A. DEL PORTILLO, Celibato, in Rendere amabile la verità: raccolta di scritti di mons. Alvaro del Portillo, pastorali, teologici, canonistici, vari, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1995, pp. 311-321.

 

Come indicato in calce, lo scritto fu pubblicato nella Gran Enciclopedia Rialp nel 1973 (Edit. Rialp, Madrid, voi. V, 450-454). Si tratta dunque di una esposizione sintetica, in cui l'Autore fa una esposizione della natura del celibato e le sue esigenze di vita, con particolare riferimento al sacerdozio.

Fin dall'inizio, l'Autore insiste nell'importanza di non considerare il celibato come una semplice rinuncia al matrimonio, quanto la conseguenza di una singolare chiamata di Dio al suo servizio: uno stato di vita in cui si cerca, secondo lo speciale carisma ricevuto da Dio, un migliore compimento della missione ricevuta (p. 311). Di conseguenza, il celibato non sarebbe una condizione esclusiva di alcune categorie di fedeli nella Chiesa -come ricordato dal concilio Vaticano II nel decret. Presbyterorum Ordinis, n.16- ne farebbe passare, a chi lo sceglie, ad una distinta categoria o stato all'interno della Chiesa. Il celibato è dunque una condizione possibile a tutti i fedeli, quando tale scelta è una risposta alla chiamata da Dio (p. 313).

Fatta questa precisazione, l'Autore affronta l'argomento del celibato sacerdotale seguendo la dottrina esposta nel decreto Presbyterorum Ordinis del concilio Vaticano II, nella cui elaborazione egli stesso intervenne attivamente. Infatti, mons. del Portillo prende spunto dalle domande sul celibato sacerdotale - valore, significato, convenienza, ecc. - su cui si soffermarono le riflessioni dei Padri conciliari, per indicare le due grandi linee direttrici - consacrazione e missione - che guidarono l'approfondimento da parte del Concilio della teologia del sacerdozio, e di conseguenza anche del celibato (pp. 313-315).

Il sacerdote, in quanto uomo consacrato, è «un uomo di Dio» (1 Tim 6,11), scelto fra gli uomini (Eb 5,1). Vi è nella vocazione sacerdotale, un'assunzione tanto intima della persona da parte di Dio, che, salva restando l'integrità della natura umana, questa si vincola e si consacra completamente al servizio e all'amore totali di Cristo Sacerdote (p. 315). Alla luce di questa realtà, ben si comprende - dice l'Autore - la somma convenienza per il sacerdote di abbracciare nella sua vita quella perfetta continenza di cui è prototipo ed esempio la verginità di Cristo Sacerdote, e che conferma e rafforza l'unione mistica del ministro di Cristo con Colui al quale sacramentalmente è stato assimilato (pp. 315-316).

Quanto alla sua missione di servitore degli uomini, l'Autore mette in rilievo come l'opera di Cristo, Buon Pastore che il Padre ha santificato e inviato, si realizza nel tempo mediante il ministero dei suoi sacerdoti, consacrati e inviati mediante lo Spirito affinché siano nella Chiesa dispensatori dei misteri di Dio (1 Cor 4,1). Cristo chiama attraverso i suoi ministri tutti i figli di Dio, li raccoglie nella sua Chiesa, comunica loro la vita divina e, in questo modo, li conduce nello Spirito al Padre. Il sacerdozio è dunque intimamente unito al mistero, alla vita, alla crescita e al destino della Chiesa, sposa virginale di Cristo. La persona e tutta la vita del sacerdote sono così possesso di quella Chiesa che lo ama con amore di sposa e ha verso di lui - che fa le veci di Cristo, suo sposo - rapporti e diritti di cui nessun altro uomo può essere destinatario. Si comprende così - afferma l'Autore - che stimolo, rappresentazione e teste eccellente sia la verginità sacerdotale, davanti ai fedeli e al mondo, della carità del Buon Pastore che si dedica senza riserve al servizio del gregge che gli è stato affidato (pp. 316-317).

Inoltre, l'Autore ricorda come il celibato, che trasforma il sacerdote in segno particolarmente rappresentativo della verginità e dell'amore fecondo della Sposa di Cristo, lo rende anche, e con inusitata ricchezza, testimone profetico, nel tempo, del mondo futuro. La perfetta e perpetua continenza per il Regno dei Cieli evidenzia agli uomini quella chiamata escatologica che è inerente alla missione della Chiesa e, in particolare, al ministero di evangelizzazione del sacerdote, testimone inquietante dell'eternità (p. 317).

A continuazione, l'Autore presenta la relazione tra il celibato e la spiritualità sacerdotale. Le ragioni individuate della congruenza del celibato con il sacerdozio - non di assoluta necessità, eppure di somma convenienza - si integrano in una spiritualità prettamente sacerdotale, che tende all'intima configurazione morale, alla trasformazione mistica del ministro di Cristo nello stesso Sommo Sacerdote (p. 318). Non è dunque che il celibato sacerdotale faciliti la perfezione personale rendendo più santo il sacerdote (p. 318), e neppure che possa essere considerato come un elemento estrinseco -una sovrastruttura, scrive - sovrapposto al sacerdozio (p.319). Il celibato è da considerare e da vivere come un elemento importante della partecipazione al sacerdozio di cui Cristo è Capo, al servizio della nuova umanità che in Lui e per Lui il sacerdote genera e conduce a pienezza (p. 319).

In fine, l'Autore considera il celibato come dono e come legge. Il legame tra il sacerdozio e il celibato non è, dopo le considerazione esposte, un vincolo artificiale ed effimero, un accidente storico passeggero, quanto il frutto dello Spirito nella Chiesa (pp. 319-320). Tale legame, intuito dal sensus fìdei del Popolo di Dio, ancor prima che i teologi ne deducessero le ragioni cristologiche, ecclesiologiche ed escatologiche, fu stabilito nella Chiesa latina come obbligo giuridico per tutti coloro che venivano promossi al sacerdozio. Riaffermata la legge del celibato da parte del concilio Vaticano II, fu anche ricordato che il celibato è un dono divino, che Dio concede a chi vuole {Presbyterorum Ordinis, n. 16). Un dono gratuitamente concesso e liberamente ricevuto, che appartiene al patrimonio comune del Popolo di Dio e non ammette, quanto alla accettazione e quanto all'esercizio, violenze umane di nessun genere. L'autorità ecclesiastica non può né dare né imporre ciò di cui non ha capacità di disporre. Essa si limita a stabilire, com'è in suo potere fare, che la ricezione di questo dono costituisce una condizione previa per accedere al sacerdozio. È in questo senso che vige la legge del celibato, conclude l'Autore (pp. 320-321).

È perfettamente legittimo e comprensibile, spiega l'Autore, che l'autorità ecclesiastica, tesa a perseguire il bene comune della Chiesa e consapevole delle ragioni teologiche e pastorali che additano l'opportunità del celibato sacerdotale, possa elevarlo, per legge, a condizione per il presbiterato, in quanto il sacerdozio ministeriale comprende l'esercizio di un pubblico ufficio e di una potestà pubblica entro il Popolo di Dio e al suo servizio (p. 321). La gerarchia ecclesiastica è la prima interessata, per il rispetto dovuto alla dignità umana e cristiana dei fedeli e per lo stesso bene pastorale del Popolo di Dio, a garantire che l'assunzione di tale responsabilità da parte del futuro sacerdote sia davvero cosciente e operata secondo la libertà dei figli di Dio (p. 321).

Da rilevare anche, soprattutto davanti agli interrogativi odierni sulla validità della scelta celibataria per i sacerdoti, la constatazione che l'Autore fa sull'atto di fede dei Padri conciliari con la conferma della legge del celibato, «avendo fiducia nello Spirito che il dono del celibato, così confacente al sacerdozio del Nuovo Testamento, viene concesso in grande misura dal Padre» (Presbyterorum Ordinis, n. 16).

Juan R. Areitio