lL segnale è stato inequivocabile. Prima il Corpus Domini a Roma, poi lo si
è visto in mondovisione a Sidney. Benedetto XVI esige che davanti a lui la
comunione venga ricevuta in ginocchio. è uno dei tanti recuperi di questo
pontificato: il latino, la messa tridentina, la celebrazione con le spalle
rivolte ai fedeli. Papa Ratzinger ha un disegno e lo srilankese monsignor
Malcolm Ranjith, che il pontefice ha voluto con sé in Vaticano come segretario
della Congregazione per il Culto, lo delinea con efficacia. L' attenzione alla
liturgia, spiega, ha l' obiettivo di un' «apertura al trascendente». Su
richiesta del pontefice, preannuncia Ranjith, la Congregazione per il Culto sta
preparando un Compendio Eucaristico per aiutare i sacerdoti a «disporsi bene
per la celebrazione e l' adorazione eucaristica». La comunione in ginocchio va
in questa direzione? «Nella liturgia si sente la necessità di ritrovare il senso
del sacro, soprattutto nella celebrazione eucaristica. Perché noi crediamo che
quanto succede sull' altare vada molto oltre quanto noi possiamo umanamente
immaginare. E quindi la fede della Chiesa nella presenza reale di Cristo nelle
specie eucaristiche va espressa attraverso gesti adeguati e comportamenti
diversi da quelli della quotidianità». Marcando una discontinuità? «Non siamo
dinanzi ad un capo politico o un personaggio della società moderna, ma davanti
a Dio. Quando sull' altare scende la presenza di Dio eterno, dobbiamo metterci
nella posizione più adatta per adorarlo. Nella mia cultura, nello Sri Lanka,
dovremmo prostrarci con la testa sul pavimento come fanno i buddisti e i
musulmani in preghiera». L' ostia nella mano sminuisce il senso di trascendenza
dell' eucaristia? «In un certo senso sì. Espone il comunicante a sentirla quasi
come un pane normale. Il Santo Padre parla spesso della necessità di
salvaguardare il senso dell' al-di-là nella liturgia in ogni sua espressione.
Il gesto di prendere l' ostia sacra e metterla noi stessi in bocca e non
riceverla, riduce il profondo significato della comunione». Si vuole
contrastare una banalizzazione della messa? «In alcuni luoghi si è perso quel
senso di eterno, sacro o di celeste. C' è stata la tendenza a mettere l' uomo
al centro della celebrazione e non il Signore. Ma il Concilio Vaticano II parla
chiaramente della liturgia come actio Dei, actio Christi. Invece in certi
circoli liturgici, vuoi per ideologia vuoi per un certo intellettualismo, si è
diffusa l' idea di una liturgia adattabile a varie situazioni, in cui si debba
far spazio alla creatività perché sia accessibile e accettabile a tutti. Poi
magari c' è chi ha introdotto innovazioni senza nemmeno rispettare il sensus
fidei e i sentimenti spirituali dei fedeli». A volte anche vescovi impugnano il
microfono e vanno verso l' uditorio con domande e risposte. «Il pericolo
moderno è che il sacerdote pensi di essere lui al centro dell' azione. Così il
rito può assumere l' aspetto di un teatro o della performance di un
presentatore televisivo. Il celebrante vede la gente che guarda a lui come
punto di riferimento e c' è il rischio che, per avere più successo possibile
con il pubblico, inventi gesti ed espressioni facendo da protagonista». Quale
sarebbe l' atteggiamento giusto? «Quando il sacerdote sa di non essere lui al
centro, ma Cristo. Rispettare in umile servizio al Signore e alla Chiesa la
liturgia e le sue regole, come qualcosa di ricevuto e non di inventato,
significa lasciare più spazio al Signore perché attraverso lo strumento del
sacerdote possa stimolare la coscienza dei fedeli». Sono deviazione anche le
omelie pronunciate dai laici? «Sì. Perché l' omelia, come dice il Santo Padre,
è il modo con cui la Rivelazione e la grande tradizione della Chiesa viene
spiegata affinché la Parola di Dio ispiri la vita dei fedeli nelle loro scelte
quotidiane e renda la celebrazione liturgica ricca di frutti spirituali. E la
tradizione liturgica della Chiesa riserva l' omelia al celebrante. Ai Vescovi,
ai sacerdoti e ai diaconi. Ma non ai laici». Assolutamente no? «Non perché loro
non siano capaci di fare una riflessione, ma perché nella liturgia i ruoli
vanno rispettati. Esiste, come diceva il Concilio, una differenza "in
essenza e non solo in grado" tra il sacerdozio comune di tutti i
battezzati e quello dei sacerdoti». Già il cardinale Ratzinger lamentava nei
riti la perdita del senso del mistero. «Spesso la riforma conciliare è stata
interpretata o considerata in modo non del tutto conforme alla mente del Vaticano
II. Il Santo Padre definisce questa tendenza l' antispirito del Concilio». A un
anno dalla piena reintroduzione della messa tridentina qual è il bilancio? «La
messa tridentina ha al suo interno valori molto profondi che rispecchiano tutta
la tradizione della Chiesa. C' è più rispetto verso il sacro attraverso i
gesti, le genuflessioni, i silenzi. C' è più spazio riservato alla riflessione
sull' azione del Signore e anche alla personale devozionalità del celebrante,
che offre il sacrificio non solo per i fedeli ma per i propri peccati e la
propria salvezza. Alcuni elementi importanti del vecchio rito potranno aiutare
anche la riflessione sul modo di celebrare il Novus Ordo. Siamo all' interno di
un cammino». Un domani vede un rito che prenda il meglio del vecchio e del
nuovo? «Può darsi~ io forse non lo vedrò. Penso che nei prossimi decenni si
andrà verso una valutazione complessiva sia del rito antico che del nuovo,
salvaguardando quanto di eterno e soprannaturale avviene sull' altare e
riducendo ogni protagonismo per lasciare spazio al contatto effettivo tra il
fedele e il Signore attraverso la figura non predominante del sacerdote». Con
posizioni alternate del celebrante? Quando il sacerdote sarebbe rivolto verso
l' abside? «Si potrebbe pensare all' offertorio, quando le offerte vengono
portate al Signore, e di là sino alla fine della preghiera eucaristica, che
rappresenta il momento culminante della "trans-substantiatio" e la
"communio"». Disorienta i fedeli il prete che volge le spalle. «è
sbagliato dire così. Al contrario, insieme al popolo si rivolge al Signore. Il
Santo Padre nel suo libro Lo spirito del Concilio ha spiegato che quando ci si
siede attorno, guardando ognuno la faccia dell' altro, si forma un circolo
chiuso. Ma quando il sacerdote e i fedeli insieme guardano l' Oriente, verso il
Signore che viene, è un modo di aprirsi all' eterno». In questa visione si
inserisce anche il recupero del latino? «Non mi piace la parola recuperare.
Realizziamo il Concilio Vaticano II, che afferma esplicitamente che l' uso
della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei riti
latini. Dunque, anche se è stato dato spazio all' introduzione delle lingue
vernacolari, il latino non va abbandonato completamente. L' uso di una lingua
sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell' Induismo la lingua di preghiera è
il sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa il Pali, lingua che
oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell' Islam si impiega l' arabo del
Corano. L' uso di una lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione dell'
al-di-là». Il latino come lingua sacra nella Chiesa? «Certo. Il Santo Padre
stesso ne parla nell' esortazione apostolica Sacramentum Caritatis al paragrafo
62: "Per meglio esprimere l' unità e l' universalità della Chiesa vorrei
raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei vescovi in sintonia con le
direttive del Concilio Vaticano II. Eccettuate le letture, l' omelia e la
preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua
latina". Beninteso, durante incontri internazionali». Ridando forza alla
liturgia, dove vuole arrivare Benedetto XVI? «Il Papa vuole offrire la
possibilità d' accesso alla meraviglia della vita in Cristo, una vita che pur
vivendola qui sulla terra già ci fa sentire la libertà e l' eternità dei figli
di Dio. E una tale esperienza si vive fortemente attraverso un autentico
rinnovamento della fede quale presuppone il pregustare delle realtà celesti
nella liturgia che si crede, si celebra e si vive. La Chiesa è, e deve
diventare, lo strumento valido e la via per questa esperienza liberante. E la
sua liturgia quella che la rende capace di stimolare tale esperienza nei suo i
fedeli». - MARCO POLITI