ATTUALITÀ DEL CELIBATO SACERDOTALE

 

Le necessità del nostro tempo

 

Per molto tempo sono andato cercando un appropriato tema scritturisti-co con il quale esprimere chiaramente l'importanza e l'attualità di un impegno celibatario nella vita di un sacerdote e recentemente in una conversazione su questa materia con un anziano amico sacerdote, la mia attenzione fu attratta dal suo costante uso del termine - "il patto". Gli ho chiesto perché egli lo raffigurasse in quel modo e la sua risposta fu che in definitiva il celibato era tutta una relazione - tra Gesù e colui che Lui ha chiamato. Stabilire quella relazione pienamente e correttamente dovrebbe essere la ragion d'essere di un impegno celibatario.

 

 

Il Patto e Israele

 

Nell'Antico Testamento il concetto di patto giocava un ruolo chiave nella visualizzazione della relazione tra Dio e il popolo di Israele. Infatti gli scrittori del Deuteronomio ripercorrono la storia d'Israele con in mente il concetto di patto. Per loro la fedeltà o no di Israele al suo patto con Dio è la chiave ermeneutica per una chiara comprensione di eventi che accadevano e di eventi che sarebbero dovuti accadere. Le benedizioni e le maledizioni furono visualizzate come l'effetto naturale della fedeltà o meno di Israele a questa relazione. La chiamata ad entrare in un tale patto è una iniziativa propria di Dio stesso e il popolo di Israele fu una Sua scelta gratuita come il popolo privilegiato ad essere lo strumento di salvezza per tutti gli altri. È gratuito perché Israele non lo aveva richiesto (Dt 9,4ss.; Dt 7,6ss.). Questa relazione è stata spesso vista come la relazione tra un marito innamorato e la propria moglie (Ez 16,6-14; Os 2,2-17; Ger 2,2; 31,3). Ci si aspettava che Israele rimanesse fedele a Dio come una moglie al proprio marito.

 

 

Agevolatori di una relazione

 

Il ruolo di coloro che sono specialmente scelti da Dio per condurre, guidare e purificare Israele fu raffigurato nel servizio di questa relazione o patto. Questi uomini scelti, resi capaci e mandati da Dio sono servitori di questo patto. Essi non sono i suoi padroni. Essi facilitano solamente tale relazione e il suo ripristino o sviluppo. Essi sono amici di Dio come fu chiamato Mosè (Ex 33,11). A lui Dio rivela i Suoi segreti (Am 3,7) e loro sono mandati da Lui per istituire (Ex 24,3-8), rinnovare (Gios 24,1-28), per richiamare (Ger 11,6) o anche per spiegare (Ger 22,9; 16,59) il patto di relazione. Il loro ruolo poi era essenzialmente di assistere Dio nell'agevolare la Sua relazione con Israele o di essere gli agevolatori del patto.

 

 

Gesù e il Nuovo Patto

 

Nel Nuovo Testamento anche Gesù parla di un patto di relazione con il popolo. I sinottici visualizzano la morte di Gesù come il sacrificio espiatore (Is 53,10) che istituisce il nuovo patto (Mc 14,24; Mt 26,28; Lc 22,20). Il nuovo patto è sigillato nel Suo sangue (1 Cor 11,25).

Questo nuovo patto non è altro che il matrimonio tra Gesù, l'agnello che fu ucciso, e la Chiesa sua sposa, la nuova Gerusalemme (Gal 4,22-27). Sulla croce Cristo, il nuovo Adamo, santifica il nuovo patto. La Chiesa è nata dal Suo fianco simboleggiata dall'acqua e dal sangue - i sacramenti della sua genesi (Io 19,34; 1 Io 5,6). Gesù infatti chiama Se stesso lo Sposo parecchie volte anche altrove (Mt 9,15 et al.; Mt 25,1-5; 6,10; Io 3,29).

 

I discepoli agevolatori di una relazione

 

Stando così le cose troviamo Giovanni Battista che spiega il suo ruolo in relazione a quello di Cristo, in Io 3,29-30, traendo un esempio dalla differenza della vita reale tra uno Sposo e il suo amico. Dice Giovanni Battista: «Io non sono il Cristo, ma sono stato mandato innanzi a lui. Egli che possiede la sposa è lo Sposo; l'amico dello Sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo; ora questa mia gioia è piena. Egli deve crescere, ma io devo diminuire» (Io 3,29-30). Questa, mi sembra, costituisce una spiegazione soddisfacente del ruolo di un discepolo in relazione a Gesù che lo chiama. Il discepolo facilita la relazione tra Gesù e la comunità. Egli porta la comunità più vicino a Gesù.

Secondo la pratica esistente a quel tempo, il ruolo dell'«amico dello sposo» era importante per un matrimonio. Il suo compito era di preparare la riunione nuziale e fungere da intermediario per la giovane coppia fino al momento del matrimonio, quando presenta la giovane al suo sposo. Così l'amico dello sposo, che è oggetto di una sua speciale scelta, amore e fiducia, deve assistere lo sposo nel contrarre il matrimonio e nello stabilire una relazione di amore con la sua amata. Egli non può sostituire lo sposo in ogni campo perché abuserebbe di quella fiducia.

Gesù infatti chiama i suoi discepoli amici: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre, l'ho fatto conoscere a voi» (Io 15,15). È Gesù stesso che li ha scelti (v.16). Questa scelta personale dei discepoli da parte di Gesù, d'accordo con la scelta gratuita da parte di Dio dei Suoi messaggeri nell'Antico Testamento, riflette il senso profondo di amore, fiducia e amicizia che Egli elargisce loro. La loro chiamata non è altro che «essere con Lui» (Mc 3,14) - condividere la Sua vita e missione più da vicino. Essi sono Suoi amici perché Egli ha rivelato loro ogni cosa (Io 15,15). Essi sono i Suoi collaboratori (1 Cor 3,9). Essi, con Lui, sono come la vite e i tralci. L'effettivo adempimento della loro missione dipenderebbe dal grado della loro relazione con lui (Io 15,15).

San Paolo chiama questa relazione di intimità con il Signore, quella di «essere uno schiavo» (Rom 1,1; Fil 1,1) o di essere «un prigioniero di Cristo» (Ef 3,1; 4,1). Così i discepoli devono rispondere a questa speciale fiducia che Gesù, lo Sposo, ripone in loro e devono dare le loro vite interamente per rafforzare la relazione tra la comunità e Lui. Essi devono portare la «Sposa» più vicino a Lui. La sposa qui è la Chiesa e ciascuno e ogni fedele che è stato chiamato da Lui attraverso la fede e il battesimo ad una relazione di intimità. Si può anche intendere per estensione perfino coloro che non hanno udito il messaggio o sperimentato una fede redentrice in Lui fino ad ora ed anche l'intera realtà cosmica. Perciò, come dice San Paolo - «noi sappiamo che l'intera creazione ha sofferto nel parto fino ad ora; e non solo la creazione, ma noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito» (Rom 8,22-23).

Così Gesù chiama i Suoi discepoli amici perché è loro dovere portare vicino a Lui tutti quelli che Egli ha acquistato come Sua Sposa con il Suo sacrificio espiatorio sulla croce, tutti quelli che Egli ha redento.

 

 

Identità e Celibato sacerdotale

 

Il contenuto biblico e teologico dell'identità sacerdotale è, come nel caso dei discepoli, nient'altro che una chiamata ad entrare in una speciale relazione con Cristo. Ogni sacerdote, scelto e chiamato da Lui personalmente (Io 15,16) è stato separato da Gesù anche dal seno di sua madre (Ger 1,5) ed è stato invitato a una relazione di intimità. È una chiamata all'intimità che ha tre importanti componenti:

 

a) essere totalmente con il Signore

b) agevolare gli altri a realizzare una profonda comunione con Lui e

c) seguire sempre il Suo esempio.

a) Celibato e crescita nell'intimità con Gesù

 

Il sacerdozio, più di ogni altra istituzione della Chiesa, parla di una speciale relazione con il Signore. È una partecipazione intima alla vita del Signore e alla Sua missione. È una vocazione all'intimità con Lui senza limiti. La fedeltà a questa chiamata all'intimità richiede un impegno totale. Gesù chiede tale impegno ai Suoi discepoli. «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me e chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me» (Mt 10,37). Ugualmente «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie e i figli e i fratelli e le sorelle, sì, e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26).

L'impegno totale non è facile. In più è un impegno che ci aiuta a crescere. Quando Michelangelo scolpì il blocco di marmo svanì la possibilità di fare qualche altra statua con ogni scheggia. Ma a poco a poco nacque questo capolavoro, la Pietà. Se egli non avesse scolpito il blocco di marmo ci sarebbe stata fino alla fine dei tempi qualche possibilità di esecuzione. Una buona scelta significa restringere ma significa anche crescere. Per crescere nell'intimità con Cristo fino al livello di esclusività significa crescere pienamente in ogni possibilità e così morire agli altri.

Il celibato, vissuto sinceramente ed autenticamente, è quello che crea lo spazio più ampio possibile per la realizzazione della totale appartenenza al Signore - intimità totale. San Paolo visualizzava il celibato come il miglior modo in cui si può dare «un'attenzione indivisa al Signore» (1 Cor 7,35). Il celibato è, così, la prova più bella del nostro amore indiviso per Lui.

La Presbyterorum Ordinis afferma: «Attraverso la verginità e il celibato osservati per amore del Regno di Dio, i sacerdoti sono consacrati a Cristo in un modo nuovo e distinto. Essi, più facilmente, aderiscono a Lui con un cuore indiviso. Essi, più liberamente, si consacrano a Lui e attraverso Lui al servizio di Dio e dell'uomo» (PO 16). La Perfectae Caritatis afferma: il celibato «libera il cuore umano in un modo unico e lo fa ardere di un amore più grande per Dio e per tutto il genere umano» (PC 12). Così il celibato è quell'impegno che ci fa arrivare al massimo del nostro adempimento sacerdotale.

 

b) Celibato ed essere l'Amico dello Sposo, Gesù

 

Come ricordato altrove un autentico e fedele esercizio del ruolo dell'Amico di Gesù, lo sposo, da parte di un discepolo, prevede l'accompagnamento disinteressato della sposa al suo amato. Lo sposo ha riposto una sacrosanta fiducia nell'amico e così l'amico non può usurpare il ruolo dello Sposo e prendere la sposa per sé. Ogni singola persona che ha ascoltato la chiamata del Signore ad entrare in comunione con Lui appartiene a Gesù solo. Il discepolo, al quale è stato affidato il compito solo di facilitare questa relazione e comunione tra Gesù e la comunità, o Gesù e ogni singolo cristiano, o Gesù e un non-cristiano o perfino Gesù e la realtà cosmica desiderosa di liberarsi dal peccato, non può cercare di sostituire il Signore e prendere il Suo posto. Questo potrebbe equivalere ad un atto di tradimento contro un amico.

Il celibato, praticato eroicamente, è un modo col quale i sacerdoti vogliono «condurre i fedeli alle nozze con un solo sposo e presentarli a Cristo come una vergine pura. In questo modo evocano il misterioso matrimonio che fu stabilito da Dio e si manifesterà pienamente nel futuro e per il quale la Chiesa ha Cristo come suo unico sposo» (PO 16). Il ruolo di San Giovanni Battista nel Nuovo Testamento è considerato come quello di un amico che facilita un tale approccio tra Gesù e la comunità. Le parole di San Giovanni Battista - «Egli deve crescere, ma io devo diminuire» (Io 3,30) sono l'assioma di una sincera pratica di celibato. Il prete celibatario è colui che non vuole definire la relazione di nessuno con Gesù e prenderla per se stesso. Egli segue l'esempio di Giovanni il Battista che voleva permettere a Gesù di diventare attore nella vita dei suoi discepoli e a lui stesso di svanire. Se un sacerdote celibe desidera intimità con qualcuno che egli dovrebbe, in effetti, condurre a Gesù, egli viene meno miseramente alla fiducia del Signore. Il celibato è precisamente essere fedeli a quella fiducia sinceramente e totalmente.

 

c) Celibato e «sequela Christi»

 

Gesù, come testimoniano i Vangeli e la tradizione ecclesiale, resta totalmente legato al Padre e alla missione affidata a Lui. Egli fu celibe. Egli consacrò la Sua vita totalmente alla predicazione del Regno di Dio. In realtà, Egli disse ai Suoi discepoli che avrebbe gradito una tale opzione anche da loro - «vi sono eunuchi che si sono fatti così da se stessi a causa del Regno di Dio. Chi può capire capisca» (Mt 19,12).

Inoltre, Gesù mostrava che il matrimonio apparteneva alla presente eternità governata dalla morte ma il celibato all'eternità nata dalla Risurrezione «perché, alla risurrezione uomini e donne non sono sposati, no; essi sono come angeli nel cielo» (Mt 22,30; Me 12,25; Le 20,34-36).

Questo, tuttavia, non si può comprendere come una disistima del valore del matrimonio. La posizione di Gesù sull'indissolubilità del matrimonio andava ben oltre quella della legge di Mosè (Mt 19,3-9). Egli apprezzava l'impegno matrimoniale e ha anche assistito alla celebrazione di matrimoni durante il tempo della Sua vita (Io 2).

Gesù voleva che i Suoi discepoli seguissero il Suo esempio e fossero anche pronti a dare la propria vita per Lui - «chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Le 9,24). Similmente «finché un chicco di grano non cade nella terra e non muore, esso resta solo, ma se muore, esso dà molto frutto» (Io 2,24). Gesù sapeva che il futuro che attendeva i Suoi discepoli era duro (Mt 10,17-18) e poneva loro forti domande (Le 9,57-62; Io 6,60). Egli sapeva che, come per Lui, una vita totalmente distaccata che includeva un impegno celibatario, offriva la migliore occasione possibile per loro, se essi dovevano essere efficaci nella loro missione. Anche in questo sfondo possiamo cercare di capire la nostra missione sacerdotale e il tipo di impegno per compierla meglio. Come nel caso di Gesù e degli apostoli come Paolo, il celibato ci offre il maggior grado di mobilità e libertà di azione nella realizzazione della nostra missione. Esso ci fa agire «in persona Christi» nel senso più pieno della parola.

 

Il celibato risponde ai bisogni odierni

 

Un impegno per Cristo nel sacerdozio significa anche un impegno ad amare profondamente il genere umano. Cristo amò tutti gli uomini e diede la propria vita per la loro salvezza. L'amore di Cristo per il genere umano fu essenzialmente salvifico. Il sacerdote è uno che, perciò, partecipa a questo amore di Cristo, desideroso della salvezza dei suoi fratelli e sorelle. Il suo impegno per l'umanità non finisce nel fare loro del bene o semplicemente servendoli nei loro bisogni terreni, ma allargando tale impegno ben oltre una partecipazione all'amore di Cristo riguardo alla loro salvezza. «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Io 13,34) è l'invito che il Signore dirige ai suoi sacerdoti. Il sacerdote è invitato ad amare l'umanità come fece Gesù. Il celibato è il simbolo della sua totale consacrazione a questo scopo.

È vero che anche il matrimonio esprime amore disinteressato. Eppure c'è una differenza di base tra i due. Afferma Papa Giovanni Paolo II - «attraverso il suo celibato il sacerdote diventa 'l'uomo per gli altri' in un modo diverso dall'uomo che si lega in unione coniugale con una donna, il quale diviene come marito e padre un uomo per gli altri» (Messaggio ai Sacerdoti per il Giovedì Santo, 1979).

Il matrimonio è il dono dell'amore di Dio per l'individuo, mentre il celibato è il dono dell'amore di Dio per tutti gli uomini. Sono due differenti vocazioni, o meglio ancora, carismi, come li definisce San Paolo (1 Cor 7,7). Essi si completano l'un l'altro creando un mondo d'amore basato sul sacrificio: il sacrificio dei genitori e il sacrificio dei servi del Regno. Sono entrambi nobili, sebbene fondamentalmente diversi.

In una parola, dove l'individualismo e l'egoismo sono in crescita, esempi di tale amore sacrificale possono essere veramente provocatori ed acquisire una validità unica. Il celibato è una bella testimonianza all'amore di Dio manifestata chiaramente fino a livelli di eroismo in un contesto come quello contemporaneo. Non è in nessun modo in disaccordo con i nostri tempi come dice qualcuno. Il celibato, al contrario, è un'opportunità di servire, di amare, di sacrificare e di condividere, mettendo una speciale attenzione ai non amati, ai deboli e ai perdenti.

La società di oggi ha bisogno di gioia. Dice Paolo VI, nella sua esortazione apostolica «Gaudete in Domino», «la società tecnologica è riuscita a moltiplicare le opportunità per il piacere ma ha grandi difficoltà a generare gioia» (GD). Sempre di più, le fonti di piacere che l'uomo ha inventato stanno risultando essere i veri mezzi della sua schiavitù. Questo perché sta perdendo sempre più la sua capacità di sostenere i principi morali come un risultato della sua veduta del mondo dove Dio è sostituito dagli idoli moderni. Dice Erich Fromm - «l'uomo moderno ha ogni cosa... ma egli non e niente» (The Revolution of Hope, p.82 - Bantam Books volume 38).

Le Scritture ci narrano che Dio è la causa della vera gioia dell'uomo (Is 56,6; Ger 9,23-24; Ps 16,9; Ps 62). Fin dai tempi antichi la fedeltà alla legge di Dio è stata considerata una vera fonte di gioia (Dt 28,2). Diceva Santa Teresa di Lisieux:

 

«Il mio paradiso è sorridere al Dio che io adoro

Ogni volta che Egli vuole nascondere Se stesso per provare la mia fede Sorridere, aspettando il momento in cui Egli ancora si mostrerà a me. Questo! Questo è il paradiso per me».

 

Un sacerdote che ha dato interamente la sua vita al Signore fino ai livelli di eroismo è quello che sperimenta profondamente la gioia di «vivere con Lui», di «essere parte della Sua vera missione». Egli è pieno di fiducia. Niente può fermarlo o scoraggiarlo. Egli non deve avere paura perché il Signore è vicino (Lc 14,27).

Egli è, perciò, fondamentalmente un ottimista che sperimenta la gioia e la fiducia di essere fermamente radicato in Cristo. Come dice Geremia, colui che mette la sua fiducia nel Signore è davvero benedetto ed è come un albero piantato sul bordo dell'acqua che sfida il caldo dell'estate e produce frutti anche in tempo di siccità (Ger 17,7-8). Un sacerdote celibe che è profondamente radicato nel Signore è una fonte di gioia, fiducia e forza per gli altri, una sfida alla crescente mancanza di gioia nel mondo che sperimentiamo intorno a noi.

Conclusione

L'attualità e l'importanza di un impegno per il celibato, se consideriamo quanto è stato scritto più sopra, sta fondamentalmente nella vera natura di quello che il sacerdozio è ovunque, ossia l'identità sacerdotale. Il celibato ci concede l'opportunità di realizzare nella nostra vita, come sacerdoti, questa identità nella sua più piena capacità. La nostra chiamata come sacerdoti all'intimità col Signore, per essere suoi amici e fedeli collaboratori che agevolano le nozze di Cristo con la Chiesa (2 Cor 11,2) e per seguire il Suo esempio nell'adempimento della missione affidataci sarà pienamente realizzata in questo impegno ad un modo di vita celibatario.

Inoltre, il celibato è anche una sfida stringente ad un mondo che è preso in una tela di iniquità, individualismo e pessimismo. L'impegno disinteressato di una vita sacerdotale aiuta ad innalzare i cuori e le menti umane alla presenza liberatrice e potente della grazia di Dio nella storia e ad una gioiosa risposta di fede. Di qui, il celibato non può essere chiamato in altro modo se non un miracolo moderno e una potente presenza della grazia redentrice di Dio nella società odierna.

 

Albert Malcolm Ranjtth Patabandinge Don

Vescovo di Ratnapura