J. FERREIRA PENA, Fondamenti dottrinali del celibato ecclesiastico dal CIC 1917 al CIC 1983, in «Periodica» 83 (1994) 225-246.

Si tratta di un articolo basato sulla tesi dottorale dell'autore intitolata «O celibato, "peculiare Dei donum" aos clérigos (e. 277, §1)», Roma 1993, 392 pp. Tesi di dottorato difesa all'Università Gregoriana, nel maggio 1993.

Jair Ferreira Pena difende con calore il celibato dei chierici, e cerca le sue motivazioni perché «soltanto un celibato accettato e vissuto nella gioia ha esito, non un celibato sentito come imposto dalla legge» (p. 246). Perciò, come punto centrale del articolo pone la domanda: qual è la fonte del celibato? da dove viene? E indica come fonte primordiale il carisma, il dono gratuito di Dio alla persona, la quale, poi, l'accetta e decide di consacrarsi totalmente a Dio nella vita di castità perfetta (cf. p. 246). A mio parere, questa è una risposta buona che, tuttavia, deve essere precisata, come vedremo.

L'Autore fa uno studio comparato dei testi del CIC 1917, di quelli del Concilio Vaticano II e di quelli del CIC 1983, senza dimenticare il magistero preconciliare, postconciliare e contemporaneo, a questo riguardo. Pena ritiene che, anche se nel Concilio e nel CIC 1983 sono spariti i riferimenti al sacrilegio nel caso di violazione del celibato, tuttavia «non c'è differenza tra la castità celibataria dei chierici e la castità celibataria dei consacrati, perché si tratta dello stesso consiglio, abbracciato nel medesimo amore» (p. 241, nota 35). «È sparito nel nuovo testo l'accenno al sacrilegio, perché la Commissione di riforma, pur ammettendolo, l'ha considerato una questione che riguarda la teologia morale. Quindi il silenzio del Codice su questo punto non può essere interpretato come negazione. Poiché con l'assunzione del celibato, si ha un atto di consacrazione della persona a Dio (PO 16b), anche se non è un voto né esplicito né implicito, possiamo dire che la violazioni gravi che toccano la consacrazione comportano ugualmente un sacrilegio» (p. 241).

Ciononostante, a mio avviso, il celibato è una conseguenza della dedizione totale, non la causa della dedizione, e perciò, non ritengo del tutto esatto affermare che «con l'assunzione del celibato si ha un atto di consacrazione della persona a Dio». La ragione dello stato canonico dei chierici non si basa su un preteso voto di castità con cui «si consacrino» a Dio, bensì sul sacramento dell'ordine che «li consacra». Perciò, anche se è vero che è il medesimo amore di Dio a farla vivere, ritengo alquanto imprecisa l'affermazione che non vi sia differenza tra la castità celibataria dei chierici secolari e quella dei consacrati, almeno nell'ambito delle conseguenze giuridico-sociali.

Pablo Gefaell