedere il passo, nel corso dell'adolescenza, ad una sessualità altruista attraverso l'integrazione del senso dell'altro e della procreazione. Queste due operazioni - autonomia del corpo ed accettazione della genitalità - sono spesso dolorose perché mettono l'individuo di fronte alla propria solitudine, da cui viene il bisogno a volte di addossare questo lavoro a qualcun altro, come abbiamo già detto.

Sentiamo quindi molte persone lamentarsi dei propri genitori, dell'educazione ricevuta e perfino della Chiesa, per averli inibiti sessualmente, mentre in effetti essi stessi avevano assunto un atteggiamento difensivo a tale riguardo. Certi sacerdoti spiegano le loro difficoltà affettivo-sessuali adducendo il pretesto di non essere stati informati su tali problemi durante la loro formazione. Forse alle volte tali questioni sono state aggirate? Ma in molti casi, anche se si fossero tenuti dei corsi e delle riunioni, questi sacerdoti si sarebbero tenuti a distanza di sicurezza da queste problematiche. Perché? Semplicemente perché queste questioni non sono unicamente il risultato di un'apertura intellettuale, ma di un modo di porsi nei confronti di se stessi che aiuta ad accettare ed integrare la propria sessualità. Fino a quando l'individuo non ha raggiunto questo livello di consapevolezza, è difficile per lui capire. Ciò non significa che non occorra dire nulla, al contrario. È indispensabile parlarne collettivamente e in sede di direzione spirituale, ma sapendo tenere conto dei ritmi di maturazione e del grado di resistenza degli individui quando si parla di queste questioni.

In altri casi il discorso educativo che spingeva a inquadrare la vita sessuale in una prospettiva di amore e di impegno è stato inteso come un divieto che pesa sulla sessualità, mentre non si tratta di ciò. Invece di intendere il senso e l'approccio simbolico che entrano in gioco nell'atto sessuale, l'hanno colto come un impedimento, dal momento che sono ancora dipendenti da una sessualità incestuosa, necessariamente segnata dalla proibizione. È questo fenomeno che spiega come ogni riflessione morale sulla sessualità, o su una scelta di vita, angosci e risvegli dei sensi di colpa dalle radici antiche, e questo finché il soggetto non avrà modificato l'economia della sua libido e resterà sottomesso ad una sessualità infantile.

Il celibato sacerdotale, al pari dell'impegno nella vita coniugale, non dispensa dall'arrivare preventivamente alla maturità affettivo-sessuale, e non è un handicap per potervi giungere. Allo stesso modo, il celibato sacerdotale sarà una fonte di autorealizzazione e di fecondità pastorale soltanto a determinate condizioni.

 

I. Il senso e la finalità di questo celibato hanno non solo bisogno di essere ricordati ma anche vissuti nell'interiorità come dono della propria persona per rispondere all'amore di Dio ed alla chiamata della Chiesa, per poter partecipare alla sua missione ad immagine del Cristo. Il celibato sacerdotale, per la Chiesa, non si comprende se non in relazione con questo fondamento. Nessuno è obbligato a farsi sacerdote e la Chiesa non impedisce a nessuno di sposarsi, al contrario. Essa ha pure bisogno di chiamare al sacerdozio degli uomini che hanno raggiunto o che stanno per acquisire una maturità' affettivo-sessuale tale da permettere loro di condurre una vita coniugale ed essere padri. Ma per il servizio del Vangelo quest'uomo accetta di donarsi completamente. Questa scelta viene compiuta per amore e non sotto costrizione ed ancor meno sotto l'ingiunzione di un divieto.

 

II. Ma cosa ne è della vita sessuale nella psicologia di una persona che si è assunta questo tipo di impegno? Non è auspicabile che venga negata poiché rischierebbe di manifestarsi in modo perverso. Non viene neanche sublimata. La genitalità infatti resta sempre viva e non può sublimarsi, come ho avuto occasione di dimostrare in molti lavori[5], sono invece le pulsioni parziali che devono entrare nel processo della sublimazione[6]. In caso contrario, l'individuo resterà allo stadio delle pratiche sessuali parziali, quali il voyeurismo, l'esibizionismo, la masturbazione e tutti gli atti che frazionano l'espressione sessuale. Nella castità e nella continenza la genitalità resta viva e disponibile ma senza necessità di esprimersi, nella misura in cui altre motivazioni impegnano il sacerdote in una capacità di dono di sé. L'esperienza mostra che egli assume in tal modo la sua vita sessuale all'interno della sua scelta di vita e che la sua sessualità, nel suo insieme, rimane una fonte di relazioni e di creatività.

 

III. Non è giusto affermare che il celibato sacerdotale sia fonte di squilibrio affettivo. Non lo è più di quanto lo sia il matrimonio nella vita coniugale. Lo abbiamo sottolineato insistendo sulla causalità psichica che permette di comprendere come l'individuo prenda possesso della sua genitalità o la inibisca per dei motivi intriseci alla sua elaborazione interiore. La Chiesa propone una scelta di vita a coloro che sono chiamati al sacerdozio e non è questa scelta a determinare la psicologia della personalità. È l'individuo che si organizza psichicamente fin dall'infanzia e si riordina durante l'adolescenza nel contesto di una serie di processi che dipendono dall'inconscio. Riflettendo su se stesso, egli dovrà prendere coscienza degli aspetti che lo costituiscono per curarli in caso di conflitti o assumerli per realizzarsi. In altre parole, non è uno stato di vita che crea un problema in sé, ma il modo con cui l'individuo si mette all'opera in questa modalità di esistenza che del resto egli stesso ha scelto. Secondo l'opinione di tutti coloro che si occupano della salute del clero, non si sono mai verificate delle correlazioni tra determinate patologie ed il celibato. Si ritrovano nei sacerdoti la maggior parte delle malattie che si trovano nella popolazione in generale. I problemi che più frequentemente incontrano i sacerdoti, e che pesano sulla loro salute, sono il superlavoro e il moltiplicarsi delle attività, o a volte la mancanza di mezzi per svolgere i loro incarichi pastorali e per vivere, o ancora l'ostilità sistematica dell'ambiente nei confronti del cristianesimo, senza contare il fatto di essere i primi esposti ad accogliere tutte le angosce e tutte le inquietudini delle persone che incontrano.

Di fronte a diversi problemi, alcuni giungono alla conclusione che sarebbe preferibile offrire ai sacerdoti la possibilità di sposarsi, come se il matrimonio avesse delle virtù terapeutiche atte a risolvere i problemi affettivo-sessuali o persino per far fronte alla crisi delle vocazioni vissuta in alcuni paesi. Si rischia di voler prendere delle decisioni più per rispondere ad un'angoscia che per restare coerenti con il contesto dei problemi posti e delle sfide che essi suppongono. Le comunità cristiane hanno certamente diritto a dei ministri, ma la loro chiamata da parte della Chiesa non può avvenire senza tenere conto dell'identità sacerdotale e delle esigenze legate a questa vocazione. Non si prendono decisioni come quella di rimettere in questione il celibato sacerdotale o promuovere al presbiterato degli uomini sposati semplicemente sulla base degli avvenimenti di una determinata epoca. E ancor meno sotto la pressione dell'opinione pubblica o sotto l'influenza militante di persone di cui non si sa se cerchino il bene del Popolo di Dio o la giustificazione di posizioni affettive personali a dir poco complesse. Non bisogna farsi illusioni credendo che la rinuncia al celibato sacerdotale susciterebbe un aumento delle vocazioni indipendentemente dalla fede delle comunità cristiane. È soprattutto quando le comunità cristiane sono vive e quando il sacerdote, nel suo ministero sacerdotale, dà prova di visibilità nel suo essere e nel suo sacerdozio, quando si presenta chiaramente come tale nella missione affidatagli dalla Chiesa, che la chiamata al sacerdozio può essere, con maggiore frequenza, sentita ed accolta da parte dei giovani.

IV. Il celibato sacerdotale implica uno stile di vita che non è esattamente uguale a quello degli altri, poiché egli ha impegnato la propria vita donandosi a Dio. Se il sacerdote secolare vive in mezzo ai suoi contemporanei, se ne distingue per servirli meglio. È auspicabile che egli possa vivere in un legame fraterno con gli altri e, quando le circostanze glielo consentono, in una comunità sacerdotale. I momenti di preghiera, di condivisione, di attività apostoliche e di formazione permanente devono rappresentare altrettante occasioni per alimentare l'affettività del sacerdote nei confronti dei suoi confratelli. È preferibile che i sacerdoti organizzino tra di loro dei momenti di formazione e di riflessione che non siano confusi con quelli riservati ai laici, i quali hanno anche loro delle responsabilità pastorali, ma nel quadro di un'altra vocazione. In nome di un bisogno di vicinanza relazionale, nel mondo attuale i ruoli e le funzioni vengono spesso confusi, per non dire minimizzati. Orbene, i ministri ordinati al sacerdozio, che non sono più laici, devono essere riconosciuti come tali nella loro missione religiosa al servizio della Chiesa e dell'evangelizzazione. È importante che il sacerdote sia socialmente identificabile, in particolare attraverso la manifestazione esteriore di segni che rendano visibile il suo "status". Il titolo di « Padre » che gli è abitualmente attribuito, così come l'abito[7] che porta, talare o clergyman, inquadrano il suo ruolo sociale, « la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa »[8], a cui va aggiunto ii fatto che egli non agisce in primo luogo né solamente a nome proprio. Il sacerdote rivela così che si è impegnato e si è donato e che non è più disponibile per un altro genere di vita. Egli è ministro di una parola e di un incarico pastorale che non gli appartengono ma che derivano dalla missione della Chiesa, affidati da Cristo. Alcuni sacerdoti hanno talvolta la tendenza a "desocializzare" il loro ruolo, collocandosi più come individui che come ministri. Essi abbandonano dei segni di riconoscimento (titolo e abito) che hanno un valore universale per crearne altri, secondo fantasie particolari e di difficile comprensione, che accrescono la confusione relazionale. Per certuni tali questioni sono secondarie e non vogliono prestarvi attenzione. È un peccato, perché tale atteggiamento riflette un disconoscimento della necessità di rendere visibile una realtà sociale attraverso delle mediazioni simboliche, per identificare, in questo caso particolare, la dimensione religiosa. Altrimenti si lascia il campo libero alla proliferazione di movimenti esoterici che si appropriano giustamente di un simbolismo relazionale e di distintivi abbandonati dalla pratica pastorale. Il sacerdote, «grazie all'abito che porta, è segno inequivocabile della sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico».[9]

V. Infine, la vocazione al celibato sacerdotale non ha senso se non nel servizio degli altri a partire dalla missione della Chiesa. Il compito può essere duro ma è importante che, dal punto di vista psicologico e in vista di un equilibrio affettivo, il ministero pastorale sia considerato in prospettiva e che il sacerdote sia cosciente, grazie alla sua formazione ma anche alla sua vita spirituale, che l'opera nella quale è impegnato trascende la sua azione immediata. Egli partecipa all'annuncio di una speranza nella storia della salvezza, che ha un senso, e a partire dalla quale possono esprimersi la sua creatività e la sua fecondità. Quanti sacerdoti hanno così potuto, nella generosità e nella dedizione, fondare istituzioni, portatrici del messaggio evangelico per numerosi cristiani, che hanno avuto degli effetti civilizzatori nel campo scolastico, educativo, assistenziale, sanitario e socio-politico.

 

 

4. Lo spazio da riservare alla vita affettivo-sessuale nella formazione

 

Uno degli aspetti problematici della formazione dei futuri sacerdoti è costituito dalla dimensione affettivo-sessuale della personalità. Le scienze psicologiche costituiscono un aiuto prezioso per meglio comprendere e situare lo sviluppo della sessualità e del legame sessuale nella personalità. Si possono organizzare sessioni e corsi per i seminaristi, per sensibilizzarli a tutte queste realtà. Se sono invitati degli esperti, sarà bene verificare che abbiano una buona conoscenza dell'antropologia cristiana. Tale lavoro intellettuale potrà favorire una migliore comprensione del ruolo della sessualità nella vita dell'uomo, così come una riflessione su se stessi, sui propri interrogativi, per mettersi nella verità nei confronti del celibato sacerdotale. Sarà ugualmente utile per la comprensione delle aspettative e delle problematiche contemporanee, o per meglio impostare l'azione pastorale. È vero che le sfide nel campo della pastorale del matrimonio, della famiglia e dell'educazione affettiva dei giovani costituiscono delle priorità per la Chiesa, perché comportano questioni essenziali sulle quali il Vangelo ha una parola d'amore da far ascoltare. I pastori devono prepararsi a operare in tal senso e devono trovare una nuova collocazione per la sessualità umana nella vita cristiana.

La formazione sacerdotale è dunque un tempo di riflessione su tutti questi problemi che concernono in primo luogo il futuro sacerdote che cercherà di chiarire le sue motivazioni, di non ignorare il suo sviluppo sessuale, o addirittura i suoi problemi personali, e di prepararsi positivamente al celibato sacerdotale. In certi casi può essere necessario proporre, e non imporre, un accompagnamento psicologico per trattare certe difficoltà psicologiche, che non rientrano nell'ambito dalla vita spirituale. Sarà auspicabile fare appello ad uno specialista competente che sappia prendere in considerazione e rispettare la dimensione religiosa dell'esistenza. Le sue qualità personali sono altrettanto importanti del metodo che adopera. Alcuni di loro hanno talvolta una concezione riduzionistica della vita cristiana, interpretata come una difesa, un'illusione o una costruzione psicologica. Nei confronti di tali « a priori », è necessario ricorrere ad un professionista che sia in grado di capire la persona nella sua globalità e rispetti le sue scelte fondamentali. In un ambito che tocca anche V intimità della persona, è necessario preoccuparsi del metodo terapeutico scelto. La psicoterapia classica di ispirazione psicanalitica sembra offrire, grazie all'esperienza clinica, un insieme di risultati positivi. Il fatto di prendere in considerazione la storia del soggetto e del suo inconscio aiuta spesso la persona, in questo ambito, a progredire e a rielaborare la sua economia interna. Quando l'individuo non riesce da solo, o attraverso l'esperienza della vita, a liberarsi di un conflitto psicologico, la psicoterapia può rappresentare un prezioso aiuto per riavviare uno sviluppo che si è bloccato per diversi motivi. Non si tratta tuttavia di proporre in modo sistematico una psicoterapia di fronte alla minima difficoltà. Bisogna distinguere tra un problema esistenziale, legato ad un periodo specifico della vita e al quale è possibile avvicinarsi con una riflessione su se stessi e un approfondimento della vita spirituale, e un reale conflitto intrapsichico che ha bisogno di essere risolto sul terreno che gli è proprio.

Cosa si deve pensare dei colloqui psicologici di selezione che vengono proposti in modo sistematico prima di intraprendere il curriculum formativo o prima di assumere degli impegni maggiori? Si osservi che in alcuni seminari gli studenti sono sottoposti in modo obbligatorio a questo tipo di esame mentre in altri lo si fa soltanto in casi più particolari. Degli specialisti sono in tal modo invitati a dare un parere ampiamente documentato, basato su test, descrizioni cliniche e storia dell'infanzia e della famiglia del soggetto, oltre che sullo stato psichico della personalità del seminarista, con particolare riguardo alla sua vita affettiva. Tale atteggiamento è contrario a l'etica psichiatrica. Siamo in presenza di un grave rischio di confusione tra il tribunale della coscienza e il giudizio esterno quando si rendano pubblici degli aspetti psichici che riguardano soltanto l'intimità della persona. È per questo motivo che quando dei candidati fanno dei colloqui per fare il punto, per esempio, sulla loro vita psichica, il professionista è in primo luogo al servizio della loro persona, per aiutarli a prendere coscienza di certi aspetti di loro stessi rispetto al loro progetto di vita.

Tuttavia, un discorso di prevenzione è indispensabile quando si tratta di personalità immature, instabili, o per coloro che hanno vissuto ad esempio delle esperienze familiari difficili o delle situazioni traumatizzanti, la tossicomania, l'alcoolismo, delle esperienze sessuali problematiche, senza che esse siano state elaborate psicologicamente e siano state realmente superate. Occorrerà ugualmente essere attenti di fronte a personalità perverse, predisposte alla pederastia e alla omosessualità, o che diano prova di incoerenze nei loro atti e le loro parole. Tutti questi fenomeni possono essere constatati da uno specialista competente e che conosce la psicologia di coloro che si preparano al sacerdozio ed alla vita religiosa. Egli dovrà fare attenzione al modo con cui il candidato parlerà di se stesso e della propria vita e se sarà in grado di rendere conto delle sue esperienze e del suo vissuto soggettivo. In questo caso il professionista comunicherà al candidato i risultati dettagliati della sua perizia.

È importante agire con grande delicatezza e nel rispetto dell'integrità psichica del soggetto esaminato secondo tali modalità. Non è compito dello specialista verificare l'autenticità della vocazione del soggetto: non ne ha la competenza e si rifiuta di farlo, poiché questo rientra nell'autorità dei responsabili della formazione. Spetta ai superiori e ai membri dei consigli dei seminari assumersi le proprie responsabilità e impegnarsi in prima persona nella valutazione della maturità di un candidato al sacerdozio, per verificare se questi possiede le attitudini richieste, o se le sta acquistando, al fine di venire ordinato e di vivere positivamente il celibato sacerdotale. D'altronde, sarebbe vano mettere sistematicamente tutti i candidati sotto «sorveglianza» psicologica a motivo del moltiplicarsi di certi problemi di costumi contro i quali la società attualmente sta reagendo e nei quali capita che anche alcuni sacerdoti siano implicati. Accade quindi che, a volte, i seminaristi vengano sottoposti a dei test psicologici, a diversi colloqui e valutazioni psichiatriche con lo scopo di redigere un dossier e di conseguire il massimo di garanzia su ciascuno. Questa impostazione pone numerosi problemi e non è auspicabile dover proseguire in tale direzione. Infatti, tranne in casi gravi e palesi sui quali è possibile effettuare una diagnosi ed una prognosi, come abbiamo evidenziato, nessuna perizia può garantire il futuro di un soggetto. Vi sono perciò individui complessi, che vengono osservati durante tutto l'iter della loro formazione e che, con il trascorrere del tempo, si chiariscono e diventano perfettibili, mentre altri, che sembravano, al tempo della loro giovinezza, pieni di promesse per il futuro, qualche anno più tardi si rivelano tormentati da problemi del tutto insospettati. Sarebbe impertinente voler utilizzare la psicanalisi e la psichiatria unicamente per tali finalità. Inoltre, come avviene in certi paesi, redigere dei dossier psicologici per poi consegnarli all'autorità diocesana o religiosa e che accompagneranno e segneranno per la vita alcune persone, è non solo inutile, ma anche contrario al rispetto dell'individuo e delle sue possibili evoluzioni. Occorre guardarsi bene da questo genere di pratiche, anzi questi schedari devono essere distratti quando siano presenti nelle istituzioni.

È questo il motivo per cui, pur privilegiando il ricorso agli specialisti in certi casi, è soprattutto auspicabile impegnare i seminaristi in una riflessione intellettuale su queste questioni a partire da interventi molteplici in corsi e sessioni, ma anche in una ricerca personale nel contesto della direzione spirituale. Alcuni, a volte, fanno difficoltà ad affrontare queste questioni col proprio direttore: una ragione in più per farlo; infatti, evitare di parlarne è un modo per non essere nella verità con se stessi. Sarebbe ugualmente necessario favorire questa riflessione nell'ambito della formazione permanente dei sacerdoti. D'altra parte la formazione deve essere adattata ai differenti contesti socio-culturali e riflettere sulle diverse prevenzioni possibili proprie di ogni regione nel mondo. Non è evidente, sulla base di ciò che conosciamo della psicologia della personalità umana e delle esigenze dell'antropologia cristiana, che occorra incoraggiare qualsiasi forma di in-culturazione affettivo-sessuale.

 

 

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Il celibato sacerdotale è un modo di tradurre in pratica la propria vita affettivo-sessuale in una scelta di vita da singoli. Da un punto di vista teorico, questo non è contrario a ciò che la psicanalisi ci può dire sulla sessualità umana. Infatti questo progetto di vita non rappresenta un rifiuto dei valori della sessualità umana, al contrario permette quelle elaborazioni psicologiche che risultano inerenti all'accesso alla genitalità ed alla fecondità. È quando si trova in pieno possesso delle sue forze vive che l'uomo si dona e questo dono non può essere motivato se non dall'amore di Dio e della sua Chiesa e da un lavoro apostolico che lo inscrive in una prospettiva significativa per lui stesso e per gli altri.

 

 

 

P. Tony Anatrella



[1] La relazione edipiana esprime la relazione esclusiva e privilegiata che il bambino vive con sua madre e con suo padre. Essi rappresentano i suoi primi oggetti d'amore dai quali egli si dovrà differenziare, grazie al divieto dell'incesto. Egli potrà così costituirsi come un soggetto distinto, situarsi nell'ordine della figliazione, accettare ed integrare il suo corpo

sessuato e socializzare la sua vita affettiva.

[2] AA. VV., Vivre le célibat sacerdotale Revue d'étique et de théologie morale, Le Supplément, n. 166, Septembre 1988, Paris Editions du Cerf B. P. 65, 77932, Perthes cedex, France; AA.VV., Stress et équilibre de vie du prêtre, Revue d'éthique et de théologie morale, Le Supplément, n. 179, Décembre 1991.

[3] T. Anatrella, Aspects psychologiques des célibats, Revue d'éthique et de théologie morale, Le Supplément, n. 199, décembre 1996, Paris Editions du Ceri", B.P. 65, 77932 Perthes Cedex, France.

[4] Se il celibato sacerdotale deriva il suo significato a partire dal dono di Dio alla sua Chiesa, il celibato religioso si comprende come segno annunciatore, attraverso l'azione della grazia, della realizzazione escatologica del battesimo e che prefigura il mondo futuro.

[5] T. ANATRELLA, Le sexe oublìé, Paris, Flammarion; Id. Quelques enjeux psychologiques du célibat sacerdotale Revue d'éthique et de théologie morale, 'Le Supplément', n° 196, mars 1996, Paris, Editions du Cerf.

[6] Le pulsioni primarie, dette pulsioni parziali, non devono essere realizzate. Esse devono subire una trasformazione attraverso dei processi psichici che elaborino delle rappresentazioni e dei bisogni che si esprimano in delle relazioni valide e che si possano tenere nella realtà. In tal modo, nel migliore dei casi la galanteria si trasformerà, tra il resto, nella curiosità e nella ricerca intellettuale, l'apertura sul mondo esterno, il bisogno di conoscere, il piacere di vedere l'amino, l'essere amato ecc.

[7] Cf. Codice di diritto canonico, can. 284 ; Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, n. 66.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem