S. GAROFALO, Introduzione alle lettura dell'Enciclica "'Sacerdotalis caelibatus" in Seminarium 49 (1967) 764-773.

 

L'A. sottolinea la serietà con cui l'enciclica nella seconda parte affronta il tema della formazione dei sacerdoti e parla di «grandi linee di una riforma della formazione dei candidati al sacerdozio, tale da inserire l'impegno del celibato nel contesto di una solida e coerente struttura umana e spirituale». L'A. vede nello scritto di Paolo VI il primo passo per adempiere le richieste del Concilio in tale materia affinché il celibato cessi di «essere una fredda disposizione di legge per integrarsi nel complesso di tutta una vita efficacemente orientata e vissuta in pienezza» (ibid.). Ciò è richiesto, oltre che dalla natura stessa della obbligazione, anche dal contesto sociale e culturale moderno che esalta la libertà e l'autonomia della persona che è chiamata a prendere decisioni con responsabilità propria. L'A. tuttavia mette in guardia contro il rischio che queste esigenze siano interpretate come «una liberazione da ogni specie di disciplina, di sforzo e di controllo» (p. 772) e aggiunge: «D'accordo, la disciplina non deve essere concepita come una imposizione dall'esterno e sopportata ad tempus, ma fa parte della struttura spirituale prima del futuro sacerdote e poi del sacerdote durante tutta la sua vita: è "come una componente indispensabile" della vita spirituale in quanto viene "interiorizzata" (n. 66). Il che non significa che la disciplina sia puramente interiore, giacché l'enciclica parla di una "disciplina personale e comunitaria" (ibid.), anche esteriore (n. 78). In che altro modo, fuori dalla disciplina e dall'ascetica, si può raggiungere "quel dominio di sé che è di importanza suprema nell'educazione sacerdotale" (n. 67)?» (p. 772). Nell'integrazione tra fede e amore consiste, secondo FA., il centro del messaggio dell'enciclica di Paolo VI, che fa appello significativo «al più espressivo uso della libertà, al più significativo amore» (p. 773).

 

Giuseppe Versaldi