congregatio pro
clericis
Adorazione Eucaristica
per la santificazione dei sacerdoti
e Maternità spirituale
2007
Responsabile
per la pubblicazione:
S.E.R. Mons.
Mauro Piacenza,
Arciv. tit. di
Vittoriana,
Segretario
della Congregazione per il Clero
Congregazione
per il Clero
Piazza Pio
XII, 3 - 00193 Roma
Tel. 06 698 84151 - 06 698 84178
Fax 06 698 84845
Lettera
che la Congregazione sta inviando allo scopo di promuovere l’adorazione
eucaristica
per la santificazione
dei sacerdoti e la maternità spirituale:
Eccellenza
Reverendissima,
sono davvero molte le cose da fare
per il vero bene del Clero e per la fecondità del ministero pastorale nelle
odierne circostanze, ma, proprio per questo, pur nel fermo proposito di
affrontare tali difficoltà e fatiche, nella consapevolezza che l’agire consegue
all’essere e che l’anima di ogni apostolato è l’intimità divina, si intende
avviare un movimento spirituale che, facendo prendere sempre maggior
consapevolezza del legame ontologico fra Eucarestia e Sacerdozio e della
speciale maternità di Maria nei confronti di tutti i Sacerdoti, dia vita ad una
cordata di adorazione perpetua, per la
santificazione dei chierici e ad un nuovo impegno delle anime femminili
consacrate affinché, sulla tipologia della Beata Vergine Maria, Madre del Sommo
ed Eterno Sacerdote e Socia nella Sua opera di Redenzione, vogliano adottare
spiritualmente sacerdoti per aiutarli con l’offerta di sé, l’orazione e la
penitenza. Nell’adorazione sempre è incluso l’atto di riparazione per le
proprie mancanze e, nelle attuali circostanze, si suggerisce di includere una
particolare intenzione in tale senso.
Secondo il dato
costante della Tradizione, il mistero e la realtà della Chiesa non si riducono
alla struttura gerarchica, alla liturgia, ai sacramenti e agli ordinamenti
giuridici. Infatti la natura intima della Chiesa e l’origine prima della sua
efficacia santificatrice, vanno ricercate nella mistica unione con Cristo.
La dottrina e la stessa struttura
della costituzione dogmatica Lumen Gentium, affermano che tale unione
non può immaginarsi separata da Colei che è la Madre del Verbo Incarnato e che
Gesù ha voluto intimamente unita a Sé per la salvezza dell’intero genere umano.
Non è quindi
casuale che lo stesso giorno in cui veniva promulgata la costituzione dogmatica
sulla Chiesa - il 21 novembre 1964 -, Paolo VI proclamasse Maria “Madre della
Chiesa”, vale a dire, madre di tutti i fedeli e di tutti i pastori.
Il Concilio Vaticano II -
riferendosi alla Beata Vergine - così si esprime: “...Col concepire Cristo,
generarlo, nutrirlo, presentarlo al Padre nel tempio, soffrire col Figlio suo
morente sulla croce, ella ha cooperato in modo tutto speciale all’opera del
salvatore, con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità, per
restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo è stata per noi la
madre nell’ordine della grazia.” (LG n 61).
Senza nulla
aggiungere o togliere all’unica mediazione di Cristo, la sempre Vergine viene
riconosciuta ed invocata, nella Chiesa, coi titoli di Avvocata, Ausiliatrice,
Soccorritrice, Mediatrice; Ella è il modello dell’amore materno che deve
animare quanti cooperano, attra-verso la missione apostolica della Chiesa, alla
rigenerazione dell’intera umanità (cfr LG n 65).
Alla luce di questi insegnamenti che
fanno parte dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, i fedeli, rivolgendo
lo sguardo a Maria - esempio fulgido di ogni virtù -, sono chiamati ad imitare
la prima discepola, la madre, alla quale, in Giovanni - ai piedi della croce (cfr Gv 19, 25-27) - è stato affidato ogni discepolo, così,
diventando suoi figli, imparano da Lei il vero senso della vita in Cristo.
In tal modo - e
proprio a partire dal posto occupato e dal ruolo svolto dalla Vergine
Santissima, nella storia della salvezza - si intende, in modo tutto
particolare, affidare a Maria, la Madre del Sommo ed Eterno Sacerdote, ogni
Sacerdote, suscitando, nella Chiesa, un movimento di preghiera che ponga al
centro l’adorazione eucaristica continuata, nell’arco delle ventiquattro ore,
in modo che, da ogni angolo della terra, sempre si elevi a Dio,
incessantemente, una preghiera di adorazione, ringraziamento, lode, domanda e
riparazione, con lo scopo precipuo di suscitare un numero sufficiente di sante
vocazioni allo stato sacerdotale e, insieme, di accompagnare spiritualmente -
al livello di Corpo Mistico -, con una sorta di maternità spirituale, quanti
sono già stati chiamati al sacerdozio ministeriale e sono ontologicamente
conformati all’unico Sommo ed Eterno Sacerdote, affinché sempre meglio
servano a Lui e ai fratelli, come coloro che, ad un tempo, stanno “nella”
Chiesa ma, anche, “di fronte” alla Chiesa tenendo le veci di Cristo e,
rappresentandoLo, come capo, pastore e sposo della Chiesa (PdV n 16).
Si chiede, quindi, a tutti gli
Ordinari diocesani che, in modo particolare, avvertono la specificità e
l’insostituibilità del ministero ordinato nella vita della Chiesa, insieme
all’urgenza di un’azione comune in favore del sacerdozio ministeriale, di farsi
parte attiva e di promuovere - nelle differenti porzioni del popolo di Dio loro
affidate - , veri e propri cenacoli in cui chierici, religiosi e laici, si
dedichino, uniti fra loro e in spirito di vera comunione, alla preghiera, sotto
forma di adorazione eucaristica continuata, anche in spirito di genuina e reale
riparazione e purificazione. Si allega all’uopo un opuscolo finalizzato a
meglio comprendere l’indole della iniziativa per aderire in spirito di fede al
progetto qui presentato.
Maria, Madre
dell’Unico, Eterno e Sommo Sacerdote, benedica questa iniziativa ed interceda,
presso Dio, chiedendo un autentico rinnovamento della vita sacerdotale a
partire dall’ unico modello possibile: Gesù Cristo, Buon Pastore!
La ossequio
cordialmente nel Vincolo della communio ecclesiale con sentimenti di intenso
affetto collegiale
Cláudio Card. Hummes
Prefetto
X Mauro Piacenza
Segretario
Dal Vaticano, 8 dicembre 2007
Solennità dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria
“Pregate
il padrone della messe che mandi operai!”
“Pregate il padrone della messe che mandi operai!”. Ciò significa: la messe
c’è, ma Dio vuole servirsi degli uomini, perché essa venga portata nel granaio.
Dio ha bisogno di uomini. Ha bisogno di persone che dicano: Sì, io sono
disposto a diventare il Tuo operaio per la messe, sono disposto ad aiutare
affinché questa messe che sta maturando nei cuori degli uomini possa veramente
entrare nei granai dell’eternità e diventare perenne comunione divina di gioia
e di amore.
“Pregate il padrone della
messe!”. Questo vuol dire anche: non possiamo semplicemente “produrre”
vocazioni, esse devono venire da Dio. Non possiamo, come forse in altre
professioni, per mezzo di una propaganda ben mirata, mediante, per così dire,
strategie adeguate, semplicemente reclutare delle persone. La chiamata,
partendo dal cuore di Dio, deve sempre trovare la via al cuore dell’uomo. E
tuttavia: proprio perché arrivi nei cuori degli uomini è necessaria anche la
nostra collaborazione.
Chiederlo al padrone della
messe significa certamente innanzitutto pregare per questo, scuotere il suo
cuore e dire: “Fallo per favore! Risveglia gli uomini! Accendi in loro
l’entusiasmo e la gioia per il Vangelo! Fa’ loro capire che questo è il tesoro
più prezioso di ogni altro tesoro e che colui che l’ha scoperto deve
trasmetterlo!”.
Noi scuotiamo il cuore di Dio. Ma il pregare Dio non
si realizza soltanto mediante parole di preghiera; comporta anche un mutamento
della parola in azione, affinché dal nostro cuore orante scocchi poi la
scintilla della gioia in Dio, della gioia per il Vangelo, e susciti in altri
cuori la disponibilità a dire un loro “sì”. Come persone di preghiera, colme
della Sua luce, raggiungiamo gli altri e, coinvolgendoli nella nostra
preghiera, li facciamo entrare nel raggio della presenza di Dio, il quale farà
poi la sua parte. In questo senso vogliamo sempre di nuovo pregare il Padrone
della messe, scuotere il suo cuore, e con Dio toccare nella nostra preghiera
anche i cuori degli uomini, perché Egli, secondo la sua volontà, vi faccia
maturare il “sì”, la disponibilità; la costanza, attraverso tutte le confusioni
del tempo, attraverso il calore della giornata ed anche attraverso il buio
della notte, di perseverare fedelmente nel servizio, traendo proprio da esso
continuamente la consapevolezza che - anche se faticoso - questo sforzo è
bello, è utile, perché conduce all’essenziale, ad ottenere cioè che gli uomini
ricevano ciò che attendono: la luce di Dio e l’amore di Dio.
Benedetto
XVI
Incontro
con i sacerdoti e i diaconi a Freising, 14 settembre 2006
Maternità spirituale per i sacerdoti
La vocazione ad essere madre
spirituale per i sacerdoti è troppo poco conosciuta, scarsamente compresa e
perciò poco vissuta, nonostante la sua vitale
e fondamentale importanza. Questa
vocazione è spesso nascosta,
invisibile all’occhio umano, ma
volta a trasmettere vita spirituale.
Di questo era convinto Papa
Giovanni Paolo II:
perciò volle in Vaticano un
monastero di clausura dove si potesse pregare
per le sue intenzioni come sommo Pontefice.
“Ciò
che sono divenuto e in che modo, lo devo a mia Madre!”.
S. Agostino
Indipendentemente dall’età e dallo stato civile, tutte le donne possono
diventare madre spirituale per un sacerdote e non soltanto le madri di
famiglia. È possibile anche per una ammalata, per una ragazza nubile o per una
vedova. In maniera particolare questo vale per le missionarie e le religiose
che offrono tutta la loro vita a Dio per la santificazione dell’umanità.
Giovanni Paolo II ringraziò perfino una bambina per il suo aiuto materno: “Esprimo
la mia riconoscenza anche alla beata Giacinta di Fatima per i sacrifici e le
preghiere fatte per il Santo Padre, che ella aveva visto tanto soffrire” (13 maggio 2000).
Ogni sacerdote è preceduto da una madre, che non di rado è anche una madre
di vita spirituale per i suoi figli. Giuseppe Sarto, per esempio, il futuro Papa
Pio X, appena consacrato vescovo, andò a trovare la mamma settantenne. Lei
baciò con rispetto l’anello del figlio e all’improvviso, facendosi meditativa,
indicò la propria povera fede nuziale d’argento: “Sì, Peppo, però tu adesso
non lo porteresti, se io prima non avessi portato questo anello nuziale”. Giustamente
S. Pio X confermava dalla sua esperienza: “Ogni vocazione sacerdotale viene
dal cuore di Dio, ma passa attraverso il cuore di una madre!”. Ce lo
dimostra particolarmente bene la vita di S. Monica. Sant’Agostino, suo figlio,
che all’età di diciannove anni come studente a Cartagine, aveva perduto la
fede, ha scritto nelle sue ‘Confessioni’: “... Tu hai steso la tua mano
dall’alto e hai tratto la mia anima da queste dense tenebre, poiché mia madre,
tua fedele, piangeva su di me più che non piangano le madri la morte fisica dei
figli … eppure quella vedova casta, devota, morigerata, di quelle che tu
prediligi, fatta ormai più animosa per la speranza, ma non per questo meno
facile al pianto, non cessava di piangere dinanzi a te, in tutte le ore di
preghiera”. Dopo la conversione, egli ha detto con gratitudine: “La mia
santa madre, tua serva, non mi ha mai abbandonato. Ella mi partorì con la carne
a questa vita temporale e col cuore alla vita eterna. Ciò che sono divenuto e
in che modo, lo devo a mia Madre!”. Durante le sue discussioni filosofiche,
S. Agostino voleva sempre con sé sua madre; ella ascoltava attentamente,
qualche volta interveniva con un parere delicato o, con meraviglia degli
esperti presenti, dava anche risposte a questioni aperte. Perciò non stupisce
che S. Agostino si dichiarasse il suo ‘discepolo in filosofia’!
Il sogno di
un cardinale
Il cardinale Nicola Cusano (1401-1464), vescovo di Bressanone,
non fu solo un grande politico
della Chiesa, rinomato legato papale e riformatore
della vita spirituale del clero
e del popolo del secolo XV, ma anche un uomo
del silenzio e della
contemplazione. In un “sogno” gli fu mostrata
quella realtà spirituale che
ancora oggi vale per tutti i sacerdoti e per tutti gli uomini:
il potere dell’abbandono, della
preghiera e del sacrificio delle madri spirituali
nel segreto dei conventi.
Mani
e Cuori che si sacrificano
“... Entrati in una chiesa
piccola e molto vecchia, adornata con mosaici ed affreschi dei primi secoli, al
cardinale si manifestò una visione immane. Migliaia di religiose pregavano
nella piccola chiesa. Esse erano così esili e raccolte che tutte avevano posto,
nonostante la comunità fosse numerosa. Le suore pregavano e il cardinale non
aveva mai visto pregare così intensamente. Esse non stavano in ginocchio, ma
dritte in piedi, lo sguardo fisso non lontano, ma su di un punto a lui vicino,
però non visibile ai suoi occhi. Le loro braccia erano aperte e le mani rivolte
verso l’alto, in una posizione di offerta”.
L’incredibile di questa
visione sta nel fatto che queste suore nelle loro povere e sottili mani
tenevano uomini e donne, imperatori e re, città e paesi. A volte le mani si
stringevano intorno ad una città; altre volte un paese, riconoscibile dalle
bandiere nazionali, si estendeva su un muro di braccia che lo sostenevano.
Anche in questi casi, intorno ad ogni singola orante si spandeva un alone di silenzio e di riservatezza. La
maggior parte delle suore però sosteneva in mano un solo fratello o sorella.
Nelle mani di una giovane ed
esile monaca, quasi una bambina, il cardinale Nicola vide il papa. Si capiva
quanto il carico gravasse su di lei, ma il suo volto brillava di gioia. Sulle
mani di una anziana suora giaceva lui stesso, Nicola Cusano, vescovo di
Bressanone e cardinale della Chiesa romana. Egli riconobbe chiaramente se stesso con le sue rughe e con i difetti della sua
anima e della sua vita. Osservava tutto con occhi spalancati e spaventati, ma
allo spavento subentrò presto una indescrivibile beatitudine.
La guida, che si trovava al
suo fianco, gli sussurrò: “Vedete come, nonostante i loro peccati, sono
tenuti e sorretti i peccatori che non hanno smesso di amare Dio!”. Il cardinale domandò: “Cosa succede allora a
coloro che non amano più?”. Improvvisamente, sempre in compagnia della sua
guida, si trovò nella cripta della chiesa, dove pregavano altre migliaia di
suore.
Mentre quelle viste in
precedenza reggevano le persone con le loro mani, queste nella cripta le
sostenevano con i cuori. Erano profondamente coinvolte, perché si trattava del
destino eterno delle anime. “Vedete, Eminenza”, disse la guida: “così
vengono tenuti coloro che hanno smesso di amare. A volte succede che si
riscaldano al calore dei cuori che si consumano per loro, ma non sempre.
Talvolta, nell’ora della morte, passano dalle mani di coloro che ancora li
vogliono salvare a quelle del Giudice divino, con il quale devono poi
giustificarsi anche per il sacrificio offerto per loro. Nessun sacrificio resta
senza frutto, ma chi non coglie il frutto offertogli, matura il frutto della
rovina”.
Il cardinale fissò le donne
vittime volontarie. Egli aveva sempre saputo della loro esistenza. Mai però gli
era stato così chiaro cosa esse significassero per la Chiesa, per il mondo, per
i popoli e per ogni singolo; solo ora lo comprendeva con sgomento. Egli si
chinò profondamente davanti alle martiri dell’amore.
Foto: Dal 550 Säben fu per
un mezzo millennio la sede vescovile della diocesi di Bressanone. Dal 1685,
quindi da più di 300 anni, il castello vescovile è diventato un monastero, in
cui fino ad oggi una comunità di Suore Benedettine vive la maternità
spirituale, pregando e consacrandosi a Dio, proprio come il cardinale Nicola
Cusano aveva visto nel suo sogno.
Eliza Vaughan
È una verità evangelica che le
vocazioni sacerdotali devono essere chieste
con la preghiera. Lo sottolinea
Gesù nel Vangelo quando dice:
“La messe è molta, ma gli
operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella
sua messe!” (Mt
9,37-38).
Ce ne offre un esempio
particolarmente significativo l’inglese Eliza Vaughan,
madre di famiglia e donna
dotata di spirito sacerdotale, che pregò molto per le vocazioni.
Eliza proveniva da una famiglia protestante, quella
dei Rolls, che in seguito fondò la famosa industria delle auto Rolls-Royce, ma
da ragazza, durante la sua permanenza ed educazione in Francia, era rimasta
molto impressionata dall’esemplare impegno della Chiesa cattolica per i poveri.
Nell’estate del 1830, dopo il
matrimonio con il colonnello John Francis Vaughan, Eliza, nonostante la forte
resistenza da parte dei suoi parenti, si convertì al cattolicesimo. Aveva preso
questa decisione con convinzione e non solo perché era entrata a far parte di
una nota famiglia inglese di tradizione cattolica. Gli antenati Vaughan,
durante la persecuzione dei cattolici inglesi sotto il regno di Elisabetta I (1558-1603), avevano accettato l’esproprio dei beni e il
carcere piuttosto che rinunciare alla loro fede. Courtfield, la residenza
originaria della famiglia del marito, durante i decenni del terrore, era
divenuta un centro di rifugio per sacerdoti perseguitati, un luogo dove veniva
celebrata in segreto la S. Messa. Da allora erano passati quasi tre secoli, ma
nulla era mutato nello spirito cattolico della famiglia.
Foto: Convinta della
potenza della preghiera silenziosa e fedele, Eliza Vaughan riservava ogni
giorno un’ora all’adorazione nella cappella di casa, pregando per le vocazioni
nella sua famiglia. Divenendo madre di sei sacerdoti e quattro religiose, fu
abbondantemente esaudita. Morta nel 1853,
Mamma Vaughan fu sepolta a
Courtfield, nella proprietà di famiglia da lei tanto amata.
Oggi Courtfield è un centro
per esercizi spirituali della diocesi inglese di Cardiff. Prendendo spunto
dalla santa vita di Eliza, nel 1954, la Cappella della Casa venne consacrata
dal vescovo come Santuario di Nostra Signora delle vocazioni”, titolo che fu
confermato nel 2000.
Doniamo
i nostri figli a Dio
Convertita nel profondo del cuore, piena di zelo,
Eliza propose al marito di donare i loro figli a Dio. Questa donna di elevate
virtù pregava ogni giorno per un’ora davanti al Santissimo Sacramento nella
Cappella della residenza di Courtfield, chiedendo a Dio una famiglia numerosa e
molte vocazioni religiose fra i suoi figli. Fu esaudita! Ebbe 14 figli e morì
poco dopo la nascita dell’ultimo figlio nel 1853. Dei 13 figli viventi, di cui
otto maschi, sei divennero sacerdoti: due in ordini religiosi, uno sacerdote
diocesano, uno vescovo, uno arcivescovo e uno cardinale. Delle cinque figlie,
quattro divennero religiose. Che benedizione per la famiglia e quali effetti
per tutta l’Inghilterra! Tutti i figli della famiglia Vaughan ebbero
un’infanzia felice, perché nella educazione la loro santa madre possedeva la
capacità di unire in maniera naturale la vita spirituale e gli obblighi
religiosi con i divertimenti e l’allegria. Per volontà della mamma, facevano
parte della vita quotidiana la preghiera e la S. Messa nella cappella di casa,
come anche la musica, lo sport, il teatro dilettantistico, l’equitazione e i
giochi. I figli non si annoiavano quando la madre raccontava loro le vite dei
santi, che pian piano divennero per essi degli intimi amici. Eliza si faceva
accompagnare dai figli anche durante le visite e le cure ai malati e ai
sofferenti delle vicinanze, perché potessero in queste occasioni imparare ad
essere generosi, a compiere sacrifici, a donare ai poveri i loro risparmi o i
giocattoli.
Ella morì poco dopo la nascita del quattordicesimo figlio,
John. Due mesi dopo la morte, il colonnello Vaughan, convinto che ella fosse
stata un dono della Provvidenza, scrisse in una lettera: “Oggi, durante
l’adorazione, ho ringraziato il Signore, per aver potuto restituire a Lui la
mia amata moglie. Gli ho aperto il mio cuore con gratitudine per avermi donato
Eliza come modello e guida, a lei mi lega ancora un vincolo spirituale
inseparabile. Quale consolazione meravigliosa e quale grazia mi trasmette!
Ancora la vedo come l’ho sempre vista davanti al Santissimo con quella sua pura
e umana gentilezza che le illuminava il volto durante la preghiera”.
Operai
nella vigna del Signore
Le numerose vocazioni nel matrimonio dei Vaughan
sono davvero una insolita eredità nella storia della Gran Bretagna e una benedizione
che proveniva soprattutto dalla madre Eliza.
Quando Herbert, il figlio
maggiore, a sedici anni annunciò ai suoi genitori di voler diventare sacerdote,
le reazioni furono diverse. La madre, che aveva molto pregato per questo,
sorrise e disse: “Figlio mio, lo sapevo da tempo”. Il padre però ebbe bisogno di un po’ di tempo per
accettare l’annuncio, perché proprio sul figlio maggiore, l’erede della casa,
aveva riposto molte speranze e pensato per lui ad una brillante carriera
militare. Come avrebbe potuto immaginare che Herbert un giorno sarebbe
diventato arcivescovo di West-minster, fondatore dei Missionari di Millhill e
poi cardinale? Ma anche il padre si persuase presto e scrisse ad un amico: “Se
Dio vuole Herbert per sé, può avere anche tutti gli altri”. Reginaldo però si sposò, come anche Francis
Baynham, che ereditò la proprietà di famiglia. Dio chiamò ancora altri nove
figli dei Vaughan. Roger, il secondo, divenne priore dei benedettini e più
tardi amato arcivescovo di Sydney, in Australia, dove fece costruire la
cattedrale. Kenelm divenne cistercense e più tardi sacerdote diocesano.
Giuseppe, il quarto figlio dei Vaughan, fu benedettino come suo fratello Roger
e fondatore di una nuova abbazia.
Bernardo, forse il più vivace
di tutti, che amava molto la danza e lo sport e che prendeva parte a tutti i
divertimenti, divenne gesuita. Si racconta che il giorno precedente il suo
ingresso nell’ordine, abbia partecipato ad un ballo e abbia detto alla sua
partner: “Questo che faccio con lei è il mio ultimo ballo perché diventerò
gesuita!”. Sorpresa, la ragazza avrebbe esclamato: “Ma la prego! Proprio
lei che ama tanto il mondo e balla meravigliosamente vuole diventare gesuita?”.
La risposta, seppur interpretabile in vari modi, è molto bella: “Proprio per
questo mi dono a Dio!”.
John, il più giovane, fu
ordinato sacerdote dal fratello Herbert e più tardi divenne vescovo di Salford
in Inghilterra. Delle cinque figlie della famiglia, quattro divennero
religiose. Gladis entrò nell’ordine della visitazione, Teresa fu suora della
misericordia, Claire suora clarissa e Mary priora presso le agostiniane. Anche
Margareta, la quinta figlia dei Vaughan, avrebbe voluto diventare suora, non le
fu possibile per la salute cagionevole. Però anche lei visse in casa come
consacrata e trascorse gli ultimi anni della sua vita in un monastero.
Foto: Herbert Vaughan aveva
sedici anni quando in estate, durante un ritiro spirituale, decise di diventare
sacerdote. Fu ordinato a Roma all’età di 22 anni e più tardi divenne vescovo di
Salford in Inghilterra e fondatore dei Missionari di Millhill, che operano oggi
in tutto il mondo. Infine divenne Cardinale e terzo Arcivescovo di Westminster.
Nel suo stemma era scritto: “Amare et servire!”. Il suo programma era enunciato
nel detto: “L’amore deve essere la radice dalla quale spunta tutto il mio
servizio”.
Beata Maria
Deluil Martiny (1841-1884)
Circa 120 anni fa, in alcune rivelazioni private,
Gesù iniziò a confidare a persone consacrate nei monasteri e nel mondo il Suo
piano per il rinnovamento del sacerdozio. Egli affidò a delle madri spirituali
la cosiddetta ‘opera per i sacerdoti’. Una delle precorritrici di questa opera
è la beata Maria Deluil Martiny. Di questo suo grande intimo desiderio
ella disse: “Offrirsi per le anime è bello e grande! Ma offrirsi per le
anime dei sacerdoti ... è talmente bello e grande che si dovrebbero avere mille
vite e mille cuori! ... Darei volentieri la mia vita solo affinché Cristo
potesse trovare nei sacerdoti ciò che si aspetta da loro! La darei volentieri anche
se uno solo potesse realizzare perfettamente il piano divino in lui!”. In
effetti, a soli 43 anni, ella sigillò con il martirio la sua maternità
spirituale. Le sue ultime parole furono: “È per l’opera, l’opera per i
sacerdoti!”.
Venerabile Louise Marguerite Claret de la Touche
(1868-1915)
Gesù preparò per lunghi anni anche la venerabile Louise
Marguerite Claret de la Touche all’apostolato per il rinnovamento del
sacerdozio. Ella raccontò che il 5 giugno 1902, durante un’adorazione, le era
apparso il Signore.
“Io lo avevo pregato per il
nostro piccolo noviziato e lo avevo supplicato di darmi alcune anime che avrei
potuto plasmare per Lui. Egli mi rispose: ‘Ti darò anime di uomini’. Rimasi in
silenzio perché non compresi le sue parole. Gesù aggiunse: ‘Ti darò anime di
sacerdoti’. Ancora più sorpresa da queste parole, gli chiesi: ‘Mio Gesù, come
lo farai?’. Egli poi mi espose l’opera che stava per preparare e che avrebbe
dovuto riscaldare il mondo con l’amore. Gesù continuò a spiegare il suo piano e
perciò volle rivolgersi ai sacerdoti: ‘Come 1900 anni fa ho potuto rinnovare il
mondo con dodici uomini - essi erano sacerdoti - così anche oggi potrei
rinnovare il mondo con dodici sacerdoti, ma dovranno essere sacerdoti santi’.” Il Signore poi mostrò a Louise Marguerite l’opera
in concreto. “È una unione di sacerdoti, un’opera che comprende tutto il
mondo”, ella scrisse. “Se il sacerdote vuole realizzare la sua missione
e proclamare la misericordia di Dio,
dovrebbe in primo luogo lui stesso essere pervaso dal Cuore di Gesù e dovrebbe
essere illuminato dall’amore del Suo
Spirito. I sacerdoti dovrebbero coltivare l’unione fra loro, essere un cuore ed
un’anima e mai ostacolarsi l’un l’altro”.
Louise Marguerite descrisse con formule così felici
il sacerdozio nel suo libro “Il cuore di Gesù e il sacerdozio”, che alcuni
sacerdoti l’hanno creduto essere opera di un loro confratello. Un gesuita ha
dichiarato: “Non so chi ha scritto il libro, ma una cosa so di preciso, non
è l’opera di una donna!”.
Lu Monferrato
Ci rechiamo nel piccolo paese di Lu nell’Italia del
nord, una località che conta poche migliaia di abitanti e che si trova in una
regione rurale a 90 km ad est di Torino. Questo piccolo paese sarebbe rimasto
sconosciuto se nel 1881 alcune madri di famiglia non avessero preso una
decisione che avrebbe avuto delle ‘grandi ripercussioni’.
Molte di queste mamme avevano nel cuore il
desiderio di vedere uno dei loro figli diventare sacerdote o una delle loro
figlie impegnarsi totalmente al servizio del Signore. Presero dunque a riunirsi
tutti i martedì per l’adorazione del Santissimo Sacramento, sotto la guida del
loro parroco, Monsignor Alessandro Canora, e a pregare per le vocazioni. Tutte
le prime domeniche del mese ricevevano la Comunione con questa intenzione. Dopo
la Messa tutte le mamme pregavano insieme per chiedere delle vocazioni
sacerdotali.
Grazie alla preghiera piena di
fiducia di queste madri e all’apertura di cuore di questi genitori, le famiglie
vivevano in un clima di pace, di serenità e di devozione gioiosa che permise ai
loro figli di discernere molto più facilmente la loro chiamata.
Quando il Signore ha detto: “Molti sono
chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22,14), bisogna comprenderlo
in questo modo: molti saranno chiamati, ma pochi risponderanno. Nessuno avrebbe
pensato che il Signore avrebbe esaudito così largamente la preghiera di queste
mamme.
Da questo piccolo paese sono
uscite 323 vocazioni alla vita consacrata (trecentoventitre!): 152 sacerdoti (e religiosi) e 171 religiose
appartenenti a 41 diverse congregazioni. In alcune famiglie ci sono state
qualche volta anche tre o quattro vocazioni. L’esempio più conosciuto è quello
della famiglia Rinaldi. Il Signore chiamò sette figli di questa famiglia. Due
figlie entrarono tra le suore salesiane e, mandate a Santo Domingo, furono
delle coraggiose pioniere e missionarie. Tra i maschi, cinque diventarono
sacerdoti salesiani. Il più conosciuto dei cinque fratelli, Filippo Rinaldi, fu
il terzo successore di don Bosco, beatificato da Giovanni Paolo II il 29 aprile 1990. In effetti, molti giovani
entrarono tra i salesiani. Non è un caso dal momento che don Bosco nella sua
vita si recò quattro volte a Lu. Il santo partecipò alla prima Messa di Filippo
Rinaldi, suo figlio spirituale, nel suo paese natio. Filippo amava molto
ricordare la fede delle famiglie di Lu: “Una fede che faceva dire ai nostri
genitori: il Signore ci ha donato dei figli e se Egli li chiama noi non
possiamo certo dire di no!”.
Luigi Borghina e Pietro Rota
vissero la spiritualità di don Bosco in modo così fedele che furono chiamati
l’uno “il don Bosco del Brasile” e l’altro “il don Bosco della Valtellina”. Anche Mons. Evasio Colli,
arcivescovo di Parma, veniva da Lu (Alessandria).
Di lui disse Giovanni XXIII: “Lui sarebbe dovuto diventare papa, non io.
Aveva tutto per diventare un grande papa”.
Ogni 10 anni, tutti i sacerdoti e le religiose
ancora in vita si radunavano nel loro paese di origine giungendo da tutto il
mondo. Don Mario Meda, per lunghi anni parroco a Lu, ha raccontato come questo
incontro sia in realtà una vera e propria festa, una festa di ringraziamento a
Dio per aver fatto grandi cose a Lu.
La
preghiera che le madri di famiglia recitavano a Lu, era breve, semplice e
profonda:
“Signore, fa che uno dei miei figli diventi sacerdote!
Io stessa voglio vivere da buona cristiana
e voglio portare i miei figli al bene per ottenere la grazia
di poterti offrire, Signore, un sacerdote santo. Amen”.
Foto:
Questa foto è unica nella storia della Chiesa cattolica. Dal 1 al 4 settembre
1946 una gran parte dei 323 sacerdoti, religiosi e religiose provenienti da Lu
si ritrovarono nel loro paese. Questo incontro ebbe una risonanza nel mondo
intero.
Beata Alessandrina da Costa (1904-1955)
Anche un esempio nella vita di Alessandrina da
Costa, beatificata il 25 aprile 2004, dimostra in maniera impressionante la
forza trasformatrice e gli effetti visibili del sacrificio di una ragazza
malata e abbandonata.
Nel 1941 Alessandrina scrisse
al suo padre spirituale, P. Mariano Pinho, che Gesù l’aveva pregata dicendo: “Figlia
mia, a Lisbona vive un sacerdote che rischia di condannarsi per l’eternità; lui
mi offende in maniera grave. Chiama il tuo padre spirituale e chiedigli il
permesso perché io ti faccia soffrire durante la passione in modo particolare
per quell’anima”.
Ricevuto il permesso,
Alessandrina soffrì moltissimo. Sentiva la pesantezza dei peccati di quel
sacerdote che non voleva sapere più nulla di Dio e stava per dannarsi. La
poveretta viveva nel suo corpo lo stato infernale in cui si trovava il
sacerdote e supplicava: “Non all’inferno, no! Mi offro in olocausto per lui
fin quando Tu vuoi”. Ella sentì addirittura il nome e il cognome del
sacerdote.
P. Pinho volle allora indagare
presso il cardinale di Lisbona se in quel momento esistesse un sacerdote che
gli era causa di dispiaceri. Il cardinale gli confermò con sincerità che in
effetti c’era un sacerdote che gli dava molte preoccupazioni; quando gli fece
il nome, era proprio lo stesso che Gesù aveva nominato ad Alessandrina.
Alcuni mesi dopo fu riferito a
P. Pinho da un suo amico-sacerdote, don Davide Novais, un avvenimento
particolare. Don Davide aveva appena tenuto un corso di esercizi spirituali a
Fatima, ai quali aveva partecipato anche un signore riservato che era stato notato
da tutti per il suo comportamento esemplare. Quell’uomo, l’ultima sera degli
esercizi, aveva avuto un attacco di cuore; chiamato un sacerdote, aveva potuto
confessarsi e ricevere la S. Comunione. Poco dopo era morto, riconciliato con
Dio. Si scoprì che quel signore, vestito da laico, era un sacerdote ed era
proprio colui per il quale Alessandrina aveva tanto lottato.
Serva di Dio Consolata Betrone (1903-1946)
I sacrifici e le preghiere di una madre spirituale
di sacerdoti vanno particolarmente a favore dei consacrati che si sono smarriti
o hanno abbandonato la loro vocazione. Gesù, nella sua Chiesa, ha chiamato a
questa vocazione innumerevoli donne oranti, come per esempio Suor Consolata
Betrone, Clarissa Cappuccina di Torino. Gesù le disse: “Il tuo compito
nella vita è dedicarti ai tuoi fratelli. Consolata, anche tu sarai un buon
pastore e devi andare alla ricerca dei fratelli smarriti per riportarmeli”.
Consolata offrì tutto per
loro, “i suoi fratelli” sacerdoti e consacrati, che erano nel bisogno spirituale.
In cucina, durante il lavoro, pregava continuamente la sua preghiera del cuore:
“Gesù, Maria, Vi amo,
salvate anime!”. Cambiò
consapevolmente ogni minimo servizio e ogni dovere in sacrificio. Gesù le disse
a questo proposito: “Queste sono azioni insignificanti, ma siccome tu me le
offri con grande amore, concedo ad esse un valore smisurato e le trasformo in
grazie di conversione che scendono sui fratelli infelici”.
Spesso al convento venivano segnalati per telefono
o per iscritto casi concreti dei quali Consolata si faceva carico nella
sofferenza. A volte soffriva per settimane o mesi di aridità, di abbandono, di
senso di inutilità, di oscurità, di solitudine, di dubbi e degli stati
peccaminosi dei sacerdoti. Una volta, durante queste lotte interiori, scrisse
al suo padre spirituale: “Quanto mi costano i fratelli!”. Gesù però le
fece la grandiosa promessa: “Consolata, non è un fratello solo che
riporterai a Dio, ma tutti. Ti prometto, mi regalerai i fratelli, uno dopo
l’altro”. Così fu! Riportò ad un sacerdozio ricco di grazia tutti i
sacerdoti affidati a lei. Molti di questi casi sono documentati con esattezza.
Berthe Petit (1870-1943)
Berthe Petit è una grande
mistica belga, un’anima di espiazione poco conosciuta.
Gesù le indicò chiaramente il
sacerdote per il quale ella doveva rinunciare
ai suoi progetti personali e glielo fece anche incontrare.
Il ‘prezzo’ per un sacerdote santo
Fin da quando era una ragazza di quindici anni,
Berthe durante ogni S. Messa pregava per il celebrante: “Mio Gesù, fa’ che
il Tuo sacerdote non Ti rechi dispiacere!”. Quando aveva diciassette anni,
i suoi genitori persero tutto il loro patrimonio per una fideiussione; l’8
dicembre 1888, il suo direttore spirituale disse a Berthe che la sua vocazione
non era il monastero, ma restare a casa ed occuparsi dei suoi genitori. A
malincuore la ragazza accettò il sacrificio; chiese però alla Madonna di essere
mediatrice affinché, al posto della sua vocazione religiosa, Gesù chiamasse un
sacerdote zelante e santo. “Lei sarà esaudita!”: la rassicurò il padre
spirituale.
Ciò che ella non poteva
prevedere, accadde 16 giorni dopo: un giovane giurista di 22 anni, il Dott.
Louis Decorsant, stava pregando davanti ad una statua della Madre Addolorata.
All’improvviso e inaspettatamente, egli ebbe la certezza che la sua vocazione
non era quella di sposare la ragazza che amava e di esercitare la professione
di notaio. Comprese chiaramente che Dio lo chiamava al sacerdozio. Questa
chiamata fu così chiara e insistente che egli non esitò neppure un attimo a
lasciare tutto. Dopo gli studi a Roma, dove aveva ultimato il suo dottorato, fu
ordinato sacerdote nel 1893. Berthe aveva allora 22 anni.
Nello stesso anno, il giovane
sacerdote di 27 anni celebrò durante la S. Messa di mezzanotte in un sobborgo
di Parigi. Questo fatto ha la sua importanza perché alla stessa ora Berthe,
partecipando alla S. Messa di mezzanotte in un’altra parrocchia, prometteva
solennemente al Signore: “Gesù, vorrei essere un olocausto per i sacerdoti,
per tutti i sacerdoti, ma in particolare per il sacerdote della mia vita”.
Quando fu esposto il Santissimo, la giovane vide all’improvviso una grande
croce con Gesù e ai suoi piedi Maria e Giovanni. Ella sentì le seguenti parole:
“Il tuo sacrificio è stato accettato, la tua supplica esaudita. Ecco il tuo
sacerdote ... Un giorno lo conoscerai”. Berthe
vide che i lineamenti del volto di Giovanni avevano assunto quelli di un
sacerdote a lei sconosciuto. Si trattava del reverendo Decorsant, ma ella lo
avrebbe incontrato soltanto nel 1908, cioè quindici anni dopo, e ne avrebbe
riconosciuto il volto.
L’incontro
voluto da Dio
Berthe si trovava a Lourdes in pellegrinaggio. Qui
la Madonna le confermò: “Vedrai il sacerdote che hai chiesto a Dio venti
anni fa. Accadrà fra poco”.
Ella si trovava con una sua amica alla stazione di Austerliz a Parigi su un
treno diretto a Lourdes, quando un sacerdote salì nel loro scompartimento per
occupare il posto per una malata. Era il reverendo Decorsant. I suoi lineamenti
erano quelli che Berthe aveva visto sul volto di S. Giovanni quindici anni
prima, quindi era colui per il quale aveva già offerto tante preghiere e
sofferenze fisiche. Dopo lo scambio di qualche parola gentile, il sacerdote
scese dal treno. Esattamente un mese più tardi, lo stesso reverendo Decorsant
si recò in pellegrinaggio a Lourdes per affidare alla Madonna il suo futuro
sacerdotale. Carico dei bagagli, lì incontrò nuovamente Berthe e la sua amica.
Riconoscendo le due donne, le invitò per la S. Messa. Mentre don Decorsant
elevava l’Ostia, Gesù disse a Berthe nel suo intimo: “Questo è il sacerdote
per il quale ho accettato il tuo sacrificio”. Dopo la liturgia, ella seppe
che “il sacerdote della sua vita”, come lo avrebbe chiamato in seguito, era
alloggiato nella sua stessa pensione.
Un
compito in comune
Berthe rivelò a don Decorsant la sua vita
spirituale e la sua missione per la consacrazione al Cuore Immacolato e
Addolorato di Maria. Egli da parte sua comprese che quest’anima preziosa gli
era stata affidata da Dio. Accettò un posto in Belgio e divenne per Berthe
Petit un santo direttore spirituale ed un sostegno instancabile per la
realizzazione della sua missione. Come eccellente teologo fu il tramite ideale
con la gerarchia ecclesiastica a Roma.
Per 24 anni, e cioè fino alla
morte, accompagnò Berthe, la quale come anima di espiazione era spesso ammalata
e soffriva particolarmente per i sacerdoti che lasciavano la loro vocazione.
Venerabile
Conchita del Messico (1862-1937)
Maria Conception Cabrera de
Armida, Conchita, moglie e madre di numerosi figli,
è una
delle sante moderne, che Gesù per anni ha preparato ad una maternità spirituale
per i
sacerdoti. In futuro, ella sarà di grande importanza per la Chiesa universale.
Gesù, una volta, spiegò a Conchita: “Ci sono
anime che hanno ricevuto l’unzione attraverso l’ordinazione sacerdotale. Però
ci sono … anche anime sacerdotali che hanno una voca-zione senza avere la
dignità o l’ordinazione sacerdotale. Loro si offrono in unione con me ...
Queste anime aiutano spiritualmente la Chiesa in maniera poderosa. Tu sarai
madre di un gran numero di figli spirituali, ma essi costeranno al tuo cuore
come mille martìri.
Offriti come olocausto per
i sacerdoti, unisciti al mio sacrificio per ottenere per loro le grazie” ...
“Vorrei tornare in questo mondo ... nei miei sacerdoti. Vorrei rinnovare il
mondo, rivelandomi in loro e dare un impulso forte alla mia Chiesa, riversando
lo Spirito Santo sui miei sacerdoti come in una nuova Pentecoste”. “La Chiesa e
il mondo hanno bisogno di una nuova Pentecoste, una Pentecoste sacerdotale,
interiore”.
Da ragazza Conchita pregava
spesso davanti al Santissimo: “Signore, mi sento incapace di amarti, perciò
vorrei sposarmi. Donami molti figli in maniera che loro ti amino più di quanto
sono capace io”. Dal suo matrimonio particolarmente felice nacquero nove
figli, due ragazze e sette ragazzi. Ella li consacrò tutti alla Madonna: “Te
li dono completamente come tuoi figli. Tu sai che io non li so educare, conosco
troppo poco che cosa vuol dire essere madre, ma Tu, Tu lo sai”. Conchita
assistette alla morte di quattro dei suoi figli, che ebbero tutti una morte
santa.
Conchita fu concretamente
madre spirituale per il sacerdozio di uno dei suoi figli; di lui ella scrisse: “Manuel è nato nella stessa ora in cui è morto
Padre Jozé Camacho. Quando ho appreso la notizia, ho pregato Dio che mio figlio
potesse sostituire questo sacerdote all’altare … Dal momento in cui il piccolo
Manuel ha iniziato a parlare, abbiamo pregato insieme per la grande grazia
della vocazione al sacerdozio ... Il giorno della sua Prima Comunione e a tutte
le feste principali ho rinnovato la supplica ... All’età di diciassette anni è
entrato nella Compagnia di Gesù”.
Nel 1906 dalla Spagna dove si
trovava, Manuel (nato
nel 1889 e terzo figlio per età) le
comunicò la sua decisione di diventare sacerdote ed ella gli scrisse: “Donati
al Signore con tutto il cuore senza mai negarti! Dimentica le creature e
soprattutto dimentica te stesso! Non posso immaginarmi un consacrato che non
sia un santo. Non ci si può donare a Dio a metà. Cerca di essere generoso nei
Suoi confronti!”.
Nel 1914 Conchita incontrò Manuel in Spagna per l’ultima volta, perché egli
non tornò mai più in Messico. In quel tempo il figlio le scrisse: “Mia cara,
piccola mamma, mi hai indicato la via. Per mia fortuna, fin da piccolo, ho
ascoltato dalle tue labbra la dottrina salutare ed esigente della croce. Ora
vorrei metterla in opera”. Anche la madre provò il dolore della rinuncia: “Ho
portato la tua lettera davanti al tabernacolo e ho detto al Signore che accetto
con tutta la mia anima questo sacrificio. Il giorno successivo ho portato la
lettera sul mio petto mentre ricevevo la Santa Comunione, per rinnovare il
sacrificio totale”.
Mamma,
insegnami ad essere sacerdote
Il 23 luglio 1922, una settimana prima
dell’ordinazione sacerdotale, il trentatreenne Manuel scrisse a sua madre: “Mamma,
insegnami ad essere sacerdote! Parlami della gioia immensa di poter celebrare
la S. Messa. Consegno tutto nelle tue mani come tu mi hai custodito sul tuo
petto quando ero un bimbo e mi hai insegnato a pronunciare i bei nomi di Gesù e
di Maria, per introdurmi a questo mistero. Mi sento davvero un bambino che ti
chiede preghiere e sacrifici ... Appena ordinato sacerdote, ti manderò la mia
benedizione e dopo accoglierò in ginocchio la tua”.
Quando Manuel fu ordinato
sacerdote, il 31 luglio 1922 a Barcellona, Conchita si alzò per partecipare
spiritualmente all’ordinazione; a causa del fuso orario in Messico era notte.
Ella si commosse profondamente: “Sono madre di un sacerdote! ... Posso
soltanto piangere e ringraziare! Invito tutto il cielo a ringraziare al mio
posto, perché mi sento incapace per la mia miseria”. Dieci anni dopo
scrisse al figlio: “Non riesco ad immaginarmi un sacerdote che non sia Gesù
e ancora meno quando fa parte della Compagnia di Gesù. Prego per te affinché la
tua trasformazione in Cristo, dal momento della celebrazione, si compia in modo
che tu sia giorno e notte Gesù” (17 maggio 1932). “Che cosa faremmo senza la croce? La vita senza dolori che uniscono,
santificano, purificano e ottengono grazie, sarebbe insopportabile” (10 giugno 1932). P. Manuel morì a 66 anni in
odore di santità.
Il Signore fece comprendere a Conchita per il suo apostolato: “Ti affido ancora un altro martirio: tu soffrirai ciò che i sacerdoti commettono contro di me. Tu vivrai e offrirai per la loro infedeltà e miseria”. Questa maternità spirituale per la santificazione dei sacerdoti e della Chiesa la consumò completamente. Conchita morì nel 1937 a 75 anni.
Il mio Sacerdozio ed una sconosciuta
Il barone
Wilhelm Emmanuel Ketteler (1811-1877)
Noi tutti dobbiamo quello che
siamo e la nostra vocazione alle preghiere e ai sacrifici altri. Nel caso del
noto vescovo Ketteler, un personaggio eccellente dell’episcopato tedesco
dell’Ottocento e una delle figure di spicco fra i fondatori della sociologia
cattolica,
la benefattrice fu una
religiosa conversa, l’ultima e la più povera suora del suo convento.
Nel 1869 si trovavano insieme un vescovo di una
diocesi in Germania e un suo ospite, il vescovo Ketteler di Magonza. Nel corso
della conversazione, il vescovo diocesano sottolineava le molteplici opere
benefiche del suo ospite. Ma il vescovo Ketteler spiegava al suo interlocutore:
“Tutto ciò che con l’aiuto di Dio ho raggiunto, lo devo alla preghiera e al
sacrificio di una persona che non conosco. Posso dire soltanto che qualcuno ha
offerto a Dio la sua vita in sacrificio per me ed io lo devo a questo se sono
diventato sacerdote”. E continuava: “Dapprima non mi sentivo destinato
al sacerdozio. Avevo sostenuto i miei esami di stato in giurisprudenza e miravo
a far carriera quanto prima per ricoprire nel mondo un posto di rilievo ed
avere onori, considerazione e soldi. Un avvenimento straordinario però me lo
impedì e indirizzò la mia vita in altre direzioni.
Una sera, mentre mi trovavo
da solo in camera, mi abbandonai ai miei sogni ambiziosi e ai piani per il
futuro. Non so cosa mi sia successo, se fossi sveglio o addormentato: ciò che
vedevo era la realtà o si trattava di un sogno? Una cosa so: vidi quel che fu
poi la causa del rovesciamento della mia vita. Chiaro e netto, Cristo stava
sopra di me in una nuvola di luce e mi mostrava il suo Sacro Cuore. Davanti a
Lui si trovava in ginocchio una suora che alzava le mani in posizione
d’implorazione. Dalla bocca di Gesù sentii le seguenti parole: ‘Ella prega
ininterrottamente per te!’. Vedevo chiaramente la figura dell’orante, la sua
fisionomia mi si impresse talmente forte che ancora oggi l’ho davanti ai miei
occhi. Ella mi sembrava una semplice conversa. La sua veste era misera e
grossolana, le sue mani arrossate e callose per il lavoro pesante. Qualunque
cosa sia stata, un sogno o no, per me fu straordinario perché rimasi colpito
nell’intimo e da quel momento decisi di consacrarmi completamente a Dio nel
servizio sacerdotale.
Mi ritirai in un monastero per gli esercizi spirituali e
discussi di tutto con il mio confessore. Iniziai gli studi di teologia a trenta
anni. Tutto il resto lei lo conosce. Se ora lei pensa che qualche cosa di buono
accada attraverso di me, sappia di chi è il vero merito: di quella suora che ha
pregato per me, forse senza conoscermi. Sono convinto che per me si è pregato e
si prega ancora nel segreto e che senza quella preghiera non potrei raggiungere
la meta che Dio mi ha destinato”. “Ha
idea di chi sia che prega per lei e dove?”: chiese il vescovo diocesano. “No, posso soltanto
quotidianamente pregare Dio che la benedica, se è ancora in vita, e che ricambi
mille volte ciò che ha fatto per me”.
La suora
della stalla
Il giorno successivo, il vescovo Ketteler si recò
in visita in un convento di suore nella vicina città e celebrò per loro la S.
Messa nella cappella. Giunto quasi alla fine della distribuzione della S.
Comunione, arrivato all’ultima fila, il suo sguardo si fissò su una suora. Il
suo volto impallidì, egli restò immobile, poi ripresosi diede la Comunione alla
suora che non aveva notato nulla e stava devotamente in ginocchio. Quindi
concluse serenamente la liturgia.
Per la prima colazione arrivò
in convento anche il vescovo diocesano del giorno precedente. Il vescovo
Ketteler chiese alla madre superiora di presentargli tutte le suore, le quali
arrivarono in poco tempo. I due vescovi si avvicinarono e Ketteler le salutava
osservandole, ma sembrava chiaramente non trovare ciò che cercava. Sotto voce
si rivolse alla madre superiora: “Sono tutte qui le suore?”. Ella
guardando il gruppo, rispose: “Eccellenza, le ho fatte chiamare tutte, ma in
effetti ne manca una!”. “Perché non è venuta?”. La madre rispose: “Ella
si occupa della stalla, e in maniera talmente esemplare che nel suo zelo a
volte dimentica le altre cose”. “Desidero conoscere questa suora”, disse
il vescovo. Dopo poco tempo, la suora arrivò. Egli impallidì nuovamente e dopo
aver rivolto alcune parole a tutte le suore, chiese di restare solo con lei.
“Lei mi conosce?”: domandò. “Eccellenza, io non l’ho mai vista!”. “Ma
lei ha pregato e offerto buone opere per me?”: voleva sapere Ketteler. “Non
ne sono consapevole, perché non sapevo dell’esistenza di Vostra Grazia”. Il
vescovo rimase alcuni istanti immobile e in silenzio, poi continuò con altre
domande. “Quali devozioni ama di più e pratica più frequentemente?”. “La
venerazione al Sacro Cuore”, rispose la suora. “Sembra che lei abbia il
lavoro più pesante in convento!”: proseguì. “Oh no, Vostra Grazia! Certo
non posso disconoscere che a volte mi ripugna”. “Allora cosa fa quando viene
assillata dalla tentazione?”. “Ho preso l’abitudine di affrontare per amore
di Dio con gioia e zelo tutte le faccende che mi costano molto e poi di
offrirle per un’anima al mondo. Sarà il buon Dio che sceglierà a chi dare la
Sua grazia, io non lo voglio sapere. Offro anche l’ora di adorazione della
sera, dalle venti alle ventuno, per questa intenzione”. “Come le è venuta
l’idea di offrire tutto questo per un’anima?”. “E’ un’abitudine che avevo
già quando vivevo ancora nel mondo. A scuola il parroco ci insegnò che si
dovrebbe pregare per gli altri come si fa per i propri parenti. Inoltre
aggiungeva: ‘Bisognerebbe pregare molto per coloro che sono nel pericolo di
perdersi per l’eternità. Ma siccome solo Dio sa chi ne ha maggiormente bisogno,
la cosa migliore sarebbe offrire le preghiere al Sacro Cuore di Gesù, fiduciosi
nella Sua sapienza e onniscienza’. Così ho fatto, e ho sempre pensato che Iddio
trova l’anima giusta”.
Giorno del compleanno e Giorno della conversione
“Quanti anni ha?”: chiese Ketteler. “Trentatre anni, Eccellenza”.
Il vescovo, turbato, si interruppe per un attimo, poi domandò: “Quando è
nata?”. La suora riferì il giorno della sua nascita. Il vescovo allora fece
un’esclamazione: si trattava proprio del giorno della sua conversione! Egli
l’aveva vista esattamente così, davanti a sé come si trovava in quel momento. “Lei
non sa se le sue preghiere e i suoi sacrifici hanno avuto successo?”. “No,
Vostra Grazia”. “E non lo vuole sapere?”. “Il buon Dio sa quando si fa
qualche cosa di buono, questo basta”, fu la semplice risposta. Il vescovo era
sconvolto: “Per amor di Dio, allora continui con questa opera!”.
La suora gli si inginocchiò davanti e chiese la benedizione. Il vescovo
alzò solennemente le mani e con profonda commozione disse: “Con i miei
poteri episcopali, benedico la sua anima, le sue mani e il lavoro che compiono,
benedico le sue preghiere e i suoi sacrifici, il suo dominio di sé e la sua
obbedienza. La benedico specialmente per la sua ultima ora e prego Dio che
l’assista con la Sua consolazione”. “Amen”, rispose serena la suora e si
allontanò.
Un insegnamento per tutta la vita
Il vescovo si sentiva scosso nel suo intimo, si
accostò alla finestra per guardare fuori, cercando di riacquistare il suo
equilibrio. Più tardi si congedò dalla madre superiora per tornare a casa del
suo amico e confratello. A lui confidò: “Ora ho trovato colei alla quale
devo la mia vocazione. E’ l’ultima e la più povera conversa del convento. Non
potrò mai ringraziare abbastanza Dio per la Sua misericordia, perché quella
suora prega per me da quasi venti anni. Dio però già in anticipo aveva accolto
la sua preghiera e aveva previsto anche che il giorno della sua nascita
coincidesse con quello della mia conversione; in seguito Dio ha accolto le
preghiere e le opere buone di quella suora.
Quale insegnamento e
ammonimento per me! Semmai dovessi essere tentato di vantarmi per eventuali successi
e per le mie opere davanti agli uomini, dovrei tener presente che tutto mi
proviene dalla grazia della preghiera e del sacrificio di una povera serva
nella stalla di un convento. E se un lavoro insignificante mi sembra di poco
valore, devo riflettere che ciò che quella serva, con obbedienza umile verso
Dio, fa e offre in sacrificio con dominio di sé ha un tale valore davanti a
Dio, tanto che le sue opere hanno creato un vescovo per la Chiesa!”.
Santa
Teresa di Lisieux (1873-1897)
Teresa aveva solo 14 anni quando, durante un
pellegrinaggio a Roma, comprese la sua vocazione di madre spirituale per i
sacerdoti. Nella sua autobiografia scrive come, dopo aver conosciuto in Italia
molti santi sacerdoti, avesse anche capito che, nonostante la loro sublime
dignità, essi restavano degli uomini deboli e fragili. “Se dei santi
sacerdoti ... mostrano con il loro comportamento di aver bisogno estremo di
preghiere, cosa bisogna dire di quelli che sono tiepidi” (A 157). In
una delle sue lettere incoraggiava la sorella Celina: “Viviamo per le anime,
siamo apostoli, salviamo soprattutto le anime dei sacerdoti ... preghiamo,
soffriamo per loro e, nell’ultimo giorno, Gesù sarà riconoscente” (LT 94).
Nella vita di Teresa, dottore della Chiesa, c’è un
episodio commovente che dimostra il suo zelo per le anime e specialmente per i
missionari. Era già molto malata e camminava solo con grande fatica, così il
medico le aveva ordinato di fare ogni giorno, per una mezz’ora, una passeggiata
nel giardino. Pur non credendo nell’utilità di questo esercizio, ella lo
eseguiva fedelmente ogni giorno. Una volta una consorella che l’accompagnava,
vedendo le grandi sofferenze che le procurava il camminare, le disse: “Ma
suor Teresa, perché fa tutta questa fatica se le procura più sofferenze che
sollievo?”. E la santa rispose: “Sa sorella, sto pensando che forse
proprio in questo momento un missionario in un paese lontano si sente molto
stanco e scoraggiato, perciò offro le mie fatiche per lui”.
Dio mostrò di aver accolto il
desiderio di Teresa di offrire la sua vita per i sacerdoti, quando la madre
superiora le affidò due nomi di seminaristi, che avevano chiesto il sostegno
spirituale di una carmelitana. Uno era l’abbé Maurice Bellière, che pochi
giorni dopo la morte di Teresa riceveva l’abito di “Padre Bianco” e divenne sacerdote e missionario. L’altro era P.
Adolphe Roulland, che la santa accompagnò con le sue preghiere e sacrifici fino
all’ordinazione sacerdotale e in modo
speciale poi come missionario in Cina.
Beato cardinale Clemens
August von Galen (1878-1946)
Il 13 settembre 1933, a 55 anni, il parroco Clemens
von Galen fu nominato vescovo di Münster da Papa Pio XI. Conformemente al suo
motto di non lasciarsi influenzare “né dalla lode, né dalla paura”, protestò
pubblicamente contro i provvedimenti terroristici della Gestapo e denunciò lo
Stato che aveva danneggiato i diritti della Chiesa e dei credenti. Nel 1946,
Papa Pio XII nominò cardinale il vescovo di Münster per i suoi meriti e per lo straordinario coraggio nel professare
la fede. Al suo ingresso come pastore di Münster, il vescovo Galen fece
stampare un’immagine con la seguente scritta: “Sono il tredicesimo figlio
della nostra famiglia e ringrazierò eternamente mia madre per aver avuto il
coraggio di dire di sì a Dio anche per questo tredicesimo bambino. Senza questo
sì di mia madre adesso non sarei
sacerdote e vescovo”.
Servo di dio Papa Giovanni Paolo i (1912-1978)
“Me l’ha insegnata mia madre”
Giovanni Paolo I iniziò la sua ultima Udienza
generale nel settembre del 1978 pregando l’atto di carità. “‘Mio Dio, Ti amo
con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna
felicità; e per amor tuo amo il prossimo come me stesso e perdono le offese
ricevute. Signore, che io ti ami sempre più’.
E’ una famosissima
preghiera con le parole della Bibbia. Me l’ha insegnata mia madre. Continuo a
pregarla molte volte al giorno”.
Pronunciò queste parole su sua
madre con un tono di voce così tenero che i presenti nella sala dell’Udienza
risposero con un applauso impetuoso. Tra di loro, una giovane donna disse con
le lacrime agli occhi: “Come è commovente che il papa parli di sua madre!
Adesso capisco meglio quale influenza possiamo avere noi madri sui nostri
figli”.
“Signore, donaci di nuovo
sacerdoti!”
Durante la persecuzione
comunista, Anna Stang ha subito molte sofferenze e,
come tante altre donne nelle
sue medesime condizioni,
le ha offerte tutte per i
sacerdoti. Nella vecchiaia, è diventata ella stessa
una persona con spirito sacerdotale.
“Noi siamo rimasti senza pastori!”
Anna è nata nel 1909 nella parte tedesca del Volga
in una numerosa famiglia cattolica. Era solo una scolara di nove anni, quando
ha sperimentato gli inizi della persecuzione; ella ha scritto: “... 1918,
nella seconda classe, all’inizio delle lezioni pregavamo ancora il Padre Nostro. Un anno dopo era già
vietato e il parroco non aveva più il permesso di mettere piede nella scuola.
Si cominciava a ridere di noi cristiani, non si rispettavano più i sacerdoti e
i seminari venivano distrutti”.
A undici anni, Anna ha perso
il padre e alcuni fratelli e sorelle a causa di un’epidemia di colera. Poco
tempo dopo, è morta anche la mamma e lei, appena diciassettenne, si è presa
cura dei fratelli e delle sorelle più piccoli. Non solo non aveva più i genitori, ma “…
anche il nostro parroco è morto in quel periodo e molti sacerdoti sono stati
arrestati. Così siamo rimasti senza pastori! Questo è stato un duro colpo. La
chiesa nella parrocchia vicina era ancora aperta, ma anche lì non c‘era più un
sacerdote. I fedeli si riunivano lo stesso per la preghiera, ma senza il
pastore la chiesa era abbandonata.
Piangevo e non potevo calmarmi. Quanti canti, quante preghiere l’avevano
riempita ed ora sembrava tutto come
morto”.
Alla scuola di questa profonda
sofferenza spirituale, Anna da allora ha iniziato a pregare in modo particolare
per i sacerdoti e i missionari. “Signore, donaci di nuovo un sacerdote,
donaci la S. Comunione! Tutto soffro volentieri per amore Tuo, o sacratissimo
Cuore di Gesù!”. Anna ha offerto per i sacerdoti tutte le sofferenze successive, in modo speciale anche quando nel 1938 in una notte suo fratello e suo marito - era sposata
felicemente da sette anni - sono stati arrestati, e non hanno più fatto ritorno.
Affidamento
del servizio sacerdotale
Nel 1942, Anna, giovane vedova, è stata deportata
in Kazakistan, insieme ai suoi tre figli. “E’ stato duro affrontare il
freddo inverno, ma poi è venuta la primavera. In quel periodo ho pianto molto,
ma anche pregato tantissimo. Avevo sempre l’impressione che qualcuno mi tenesse
per mano. Nella città di Syrjanowsk ho
trovato alcune donne di fede cattolica. Ci siamo riunite di nascosto ogni
domenica e nei giorni di festa per cantare e
pregare il rosario. Io supplicavo spesso: Maria, nostra cara madre,
guarda come siamo poveri. Donaci di nuovo dei sacerdoti, dei maestri e dei
pastori!”.
Dal 1965 la violenza della
persecuzione si è affievolita e Anna ha potuto recarsi una volta all’anno nella
capitale del Kirghizistan, dove si trovava un sacerdote cattolico in esilio. “Quando
a Biskek è stata costruita addirittura una chiesa, vi sono andata con Vittoria,
una mia conoscente, per partecipare alla
S. Messa. Il viaggio era lungo, più di 1000 chilometri, ma per noi è
stata una grande gioia. Per più di 20 anni non avevamo visto un sacerdote, né
un confessionale! Il pastore di quella
città era anziano e per più di dieci anni era stato imprigionato a causa della sua fede. Mentre mi trovavo lì, mi
sono state affidate le chiavi della chiesa,
così ho potuto fare lunghe ore di adorazione. Mai avrei pensato di poter
essere così vicino al tabernacolo.
Piena di gioia, mi sono inginocchiata e
l’ho baciato”.
Prima di partire, Anna ha avuto il permesso di
portare la S. Comunione ai cattolici più anziani della sua città, che non
avrebbero mai potuto andare di persona. “Su incarico del sacerdote, per
trenta anni nella mia città ho
battezzato bambini e adulti, ho
preparato le coppie al sacramento del matrimonio e ho officiato i funerali, fin
quando, per mancanza di salute, non ho più potuto svolgere questo servizio”.
Preghiere nascoste ... per far arrivare un sacerdote!
Non si può immaginare la gratitudine di Anna,
quando nel 1995 ha incontrato per la prima volta un sacerdote missionario. Ha
pianto di gioia e con commozione ha esclamato: “E’ venuto Gesù, il Sommo
Sacerdote!”. Pregava da decenni perché arrivasse un sacerdote nella sua
città, ma giunta ormai a 86 anni aveva quasi perso ogni speranza di vedere con
i suoi occhi la realizzazione di questo
profondo desiderio. La S. Messa è stata celebrata in casa sua e questa
donna meravigliosa dall’animo sacerdotale ha potuto ricevere la S. Comunione:
per tutto il giorno Anna non ha più mangiato nulla, volendo esprimere così il
suo profondo rispetto e la sua gioia.
Una vita
offerta per il Papa e la Chiesa
Nel senso più vero, proprio nel cuore del Vaticano,
all’ombra della cupola di San Pietro, si trova un convento consacrato alla
“Mater Ecclesiae”, alla Madre della Chiesa. L’edificio semplice, usato in
precedenza per vari scopi, alcuni anni fa è stato ristrutturato per essere
adeguato alle necessità di un ordine contemplativo. Lo stesso Papa Giovanni
Paolo II ha fatto sì che questo convento di clausura fosse inaugurato il 13
maggio 1994, giorno della Madonna di Fatima; qui le suore avrebbero consacrato la loro vita per le
necessità del Santo Padre e della Chiesa.
Questo compito è affidato ogni
cinque anni ad un diverso ordine contemplativo. La prima comunità
internazionale era composta da Clarisse provenienti da sei diversi paesi
(Italia, Canada, Ruanda, Filippine, Bosnia e Nicaragua). Il loro posto è stato
poi preso dalle Carmelitane, che hanno continuato a pregare e ad offrire la
loro vita per le intenzioni del papa. Dal 7 ottobre 2004, festa della Madonna
del Rosario, si trovano nel monastero sette Suore Benedettine di quattro
diverse nazionalità. Una sorella è filippina, un’altra è statunitense, due sono
francesi e tre italiane.
Con questa fondazione, Giovanni Paolo II mostrava
all’opinione pubblica mondiale, senza parole, tuttavia in modo molto chiaro,
quanto la nascosta vita contemplativa sia importante e indispensabile, anche
nella nostra epoca moderna e frenetica, e quale valore egli attribuisse alla
preghiera nel silenzio e al sacrificio nel nascondimento. Se egli desiderava
avere nelle sue immediate vicinanze le suore di clausura affinché pregassero
per lui e per il suo pontificato, questo rivela anche la profonda convinzione
che la fecondità del suo ministero di pastore universale e l’esito spirituale
del suo immenso operato, provenissero
in prima linea, dalla preghiera e dal sacrificio di altri.
Anche Papa Benedetto XVI ha la
stessa profonda convinzione. Due volte si è recato a celebrare la S. Messa
dalle “sue suore”, ringraziandole per
l’offerta della loro vita per lui. Le
parole che egli ha rivolto il 15 settembre 2007 alle Clarisse di
Castelgandolfo, valgono tranquillamente anche per le suore di clausura del
Vaticano: “Ecco dunque, care sorelle, ciò che il papa attende da voi: che
siate fiaccole ardenti di amore, „mani giunte“ che vegliano in preghiera
incessante, distaccate totalmente dal mondo, per sostenere il ministero di
colui che Gesù ha chiamato a guidare la sua Chiesa”. La Provvidenza ha
veramente ben disposto che, sotto il pontificato di un papa che tanto apprezza
San Benedetto, possano essergli vicine in un modo speciale proprio le Suore
Benedettine.
Foto:
Incontro con il Santo Padre Giovanni Paolo II nella sua biblioteca privata
il 23 dicembre 2004.
Una vita mariana quotidiana
Non è un caso che il Santo Padre abbia scelto degli
ordini femminili per questo compito. Nella storia della Chiesa, seguendo
l’esempio della Madre di Dio, sono sempre state le donne ad accompagnare e a
sostenere, con la preghiera e il sacrificio, il cammino degli apostoli e dei
sacerdoti nella loro attività missionaria. Per questo gli ordini contemplativi
considerano loro carisma “l’imitazione e la contemplazione di Maria”. Madre M.
Sofia Cicchetti, attuale priora del monastero, definisce la vita della sua
comunità come una vita mariana quotidiana: “Niente è straordinario qui. La
nostra vita contemplativa e claustrale si può comprendere solo alla luce della
fede e dell’amore di Dio. In questa nostra società consumistica, edonista,
sembrano quasi scomparsi sia il senso della bellezza e dello stupore dinanzi
alle grandi opere che Dio compie nel mondo e nella vita d’ogni uomo e donna,
sia l’adorazione verso il mistero della Sua amorosa presenza in mezzo a noi.
Nel contesto del mondo di oggi, la nostra vita separata dal mondo, ma non ad
esso indifferente, potrebbe apparire
assurda ed inutile. Tuttavia possiamo gioiosamente testimoniare che non
è una perdita dare il tempo per Dio solo. Ricorda a tutti profeticamente una
verità fondamentale: l’umanità, per essere autenticamente e pienamente se
stessa, deve ancorarsi a Dio e vivere nel tempo il respiro dell’amore di Dio.
Vogliamo essere come tanti “Mosè” che, con le braccia alzate e il cuore
dilatato da un amore universale ma concretissimo, intercedono per il bene e la
salvezza del mondo, diventando, così “collaboratrici nel mistero della
Redenzione” (cfr
Verbi Sponsa,3). Il nostro compito non si fonda tanto sul “fare” quanto sull’
“essere” nuova umanità. Alla luce di tutto questo possiamo ben dire che la
nostra vita è vita piena di senso, non è affatto spreco o sciupio di essa, né
chiusura o fuga dal mondo, ma gioiosa donazione a Dio-Amore e a tutti i
fratelli senza esclusione, e qui nel
“Mater Ecclesiae” in modo particolare
per il papa e i suoi collaboratori”.
Suor Chiara-Cristiana, madre
superiora delle Clarisse della prima comunità nel centro del Vaticano, ha
raccontato: “Quando sono arrivata qui ho trovato la vocazione nella mia
vocazione: dare la vita per il Santo Padre come Clarissa. Così è stato per
tutte le altre consorelle”.
Madre M. Sofia conferma: “Noi
come Benedettine siamo profondamente legate alla Chiesa universale e perciò
sentiamo un grande amore verso il papa dovunque siamo. Certamente l’essere
chiamate così vicino a lui - anche fisicamente - in questo monastero
“originale” ha ancora più approfondito l’amore verso di lui. Cerchiamo di
trasmetterlo anche nei nostri monasteri d’origine.
Noi sappiamo che siamo chiamate ad essere madri
spirituali nella nostra vita nascosta e nel silenzio. Tra i nostri figli
spirituali hanno un posto privilegiato i sacerdoti e i seminaristi e
quanti si rivolgono a noi chiedendo
sostegno per la loro vita e il loro ministero sacerdotale, nelle prove o
disperazioni del cammino. La nostra
vita vuole essere “testimonianza della fecondità apostolica della vita
contemplativa, ad imitazione di Maria Santissima, che nel mistero della Chiesa
si presenta in modo eminente e singolare come vergine e madre” (cfr LG 63).