G. DE ROSA, Il celibato sacerdotale nel pensiero di Paolo VI, in "La Civiltà cattolica", 118(1967), 209-222.

 

L'A. affronta l'ostacolo della disciplina della Chiesa latina che «fa coincidere praticamente il carisma della vocazione sacerdotale col carisma della perfetta castità» anche se nel Nuovo Testamento non risulta questa coincidenza. E, citando il n. 15 dell'enciclica di Paolo VI il quale ricorda come la vocazione sacerdotale non diventi operante senza l'accettazione dell'Autorità della Chiesa che decide secondo le esigenze pastorali dei diversi tempi e luoghi, lo stesso A. precisa il senso della norma canonica: «la Chiesa di rito latino ha stabilito in concreto che non è adatto al servizio sacerdotale chi, pur sentendosi chiamato al sacerdozio, non si sente chiamato al celibato» (p. 217). E aggiunge: «Non ha senso, perciò, quello che afferma qualche sacerdote: "Io volevo divenire prete; ho accettato il celibato, non perché mi sentissi chiamato al celibato, ma perché era una condizione per diventare prete. Non l'ho perciò scelto liberamente, ma l'ho accettato perché non ne potevo fare a meno". No, se la vocazione al sacerdozio era autentica, includeva anche la vocazione al celibato: se veramente non c'era una vocazione al celibato ed esso fu accettato - o meglio, subito di mala voglia - solo perché era una condizione per essere sacerdote, si dovrebbe dubitare dell'autenticità della stessa vocazione al sacerdozio» (p. 217).

Giuseppe Versaldi