14 settembre 2008 (ZENIT.org)
LOURDES
* * *
Signori
Cardinali,
carissimi
Fratelli nell’Episcopato!
È
la prima volta dall’inizio del mio Pontificato che ho la gioia di incontrarvi
tutti insieme. Saluto cordialmente il vostro Presidente, il Cardinale André
Vingt-Trois, e lo ringrazio delle profonde parole che mi ha rivolto a vostro
nome. Saluto anche con piacere i Vice-Presidenti, così come il Segretario
Generale e i suoi collaboratori. Un saluto caloroso rivolgo a ciascuno di voi,
miei Fratelli nell’Episcopato, che siete venuti dai quattro angoli della
Francia e d’oltremare. Il mio pensiero
va
anche a Mons. François Garnier, Arcivescovo di Cambrai, che celebra oggi a
Valenciennes il Millenario di “Notre-Dame du Saint-Cordon”. Mi rallegro di
essere stasera tra voi in questo emiciclo intitolato a “Sainte Bernadette”, che
è il luogo ordinario delle vostre preghiere e dei vostri incontri, luogo nel
quale esponete le vostre preoccupazioni e le vostre speranze, luogo anche delle
vostre discussioni e delle vostre riflessioni. Questa sala è posta in un punto
privilegiato presso la grotta e le basiliche mariane.
Certo,
le visite “ad limina” vi consentono di incontrare regolarmente il
Successore di Pietro a Roma, ma il momento che noi ora viviamo ci è dato come
una grazia per confermare i legami stretti che ci uniscono nella partecipazione
al medesimo sacerdozio direttamente derivante da quello di Cristo redentore. Vi
incoraggio a continuare a lavorare nell’unità e nella fiducia, in piena
comunione con Pietro che è venuto per confermare la vostra fede. Sono tante,
l'avete detto voi, Eminenza, le vostre e le nostre attuali preoccupazioni! So
che intendete impegnarvi con entusiasmo a lavorare entro il nuovo quadro
definito con la riorganizzazione della carta delle province ecclesiastiche, e
me ne rallegro vivamente. Vorrei profittare di questa occasione per riflettere
con voi su qualche tema che so essere al centro della vostra attenzione. La
Chiesa – Una, Santa, Cattolica e Apostolica - vi ha generati mediante il
Battesimo. Essa vi ha chiamati al suo servizio; voi le avete donato la vostra
vita, prima come diaconi e sacerdoti, poi come Vescovi. Vi esprimo tutto il mio
apprezzamento per questo dono delle vostre persone: nonostante l’ampiezza del
compito, che ne sottolinea l’onore – honor, onus ! – voi adempite con
fedeltà e umiltà il triplice vostro compito, nei confronti del gregge che vi è
affidato, di insegnare, governare, santificare, alla luce della Costituzione Lumen
gentium (nn.25-28) e del Decreto Christus Dominus. Successori degli
Apostoli, voi rappresentate il Cristo a capo delle diocesi che vi sono state
affidate, e vi sforzate di realizzare in esse l’immagine del Vescovo tracciata
da san Paolo; dovete crescere senza posa in questa via, nell’intento di essere
sempre più “ospitali, amanti del bene, assennati, giusti, pii, padroni di
voi stessi, attaccati alla dottrina sicura, secondo l’insegnamento trasmesso” (cfr
Tt 1,8-9).
Il
popolo cristiano deve guardarvi con affezione e rispetto. Fin dalle origini la
tradizione cristiana ha insistito su questo punto: “Tutti quelli che sono
per Dio e per Gesù Cristo, sono con il Vescovo” scriveva sant’Ignazio di
Antiochia (Ai Filad., 3,2), il quale aggiungeva pure: “Colui che il
padrone di casa invia per amministrare la sua casa, noi dobbiamo accoglierlo
come accoglieremmo colui che lo ha inviato” (Agli Efes. 6,1). La vostra
missione, soprattutto spirituale, sta dunque nel creare le condizioni
necessarie perché i fedeli possano, per citare di nuovo Sant'Ignazio, “cantare
ad una sola voce mediante Cristo un inno al Padre” (Ibid. 4,2) e in tal
modo fare della loro vita un’offerta a Dio. Voi siete giustamente convinti che
per far crescere in ogni battezzato il gusto di Dio e la comprensione del senso
della vita, la catechesi riveste un’importanza fondamentale. I due strumenti
principali di cui disponete, il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Catechismo
dei Vescovi di Francia, costituiscono mezzi preziosi. Offrono infatti una
sintesi armoniosa della fede cattolica e consentono di annunciare il Vangelo
con fedeltà reale alla sua ricchezza. La catechesi non è innanzitutto una
questione di metodo, ma di contenuto, come indica il suo stesso nome: si tratta
di un’assimilazione organica (katechein) dell’insieme della rivelazione
cristiana, capace di mettere a disposizione delle intelligenze e dei cuori la
Parola di Colui che ha dato la sua vita per noi. In questo modo, la catechesi
fa risuonare nel cuore di ciascun essere umano un unico appello rinnovato senza
posa: “Seguimi” (Mt 9,9).
Una
accurata preparazione dei catechisti consentirà la trasmissione integrale della
fede, secondo l’esempio di san Paolo, il più grande catechista di tutti i
tempi, al quale guardiamo con un’ammirazione particolare in questo bimillenario
della sua nascita. In mezzo alle cure apostoliche egli esortava così: “Verrà
giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina ma, per il prurito di
udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie
voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” (2
Tm 4,3-4). Consapevoli del grande realismo delle sue previsioni, con umiltà
e perseveranza voi vi sforzate di corrispondere alle sue raccomandazioni:
“Annunzia
la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna … con ogni
magnanimità e dottrina” (2 Tm 4,2). Per realizzare efficacemente
questo compito, voi avete bisogno di collaboratori. Per questo motivo le
vocazioni sacerdotali e religiose meritano più che mai di essere incoraggiate.
Sono stato informato delle iniziative che con fede vengono prese in questo
settore e ci tengo a recare tutto il mio sostegno a coloro che non hanno paura,
come ha fatto Cristo, di invitare giovani e meno giovani a mettersi al servizio
del Maestro che è qui e chiama (cfr Gv 11,28).
Vorrei
ringraziare calorosamente e incoraggiare tutte le famiglie, tutte le
parrocchie, tutte le comunità cristiane e tutti i Movimenti di Chiesa, che sono
il terreno fertile capace di dare il buon frutto (cfr Mt 13, 8) delle
vocazioni. In questo contesto, non posso tralasciare di esprimere la mia
riconoscenza per le innumerevoli preghiere dei veri discepoli di Cristo e della
sua Chiesa. Vi sono tra loro sacerdoti, religiosi e religiose, persone anziane
o malate, anche prigionieri, che per decenni hanno fatto salire a Dio le loro
suppliche per dar compimento al comando di Gesù: “Pregate il padrone della
messe perché mandi operai nella sua messe”(Mt 9,38). Il Vescovo e le
comunità di fedeli devono, per quel che le riguarda, favorire ed accogliere le
vocazioni sacerdotali e religiose, poggiando sulla grazia che dona lo Spirito
Santo in vista di porre in atto il discernimento necessario. Sì, carissimi
Fratelli nell’Episcopato, continuate a chiamare al sacerdozio e alla vita
religiosa, così come Pietro gettò le sue reti in adempimento dell’ordine del
Maestro, pur avendo passato la notte a pescare senza prendere nulla (cfr Lc 5,5).
Non
si ripeterà mai abbastanza che il sacerdozio è indispensabile alla Chiesa, nell’interesse
dello stesso laicato. I sacerdoti sono un dono di Dio per la Chiesa. I
sacerdoti non possono delegare le loro funzioni ai fedeli in ciò che concerne i
loro propri compiti. Cari Fratelli nell’Episcopato, vi esorto a perseverare con
ogni premura nell’aiutare i vostri sacerdoti a vivere in intima unione con
Cristo. La loro vita spirituale è il fondamento della loro vita apostolica. Li
esorterete pertanto con dolcezza alla preghiera quotidiana e alla degna
celebrazione dei Sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia e della
Riconciliazione, come faceva san Francesco di Sales con i suoi preti. Ogni
sacerdote deve potersi sentire felice di servire la Chiesa. Alla scuola del
Curato d’Ars, figlio della vostra Terra e patrono di tutti i parroci del mondo,
non cessate di ridire che un uomo non può far nulla di più grande che donare ai
fedeli il Corpo e il Sangue di Cristo e perdonare i peccati. Cercate di essere
attenti alla loro formazione umana, intellettuale e spirituale, come anche ai
loro mezzi di sussistenza. Sforzatevi, nonostante il carico delle vostre
pesanti occupazioni, di incontrarli regolarmente e sappiate riceverli come dei
fratelli ed amici (cfr LG 28, CD 16). I sacerdoti hanno bisogno
del vostro affetto, del vostro incoraggiamento e della vostra sollecitudine.
Siate loro vicini e abbiate un’attenzione particolare per coloro che sono in
difficoltà, malati o anziani (cfr CD 16). Non dimenticate che essi sono,
come dice il Concilio Vaticano II riprendendo la stupenda espressione usata da
sant’Ignazio di Antiochia nella Lettera ai cristiani di Magnesia, “la corona
spirituale del Vescovo”(cfr LG 41). Il culto liturgico è
l’espressione più alta della vita sacerdotale ed episcopale, come anche
dell’insegnamento catechetico. Il vostro compito di santificazione del popolo
dei fedeli, cari Fratelli, è indispensabile alla crescita della Chiesa.
Nel
“Motu proprio” Summorum Pontificum sono stato portato a precisare le
condizioni di esercizio di tale compito, in ciò che concerne la possibilità di
usare tanto il Messale del Beato Giovanni XXIII (1962) quanto quello del Papa
Paolo VI (1970). Alcuni frutti di queste nuove disposizioni si sono già
manifestati, e io spero che l’indispensabile pacificazione degli spiriti sia,
per grazia di Dio, in via di realizzarsi. Misuro le difficoltà che voi
incontrate, ma non dubito che potrete giungere, in tempi ragionevoli, a
soluzioni soddisfacenti per tutti, così che la tunica senza cuciture del Cristo
non si strappi ulteriormente. Nessuno è di troppo nella Chiesa. Ciascuno, senza
eccezioni, in essa deve potersi sentire “a casa sua”, e mai rifiutato. Dio, che
ama tutti gli uomini e non vuole che alcuno perisca, ci affida questa missione
facendo di noi i Pastori delle sue pecore. Non possiamo che rendergli grazie
per l’onore e la fiducia che Egli ci riserva. Sforziamoci pertanto di essere
sempre servitori dell’unità! Quali sono gli altri campi che richiedono maggiore
attenzione? Le risposte possono differire da una diocesi all’altra, ma vi è un
problema che appare dappertutto di una particolare urgenza: è la situazione
della famiglia. Sappiamo che la coppia e la famiglia affrontano oggi delle vere
burrasche. Le parole dell’evangelista a proposito della barca nella tempesta in
mezzo al lago possono applicarsi alla famiglia: “Il vento gettava le onde
nella barca, tanto che ormai era piena” (Mc 4, 37). I fattori che
hanno generato questa crisi sono ben conosciuti, e non mi soffermerò perciò ad
elencarli. Da vari decenni le leggi hanno relativizzato in molti Paesi la sua
natura di cellula primordiale della società. Spesso le leggi cercano più di
adattarsi ai costumi e alle rivendicazioni di particolari individui o gruppi,
che non di promuovere il bene comune della società. L’unione stabile di un uomo
e di una donna, ordinata alla edificazione di un benessere terreno, grazie alla
nascita di bambini donati da Dio, non è più, nella mente di certuni, il modello
a cui l’impegno coniugale mira. Tuttavia l’esperienza insegna che la famiglia è
lo zoccolo solido sul quale poggia l’intera società. Di più, il cristiano sa
che la famiglia è anche la cellula viva della Chiesa. Più la famiglia sarà
imbevuta dello spirito e dei valori del Vangelo, più la Chiesa stessa ne sarà
arricchita e risponderà meglio alla sua vocazione.
Conosco,
per altro, ed incoraggio vivamente gli sforzi che fate per recare il vostro
sostegno alle diverse associazioni che operano per aiutare le famiglie. Avete
ragione di attenervi con fermezza, anche a costo di andare controcorrente, ai
principi che fanno la forza e la grandezza del Sacramento del matrimonio. La
Chiesa vuol restare indefettibilmente fedele al mandato che le ha affidato il
suo Fondatore, il nostro Maestro e Signore Gesù Cristo. Essa non cessa di
ripetere con Lui: “Ciò che Dio ha unito l’uomo non lo separi!” (Mt 19,6).
La Chiesa non si è data da sola questa missione: l’ha ricevuta. Certo, nessuno
può negare l’esistenza di prove, a volte molto dolorose, che certi focolari
attraversano. Sarà necessario accompagnare le famiglie in difficoltà, aiutarle
a comprendere la grandezza del matrimonio, e incoraggiarle a non relativizzare
la volontà di Dio e le leggi di vita che Egli ci ha dato. Una questione
particolarmente dolorosa, lo sappiamo, è quella dei divorziati risposati. La
Chiesa, che non può opporsi alla volontà di Cristo, conserva con fedeltà il
principio dell’indissolubilità del matrimonio, pur circondando del più grande
affetto gli uomini e le donne che, per ragioni diverse, non giungono a
rispettarlo. Non si possono dunque ammettere le iniziative che mirano a benedire
le unioni illegittime. L’Esortazione apostolica Familiaris consortio ha
indicato il cammino aperto da un pensiero rispettoso della verità e della
carità.
I
giovani, lo so bene cari Fratelli, sono al centro delle vostre preoccupazioni.
Voi dedicate loro molto tempo, e avete ragione. Come avete potuto constatare,
ne ho appena contattato una moltitudine a Sydney, nel corso della Giornata
Mondiale della Gioventù. Ho potuto apprezzarne l’entusiasmo e la capacità di
consacrarsi alla preghiera. Pur vivendo in un mondo che li corteggia e
blandisce i loro bassi istinti, e portando essi pure il fardello pesante di
eredità difficili da assimilare, i giovani conservano una freschezza d’animo
che ha suscitato la mia ammirazione. Ho fatto appello al loro senso di responsabilità,
invitandoli a far leva sempre sulla vocazione che Dio ha loro donato nel giorno
del Battesimo. “La nostra forza sta in ciò che Cristo vuole da noi”, diceva
il Cardinal Jean-Marie Lustiger. Nel corso del suo primo viaggio in Francia, il
mio venerato Predecessore rivolse ai giovani del vostro Paese un discorso che
non ha perduto nulla della sua attualità e che ricevette allora un’accoglienza
di indimenticabile calore. “La permissività morale non rende l’uomo felice”,
proclamò nel Parco dei Principi sotto un uragano d’applausi. Il buon senso
che ispirava la sana reazione del suo uditorio non è morto.
Prego
lo Spirito Santo di voler parlare al cuore di tutti i fedeli e, più
generalmente, di tutti i vostri compatrioti, per dare loro – o per loro restituire
– il gusto di una vita condotta secondo i criteri di una vera felicità.
All’Eliseo ho evocato l’altro giorno l’originalità della situazione francese,
che la Santa Sede desidera rispettare. Sono convinto, in effetti, che le
Nazioni non devono mai accettare di veder sparire ciò che costituisce la loro
specifica identità. In una famiglia, il fatto che i diversi membri abbiano lo
stesso padre e la stessa madre non comporta che essi siano soggetti tra loro
indifferenziati: sono in realtà persone con una propria individualità. La
stessa cosa avviene per i Paesi, che devono vegliare a preservare e a
sviluppare la loro specifica cultura, senza lasciarla mai assorbire dalle altre
o affogare in una spenta uniformità. “La Nazione è, in effetti, per
riprendere le parole del Papa Giovanni Paolo II, la grande comunità degli
uomini uniti tra loro da legami diversi, ma soprattutto precisamente dalla
cultura. La Nazione esiste ‘mediante’ la cultura e ‘per’ la cultura, ed essa è
perciò la grande educatrice degli uomini perché, nella comunità, possano
’essere ancora di più’” (Discorso all’UNESCO, 2 giugno 1980, n.14).
In
questa prospettiva, il porre in evidenza le radici cristiane della Francia
permetterà ad ogni abitante di questo Paese di meglio comprendere da dove egli
venga e dove egli vada. Di conseguenza, nel quadro istituzionale esistente e
nel massimo rispetto delle Leggi in vigore, occorrerebbe trovare una strada
nuova per interpretare e vivere nel quotidiano i valori fondamentali sui quali
si è costruita l’identità della Nazione. Il vostro Presidente ne ha evocato la
possibilità. I presupposti socio-politici dell’antica diffidenza o persino
ostilità svaniscono poco a poco. La Chiesa non rivendica per sé il posto dello
Stato. Essa non vuole sostituirglisi. E’ infatti una società basata su
convinzioni, che si sente responsabile dell’insieme e non può limitarsi a se
stessa. Essa parla con libertà e dialoga con altrettanta libertà nel desiderio
di giungere alla edificazione della libertà comune. Grazie ad una sana collaborazione
tra la Comunità politica e la Chiesa, realizzata nella consapevolezza e nel
rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia di ciascuna nel proprio campo, si
rende all’uomo un servizio che mira al suo pieno sviluppo personale e sociale.
Numerosi punti, primizie di altri che vi si aggiungeranno secondo le necessità,
sono già stati esaminati e risolti in seno alla “Istanza di Dialogo tra la
Chiesa e lo Stato”. Di questa fa naturalmente parte, in virtù della missione
sua propria e in nome della Santa Sede, il Nunzio Apostolico, che è chiamato a
seguire attivamente la vita della Chiesa e la sua situazione nella società.
Come
sapete, i miei Predecessori, il Beato Giovanni XXIII, antico Nunzio a Parigi, e
il Papa Paolo VI hanno costituito dei Segretariati che sono divenuti, nel 1988,
il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e il
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Vi si aggiunsero ben presto
la Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo e la Commissione per i
Rapporti religiosi con i Musulmani. Questa strutture sono in qualche modo il
riconoscimento istituzionale e conciliare di innumerevoli iniziative e
realizzazioni anteriori. Commissioni e Consigli simili si trovano del resto
nella vostra Conferenza Episcopale e nelle vostre diocesi. La loro esistenza e
il loro funzionamento dimostrano la volontà della Chiesa di andare avanti
sviluppando il dialogo bilaterale. La recente Assemblea plenaria del Pontificio
Consiglio per il Dialogo Interreligioso ha messo in evidenza che il dialogo
autentico richiede, come condizioni fondamentali, una buona formazione per
coloro che lo promuovono e un discernimento illuminato per avanzare poco a poco
nella scoperta della Verità. L’obiettivo dei dialoghi ecumenico e interreligioso,
differenti naturalmente nella loro natura e nelle finalità rispettive, è la
ricerca e l’approfondimento della Verità. Si tratta di un compito nobile e
obbligatorio per ogni uomo di fede, perché Cristo stesso è la Verità. La
costruzione di ponti tra le grandi tradizioni ecclesiali cristiane e il dialogo
con le altre tradizioni religiose esigono un reale impegno di conoscenza
reciproca, perché l’ignoranza distrugge più che costruire. D’altra parte, non
v’è che la Verità che permetta di vivere autenticamente il duplice comandamento
dell’amore che ci ha lasciato il nostro Salvatore. Certo, è necessario seguire
con attenzione le diverse iniziative intraprese e discernere quelle che
favoriscono la conoscenza e il rispetto reciproci, così come la promozione del
dialogo, ed evitare quelle che conducono in vicoli ciechi. La buona volontà non
basta. Sono convinto che convenga cominciare con l’ascolto, per poi passare
alla discussione teologica ed arrivare infine alla testimonianza e all’annuncio
della fede stessa (cfr Nota dottrinale su certi aspetti
dell’evangelizzazione, n.12: 3 dicembre 2007).
Lo
Spirito Santo vi doni il discernimento che deve caratterizzare ogni Pastore.
San Paolo raccomanda: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1 Ts 5,21).
La società globalizzata, pluriculturale e plurireligiosa nella quale viviamo, è
un’opportunità che il Signore ci offre di proclamare la Verità e di esercitare
l’Amore, nell’intento di raggiungere ogni essere umano senza distinzione, anche
al di là dei limiti della Chiesa visibile. Nell’anno che precedette la mia
elezione alla Sede di Pietro, ebbi la gioia di venire nel vostro Paese per
presiedervi le cerimonie commemorative del sessantesimo anniversario dello
sbarco in Normandia. Raramente ho avvertito come allora l’attaccamento dei
figli e delle figlie di Francia alla terra dei loro antenati. La Francia
celebrava allora la sua liberazione temporale, al termine di una guerra crudele
che aveva fatto innumerevoli vittime. Ora, è soprattutto per una vera
liberazione spirituale che conviene lavorare. L’uomo ha sempre bisogno di
essere liberato dalle sue paure e dai suoi peccati. L’uomo deve senza sosta
imparare o re-imparare che Dio non è suo nemico, ma suo Creatore pieno di
bontà. L’uomo ha bisogno di sapere che la sua vita ha un senso e che egli è
atteso, al termine della sua permanenza sulla terra, a prendere parte senza
fine alla gloria di Cristo nei cieli. Vostra missione è di condurre la porzione
di Popolo di Dio affidata alle vostre cure a riconoscere questo termine glorioso.
Vogliate accogliere qui l’espressione della mia ammirazione e della mia
gratitudine per tutto quel che fate nell’intento di progredire in questo senso.
Siate certi della mia preghiera quotidiana per ciascuno di voi. Vogliate
credere che non cesso di domandare al Signore e alla sua Madre di guidarvi
sulla vostra strada.
Con
gioia ed emozione vi affido, carissimi Fratelli nell’Episcopato, a Nostra
Signora di Lourdes e a santa Bernadette. La potenza di Dio si è sempre
manifestata nella debolezza. Lo Spirito Santo ha sempre lavato ciò che era
sordido, irrigato ciò che era arido, raddrizzato ciò che era sviato. Il Cristo
Salvatore, che ha voluto fare di noi strumenti di comunicazione del suo amore
agli uomini, non cesserà mai di farvi crescere nella fede, nella speranza,
nella carità, per darvi la gioia di condurre a Lui un numero crescente di
uomini e di donne del nostro tempo. Nell’affidarvi alla sua forza di Redentore,
imparto a voi tutti dal profondo del cuore un’affettuosa Benedizione
Apostolica.
Grazie!
[Traduzione dal francese distribuita dalla Santa Sede. Aggiunte a
braccio a cura di ZENIT
© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]