C. SEPE - M. PIACENZA (a cura di), Celibato e magistero. Interventi dei Padri nel Concilio Vaticano II e nel Sinodo dei Vescovi del 1971 e 1990; Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, pp. 277.

 

Il libro nasce da un'idea di Crescenzio Sepe e Mauro Piacenza e intende sfatare il luogo comune che considera il celibato ecclesiastico come qualcosa di esclusivamente legato alla sensibilità e alla volontà personali del Santo Padre e di poche persone a Lui vicine. In realtà, celibato ecclesiastico e continenza perfetta non hanno mai cessato di brillare nella Chiesa, neppure nei momenti più difficili della sua storia. A tale riguardo, nella premessa - a firma del Cardinale Prefetto e del Segretario della Congregazione per il Clero - si evidenzia come la Chiesa non si lasci condizionare da situazioni, teorie ed ipotesi, ma si rifaccia sempre alla persona di Gesù Cristo che riempie di Sé la storia e ne è la mèta» (cf. p. 6).

Al di fuori d'ogni polemica, secondo l'intenzione degli ideatori, che ne hanno anche curato il coordinamento redazionale, il volume evidenzia l'aspetto veritativo del ministero sacerdotale come esso in conformità alla sua ontologia, natura e modo d'essere si attui nella storia della Chiesa (cf. p. 6) e lo fa affermando che il celibato costituisce un elemento di straordinaria convenienza nei confronti del sacramento dell'Ordine sacro (cf. p. 5). La scelta fatta si esprime, così, in un'indagine storica capace di mostrare, con rigore scientifico, come, nella Chiesa latina, il celibato sacerdotale si radichi fin nei tempi apostolici e, senza soluzione di continuità, attraversi tutte le epoche fino alla nostra.

Nell'introduzione il Cardinale Ratzinger presenta le «Prospettive della formazione sacerdotale oggi» (cf. pp. 13-32), ricordando come negli ultimi anni sessanta, che nell'intendimento del Concilio Vaticano II dovevano segnare il rinnovamento di tale formazione, invece ne evidenziarono la crisi dei fondamenti spirituali: «... l'ora del rinnovamento si mutò in crisi» (p. 13). Quindi il Cardinale chiarisce come la formazione dei futuri sacerdoti sia qualcosa di totalmente differente da qualsiasi altra preparazione professionale. Un compito dei futuri presbiteri - si ricorda sarà tener unite, nella comunità di fede, persone tra loro diversissime ma, per riuscire, essi dovranno adoperarsi perché gli uomini comprendano e pratichino la riconciliazione, il perdono, l'accoglienza delle reciproche diversità e l'accettazione del dolore che segna e accompagna ampi spazi dell'esistenza umana. Ma essi potranno riuscire solamente se per primi, nella loro vita, avranno imparato a vivere i tempi della prova e della sofferenza attraverso «l'ascesi» - la tradizione spirituale cristiana si esprimeva così, ora si preferisce parlare di «training» -. Senza la maturazione ascetica, infatti, si cade nell'amarezza, nell'aridità e nella rabbia che avvelena l'anima (cf. pp. 17-18).

Appare lucida e contro corrente la riflessione che l'A. dedica a: «La passione per la verità» (cf. pp. 18-21), si tratta della verità o meglio, dell'educazione alla verità. Qui troviamo una significativa citazione di Georges Bernanos che tratteggia la figura del Vescovo Espelette: «'Appartengo al mio tempo' ripete e lo fa con il volto di un uomo che testimonia per se stesso... ma non ha mai pensato che così rinnega ogni volta il marchio eterno con il quale è stato plasmato» (p. 19). La «verità» sostituita dal «successo» e dall'«azione» è il grande male del nostro tempo. Il presbitero non può, quindi, e non «deve costruirsi» secondo un criterio individuale, elaborato in solitudine ma deve «lasciarsi costruire» da Colui che è l'archetipo e il modello, il Signore Gesù (cf. p. 20). Lo stesso concetto ritorna, poco dopo, nella seconda parte della riflessione del Cardinale - tutta dedicata alla formazione e che inizia col paragrafo: «Casa e tempio: servire il Verbo Incarnato» (cf. pp. 21-30) - dove viene ribadito: «È essenziale che il sacerdote della Nuova Alleanza non proponga una qualsiasi filosofia di vita privata, che egli stesso ha elaborato o letto, ma la Parola che è stata affidata alla nostra fedeltà e che non possiamo adulterare...» (pp. 22-23). Il futuro presbitero deve, piuttosto, fare esperienza del mistero della Chiesa, solamente grazie a questa reale immersione nel mistero del popolo di Dio, vedrà il suo sapere esegetico, storico e filosofico, diventare «vero» sapere teologico (cf. pp. 26-27). Diversamente il credere si riduce ad una scelta individuale, compiuta in base ad un proprio criterio culturale, talvolta semplicemente emotivo. La situazione del sacerdote, poi, viene ben espressa (cf. p. 23) attraverso il passo della seconda lettera ai Corinzi: «Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5, 20). Più avanti si specifica ulteriormente: «Il sacerdozio esige l'abbandono dell'esistenza 'borghese' e l'accettazione strutturale della perdita di sé. Che la Chiesa abbia collegato celibato e sacerdozio non è qualcosa di immotivato: il celibato, infatti, rappresenta il più forte contrasto alla «normale» realizzazione della vita. Chi accetta interiormente il celibato non può considerare il sacerdozio come una professione qualsiasi, ma deve in qualche modo rinunciare alla realizzazione del suo progetto personale, lasciarsi cingere e guidare dall'altro dove in realtà non voleva andare» (p. 29). Tutto questo, però, non ha nulla a che vedere con la misoginia, anzi, al presbitero è richiesto di saper esprimere un'umanità matura ed equilibrata nei confronti dell'altro sesso. A tale proposito viene richiamato come nel Canone Romano, non appena il celebrante ha invocato, per gli stessi ministri, il dono della comunione con i santi «Anche a noi tuoi ministri... concedi di partecipare alla comunità dei tuoi santi apostoli e martiri» si menzionino, subito dopo la figura di Giovanni Battista, un primo gruppo di santi costituito da sette uomini, seguito da un altro di sette donne. Ed ecco la spiegazione: il presbitero «ha bisogno dell'appoggio di madri, di vergini, di lavoratrici, di vedove, che riconoscono il suo compito particolare e lo accompagnano in esso con sollecitudine e con pura e disinteressata bontà femminile» (p. 30).

Subito dopo l'introduzione del Cardinale Ratzinger, segue lo studio del P. Christian Cochini, sj, intitolato: «La legge del celibato sacerdotale nella Chiesa latina. Compendio storico». Tale studio costituisce l'asse portante dell'intero volume. In poco più di una settantina di pagine (cf. pp. 33-103), in modo sintetico, con grande precisione e riscontri documentari, il Cochini fornisce un'ampia panoramica circa l'antichità apostolica e la continuità storica della prassi celibataria, la cui prima testimonianza è contenuta in una legislazione scritta del IV secolo, nella quale si attesta che il matrimonio viene interdetto a tutti coloro che sono stati ammessi ai gradi superiori del clericato (legge del celibato in senso stretto), mentre, per coloro che già erano sposati prima dell'ordinazione, è vietato l'uso del matrimonio stesso (legge del celibato-continenza) (cf. p. 34). Insomma, a partire da questa epoca numerose decretali «Directa» del 385, «Cum in unum» del 386, «Dominus inter» del 390 permettono, di fatto, di far risalire l'istituto del celibato direttamente ai tempi apostolici, poiché la loro esistenza fa legittimamente pensare ad un humus precedente che riconduce alla predicazione della Chiesa primitiva e al Vangelo. Questi tre documenti risultano, così fondamentali in ordine alla comprensione del celibato ecclesiastico. Infatti se per loro tramite apprendiamo che già, fin d'allora, venivano abitualmente ordinati uomini sposati, sappiamo pure che, a partire dal diaconato, gli ordinati erano tenuti a vivere con le loro spose in perfetta castità (cf. p. 35).

Anche il primo Concilio ecumenico della storia della Chiesa, il Miceno I (anno 325), si occupò della questione del celibato ecclesiastico. E tra i venti canoni disciplinari, votati in questa prima assise universale della Chiesa cattolica, il terzo «Donne che convivono con i chierici» recita: «Il grande Concilio ha interdetto assolutamente ai vescovi ai sacerdoti e ai diaconi, e in poche parole a tutti i membri del clero di avere con loro una donna «co-introdotta», a meno che non si tratti di una madre, di una sorella, di una zia, o infine le sole persone che sfuggono a qualsiasi sospetto» (p. 44). È facile notare come non si faccia menzione, tra le donne indicate, delle mogli: si può tranquillamente ritenere, quindi, che il Concilio insinui già la prassi della perfetta continenza.

Appare convincente il giudizio dato dall'autore a proposito dell'episodio citato dallo storico greco Socrate che, nella sua «Storia Ecclesiastica», riferisce l'intervento di un tale Pafnuzio, Vescovo dell'Alta Tebaide, intervento tutto volto a dissuadere i padri conciliari dall'introdurre nella Chiesa la legge che impediva ai vescovi, ai sacerdoti e ai diaconi d'aver relazioni con le loro spose. Pafnuzio considerava tale legge una novità assoluta e un vero danno per l'intera Chiesa. Cochini fa opportunamente notare come tale testimonianza sia tardiva (anno 440. circa), isolata e non suffragata da fonte alcuna, mentre Socrate solitamente, appare prodigo di riferimenti e citazioni. E si sa che, in genere, è sufficiente molto meno per determinare dubbi e sospetti da parte della critica storica (cf. p. 45). Quindi richiamandosi al silenzio storico - a cui il supposto intervento di Pafnuzio sottostà anche durante il periodo delle controversie tra mondo latino e bizantino - e menzionando le recenti conclusioni del Professor Winkelmann - il quale afferma che, nelle migliori liste di sottoscrizione tramandate, il nome di Pafnuzio non risulta tra i vescovi firmatari del Concilio di Nicea l'A. conclude, in modo del tutto condivisibile: «Le critiche sono oggi quasi unanimi nel rifiutare come falso, nella forma in cui noi lo conosciamo, l'episodio riportato da Socrate, e bisogna gioire di questo progresso della scienza storica» (p. 47).

Dopo questa parte fondante intitolata: «All'origine della legge» - il Cochini passa ad esaminare le testimonianze dei Padri del IV secolo e sostiene che la disciplina del celibato-continenza, per i membri del clero superiore, fu osservata sempre e in modo universale durante i primi secoli della Chiesa (cf. pp. 47-56). Infine l'A. segue lo sviluppo storico che risulta così diviso: «Dal V al VII secolo» (cf. pp. 56-63); «Dall'VIII al X secolo: la riforma carolingia» (cf. pp. 63-66); «XI secolo: la riforma gregoriana» (cf. pp. 64-66); «Dal XII al XIV secolo: l'età d'oro del diritto canonico» (cf. pp. 66-69); «Secoli XV e XVI: il Concilio di Trento» (cf. pp. 69-72); quindi vengono esaminati gli anni che conducono «... al Concilio Vaticano II» (cf. pp. 72-85) e «... ai nostri giorni» (cf. pp. 85-103).

Per riassumere l'idea-guida di questo articolo, che costituisce il punto di forza dell'intero volume, proponiamo una domanda con cui Cochini chiude la sua fatica: «... rafforzando il vincolo con tutta la tradizione, e quindi con i primi testimoni della disciplina del celibato nel IV secolo, la Chiesa di oggi non è forse invitata a solidarizzare con quegli stessi testimoni, tenendo anche conto della loro convinzione di essere i custodi di una tradizione risalente agli Apostoli?» (p. 103).

Attraverso lo studio del Cardinale Alfonso M. Stickler (che fu perito conciliare), si introduce la parte che il volume dedica alla fase ante-preparatoria del Concilio Ecumenico Vaticano II (cf. pp. 107-143). Fra tutti i voti presentati dai Padri, la quasi totalità partendo da considerazioni teologiche e dalla natura propria del sacerdozio neotestamentario sostiene con assoluta fermezza il celibato, solo un'esigua minoranza auspica una cauta apertura circa questa disciplina, presentando motivazioni legate alla prassi e ai condizionamenti culturali (cf. p. 109). Appaiono particolarmente interessanti le riflessioni del Vescovo di Lourdes - S.E. Mons. Theas - che nel suo voto esprime alcune idee fondamentali che, oggi ampliate ed esplicitate, troviamo nella Esortazione Apostolica «Pastores dabo vobis» (cf. p. 108). Estremamente significativo è questo giudizio del Cardinale Stickler che nell'ultima Assise Eumenica fu presente, come esperto, in ben tre commissioni: «Non si può non rilevare che dal Concilio Vaticano II all'esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis ci sia stato tutto un cammino di ulteriore arricchimento e di sempre maggiore coscienza del dono del celibato, dell'intima convenienza e della connessione fra sacramento dell'Ordine e disciplina celibataria» (p. 112). Da testimone e protagonista della vicenda conciliare, lo Stickler fornisce, sulla questione del celibato, testimonianze dirette e chiarificatrici che permettono di comprendere meglio gli avvenimenti di allora e i loro sviluppi successivi (cf. pp. 111-114).

In seguito il Cardinale Josef Tomko, presentando il Sinodo del 1971 (cf. pp. 145-231), ricorda come i lavori di questa assise, per quanto riguarda il sacerdozio e il celibato, si sono svolti: «... nella piena tempesta della crisi d'identità sacerdotale, la Chiesa ha avuto il coraggio di affrontarla... senza badare alle campagne organizzate e interessate dai vari gruppi di pressione» (p. 148, sic!). Il dibattito iniziò, spiega l'A., con la relazione dottrinale del Cardinale Hoffner, seguita da quella del Cardinale Enrique y Tarancon che verteva «sulle questioni pratiche». La trattazione del celibato si situa all'interno delle problematiche suscitate da quest'ultima a proposito del ministero e la missione sacerdotale e, nonostante l'enfatizzazione dei media, non rappresenta certamente la questione principale del Sinodo (cf. p. 149). Il Cardinal Tomko - allora segretario generale del Sinodo - dice che nonostante le pesanti pressioni fatte da teologi, gruppi di preti e stampa su molti Vescovi e da questi prontamente denunciate il consenso del Sinodo fu moralmente unanime non solo nell’ affermare il valore del celibato per il Regno ma anche il mantenimento della prassi vigente nella Chiesa latina in ordine alle modalità d'esercizio del ministero sacerdotale (cf. p. 150). Le tematiche che permettono di cogliere meglio il pensiero del Sinodo sul celibato, vengono espresse nei paragrafi seguenti: 1) «Nesso tra il sacerdozio e il celibato», ove, come risulta da molti interventi sia di vescovi occidentali sia orientali, la connessione è individuata dal termine «convenienza» (cf. pp. 151-153); 2) «Motivi del celibato sacerdotale» (cf. pp. 153-154); 3) «Mezzi per vivere il celibato», argomento affrontato con grande attenzione dal circolo di lingua italiana che ha approfondito in modo particolare la questione (cf. pp. 154-158); 4) «L'ordinazione degli uomini sposati», tale proposta fatta da alcuni vescovi per motivi di scarsità di clero, incontrò subito forti opposizioni. Molti, infatti, vi intravidero il primo passo per l'abolizione del celibato, altri confutarono gli argomenti portati a favore, infine Mons. Aloisio Lorscheider (ora Cardinale), esaminate singolarmente nel suo intervento le motivazioni adottate, le rigettò una ad una (cf. pp. 156-159); 5) «Contributo delle giovani Chiese», qui l'argomento dell'«incultu-razione», cavallo di battaglia di vari gruppi di pressione, ricevette una chiara smentita dai Vescovi delle Chiese più giovani d'Africa e d'Asia. Sintomatici gli interventi dei Cardinali africani Thiandoum e Zoungrana; il primo, infatti, affermò che il celibato non può, per l'Africa, essere definito segno «poco comprensibile», mentre il secondo, a nome di circa trenta Conferenze Episcopali, si espresse, in modo inequivocabile, contro il celibato opzionale (cf. pp. 160-162).

Concludiamo lo spazio dedicato al Sinodo del 1971, presentando l'inizio dell'intervento dell'allora Arcivescovo di Cracovia, Cardinale Wojtyla: «La vocazione a seguire più perfettamente il nostro Maestro e Redentore nella vita e nel ministero sacerdotale tocca anche molto da vicino quel nesso tra Ordine e celibato che, già da secoli compreso dalla Chiesa, è rimasto fino ai nostri tempi, e deve rimanere, un principio in vigore...» (p. 166).

Al Cardinale Jan Schotte, infine, è stata affidata la presentazione del-l'VIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo - anno 1990 - di cui Egli fu Segretario. Esito ultimo di questa assise fu l'esplicito pronunciamento del magistero apostolico ordinario con cui il Santo Padre promulgò l'Esortazione Apostolica post-sinodale «Pastores dabo vobis». In modo del tutto ovvio, quindi, la riflessione dell'Eminentissimo A. si riannoda costantemente a tale documento del Santo Padre. Dopo aver chiarito come lo stesso titolo dell'esortazione apostolica ricorda - che i pastori sono innanzi tutto dono di Dio al suo popolo (cf. p. 235), Schotte si sofferma sulla correlazione tra il cuore di Dio e il cuore dei pastori (cf. pp. 236-237). È dalla stessa vita di Dio - vita di perfetta comunione nelle relazioni sussistenti - che sorge l'oblatività di coloro che, nelle cose sante, sono sottomessi e finalizzati al Dio trinitario, per il tramite del Figlio, che inviato nel mondo, tutto ricapitola e compie, sia in quanto pastore e guardiano delle anime (cf. pp. 236-237), sia in quanto «Pastore dei pastori» (cf. pp. 238-238). Viene così sottolineata - citando Efesini 5, 29 - la singolarità di Cristo-Sposo dinanzi alla Chiesa-Sposa (cf. pp. 238-239), e rifacendosi alla figura del Buon Pastore (cf. Gv. 10, 11) si esprime l'unicità di relazione tra il Pastore e le sue pecore (cf. pp. 239-240): proprio in questa esclusività di rapporto si fonda la donazione piena ed indivisa del Pastore verso il suo gregge; il testo evangelico non consente nessuna compromissione in tale relazione (cf. pp. 240-242). A questo punto l'A. cita uno dei principi fondamentali della «Pastores dabo vobis» (n. 29), la configurazione del presbitero a Cristo, dalla quale sgorga il carisma del celibato: «... la volontà della Chiesa trova la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l'ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa. La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l'ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé "in" e "con" Cristo alla Sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa "in" e "con" il Signore» (p. 242). Avviandosi alla conclusione delle sue riflessioni (cf. pp. 244-248), Schotte pone in risalto la figura e la funzione del vescovo in rapporto al carisma del celibato: «Il vescovo è maestro del celibato. Lo chiede a nome del Signore, lo insegna con la dottrina del Vangelo e della Chiesa, lo indica e lo testimonia con il suo personale celibato... trovando anche in questo carisma un prezioso segno di comunione con i suoi confratelli dei riti cattolici orientali» (p. 24). Ed è proprio al vescovo, cui appartiene in modo sorgivo il carisma del discernimento, che compete - insieme alla comunità educatrice del seminario e al rettore - dire l'ultima parola sulla idoneità dei candidati al sacerdozio, sia per quanto riguarda lo spirito di preghiera, la dottrina della fede, la fraternità e il celibato che, quindi, non appare come qualcosa di facoltativo, ma piuttosto come quella realtà che, insieme allo spirito di preghiera, alla retta fede e alla fraternità, concorre a pieno titolo alla formazione sacerdotale (cf. p. 245). Le ultime osservazioni con cui si chiude il volume riguardano: «Celibato e prassi» e affermano come sul piano pratico-operativo il celibato consenta al presbitero una maggiore libertà interiore ed esteriore e un dono più pieno di sé a Dio e ai fratelli (cf. pp. 248-249).

Dopo la recente pubblicazione, dello scorso Giovedì Santo, del «Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri», il presente volume esprime l'impegno che la Congregazione profonde per valorizzare sempre più l'identità sacerdotale e per promuovere la spiritualità del clero. «Celibato e Magistero», infatti, si aggiunge al volume «Solo per Amore» (a cura di C. Sepe - M. Piacenza, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1993) e all'edizione degli atti del Simposio Internazionale: «Pastores dabo vobis; il sacerdote oggi», celebratosi a Roma nel maggio 1993; atti che sono raccolti nel libro «Identità e missione del sacerdote» (a cura di G. Pittau - C. Sepe, Città Nuova, Roma 1994).

In questa linea va letta, da parte della Congregazione per il Clero, la recente costituzione (anno 1994/95) presso la Pontificia Università Latera-nense - dell'«Istituto Sacrum Ministerium», una scuola di formazione permanente per il clero e, soprattutto, per i formatori del clero che, nell'arco di sessantotto lezioni, tenute da specialisti del settore, si prefigge d'elevare il livello culturale, teologico e spirituale di chi nella Chiesa esercita il sacro ministero. Tale Istituto vuole essere un modello ed una indicazione per realizzazioni analoghe a livello nazionale, regionale e diocesano. In un prossimo futuro è già prevista la raccolta e la pubblicazione in volume delle lezioni di questo primo anno d'attività. Venendo così incontro alla crescente domanda in tal senso.

 

Francesco Moraglia