Ritiro spirituale per i
Seminaristi
del Collegio Sedes Sapientiae
Roma, 21 febbraio 2009
«dall’identità sacerdotale,
la formazione sacerdotale»
I parte
Intervento di S.E.R. Mons. Mauro
Piacenza,
Arcivescovo titolare di
Vittoriana,
Segretario della Congregazione per
il Clero,
Rev.mo
Rettore,
Venerati
Confratelli nel Sacerdozio,
Cari
Seminaristi,
Sono
molto lieto di essere tra di voi, in questo momento di ritiro spirituale che ci
introduce al tempo di Quaresima, che inizierà il prossimo 25 febbraio,
mercoledì delle Ceneri.
Il tempo della formazione al Sacerdozio
ministeriale è un “tempo sacro”, unico ed irripetibile, nel quale si pongono le
fondamenta dell’intera esistenza futura, nel quale si deve concedere al Signore
tutto lo spazio di cui Egli ha bisogno per plasmare il suo apostolo, per
educare a quella apostolica vivendi forma
che rappresenta il nucleo essenziale di un’esistenza chiamata, trasformata in
“ripresentazione” dello stesso Cristo ed inviata perché gli uomini «abbiano la
vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Vivete, carissimi amici, con
intensità e generosità questo tempo, che è unico ed irripetibile e dal quale
tanta parte del vostro ministero dipenderà; non solo nella sua essenziale
dimensione culturale – anche se spesso questa “preoccupa” molto i Seminaristi
(immagino abbiate appena finito la sessione invernale degli esami e mi auguro,
anzi sono certo, che per tutti siano andati “gloriosamente”!) –
dicevo che il vostro ministero dipenderà non solo
dalla formazione intellettuale, ma anche, e soprattutto, dell’intimità con
Cristo che, in questi anni saprete accogliere dalla sua Grazia e costruire con
la vostra libertà.
In questa prima parte della nostra
meditazione, vorrei soffermarmi con voi sui fondamenti e sull’intima natura della
vocazione sacerdotale, riservando alla seconda parte qualche riflessione, anche
più pratica, sulla vita seminaristica o, mi piace dire, “pre-sacerdotale”.
C’è un passo, straordinariamente bello,
del Capitolo 21 del Vangelo secondo Giovanni, che potrebbe essere riconosciuto
come la radice della vocazione
sacerdotale e l’Esortazione Apostolica Pastores
dabo vobis, che tutti bene conoscete, lo riprende con lucida indicazione al
n. 42, affermando: «Formarsi al sacerdozio significa abituarsi a dare una risposta
personale alla questione fondamentale di Cristo: “Mi ami tu?”. La risposta per
il futuro sacerdote non può essere che il dono totale della propria vita».
Nel dialogo intimo e tenerissimo tra Gesù
e Pietro c’è il segreto della vocazione, di questa grazia straordinaria che ci
è stata riservata, che mai avremmo potuto meritare e alla quale la nostra
esistenza vuole consapevolmente rispondere: «Signore tu sai tutto. Tu sai che
io ti amo».
Ritengo che la scelta del Servo di Dio
Giovanni Paolo II, di venerata memoria, di collocare in un tale contesto
teologico-spirituale il mistero della vocazione, sia gravida di importanti conseguenze.
«Signore tu sai tutto. Tu sai che io ti
amo»
A fondamento della vocazione sacerdotale,
infatti, c’è il rapporto d’amore intenso, appassionato, divampante, esclusivo e
totalizzante tra Cristo Signore ed il chiamato. Senza questa esperienza
“travolgente”, che cambia, e in certo senso sconvolge, la vita, non si dà
autentica vocazione, vera comprensione dell’agire potente di Dio, nella vicenda
storica di ciascuno.
Quest’amore, che ovviamente ha origini
divine, coinvolge realmente il cuore umano, l’intelligenza, la libertà, la
volontà e l’affettività del chiamato, poiché, in forza stessa della profonda
unità dell’uomo, tutte le dimensioni dell’io sono come “rapite” e profondamente
plasmate dalla chiamata del Signore.
Quest’amore per il Signore, unico reale
fondamento della Vocazione, si documenta in un aspetto, oggi purtroppo non
sufficientemente sottolineato, ma assolutamente centrale, della vita del
seminarista e, in futuro, del
Sacerdote: l’amore alla divina Presenza di Cristo Risorto nell’Eucaristia.
Nell’adorazione noi tutti possiamo ripetere a Cristo Risorto, realmente
presente, «Signore tu sai tutto. Tu sai che io ti amo».
Credo che l’adorazione eucaristica
dovrebbe diventare una pratica quotidiana e prolungata, tale da segnare la
formazione a quella Apostolica vivendi
forma che altro non era che lo “stare con Lui”, condividendo la Sua vita, i
Suoi pensieri, la Sua Croce e, così, la sua Gloria.
Quante…! Quante cose maturano sotto il
Sole eucaristico. E se ci si abbronza la pelle rimanendo esposti ai raggi del
sole astronomico, quale processo di crescita, di “cristificazione” accadrà
stando sotto i raggi del Sole eucaristico?
La vocazione nasce, cresce, si sviluppa, si mantiene fedele e feconda,
solo nell’intenso rapporto con Cristo.
Dall’Adorazione della Presenza reale,
l’intelligenza deve comprendere che è Gesù di Nazareth, Signore e Cristo,
l’unica verità, la verità totale, l’unico insurrogabile Salvatore! Diversamente
come si potrebbe acculturare cristianamente il futuro Sacerdote? Dove potrebbe
trarre alimento quella missionarietà che deve urgere come un fiume in piena?
Certamente, un generico volontarismo,
magari impegnato nella promozione di pur giusti valori umani ed un generico
sentimento di solidarietà, non sono ragioni sufficienti per dare la vita, nel
martirio quotidiano della verginità, dell’obbedienza e del servizio e - se
chiamati - nel martirio della testimonianza fino all’effusione del sangue.
Non si dà la vita per un’idea o per un
“valore”! Si dona la vita per una Persona! Una Persona conosciuta, amata, e
dalla quale si è amati: questo è il rapporto con Cristo, anche
dell’intelligenza e della vera formazione intellettuale.
Dall’Adorazione della Presenza reale, il
cuore deve sentire l’esclusività dell’amore. Un amore che incendia tutto in noi
e intorno a noi! Anche la vera radice del sacro celibato è in quest’amore.
Lungi dall’essere una mera norma disciplinare, come alcuni vorrebbero far
intendere, il sacro celibato, o meglio la verginità per il regno dei cieli, è
la traduzione esistenziale dell’Apostolica
vivendi forma che, a imitazione di Gesù stesso, pone Dio al primo ed unico
posto, anche negli affetti. La “legge ecclesiastica” è solo ovvia conseguenza.
Dall’Adorazione della Presenza reale si
comprende perfino il senso profondo della disciplina ecclesiastica, cioè
dell’essere discepoli di Cristo, nella Chiesa. La tanto vituperata disciplina
ecclesiastica non è altro che discepolanza! Ne dobbiamo recuperare urgentemente
le radici fatte di amore a Cristo ed alle anime, in ragione di Lui. Amiamo la
disciplina per essere veri Discepoli!
L’Adorazione della Presenza reale è la
vera, e in fondo unica, “scuola della gioia”; in Cristo anche il sacrificio è
gioia, perché è partecipazione al grande disegno di salvezza, voluto dal Padre
per la salvezza degli uomini.
La penitenza, in quest’ottica, è
recuperata nel suo valore soprannaturale, divenendo una vera e propria virtù,
in quella tradizione, mai banale, carica di amore e tenerezza verso il Signore,
fatta di continue attenzioni a Lui, di quella permanente memoria Crucis che caratterizza la vita dei Santi e dei Mistici,
fino al giusto recupero dei “fioretti”, cioè di quegli atti continui di memoria
e offerta, che rendono la giornata totalmente colma di Cristo e della sua
Presenza. Occorre però umiltà, semplicità, infanzia spirituale. Via i
“cerebralismi”, gli atteggiamenti intellettualoidi, via gli atteggiamenti di
dubbiosità e i disdicevoli “scientismi”. Cerchiamo di essere mentalmente sani,
leali, sinceri, semplici!
Solo in quest’ottica, anche nella
formazione seminaristica, è possibile comprendere, nella propria carne, che
cosa sia l’appartenenza al Corpo Mistico e l’agire in Persona Christi, partecipando, anche attraverso le proprie
sofferenze, al mistero della sostituzione vicaria, che il Sacerdote è chiamato
a vivere in se stesso quotidianamente.
Un sacerdote che abbia questa coscienza
della Presenza reale di Cristo, sarà un uomo di Dio, casto, obbediente, totalmente
distaccato da se stesso, quindi libero!
L’obbedienza, nella Chiesa, è certamente
un consiglio evangelico, una virtù morale, ma è, soprattutto, una
ripresentazione permanente di Cristo stesso, “obbediente fino alla morte e alla morte di Croce” (Cf. Fil 2,8),
ripresentazione di quell’amore che è redenzione che scorre dall’albero della
Croce, che è obbedienza e questa obbedienza è amore, puro amore!
Solo a queste condizioni è possibile
educare al vero senso della Chiesa, all’amore alla Santa Madre che tutti ci ha
generati e genera, nella fede e nel santo sacerdozio cattolico.
Per troppo tempo, e in troppi luoghi, si è
lasciato che il mondo educasse i seminaristi, lasciati, abbandonati all’osmosi
con il clima diffuso in una società relativista, edonista, narcisistica e, in
definitiva, anti-cattolica!
In tal modo si è permesso che il mondo
condizionasse il pensiero dei seminaristi, il loro dire, il criticare e
giudicare la Madre, ovvero la Chiesa, il cedere a categorie storico-politiche,
imposte dall’ermeneutica della “discontinuità”, all’interno dell’unico soggetto
ecclesiale. Infine perfino il vestire, il cantare, un certo irresponsabile modo
gi gestire la “vita affettiva”, con un uso immaturo e superficiale della gestualità,
tutti aspetti mutuati dal mondo! Ben sappiamo che spirito del mondo e Spirito
di Dio sono in opposizione. Così come sappiamo che il luogo teologico non è il
mondo, bensì la Chiesa, presenza di Cristo nel mondo.
In che cosa alcuni seminaristi differiscono
dai loro coetanei secolarizzati?
Si è creata non un’eresia, che avrebbe
fatto reagire prontamente il Corpo ecclesiale, ma un clima generale, come una
nebbia che tutto avvolge, rendendo incapaci di vedere e distinguere con
chiarezza tra bene e male, vero e falso, virtù e vizio. Amen.
Ritiro spirituale per i
Seminaristi
del Collegio Sedes Sapientiae
Roma, 21 febbraio 2009
«dall’identità sacerdotale,
la formazione sacerdotale»
II parte
Intervento di S.E.R. Mons. Mauro
Piacenza,
Arcivescovo titolare di
Vittoriana,
Segretario della Congregazione per
il Clero,
Carissimi,
in
questa seconda parte del nostro ritiro, vorrei provare a tradurre, quanto
richiamato nella prima, nella concreta esperienza esistenziale della vita
seminaristica, tempo prezioso ed irripetibile di formazione e di crescita. Lo
faccio avendo sempre, come sfondo, i noti quattro ambiti - umano, spirituale
intellettuale e pastorale - della formazione indicati con chiarezza dalla Pastores dabo Vobis, ma declinandoli secondo
un tratto più immediato, in tre punti: la preghiera, lo studio e le relazioni
interpersonali.
1. La
preghiera
Come
accennato nell’ampio riferimento all’adorazione eucaristica, la preghiera
costituisce l’ossatura di tutta la formazione al sacerdozio. Dall’importanza
data alla preghiera, si evince anche l’idea di sacerdote che il candidato ha in
mente sia come modello da imitare, sia come progetto da realizzare. Se il
sacerdote è, come è, uomo di Dio, mediatore, quale alter Christus tra Dio e gli uomini, immagine di Cristo vivo
presente in mezzo al suo popolo, allora la preghiera non potrà che essere il
pilastro di tutta la sua esistenza, sin dal tempo del seminario. Se, al
contrario, ci fosse il pericoloso tentativo di ridurre il sacerdote ad “operatore
pastorale”, “animatore della comunità” o, peggio, a mero “operatore sociale”,
allora necessariamente, saranno altri gli ambiti da privilegiare e la preghiera
non avrà più lo spazio che necessariamente merita e necessita.
In
seminario è pertanto necessario che ci si educhi continuamente alla preghiera,
e la prima via di questa educazione è la “regola
di preghiera”. Oltre ai momenti comunitari, l’adesione fedele, lieta e
cordiale ad essi è il primo segno di un’autentica vocazione; è bene che
ciascuno abbia un proprio “programma di preghiera”, al quale attenersi, come al
lavoro della giornata, come risposta fedele a ciò che il Signore e la Sua
Chiesa ci domandano. Carissimi seminaristi, quando ci alziamo al mattino, la
“regola” della giornata ci deve precedere! Dobbiamo sapere ciò che faremo! E
non per il gusto di controllare tutto, magari non lasciando spazio alla
creatività ed alle sorprese che il Signore può riservarci, ma per essere
umilmente consapevoli della fragilità della nostra libertà ferita e, conseguentemente,
per dare davvero a Dio “ciò che è di Dio”.
La
costante fedeltà alla Liturgia delle Ore,
non si improvvisa dopo l’ordinazione! Se essa non è divenuta “struttura di
vita” durante il tempo del seminario, si rischia, con il sopraggiungere di tutte
le incombenze pastorali, di essere sacerdoti infedeli al Breviario e, quindi ,
in permanente peccato di fronte a Dio ed alla Chiesa! Talvolta si odono teorie,
a tale riguardo, secondo le quali non sarebbe poi un così grave peccato non
pregare il Breviario, se si prega diversamente o se si è occupati in altre
incombenze, comunque di carattere pastorale. Mi si permetta: nulla di più
falso! Se, in casi assolutamente eccezionali, è lecito, con il permesso del
confessore, valutata ogni circostanza, applicare l’adagio “ufficium pro officio”, è necessario ricordare che si tratta di casi
assolutamente eccezionali, che non possono, né devono, divenire la norma. La
liturgia delle Ora è l’offerta costante della nostra vita, del nostro operare,
al Signore, riconoscendo che tutto da Lui proviene ed a Lui ritorna. Educarsi
alla fedeltà radicale all’Ufficio divino è una delle tappe fondamentali di un
buon cammino seminaristico e costituisce una importante presa di coscienza
della responsabilità che si ha verso
l’intero corpo ecclesiale, costituisce altresì un atteggiamento di amore verso
il mondo intero che deve essere fasciato dalla nostra orazione.
Altrettanto
centrale è la fedeltà alla Santa Messa
quotidiana! Sempre anche in mancanza dei fedeli partecipanti. La Messa
privata non è mai privata! Quale tristezza vedere sacerdoti che non celebrano
quotidianamente la Santissima Eucaristia, mostrando di non aver compreso
adeguatamente quale grande mistero il Signore a posto nelle loro mani: mistero
di Vita e di Salvezza, mistero ci croce e di Risurrezione, per il bene
dell’intera umanità. Teorie come l’utilità del “digiuno eucaristico” non hanno
alcun fondamento né teologico né pastorale, ma solo la sovrapposizione del
proprio sentire soggettivo, all’oggettività del ministero affidatoci da Cristo
Signore. Amare, desiderare, servire, godere la Santa Messa è presupposto
indispensabile per celebrarla degnamente e fedelmente, un giorno, da sacerdoti.
L’orazione mentale, o meditazione, è lo
spazio che ciascuno si ritaglia per dialogare umilmente e personalmente con il
Signore; un’abitudine che è necessario assumere in seminario e “difendere” dopo
l’ordinazione. Com’è edificante che i fedeli vedano i propri sacerdoti raccolti
in preghiera o in meditazione! Come è importante che ci si educhi in questo
prezioso tempo di formazione, a “condividere con Cristo” tutto della nostra
vita, presentandogli i problemi, facendo discernimento alla Sua presenza,
concependoci come discepoli che non muovono un passo senza il loro Signore.
L’unica reale dipendenza affettiva che c’è concessa, è quella da Cristo Signore
e dal Suo corpo, che è la Santa Chiesa. Possiamo, anzi dobbiamo, avere “un
debole” per Cristo e per la Chiesa e l’orazione fedele, è la regola che
disciplina tutta la preghiera della nostra giornata, sono per noi stessi
innanzitutto, la testimonianza della verità di questa nostra vocazione.
Lo
ripeto, anche a costo di sembrare insistente! La preghiera è un lavoro, non a
caso la chiamiamo Opus Dei! E come
tale deve trovare, nella giornata del seminarista, e poi del prete, tutto lo
spazio necessario, vincendo, sin d’ora, ogni tentazione di attivismo
immanentista. Se non si prega, ci si stanca ma si realizza nulla!
L’ultimo
cenno, per questo primo punto, lo dedico al Santo Rosario ed alle pie
invocazioni. Non deve esserci una giornata del sacerdote senza la recita
del Santo Rosario, almeno di una corona! Il Beato Giovanni XXII pregava ogni
giorno l’intero Santo Rosario con tre ordini di misteri e quindi 150 AveMaria.
Non credo che qualcuno possa rivendicare impegni maggiori di quelli di un
Pontefice! Il Rosario, e con esso le pie invocazioni, si “impastano” con ogni
istante della vita, sostenendo quella che già i monaci del IV secolo chiamavano
la “memoria Christi”.
Come “essere Gesù” per gli uomini del
nostro tempo, senza guardare continuamente a Lui, senza “respirare Cristo” in
ogni momento, senza accompagnare gli istanti della vita con la memoria umile,
devota e totalizzante del nostro dolcissimo Salvatore? Tutto questo, carissimi
amici, si impara negli anni della formazione seminaristica e diviene abitus, abitudine – o meglio virtù – che
accompagna, poi, l’intera esistenza. Difficilmente, se non si acquisisce nel
tempo del seminario la virtù santa della preghiera e la rigorosa fedeltà a tutti
i gesti che la Chiesa ci domanda, lo si potrà fare successivamente. E ci si
esporrà, in tal modo, al penoso rischio del fallimento sia personale sia di
apostolato.
2. Lo studio
Profondamente
spirituale deve essere, nel tempo del seminario, anche la dimensione dello
studio. Certamente sono comprensibili alcune difficoltà, legate alla lingua e
all’aver iniziato un nuovo percorso, magari tanto differente dal tipo di
formazione da cui si proviene, tuttavia è sempre necessario ricordare un dato
fondamentale per la formazione intellettuale di un futuro sacerdote: noi
studiamo Colui che amiamo! Lo studio deve essere, in ogni materia e, ovviamente
con maggiore evidenza nella teologia, uno Studium
Christi! Un saper ricercare e rintracciare, in tutto ciò che si studia, la
Sua dolcissima e costante presenza. Del resto, il fine di tutto il percorso
filosofico-teologico, altro non è se non quello di aiutare il candidato al
sacerdozio a conoscere meglio, anche con l’intelligenza umana, il Suo Signore,
in modo da essere sempre pronti, come uomini e come ministri della Chiesa, a
«rendere ragione della speranza» che è in noi.
E aggiungo, rendere ragione innanzitutto
“a se stessi”! Se l’approfondimento della teologia annebbiasse la nostra fede,
invece che irrobustirla, non la rendesse sanamente critica ma, al contrario,
criticamente scettica, allora lo studio avrebbe fallito il proprio obiettivo!
Noi studiamo per edificare nella carità, non per altro, come affermava san Bernardo di Chiaravalle:
«C’è chi vuol conoscere al solo fine di conoscere, e questo è turpe curiosità.
E chi vuol conoscere per essere lui stesso conosciuto, e questa è turpe vanità,
e chi, ancora, vuol conoscere per vendere la sua conoscenza, grazie alla
capacità di fare dei discorsi in cambio di denaro e onori, e questo è turpe
commercio. Ma v’è pur chi vuol conoscere per essere edificato, e questo è
prudenza, e conoscere per edificare, e questa è carità».
Il seminarista è chiamato a studiare per
“imparare Cristo” e per edificare nella carità tutti i fratelli che il Signore
gli vorrà affidare nel ministero.
Per tutte queste ragioni, anche lo studio,
come la preghiera, è un vero e proprio lavoro; esso deve essere attentamente
programmato sia nei tempi, costanti e fedeli e, in parte, da mantenersi poi per
tutta la vita sacerdotale – un sacerdote che non leggesse mai un buon libro di
dottrina o di spiritualità, diverrebbe presto arido – sia nei contenuti. Questi
soprattutto non devono mai essere lasciati al caso. Il poco tempo a
disposizione, le energie a volte assorbite in varie attività e la stessa
responsabilità che abbiamo verso Dio e verso i fratelli, ci impongono di
scegliere con grande oculatezza le nostre letture, nella certa consapevolezza
che nessun testo è neutrale: o edifica o demolisce.
Una giusta e solida teologia, come ha
recentemente ricordato il Card. Biffi nell’ottimo saggio, che mi permetto di
consigliare a tutti, dal titolo: “Pecore e Pastori”, è a fondamento di tutta
l’azione formativa del seminario, perché «possa chiaramente offrire nell’atto
di fede, che sta alla sua origine, il punto di connessione e il principio di
armonia di tutte le proposte educative» (Ivi,
p. 233). Una corretta e solida formazione teologica è garanzia di solidità del
sacerdote, ne sostiene la spiritualità personale e l’apostolato missionario.
Dovete amare lo studio, vivere nello Studium
Christi e “imparare Roma”, sfruttando appieno la grande opportunità che vi
è stata data di studiare nella Città Eterna, che è stata impregnate dal sangue
dei martiri Pietro e Paolo e nella quale il Papa è fondamento visibile
dell’unità della Chiesa. Anche qui, qualche piccolo consiglio, può aiutare. Ad
esempio è necessario, in base alla mole di lavoro da svolgere, sapere con
anticipo quanto tempo si dedicherà allo studio, non lasciando che nulla accada
per caso; poi è bene introdursi con un momento di preghiera e di invocazione
allo Spirito che illumini e guidi la mente; le pause - non troppe - devono essere disciplinate, quasi cronometrate,
perché il tempo è di Dio, non nostro; infine è necessario superare la
tentazione di studiare per la prova d’esame, che pure è importante: si studia
per conoscere la teologia e, attraverso di essa, conoscere maggiormente il
Mistero di Dio, di Gesù Cristo, della Chiesa e, in Essa, della Beata Vergine Maria,
che ne è impareggiabile Icona.
3. Le
relazioni interpersonali
Il
terzo ed ultimo aspetto che vorrei sottolineare, sempre specularmente a quanto
affermato dall’Esortazione Apostolica Pastores
Dabo Vobis, rispetto agli ambiti della formazione, riguarda le relazioni
interpersonali.
Oggi,
nella quasi totalità dei casi, i giovani che si affacciano alla vita consacrata
o al cammino verso il sacerdozio, provengono da esperienze molto differenti,
rispetto al tempo nel quale il seminario minore educava e plasmava la
personalità sacerdotale fin dalla fanciullezza, permettendo che la stessa
struttura umana e psicologica del candidato, coincidesse con l’ideale del
sacerdozio cattolico. Questo non è più la norma e, inoltre, si giunge al
Seminario con tutto un bagaglio di esperienze, di ogni genere, dalle quali, non
di rado e con autentico discernimento, è necessario purificarsi, nell’umile
consapevolezza che anche le relazioni umane sono, in certo senso, “luogo
teologico” perché il Signore vi si manifesti.
La prima “palestra” di allenamento a
vivere le relazioni umane, non secondo il mondo, ma secondo Dio, è la stessa
comunità del Seminario. Le fatiche caratteriali e le differenze umane non
impediscono, tanto più in una comunità religiosa, di riconoscere la grandezza
della vocazione all’unità, e quindi di entrare serenamente in rapporto gli uni
con gli altri, partendo dalla comune vocazione e adesione a Cristo. Se questa
esplicita adesione non è visibile, si censura la ragione unica di ogni forma di
vita comunitaria: solo per Cristo è possibile condividere la vita e solo per
Lui noi siamo pronti ad martirio, anche a quello violento.
In quest’ottica le relazioni ed il tratto
con cui le viviamo, divengono vero e proprio “appello di conversione” per
ciascuno e per coloro che vivono intorno a noi.
Il seminarista non può conservare, nel
cammino verso il presbiterato, i medesimi atteggiamenti, nelle relazioni con le
persone, che aveva prima della scelta per Cristo. Egli sarà pastore, dovrà
mostrare il volto del Buon Pastore ed essere icona di quella benevolenza e
mitezza, ma anche verità a fortezza, che caratterizza la santa umanità di Gesù.
Il seminarista sperimenterà ,
progressivamente, con quale dose di mistero si presenta la complessità della
vita degli uomini, che vede, inesorabilmente
perdere quella sintesi, semplice ma essenziale, di cui tanto abbiamo
bisogno, con tutte le conseguenze del caso. Per questa ragione, già protesi
a quando diventerete sacerdoti, è necessario che sappiate essere attenti a
tutti i rapporti, per obbligo di giustizia e per amore di carità,
contraddicendo con l’aiuto della volontà, ogni tentativo, subdolo e nascosto di
relazionarsi ancora secondo il mondo e non secondo Dio.
Certamente la capacità di relazionarsi con
gli altri, non s’improvvisa. E’ possibile essere più o meno timidi o più o meno
spigliati nel modo di porsi, ma un reale rapporto con “il mondo dell’altro” è
unicamente frutto di un lavoro, lungo e faticoso, su se stessi e sul proprio
modo di relazionarsi.
Qualche volta può capitare di non
sopportare nessuno intorno a noi, di preferire il silenzio e la solitudine: è
del tutto normale, anzi sarebbe strano il contrario. Tuttavia, per natura (=
strutturalmente, nella propria costituzione), l’uomo è un essere sociale.
Egli non esiste senza gli altri, senza quell’elemento indispensabile che si
chiama relazione interpersonale.
La relazione interpersonale, per quanto
difficile e faticosa possa sembrarci, è il luogo più importante per la nostra
crescita umana. Il confronto con l’altro, diverso da me, “altro” da me, mi
consente di accorgermi della realtà che mi sta intorno, di percepirne la
complessità e il significato.
Il rapporto con l’altro mi aiuta ad uscire
da me stesso e ad accorgermi che tutta la realtà non coincide con il mio io,
con le mie esigenze strettamente soggettive, potremmo dire con il mio
“ombellico”. E’ un allenamento duro, ma assolutamente indispensabile. E’
nella relazione che l’io cresce, divenendo più autenticamente uomo.
Il Sacerdote,
uomo di Dio, non può mai essere preda di sentimenti ed istinti non adeguati al
compito che Dio gli ha assegnato. Dobbiamo credere che, con il dono della
vocazione, lo Spirito permetta anche quella “fioritura umana”, di cui tutti
abbiamo fatto e facciamo esperienza, e che – sola – è capace di accogliere il
dono soprannaturale della vocazione.
Preghiera,
studio e relazioni interpersonali, costituiscono così la traduzione
esistenzialmente prossima della formazione umana, spirituale, intellettuale e
pastorale, come indicate dalla Pastores
Dabo Vobis, ma rappresentano anche quei tratti distintivi dell’ottimo
seminarista che diverrà certamente un buon sacerdote. Perché, è bene
ricordarlo, un ottimo seminarista, sarà un buon Sacerdote, un buon seminarista
sarà un discreto sacerdote, ma un seminarista appena sufficientemente
impegnato, non potrà essere un buon sacerdote, perché quasi necessariamente
avviene, dopo l’ordinazione, quel processo di “rilassatezza” e sicurezza di se
stessi, che porta ad “allentare”, umanamente parlando, la tensione.
Allora siate
tutti ottimi seminaristi, implorando costantemente dalla Beata Vergine Maria,
Madre dei Sacerdoti, Regina degli Apostoli e Sede della Sapienza, tutti quei
doni e quelle Grazie che solo Lei, Madre del bell’Amore, è in grado di ottenere
dall’Onnipotente, per i suoi figli amati e prediletti.
Buona,
anzi ottima Quaresima.