C. SEPE - M. PIACENZA (a cura di), Solo per amore. Riflessioni sul celibato sacerdotale: Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1993, pp. 222.

 

I due curatori, Crescenzio Sepe e Mauro Piacenza, nell'editare i diciotto articoli sul celibato sacerdotale che compongono questo libro, si sono lasciati guidare da un convincimento di fondo: il «valore assoluto» che ha l'appartenenza totale della persona a Dio e la «grandissima convenienza» che intercorre tra lo stato celibatario e il sacerdozio. Questo nesso di «convenienza» è affermato in modo esplicito nella introduzione affidata al Cardinale José T. Sanchez, Prefetto della Congregazione per il Clero: «Il celibato non è un'esigenza del sacerdozio per sua stessa natura; esiste tuttavia uno strettissimo e armonico legame che unisce i due termini» (p. 9). Ciò significa che con la scelta celibataria si esprimono, nel modo più radicale e vero, a livello esistenziale - sfera antropologica -, la realtà specifica e le ricchezze peculiari del sacramento dell'ordine. Insomma, quanto più si coglie e penetra la struttura del ministero ordinato, tanto più si percepisce come lo stato celibatario «in se stesso», sia il più idoneo ad esprimere la realtà teologica del sacerdozio neotestamentario ossia del sacerdozio di Cristo partecipato a chi, ministerialmente, Io rappresenta, in quanto: «alter Christus».

Merito indiscutibile di coloro che hanno curato l'edizione di questo libro e aver saputo dare uno sguardo d'insieme capace di cogliere i differenti e molteplici rapporti esistenti tra celibato e sacerdozio. Il tema del celibato viene considerato non solo a livello biblico (I. de la Potterie), storico (R. Cholij), teologico (M. Thurian), spirituale (D. Tang, Yee-Ming, D. Barsot-ti, S. Saraiva Martins, Madre Teresa di Calcutta) ed ecumenico (J. Voro-novski, D. Papandreou, H.D.M. Hope, B.V.G. Thangalathil) ma anche in una sorta di dialogo/confronto con alcune credenze non cristiane - buddismo (S. Morinaga), ebraismo: tradizione rabbinica (J. Neusner) - e non mancano neppure ampi spazi dedicati a considerazioni di tipo culturale (P. Pengo, M.A. Raschini), biologico (J. Lejeune) e psicologico (W. Poltawska). In appendice al testo, poi, è stata posta la lettera che il Santo Padre Giovanni Paolo II ha inviato ai sacerdoti in occasione del giovedì santo 1993, con unito il testo delle riflessioni e preghiere da Lui pronunciate al termine dell'incontro con i Presidenti delle conferenze Episcopali d'Europa, svoltosi in Vaticano il 1 dicembre 1992.

Quindi, si tratta di una vera e propria ricognizione a 360 gradi, ribadita, ulteriormente, dalla scelta degli estensori dei singoli contributi, che sono uomini e donne cooptati per la loro competenza specifica (molti sono docenti universitari), e che provengono da differenti aree geografiche e linguistiche ed appartengono a differenti credo religiosi.

Un'idea che attraversa, come in filigrana, ogni pagina del libro, viene molto ben espressa nel contributo di Crescenzio Sepe che con Mauro Piacenza è curatore dell'opera; egli, dopo aver affermato come a proposito del celibato occorra confrontarsi sempre con l'elemento grazia (cf. p. 60), precisa ulteriormente: «Sappiamo che alcuni di quelli che si interrogano sulla identità e spiritualità del sacerdozio nel mondo contemporaneo - e il celibato è un importantissimo elemento di questa identità - pongono a fondamento delle loro argomentazioni valutazioni di tipo sociologico, si rifanno a quella cosiddetta «svolta antropologica», per cui anche la figura del sacerdozio va «demitizzata» e «sdogmatizzata» e il sacerdote, per essere attuale e uomo del suo tempo, va temporalizzato e desacralizzato. In questo disegno «umanizzante» ogni riferimento alla dimensione soprannaturale è visto come «alienante», per cui non ha senso parlare di carità pastorale, di intimità divina, di tensione verso la santità o di passione verso le anime, per cui Paolo poteva esclamare: «Per me vivere è Cristo (FU 1, 21 )», p. 61). Si rimane colpiti, e in modo favorevole, nel vedere come lo stesso pensiero, seppur all'interno di un contesto culturale e religioso totalmente differente, si ritrovi all'inizio del contributo di Soko Morinaga, monaco buddista e rettore dell'Università Hanazono. Egli, infatti, citando un editto promulgato dal nuovo governo Meiji, nell'anno 1872, e che concedeva ai monaci, tra le altre cose, anche quella di poter prendere moglie, commenta lapidario: «Da quel momento in poi la secolarizzazione dei monaci procedette speditamente» (p. 148). E sulla stessa linea si muove il pensiero di Madre Teresa di Calcutta che chiude la serie dei contributi con un suo articolo intitolato: «Celibato sacerdotale segno della carità di Cristo». Colei che meglio di ogni altro ha saputo andare incontro alle infinite miserie e alla povertà estrema dei più poveri, così si esprime: «Per me il sacerdozio è la sacralità, la santità per cui Cristo è venuto sulla terra e si è fatto uomo (p. 205) - poco prima aveva detto - Il celibato non è solo la nostra capacità di dare, ma ancor più la nostra capacita di accogliere il dono di Dio... Il celibato sacerdotale crea un vuoto che ci permette di ricevere l'altro dono meraviglioso che soltanto Gesù può offrire e regalare, il dono dell'amore divino... Il celibato sacerdotale è il terribile vuoto che sperimentate... Dio non può riempire ciò che e pieno. Può colmare solo ciò che è vuoto» (p. 202).

Procedendo nell'analisi del testo e, poiché da parte di taluni viene affermato, con evidente enfasi riduttiva, che celibato e sacerdozio sono uniti tra loro unicamente nella Chiesa latina, attraverso una legge ecclesiastica tardiva databile solo a partire dal IV secolo, ci sembra particolarmente utile segnalare le interessanti osservazioni che Ignace de la Porterie fa nel suo studio: «Il fondamento biblico del celibato sacerdotale» (con cui si apre il libro, pp. 11-26). Il noto biblista richiamando le opinioni di importanti specialisti - come Cochini, Stickler, Crouzel - svolge uno studio attento e perspicuo in ordine alla fondazione biblica del sacerdozio celibatario, evidenziando tra l'altro, il rapporto celibato/continenza, il senso vero dell'espressione paolina «unius uxoris vir» e la grande importanza che i Padri attribuivano al matrimonio monogamico.

In conclusione riteniamo che questo libro - Solo per amore. Riflessioni sul celibato sacerdotale - si presenti con i caratteri del coraggio e della vera libertà: non dovendo obbedire in alcun modo a tesi precostituite, in esso, il tema del celibato sacerdotale - oggi così tanto dibattuto e non sempre apprezzato - risulta affrontato con il coraggio della verità, quindi la visione che ne deriva non e mai scontata, né, tanto meno, è il frutto di considerazioni ideologiche. La lettura del testo risulterà, così, certamente utile e proficua per i sacerdoti e i seminaristi, e non solo per loro.

 

Francesco Moraglia