R. CHOLIJ, New Investigations into Law of Celìbacy, in «Folia Theologica» 2(1991), pp. 119-142.

 

Nella prima parte dell'articolo, Cholij si propone di confutare il luogo comune secondo il quale, il Concilio Lateranense II (1139), introducendo la legge del celibato ecclesiastico come universalmente obbligatoria nel Rito Romano, avrebbe con ciò rotto l'antica tradizione, di origine apostolica ed egualmente condivisa dalle Chiese d'Oriente e di Occidente, relativa alla legittimità del clero uxorato non obbligato alla continenza.

Secondo l'Autore, l'analisi attenta dei canoni del Lateranense II, come anche lo studio dell'insieme degli altri testi disciplinari sull'argomento e precedenti questo Concilio, dimostrerebbe invece che con il Lateranense II non si introdusse affatto una novità estranea alla tradizione, ma piuttosto si pretese di confermare - e, dove fosse necessario, di restaurare - una disciplina antichissima, documentabile almeno a partire dal IV secolo e probabilmente di radice apostolica: la legge della continenza, riguardante indistintamente tutti i chierici degli ordini maggiori, fossero essi uxorati, vedovi o celibi.

In forza di tale legge, ben anteriore pertanto al 1139, da una parte, la ricezione dell'ordine era considerato impedimento per accedere al matrimonio (o, nel caso dei vedovi, alle seconde nozze), dall'altra, i chierici uxorati era tenuti, a partire dal momento della ricezione del sacramento, alla assoluta continenza sessuale e pertanto alla definitiva astensione dai rapporti coniugali.

Tali esigenze fecero sì che in Occidente, nel corso dei secoli, la legge della continenza sessuale obbligatoria per i chierici maggiori, si trasformasse, come suo esito naturale, nella legge del celibato ecclesiastico anch'esso obbligatorio e che pertanto il matrimonio divenisse un impedimento per ricevere l'ordine.

In una seconda parte, Cholij estende lo sguardo sul problema più ampio dei motivi e delle origini della continenza ecclesiastica, che l'analisi storica ha indicato essere a fondamento della successiva legge del celibato.

Lo studio delle fonti escluderebbe che il motivo principale - e ancor meno l'unico - della continenza ecclesiatica sia stato quello cultuale-sacrificale, cioè la esigenza della purità rituale includente l'astinenza sessuale prima di servire all'altare. Sebbene questa motivazione appaia nelle fonti, e talora emerga addirittura come preminente nelle argomentazioni a difesa della continenza stessa, tuttavia l'insieme della documentazione storica, sia disciplinare sia patristica, evidenzia, secondo Cholij, che la legge della continenza ecclesiastica attinga piuttosto le sue radici nel valore attribuito alla consacrazione totale a Dio, in anima e corpo, del ministro ordinato, realtà che, sebbene poi indubbiamente sottolineata nell'ambito del monachesimo, tuttavia è in primo luogo di origine evangelica e apostolica.

In una terza ed ultima parte, Cholij esamina, alla luce dei precedenti guadagni, la storia della continenza ecclesiastica limitatamente alle Chiese Orientali e, quindi, il fondamento storico della posizione da esse poi assunta a riguardo.

In particolare, l'attenzione è posta sul decisivo canone 13 del Concilio Trullano (691/2), non riconosciuto da Roma, con il quali si affermava l'origine apostolica del clero uxorato e non obbligato alla legge della perpetua continenza, secondo la comune testimonianza delle tradizioni d'Oriente e d'Occidente, e si condannava chi volesse deporre i ministri sposati o imporre loro la continenza assoluta e la separazione dalle mogli.

A questo proposito, Cholij dimostra innanzitutto che il Concilio Trullano, per quanto riguarda il riferimento ad una presunta comune tradizione latina a riguardo, si appoggia in realtà sul testo di una decisione conciliare africana del quarto secolo, interpretata però in un senso chiaramente travisato, dal momento che tale decisione, al contrario, non fa altro che confermare la legge della continenza obbligatoria anche per i chierici sposati.

Per quel che poi concerne la presunta tradizione precedente delle stesse Chiese Orientali, nessuna fonte autentica, precedente il Concilio Trullano, offre alcuna prova dell'esistenza di una prassi legittima, e di una legislazione ad essa relativa, che consentisse quanto il Trullano avrebbe poi stabilito, ma anzi, come si è visto, l'insieme della documentazione più antica confermerebbe l'esistenza della legge della continenza assoluta includente anche il clero uxorato.

Pertanto le decisioni del Trullano, lungi dal ribadire e difendere l'antica disciplina, in realtà appaiono come quelle davvero innovative nei confronti della precedente tradizione comune; ciò probabilmente fu determinato anche dalla volontà di normalizzare in tal modo una situazione di diffusa violazione della legge della continenza - comprensibile per l'oggettiva difficoltà, per il clero uxorato, di vivere una continenza assoluta e definitiva continuando a coabitare col coniuge -.

L'articolo è ben documentato e può fornire un serio contributo alla comprensione delle origini e delle motivazioni del celibato ecclesiastico, suggerendo inoltre un certo capovolgimento di prospettive: mentre il celibato ecclesiastico obbligatorio appare come il normale esito della più antica legge della continenza ecclesiastica, a sua volta di radice evangelica e apostolica, è invece proprio la legittimazione del clero uxorato non obbligato alla continenza ad aver introdotto una rottura nella comune tradizione d'Oriente e d'Occidente a riguardo.

Vito Reale