I. DE LA POTTERIE, La struttura di alleanza del sacerdozio ministeriale, in «Communio» (ital) 112(1990) 102-114.

 

L'articolo è un riassunto di un più ampio studio dello stesso autore intitolato Mari d'une seule femme. Le sens théogique d'une formule paulinniene, in Paul de Tarse apôtre de notre temps (cur. De Lorenzi, Roma 1979, 619-638). In esso, l'autore tenta di approfondire una formula paolina che gli sembra di grande interesse per meglio capire l'identità teologica del sacerdozio ministeriale nella Chiesa. L'articolo non si presenta, quindi, come uno studio in sé, chiuso e definitivo, ma piuttosto come l'avvio di una riflessione che potrebbe portare allo sviluppo di un aspetto centrale della spiritualità sacerdotale: il sacerdote alter Christus, che svolge il suo ministero in persona Christi.

La formula paolina in questione è «unius uxoris vir» (1 Tm 3,2.12); frase che l'antica tradizione, patristica e canonica, assunse come argomento biblico in favore del celibato o, nel suo caso, della continenza dei ministri ordinati nella Chiesa. De la Potterie segnala che sotto questi altri punti di vista - canonico e patristico - esiste il valido studio di Ch. Cochini, Origines apostoliques du célibat sacerdotal (Le Sycomore, Paris-Namur 1981); non esiste però un attento studio dal punto di vista esegetico. È proprio questo il suo tentativo.

In definitiva, de la Potterie sostiene che la frase paolina bisogna intenderla in un contesto di alleanza; meglio ancora, essa stessa è una formula di alleanza; quindi, non vuole semplicemente accennare al fatto che ai ministri consacrati (vescovi, sacerdoti, diaconi) viene richiesta la fedeltà coniugale (interpretazione morale del testo, comune fra i protestanti) e neppure che essi non possono contrarre seconde nozze (interpretazione disciplinare, la più corrente fra i cattolici), ma ha un contenuto teologico più forte: la formula paolina insegna che, proprio perché il ministro consacrato si è sposato spiritualmente con la Chiesa, a somiglianza di Cristo, non può fare uso del matrimonio nel caso che esso esista; quindi, si esige da loro che siano continenti.

Per arrivare a ciò - e non essendo possibili con i dati storici conosciuti individuare il significato originale della formula, de la Potterie studia la frase paolina in analogia con altri testi dell'Apostolo. Prima, con 2 Cor 11,2, che usa anche un linguaggio del campo semantico di alleanza, presentando la comunità come la sposa - «vergine pura» - unita «uni viro», Cristo; poi, con Ef 5,22-23, testo in cui Paolo afferma che l'uomo e la donna, quando si uniscono in matrimonio in una sola carne, sono l'immagine di Cristo e della Chiesa. De la Potterie fa notare inoltre che la tradizione inteipretativa di 1 Tm 3,2.12 segue questa linea di pensiero. Concretamente, nel commento a Ef 5,22-23, non pochi scrittori ecclesiastici (san Tommaso, Dionigi il Certosini, ecc.) deducono che il ministro consacrato, dopo la morte della moglie, non può contrarre nuove nozze, perché Cristo si è sposato con «una Ecclesia».

La tradizione canonica, da parte sua, ha compreso 1 Tm 3,2.12 in questo altro modo: in vista della continenza futura, cioè, come l'obbligo della continenza per il clero sposato: soltanto se lui è stato «unius uxoris vir» potrà rinunciare all'uso del matrimonio una volta consacrato. De la Potterie spiega che questo passo - dall'uso del matrimonio alla rinuncia a quell'uso - può essere spiegato se si tiene presente la motivazione teologica delle leggi esistenti sul celibato dei ministri consacrati. E questa sembra essere che il ministro consacrato, dal momento della sua ordinazione, vive ormai in un altro rapporto, anche di tipo sponsale, quello che san Leone Magno chiamava «lo spiritale coniugium», quello cioè che unisce Cristo con la Chiesa. Visto così, conclude de la Potterie, «V »unius uxoris vir», certo, non formula direttamente la legge disciplinare della continenza, ma indica un suo fondamento, cioè la struttura di Alleanza dei ministri ordinati» (p. 110). In definitiva, il ministro della Chiesa, anche quando è sposato, partecipa ormai a quella relazione sponsale di Cristo con la Chiesa. Quindi, nella logica della sua ordinazione non può avere rapporti coniugali con un altra sposa, anche se fosse la propria moglie. De la Potterie aggiunge che per questa stessa ragione, il sacerdozio ministeriale è un dono offerto soltanto agli uomini.

 

Miguel A. Tábet