ALFONS M. CARD. STICKLER, Il celibato ecclesiastico. La sua storia e i suoi fondamenti teologici, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, 71 pp. (Tit. orig.: Der Klerikerzölibat. Seine Entwicklungsgeschichte und seine theologìschen Grundlagen; trad. it. di «Ius Ecclesiae» 5 (1993) 3-59).

 

L'opera si divide in quattro parti: nella prima viene chiarito il concetto di celibato ecclesiastico e vengono stabilite le esigenze metodologiche della ricerca; nella seconda e nella terza è studiato lo sviluppo della continenza rispettivamente nella Chiesa latina e nelle Chiese d'Oriente; nella quarta vengono ricercati i fondamenti teologici della disciplina del celibato.

La ridotta mole (71 pp.) del volumetto recensito non deve far pensare a un'opera di carattere divulgativo: si tratta di un contributo scientifico di carattere sintetico. L'apparato critico è volutamente ridotto all'essenziale, ma è sufficiente a documentare le conclusioni via via guadagnate. Nel corpo del testo vengono citate quasi esclusivamente le fonti primarie; ai recenti, ponderosi studi in materia è resa giustizia nell'introduzione, che riporta nella prima nota un'ampia bibliografia.

L'intento dell'autore è ben definito: illustrare le tappe essenziali della storia del celibato nella vita e nel diritto della Chiesa, premessa ineludibile per esplorarne successivamente esplorazione le motivazioni teologiche.

Il principale contributo dell'autore è di carattere metodologico. Con ciò non si vuole affatto sminuire la portata delle conclusioni cui l'autore perviene, ma piuttosto mettere in luce l'intuizione che le ha rese possibili: alla radice della sconcertante diversità delle opinioni degli studiosi moderni sull'origine del celibato ecclesiastico, sta la mancata chiarificazione del suo contenuto. Le fonti rispondono in modo diverso, a seconda della domanda che viene loro posta: di qui la necessità di determinare inequivocamente che cosa si intende per celibato ecclesiastico. L'autore si mostra pari a tale compito, non già escogitando a priori una definizione nella quale costringere i fatti, ma riuscendo a individuare, aldilà di ogni confusione terminologica, i tratti essenziali della realtà testimoniata dalle fonti nel corso dei secoli.

Sulla scorta della Stimma del Decretista Uguccio di Pisa (1190), il contenuto del celibato ecclesiastico è precisato come continentia clericorum, che essi debbono osservare in non contrahendo matrimonio vel in non utendo contracto (p. 7).

Scompare così ogni imbarazzo di fronte alla testimonianza del Nuovo Testamento, che considera normale l'imposizione delle mani a uomini sposati (cf. 1 Tm 3,2; 3,12; Tt 1,6); è noto che lo stesso Pietro era sposato (cf. Me 1,29-30 e par.).

Allo stesso tempo, prendono tutto il loro rilievo le parole del Signore: «Pietro allora disse: «Noi abbiamo lasciato la nostra casa e ti abbiamo seguito». Ed egli disse loro: «In verità vi dico, non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più per nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà» (Le 18,28-30).

Una seconda premessa metodologica, necessaria al successo della ricerca, consiste nel rispetto delle esigenze specifiche delle scienze che entrano in gioco. In primo luogo, della storia, che richiede una critica delle fonti, per accertarne autenticità e integrità e stabilirne così la credibilità e il valore probativo. Non sempre tali esigenze sono state rispettate: un esempio per tutti è l'accettazione, come testimonianza contraria alla pratica della continenza, del racconto spurio dell'eremita Pafnuzio.

In secondo luogo, non può essere tracciata la storia di un ordinamento giuridico senza un'adeguata attenzione alla scienza del diritto. Sembra che molti studiosi non abbiano saputo distinguere fra diritto e legge. «Diritto (ius) è ogni norma giuridica obbligatoria, sia essa stata data solo oralmente e tramandata attraverso una consuetudine o sia stata espressa già per iscritto. Legge (lex) invece è ogni disposizione data per iscritto e promulgata in forma legittima» (p. 11). È noto alla storia del diritto che le leggi scritte vengono precedute nella storia di un popolo da norme consuetudinarie tramandate oralmente, e tuttavia vincolanti. Di ciò non sembrano aver tenuto conto gli studiosi che, osservando che la prima legislazione canonica a noi nota in materia di continenza dei chierici risale al IV d.C, ne traggono la conclusione che fino ad allora l'osservanza della continenze dei chierici fosse lasciata alla libera volontà del singolo.

Una volta formulata la domanda da rivolgere alle fonti, appare chiaro che, fin dai primi documenti legislativi, la continenza dei chierici è considerata un obbligo tradizionale ben noto. Lo studio sulla disciplina delle Chiese d'Oriente consente di mettere in luce il momento esatto in cui viene introdotta una mitigazione della disciplina originaria.

Nella quarta parte, di carattere teologico, viene indagato il legame teologico fra ordinazione sacra e continenza. È noto che nell'Antico Testamento era richiesta ai sacerdoti la astinenza da rapporti con le loro mogli, ma limitatamente al tempo del loro servizio all'altare. A differenza dei sacerdoti dell'Antico Testamento, il cui servizio era limitato nel tempo, nel Nuovo Testamento il sacerdote è configurato a Cristo in modo permanente, a partire dall'imposizione delle mani. Su tale configurazione ontologica a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa si fonda la teologia del celibato.

In sintesi, si tratta di un'opera di grande competenza e insieme di mirabile concisione. Tali caratteristiche ne rendono raccomandabile la lettura a chi desidera accostarsi alla tematica trattata, per avere una prima informazione attendibile e completa.

Marco Fabbri