M. SZENTMÁRTONI S.J.,
Celibato per il Regno dei Cieli e maturità della persona, in «Periodica» 83
(1994) 247-271.
L'Autore intende analizzare, dal punto di vista della
psicologia, le affermazione dell'Istruzione della Congregazione dell'Educazione
Cattolica sulla formazione al celibato sacerdotale, Il presente sussidio, del
11 aprile 1974, che mettono progressivamente in diretta connessione il celibato
e la maturità personale (p. 247). La ipotesi stabilita è che «non si può
difendere un legame causale tra celibato e maturità, poiché tutte e due le
realtà possono dipendere da un «terzo fattore», cioè dal motivo sottostante
alla scelta. D'altra parte, il celibato può fornire alcuni contenuti e sfide
che aiutano la persona a crescere e realizzare la sua maturità entro il
contesto del proprio stato esistenziale» (p. 247).
Il lavoro si articola in quattro punti: 1) alcune
precisazione circa la maturità personale; 2) il celibato come scelta; 3) il
celibato come sviluppo; 4) il celibato come relazione.
Prima di inoltrarsi nel primo punto, l'Autore propone alcuni
testi sul collegamento tra celibato e maturità, pressi sia dall'Istruzione Il
presente sussidio (ll-IV-74), dalle Direttive sulla formazione negli istituti
religiosi, Potissimum institutioni (2-II-1990), dalla Esortazione Pastores dabo
vobis (25-III-1992), e dal Codice di Diritto Canonico.
Quanto al primo punto, la maturità personale, oltre alla
difficoltà di precisare il contenuto del concetto, l'Autore afferma che «non
c'è una maturità completa; la maturità è una apertura verso il «di più» (p.
252), cioè la maturità è conseguenza dello sforzo di vivere per grandi ideali e
valori oggettivi (p. 252). Due costanti vengono individuate: 1) non c'è un
unico modello di maturità e non c'è nessun criterio obiettivo per misurare la
maturità; 2) la maturità non si può costruire in modo diretto, bensì soltanto
in modo indiretto, attraverso uno sforzo assiduo di realizzare un progetto di
vita (pp. 253-254). Di conseguenza, si potrebbe affermare che i sacerdoti si
realizzano quando realizzano la loro missione sacerdotale.
Nel
secondo punto, il celibato come scelta, l'Autore costata che «una scelta
significativa tende a diventare il (motivo dominante), il principio
organizzativo della personalità» (p. 255), con la conseguente riorganizzazione
della gerarchia dei valori, degli interessi, ecc. La scelta vocazionale al
sacerdozio, che comprende anche quella del celibato, è senza dubbio un scelta
significativa, e di conseguenza:
a)
anche se ci vuole una certa maturità per farla, non si può pretendere di
giungere prima a una maturità perfetta per poi scegliere il celibato, in quanto
la scelta celibataria non è frutto della maturità, bensì una parte costitutiva
della propria identità. La scelta del celibato è una avventura - dice l'Autore
- che richiede forse più coraggio che discernimento. Di conseguenza, la
relazione fra celibato e maturità non è prima la maturità e poi il celibato,
bensì la scelta del celibato in vista della maturità (pp. 255-258).
b) il motivo della
scelta del celibato non sta nel celibato stesso, bensì nel sacerdozio, il
sacerdozio con tutte le sue richieste, quale viene proposto dalla Chiesa.
Altrimenti, afferma l'Autore, il celibato rimane senza specifico contenuto,
cioè soltanto come rinuncia al matrimonio. Invece, a livello teologico, il
collegamento tra il sacerdozio e il celibato si colloca nel mistero della
chiamata divina: si sceglie dunque il sacerdozio nel celibato (pp. 258-260).
A livello psicologico, le conseguenze sono considerevoli: in
tal modo il celibato si ricollega con l'identità personale che si poggia sulla
percezione della propria missione. Nelle varie fasi per cui sembra passare ogni
vocazione - atteggiamento di disponibilità, atteggiamento di ricerca e del
discernimento, atteggiamento di oblazione -, la scelta del celibato si
trasforma in un cammino verso la propria identità (pp. 260-261 ).
Nel terzo punto, il celibato come cammino, l'Autore afferma
che il celibato non è uno stato statico, bensì un processo evolutivo, un modo
di essere nel mondo che viene sempre più interiorizzato nel passare del tempo
(p. 261). Perciò il celibato non si deve ridurre solo alla sessualità (p. 262),
bensì essere considerato come sviluppo della capacità di amare. Ognuno, scrive
l'Autore, deve rispondere alla propria vocazione all'amore e deve integrare il
proprio ruolo vocazionale nel processo dell'apprendimento continuo dell'amore,
il quale si effettua attraverso la maturazione dei diversi piani (fisico,
affettivo, intellettuale, sessuale, spirituale) della persona. Come compito, il
celibato implica un commino verso l'integrità (pp. 262-263).
In questo quadro di riferimento, l'Autore riflette sulla
solitudine del sacerdote, in quanto il celibato la porta in primo piano. La
solitudine del celibe per il Regno dei Cieli non è tuttavia un vuoto, ma è
relazione di comunione con Dio e gli altri (p. 264).
Nel quarto e ultimo punto, il celibato come relazione,
l'Autore afferma che la maturità non è chiusura, bensì apertura che si
concretizza nelle relazioni. In questo contesto, il celibato non si riduce solo
alla relazione con Dio, bensì apre un ampio spazio per le relazioni umane
(p.265). Vivere il celibato non significa vivere soli, ma richiede altri tipi
di relazioni, invece del rapporto coniugale. L'Autore critica duramente alcune
idee riduttive sul celibato come vita disumana, senza uomo o senza donna, come
povertà emotiva del celibe (pp. 266-267). Ma l'emotività non si nutre soltanto
dei rapporti sessuali, bensì delle relazioni interpersonali, per cui il
sacerdote ha le stesse possibilità di avere e sviluppare una emotività
veramente umana (pp. 267-268). Anzi, seguendo le affermazioni del prof.
Lejeune, studia le diverse componenti dell'equilibrio personale, mostrando come
la persona celibe non è priva di un quadro di riferimento adeguato per il
proprio equilibrio (pp. 268-269).
In fine, nelle
conclusioni del lavoro, l'Autore fa un riassunto delle sue riflessioni,
formulando anche un principio generale: il celibato non riduce lo spazio di
maturità, ma Io arricchisce mettendo la persona in condizione di affrontare
alcune sfide specifiche della propria situazione esistenziale. E così, il
celibato è una scelta significativa proiettata verso il futuro, perciò non è
soltanto frutto della maturità, ma nello stesso tempo un fattore che spinge
verso una maturità sempre maggiore. Inoltre, il celibato sacerdotale, secondo
la sua natura, spinge la persona verso un amore sempre più autentico e sempre
più universale. Infine, il sacerdote celibatario è coinvolto in molteplici e
diversissime relazioni interpersonali e per molti diventa una persona
«significativa», un punto di riferimento. In fine, l'Autore ricorda che il
celibato per il Regno dei Cieli sarà sempre incompreso dalla maggior parte
degli uomini e non è spiegabile fino in fondo con la psicologia o la
sociologia, in quanto non tutti saranno capaci di comprendere che l'uomo o la
donna possano realizzarsi totalmente senza la esperienza biologica genitale.
Juan R. Areitio