CAPITOLO PRIMO

 

Indicazioni metodologiche e bibliografiche[1]

 

 

 

1. Introduzione al tema, con riferimento alla Pastores dabo vobis (= PDV)

 

Per quanto riguarda la formazione sacerdotale, il riferimento alle origini della Chiesa è non soltanto utile, ma addirittura «obbligatorio». Per la sua prossimità cronologica a Cristo e agli apostoli, infatti, la Chiesa delle origini è testimone privilegiato del rapporto formativo che Gesù stabilì con i suoi discepoli, e al quale sempre la Chiesa dovrà ricondursi per cogliere il vero signi­ficato della formazione presbiterale.[2]

Di fatto il riferimento ai Padri della Chiesa come maestri di formazione sacerdotale scorre in modo implicito lungo molte pagine dell'Esortazione apostolica Sulla formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali (PDV),  e vi è presente anche in modo esplicito, soprattutto nelle citazioni di sant'Agostino (undici) e di qualche altro Padre (Cipriano, Beda).

Inoltre, parlando della formazione teologica del presbitero, l'Esortazione afferma che lo studio della Parola di Dio, «anima di tutta la teologia», dev'essere guidato dalla lettura dei Padri della Chiesa e dei pronunciamenti del Magistero.[3]

 

Ma non intendo limitarmi alla recensione e all'analisi delle citazioni patristiche presenti nella PDV. Preferisco riflettere sulla questione di fondo, che in definitiva soggiace a tali citazioni, e cioè la seguente: in che senso i Padri della Chiesa sono maestri di formazione sacerdotale?

Procederemo nella riflessione esaminando separatamente i due aspetti della questione. An­zitutto svolgeremo il tema della formazione sacerdotale nei Padri della Chiesa (è il tema più im­portante di queste pagine, al quale torneremo nei prossimi capitoli, scegliendo alcuni testi più si­gnificativi per il commento e la riflessione); in secondo luogo tratteremo dello studio dei Padri nella formazione del presbitero (non è una questione marginale, specialmente per chi è interessa­to, in un modo o nell'altro, ai problemi dell'organizzazione degli studi nei seminari e negli istituti teologici).

 

 

2. La formazione sacerdotale nei Padri della Chiesa. L'esempio del vescovo Ambrogio

 

Pochi mesi prima del Sinodo dedicato alla formazione sacerdotale (settembre-ottobre 1990), la Facoltà di Lettere cristiane e classiche dell'Università Salesiana (Pontificium Institutum Altioris Latinitatis) ha celebrato un Convegno sul tema: «La formazione al sacerdozio ministeriale nella catechesi e nella testimonianza di vita dei Padri» (Roma, 15-17 marzo 1990).[4]

Il Convegno intendeva offrire all'Assemblea sinodale un qualificato contributo scientifico in prospettiva storico-catechetica. I suoi Atti sono apparsi nel 1992 in un volume che resta fonda­mentale per delineare alcuni aspetti della formazione sacerdotale nei Padri della Chiesa.[5] Voglia­mo darne una saggio, scegliendo come punto di riferimento il vescovo Ambrogio di Milano (337 o 339-397) e le due relazioni a lui dedicate: quelle di G. Coppa e di J. Janssens.

 

La relazione di G. Coppa[6] - assai ampia e articolata - rivisita sistematicamente la vita e l'opera di Ambrogio, per farne emergere le più notevoli istanze della formazione umana, spiritua­le e pastorale del presbitero.

Tali istanze si manifestano ricche di contenuti teologici e di indirizzi pratici. Esse vanno inquadrate  in una visuale del sacerdozio che presenta alcune caratteristiche precise.

E' una visuale cristica, come è del resto l'orientamento di tutta l'opera ambrosiana. Cristo è il vero levita, che comunica il proprio sacerdozio all'intera Chiesa, e particolarmente ai presbi­teri, i quali perciò devono vivere come divorati da lui, amarlo, imitarlo, presentare la sua stessa immagine ai fedeli, donare la sua vita. Se il Cristo è il verus levites, il presbitero è anch'egli levita verus, impegnato in una lotta senza quartiere contro se stesso e lo spirito del mondo, per essere - come lui - totalmente di Dio.

E' una visuale totalitaria: l'intimità eucaristica, l'umiltà, l'obbedienza al vescovo, la castità perfetta, l'oblazione di sé sono espressioni di questo amore per Cristo, che non ammette compro­messi o accomodamenti.

E' una visuale comunitaria: la formazione del presbitero ha un respiro cosmico ed è inseri­ta nel mistero della Chiesa. La vita spirituale per Ambrogio è apertura alle necessità del mondo, non ripiegamento su di sé: il sacerdote è l'uomo per gli altri, non tiene nulla per sé, e quindi si santifica non solo per se stesso, ma per l'arricchimento dell'intera comunità ecclesiale.

E' una visuale pratica: Ambrogio non intende il presbitero come «una creatura angelica­ta», irreale, ma come un cristiano in possesso di solide virtù umane, secondo lo stampo ciceronia­no della morale antica, elevata e cristianizzata dalla pratica del Vangelo.

E', infine, una visuale dinamica: il sacerdote deve santificarsi mediante l'esercizio, ricco di zelo, dei munera che la Chiesa gli ha affidato attraverso il vescovo, cioè attraverso la celebra­zione dell'Eucarestia e della Parola di Dio.

Come è divorato da Cristo, così il presbitero è divorato dalle anime: la cura pastorale as­sorbe tutto il suo tempo, le sue intere risorse fisiche, intellettuali, spirituali ed anche economiche, senza lasciarlo pensare troppo alle proprie necessità. Le occupazioni pastorali non si limitano pe­raltro alla sola sfera cultuale e rituale, ma impegnano la formazione del presbitero nella costante pratica della carità, richiedendogli una vita sobria, povera, disinteressata.[7]

 

Potremmo aggiungere da parte nostra una riflessione complementare.

Con la sua stessa vita Ambrogio illustra nel modo più chiaro le varie istanze della forma­zione e della missione del presbitero. Quanto abbia potuto incidere questa testimonianza nella conversione di Agostino, e in definitiva nella sua formazione di sacerdote e di pastore, risulta da alcuni passi famosi delle Confessioni.[8]

Da poco giunto a Milano - siamo nell'autunno del 384 - Agostino, giovane cattedratico di eloquenza, si reca in visita alle varie autorità cittadine, e incontra pure il vescovo Ambrogio. La nostra fonte narra che questi lo accolse satis episcopaliter. E' un avverbio un po' misterioso: che cosa intendeva dire Agostino? Probabilmente che Ambrogio lo accolse con la dignità propria di un vescovo, con paternità, ma insieme con qualche distacco.

E' certo che Agostino rimase affascinato da Ambrogio; ma è altrettanto certo che un in­contro a tu per tu su ciò che ad Agostino maggiormente interessava, e cioè sui problemi fonda­mentali della ricerca della verità, veniva di giorno in giorno differito, tanto che qualcuno ha po­tuto affermare che Ambrogio era molto freddo nei confronti di Agostino, e che poco o nulla egli ebbe a che fare con la sua conversione.

Eppure Ambrogio e Agostino s'incontrarono più volte. Però Ambrogio teneva il discorso sulle generali, limitandosi per esempio a tessere gli elogi di Monica, e congratulandosi con il figlio per una simile madre.

Quando poi Agostino si recava appositamente da Ambrogio, lo trovava regolarmente im­pegnato con caterve di persone piene di problemi, per le cui necessità egli si prodigava; oppure, quando non era con loro (e questo accadeva per lo spazio di pochissimo tempo), o ristorava il cor­po con il necessario, o alimentava lo spirito con letture.

E qui Agostino fa le sue meraviglie, perché Ambrogio leggeva le Scritture a bocca chiusa, solo con gli occhi. Di fatto, nei primi secoli cristiani la lettura era strettamente concepita ai fini della proclamazione, e il leggere ad alta voce facilitava la comprensione pure a chi leggeva: che Ambrogio potesse scorrere le pagine con gli occhi soltanto, segnala ad Agostino ammirato una singolare capacità di conoscenza e di comprensione delle Scritture.

Agostino siede spesso in disparte, con discrezione, ad osservare Ambrogio; poi, non osan­do disturbarlo, se ne va via in silenzio. «Così», conclude Agostino, «non mi era mai possibile in­terpellare su ciò che mi interessava l'animo di quel santo profeta, se non per questioni trattabili rapidamente. Invece quei miei travagli interiori lo avrebbero voluto disponibile a lungo per po­tersi riversare su di lui; ma non succedeva mai».[9]

 Sono parole molto gravi: tanto che verrebbe da dubitare della stessa sollecitudine  pastora­le di Ambrogio e della sua reale attenzione alle persone.

Da parte mia, invece, sono convinto che quella di Ambrogio nei confronti di Agostino fosse un'autentica strategia, e che essa rappresenti efficacemente la figura di Ambrogio pastore e formatore.

Ambrogio è certo al corrente della situazione spirituale di Agostino, oltre al resto perché gode delle confidenze e della piena fiducia di Monica. Tuttavia il vescovo non ritiene opportuno di impegnarsi con lui in un contraddittorio dialettico, dal quale lui, Ambrogio, avrebbe anche po­tuto uscire perdente...

Così il vescovo sospende le parole,  lascia parlare i fatti, e con la sua prassi afferma il pri­mato dell'«essere» sul «dire» del pastore.

Quali sono questi fatti?

In primo luogo la testimonianza della vita di Ambrogio, intessuta di preghiera e di servi­zio nei confronti dei poveri. E Agostino rimane salutarmente impressionato, perché Ambrogio si dimostra uomo di Dio e uomo totalmente donato al servizio dei fedeli. La preghiera e la carità, te­stimoniate da questo formidabile pastore, subentrano alle parole e ai ragionamenti umani.

L'altro fatto che parla ad Agostino è la testimonianza della Chiesa milanese. Una Chiesa forte nella fede, radunata come un corpo solo nelle sante assemblee di cui Ambrogio è l'animatore e il maestro, grazie anche agli inni da lui composti; una Chiesa capace di resistere alle pretese dell'imperatore Valentiniano e di sua madre Giustina, che nei primi giorni del 386 erano tornati a pretendere la requisizione di una chiesa per le cerimonie degli ariani.

Nella chiesa che doveva essere requisita, racconta Agostino, il popolo devoto vegliava, pronto a morire con il proprio vescovo. «Anche noi», e questa testimonianza delle Confessioni è preziosa, perché segnala che qualcosa andava muovendosi nell'intimo di Agostino, «pur ancora spiritualmente tiepidi, eravamo partecipi dell'eccitazione di tutto il popolo».[10]

Agostino insomma, pur non riuscendo a dialogare come avrebbe voluto con il vescovo Ambrogio, resta positivamente contagiato dalla sua vita, dal suo spirito di preghiera, dalla sua ca­rità verso il prossimo, e dal fatto che Ambrogio si manifesta uomo di Chiesa: lo vede impegnato nell'animazione delle liturgie, ne coglie il progetto coraggioso di edificare una Chiesa unita e ma­tura.

In questo modo Agostino trova nella testimonianza del vescovo Ambrogio un'autentica «scuola di formazione» e un modello di sacerdote e di pastore.[11]

 

Su un aspetto particolare della ricerca di G. Coppa si esercita poi uno stimolante appro­fondimento di J. Janssens, concernente il tema della verecundia o del «dignitoso comportamento» nel De officiis [ministrorum] di sant'Ambrogio.[12]

Partendo da un confronto complessivo tra il De officiis di Cicerone e l'omonimo trattato ambrosiano, Janssens concentra la sua analisi sul tema enunciato.

Di fatto, sia Cicerone sia Agostino consideravano la verecundia come parte integrante della formazione dei giovani, rispettivamente dei cittadini e dei chierici. Secondo Janssens, il valore at­tribuito da sant'Ambrogio al decoro esterno è da mettere in relazione con la sua concezione del comportamento cristiano, caratterizzato da verità e semplicità. L'importante è essere «dal di den­tro» uomo verace e leale, e questo si traduce di conseguenza in un comportamento decoroso e na­turale.

Le regole proposte dal vescovo di Milano non sono in funzione di un'apparenza mondana, che mirerebbe a nascondere la vera realtà interiore per ingannare gli altri: al contrario, esse con­tribuiscono a mettere in piena luce le intime ricchezze della persona. Inoltre - se Ambrogio stabi­lisce per i suoi chierici un certo tipo di comportamento, per cui assume le regole di condotta in uso nell'ambiente patrizio del tempo ciceroniano - bisogna però aggiungere  che egli le intende animate da uno spirito evangelico. E' l'anima, è lo spirito che stabiliscono la natura, l'indole di una regola di condotta.

Il decoro di cui tratta Cicerone, comprensivo delle virtù fondamentali della prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, e la stessa sophrosyne dei Greci, seppure sono alla base del trattato ambrosiano, ricevono dall'ispirazione biblica del santo vescovo una particolare connotazione spiri­tuale, che fa della verecondia una componente essenziale nella formazione dei chierici.[13]

 

 

3. Lo  studio dei Padri nella formazione del presbitero

 

Al secondo aspetto della questione in esame ha inteso rispondere in modo puntuale la re­cente Istruzione della Congregazione per l'Educazione cattolica sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale (= IPC).

Il documento - che porta la data del 10 novembre 1989, festa di san Leone Magno - venne presentato nella Sala Stampa Vaticana da mons. J. Saraiva Martins, Segretario della Congregazio­ne. Il testo del suo intervento, firmato anche dal Prefetto, card. W. Baum, illustra le fondamentali sollecitudini che orientarono la stesura dell'IPC, segnatamente la ricerca delle cause e dei rimedi di quel «minore interesse» ai Padri che sembra aver caratterizzato il periodo postconciliare.

Vi si allude alle aporie di certa teologia, a tal punto ripiegata sulle urgenze del momento presente da smarrire la rilevanza del ricorso alla tradizione cristiana. E' censurato anche un  ap­proccio ai Padri che - troppo fiducioso nel metodo storico-critico e poco attento ai valori spiri­tuali e dottrinali del magistero patristico - finisce per rivelarsi dannoso, o addirittura ostile, alla piena comprensione degli antichi scrittori cristiani. Ma la più grave responsabilità viene attribuita al «clima culturale contemporaneo dominato dalle scienze naturali, dalla tecnologia e dal pragma­tismo, in cui la cultura umanistica radicata nel passato viene sempre più emarginata»: in molti ca­si «oggi sembra mancare una vera sensibilità per i valori dell'antichità cristiana, come anche un'adeguata conoscenza delle lingue classiche».

In definitiva, sulla patristica «si ripercuotono le tensioni tra il vecchio e il nuovo, tra apertura e chiusura, tra stabilità e progresso, tra un mondo prevalentemente tecnologico ed un mondo che continua a credere nei valori spirituali dell'umanesimo cristiano».[14]

Ne consegue che la posta in gioco è altissima: il «minore interesse» ai Padri potrebbe esse­re addirittura il sintomo di un colpevole compromesso fra la teologia corrente e una cultura infi­ciata di secolarismo e di tecnologismo.

Così - di fronte a un documento che va diritto al cuore di un dibattito ormai ineludibile - la reazione del teologo e del pastore non può che essere quella dell'accoglienza attenta e grata, come davanti a un dono ormai da tempo sperato: un dono tanto più prezioso, in quanto non solo gratifica generosamente i suoi destinatari, ma al tempo stesso li impegna a «trafficare il talento» ricevuto - cioè ad approfondire il messaggio magisteriale, a coglierne i risvolti, e soprattutto a renderlo operativo -.

Diciamo soprattutto, perché il peso del documento stesso «sta a poppa», in alcune disposi­zioni conclusive che per certi riguardi rivoluzionano l'insegnamento della patristica.

Tanto per cominciare, esso dovrà estendersi nel ciclo teologico istituzionale «come minimo per almeno tre semestri con due ore settimanali».[15] Più in generale, a dire ancora di mons. Sarai­va Martins, «vengono poste chiare esigenze sia agli alunni sia ai Professori, per i quali si richiede un corso di preparazione specifica acquisita presso Istituti Patristici specializzati. A tale riguardo torna molto gradito menzionare due Istituti eretti a suo tempo a Roma dal Sommo Pontefice Paolo VI: il Pontificio Istituto Superiore di Latinità presso la Pontificia Università Salesiana e l'Istituto Patristico "Augustinianum" affiliato alla Pontificia Università Lateranense. Entrambi gli Istituti stanno svolgendo già da tempo, conformemente ai loro fini, una benemerita attività scientifica e formativa, che ha molto contribuito all'esplorazione e alla divulgazione del pensiero patristico, e potrà aiutare efficacemente i Vescovi ed altri Superiori ecclesiastici nell'applicazione fedele della presente Istruzione».[16]

A questo punto l'Università Salesiana e il Pontificio Istituto Superiore di Latinità non po­tevano esimersi da un contributo originale di studio, inteso a favorire la recezione dell'IPC e delle sue istanze. Precisamente da questa persuasione è nato un volume miscellaneo di commento al te­sto magisteriale.[17]

Esso consta di otto contributi a firma di altrettanti professori della Facoltà di Teologia e dell'Istituto di Latinità (Facoltà di Lettere cristiane e classiche) dell'Università Salesiana.

Il libro si apre con una riflessione di E. dal Covolo sulla natura degli studi patristici ed i loro obiettivi, a commento dei numeri 49-52 dell'IPC. L'autore, mentre individua nel documento «un deciso e autorevole passo in avanti nel riconoscimento e nella definizione dell'autonomia di­sciplinare e metodologica delle ricerche patristiche», suggerisce alcune argomentazioni comple­mentari al testo in esame, ai fini di un dialogo più articolato e  complessivo con i cultori delle an­tichità cristiane.[18]

Il successivo articolo di F. Bergamelli, che tratta del metodo nello studio dei Padri, prose­gue il commento riferendosi soprattutto ai numeri 53-56 dell'IPC, pur ampliando l'analisi anche agli altri cenni che il documento dedica alla medesima questione. L'autore rinuncia di necessità a un discorso esauriente sullo statuto epistemologico degli studi patristici, ma offre prospettive e orientamenti fecondi per ampliare a approfondire la riflessione magisteriale.[19]

Il medesimo taglio analitico-integrativo è assunto da O. Pasquato nella rivisitazione del rapporto tra studi patristici e discipline storiche delineato nell'IPC soprattutto al numero 60. Nella prima parte il contributo offre uno sguardo sintetico sul ruolo complessivo delle scienze storiche nei confronti delle ricerche patristiche; la seconda parte, più analitica, considera il peculiare ap­porto di ciascuna disciplina storica  allo studio della patrologia.[20]

Rispetto ai primi tre articoli, gli interventi successivi paiono scegliere la via delle rifles­sioni «in margine» all'IPC, o «in occasione» di essa, senza volersi legare direttamente al commen­to o all'integrazione puntuale di qualche suo paragrafo.

In tal modo il contributo di A. Amato affronta una problematica portante del documento, quella del reciproco servizio tra studio dei Padri e teologia dogmatica: ne risulta vivacemente de­lineato il contesto globale entro cui va collocato e compreso il relativo apporto magisteriale.[21]

Anche R. Iacoangeli adotta la stessa linea metodica, definendo l'«humanitas» classica co­me  «praenuntia aurora» all'insegnamento dei Padri.  La sua esposizione è un appassionato richia­mo - corredato da opportune esemplificazioni - allo studio della cultura e delle lingue classiche, come condizione indispensabile per un approccio fecondo al messaggio patristico.[22]

Il medesimo discorso sulla rilevanza degli studi filologici e letterari prosegue nel successi­vo articolo di S. Felici: anch'egli ravvisa nella competenza linguistica e letteraria lo strumento «tecnico» per decifrare gli scritti dei Padri.[23]     

Da parte sua A.M. Triacca, considerando l'uso dei «loci» patristici nei Documenti del Con­cilio Vaticano II, per un verso individua nella lectura Patrum un insostituibile ausilio al sentire cum Ecclesia, coerentemente alla disciplina recepita nella liturgia delle ore; per altro verso coglie nella liturgia stessa una formidabile chiave di comprensione e di assimilazione del pensiero e della spiritualità dei Padri, secondo un'istanza accolta e condivisa dal magistero conciliare.[24]

M. Maritano, infine, delinea la situazione degli studi patristici nel secolo XIX fornendo una preziosa guida bibliografica che - pur concentrandosi prevalentemente sul secolo scorso, quando nuove situazioni storiche e culturali favorirono una riscoperta della tradizione patristica - si estende di fatto fino ai nostri giorni.[25]

Così gli ultimi due studi concludono il volume rilanciando la ricerca, mentre sollecitano lo studioso a far tesoro del magistero recente della scienza e della storia.

Riteniamo che questi otto contributi possano fornire nel loro insieme una discreta radio­grafia di alcuni tratti più significativi dell'IPC.

Il volume non entra invece nelle questioni relative alla genesi del documento. Accenniamo semplicemente al fatto che i suoi tempi d'«incubazione» furono piuttosto lunghi, se - come di­chiarò ai giornalisti mons. J. Saraiva Martins -[26] era «dal 1981 che si lavorava alla stesura di questa Istruzione». Non si può escludere che «il motivo immediato della presentazione dell'Istru­zione», offerto dall'assemblea sinodale del settembre-ottobre 1990, abbia suggerito di accorciare i tempi della stesura definitiva. Si spiega forse  così uno dei motivi per cui all'«ampia consultazio­ne» iniziale non ha fatto seguito una verifica ugualmente partecipata nella elaborazione conclusi­va del documento.

 

Contemplando con uno sguardo di sintesi le prospettive aperte dall'IPC, occorre ricono­scere anzitutto che il documento pare chiaramente proiettato verso il futuro.

La sua fondamentale istanza di un rinnovato incremento degli studi patristici nella forma­zione sacerdotale poteva forse trascorrere attraverso un'elaborazione dottrinale più compiuta e coerente, il raggio delle argomentazioni estendersi in dimensioni più ampie e incisive, il dialogo interdisciplinare farsi più aperto e complessivo. 

Tuttavia il dettato magisteriale, robustamente orientato alle Disposizioni conclusive, con­ferisce all'IPC un caratteristico tratto dinamico.

Da questo punto di vista - crediamo - il documento stesso raccomanda ai pastori e ai teo­logi convergenza operativa e coerenza di decisioni, mentre lascia il terreno aperto a interventi critico-integrativi della sua strumentazione teorica.

In tale prospettiva si pone dichiaratamente il volume che abbiamo presentato.[27]

 

Ma esiste in margine all'IPC un ulteriore, autorevole contributo del card. P. Laghi, succes­sore di W. Baum alla guida della Congregazione per l'Educazione cattolica. Si tratta di una rela­zione da lui tenuta presso l'Università Salesiana il 31 ottobre 1991, nel contesto delle manifesta­zioni scientifiche di «rilancio» della Corona Patrum, la prestigiosa collana torinese di testi patristici.[28]

E' opportuno riassumerne qui i passaggi più salienti.[29]

Il card. Laghi afferma anzitutto che l'Istruzione, mentre incoraggia e sostiene l'impegno dello studio e della ricerca nel campo della patristica, guarda anche al di là dei suoi confini, per­seguendo obiettivi più generali. Essa infatti si rivolge non soltanto ai patrologi, ma a tutti i teolo­gi, invitandoli ad offrire ai futuri presbiteri una preparazione culturale sana e possibilmente completa: e proprio gli studi patristici, osserva il card. Laghi, possono offrire ai sacerdoti un vali­do aiuto per realizzare la sintesi del loro sapere teologico.

In questo modo l'IPC invita gli studenti di teologia alla scuola dei Padri, una scuola che mira sempre all'essenziale. «Come si esprime a tal proposito Yves-Marie Congar, la tradizione pa­tristica "non è dissociante, è invece sintesi, armonizzazione. Non procede dalla periferia isolando qua e là alcuni testi, ma al contrario lavora dall'interno, collegandoli tutti al centro e disponendo i dettagli a seconda del loro riferimento all'essenziale". La Tradizione patristica "è dunque genera­trice di totalità, di armonia e di sintesi. Essa vive e fa vivere del senso d'insieme del disegno di Dio, a partire dal quale si distribuisce e si comprende l'architettura di ciò che Ireneo chiama si­stema o oikonomia"».[30]

Ma è ovvio che gli studenti di teologia non dovranno accontentarsi delle semplici indica­zioni dei patrologi per assimilare un tale atteggiamento e abito spirituale, ma dovranno entrare in una familiarità sempre più intima con le opere patristiche. Mettendosi su questo sentiero, essi im­pareranno a cogliere più facilmente il nucleo essenziale della teologia cristiana. L'unità del sapere teologico - come di ogni sapere - è una mèta molto alta, che costa fatica e che può essere conse­guita solo nella consapevolezza della vera natura e missione della teologia stessa.[31] Molto oppor­tunamente il numero 16 dell'IPC riporta un celebre passo della lettera che Paolo VI scrisse nel 1975 al card. M. Pellegrino nel centenario della morte di J.-P. Migne. Vi si legge fra l'altro: «L'étude des Pères, d'une grande utilité pour tous, apparaît d'une impérieuse nécessité pour ceux qui ont à coeur le renouvellement théologique, pastoral et spirituel promu par le récent Concile, et qui veulent y coopérer».[32]

Ma c'è un altro motivo, prosegue il card. Laghi, per cui  i Padri sono maestri di formazio­ne sacerdotale. Essi infatti, che erano in gran parte vescovi esperti e pienamente dediti al ministe­ro, offrono agli alunni ottimi esempi e impulsi per la loro preparazione alla missione di pastori. La dimensione pastorale, sottolineata fortemente dal Vaticano II, è una componente formativa a cui si dà oggi grande importanza, e che appassiona i candidati al sacerdozio. Spesso però tale en­tusiasmo si trasforma in attivismo unilaterale, povero di motivazioni e di contenuti teologici, con­trastando con quel sublime ideale pastorale impersonato dai Padri della Chiesa. I più noti scritti patristici dedicati al sacerdozio, come per esempio il Dialogo sul sacerdozio di Giovanni Crisosto­mo o la Regola Pastorale di Gregorio Magno, svelano il vero cuore dei pastori, i quali, mentre si chinano verso tutte le necessità spirituali delle anime, cercano di elevarle all'alto grado di perfe­zione evangelica, non trascurando le difficoltà e le necessità materiali in cui si trovano.

Per sfuggire al pericolo di un appiattimento orizzontalista, il candidato al sacerdozio ed ogni sacerdote devono imparare dai Padri come essere in questo mondo e non di questo mondo; come essere profondamente umani e in pari tempo soprannaturali, veri uomini di Chiesa. In que­sta concezione grandiosa del ministero pastorale sono comprese le vive preoccupazioni dei Padri per l'unità della Chiesa (è quello che chiameremmo oggi il problema ecumenico); gli sforzi per l'innesto del cristianesimo nell'ambito culturale greco-romano (il problema missionario dell'incul­turazione), e le instancabili sollecitudini per alleviare la sorte degli oppressi e dei poveri (il pro­blema sociale).

Dalle linee pastorali sopraindicate, conclude il card. Laghi, traspare la teologia cristocen­trica dei Padri, che sostiene e alimenta il loro intero ministero sacro. Ne deriva un fulgido esem­pio per la preparazione dei futuri sacerdoti, i quali, per diventare buoni pastori di anime, devono porre al fondamento di ogni loro apostolato una sana teologia e una profonda vita spirituale.[33]

 

Da parte mia, ritengo che le sollecitazioni dell'IPC per un rinnovamento degli studi patri­stici nella formazione sacerdotale siano numerose e ben motivate.

Mi accontento al riguardo di un semplice accenno, sufficiente tuttavia a dare un'idea del rapido cambiamento di prospettive avvenuto in questi ultimi anni.

Ancora all'inizio degli anni Cinquanta il card. M. Pellegrino lamentava che le ricerche di teologia patristica erano «mancanti di un'adeguata base filologica e d'una solida impostazione sto­rica», cui spesso si sostituiva «un più comodo schematismo dottrinale», «suggerito da sviluppi del pensiero teologico» spesso estranei alla mentalità dei Padri.[34]

M. Pellegrino denunciava così quell'«ancillarità» della patristica nei confronti della dog­matica, che caratterizzava i curricoli teologici degli anni Cinquanta e Sessanta. Ordinariamente lo studio dei Padri non costituiva in essi una disciplina autonoma. Veniva bensì assicurata un'esposi­zione più o meno ampia delle dottrine patristiche, ma sempre in rigorosa dipendenza dai trattati dogmatici in esame. Così molto di rado gli scrittori ecclesiastici potevano apparire allo studente come persone reali, inserite in un proprio contesto storico-culturale. Il rischio evidente era quello di un «appiattimento» della riflessione teologica e di un'indebita assolutizzazione del modello di teologia sotteso ai trattati dogmatici: a tale modello - come a un «letto di Procuste» - veniva adat­tata la lettura dei Padri.[35]

A fronte di siffatto contesto, l'IPC inaugura - come già si è detto - una sorta di «rivolu­zione copernicana», se è vero che la patristica vi è annoverata tra le discipline principali del cur­ricolo formativo, da insegnare a parte, con il suo metodo e la sua materia, «per almeno tre seme­stri con due ore settimanali».[36]

 

 

4. Conclusioni provvisorie

 

E' evidente che i documenti magisteriali addotti - segnatamente l'ICP e la PDV - conside­rano i Padri della Chiesa come maestri insostituibili nella formazione intellettuale, spirituale e pa­storale dei futuri presbiteri.[37]

Credo anzi che soprattutto ai ministri della Chiesa vadano riferite le parole con cui Bene­detto invitava i monaci alla lettura dei santi Padri, poiché - spiegava - i loro insegnamenti posso­no condurre «al grado più alto della perfezione».[38]

 

 



[1]Bibliografia di partenza, nell'ordine dei paragrafi: 1) GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, «Acta Apostolicae Sedis» 84 (1992), pp. 657-804 (d'ora in poi: PDV); E. DAL COVOLO-A.M. TRIACCA (curr.), Sacerdoti per la nuova evangelizza­zione. Studi sull'Esortazione apostolica «Pastores dabo vobis» di Giovanni Paolo II (= Biblioteca di Scienze Religiose, 109), Roma 1994, pp. 333-345; 2) S. FELICI (cur.), La formazione al sacerdozio ministeriale nella catechesi e nella testimonianza di vita dei Padri (= Biblioteca di Scienze Religiose, 98), Roma 1992; 3) CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLI­CA, Instructio de Patrum Ecclesiae studio in Sacerdotali Institutione, «Acta Apostolicae Sedis» 82 (1990), pp. 607-636 (d'o­ra in poi: IPC); E. DAL COVOLO - A.M. TRIACCA, Lo studio dei Padri della Chiesa oggi (= Biblioteca di Scienze Religiose, 96), Roma 1991.

 

[2]Sul «carattere normativo» e, d'altra parte, sui rischi dell'«idealizzazione» della Chiesa antica, vedi R. FARINA, La Chiesa antica modello di riforma, «Salesianum» 38 (1976), pp. 593-612; L. PERRONE, La via dei Padri. Indicazioni contemporanee per un «ressourcement» critico, in A. e G. ALBERIGO (curr.), «Con tutte le tue forze». I nodi della fede cristiana oggi. Omaggio a Giuseppe Dossetti, Genova 1993, pp. 81-122 (soprattutto 94 ss.), e ora E. DAL COVOLO, Raccogliere l'eredità dei Padri, «Rivista del clero italiano» 77 (1996), pp. 57-63.

 

[3]Cfr. PDV 54, pp. 753 s.

 

[4]Cfr. E. DAL COVOLO, La formazione sacerdotale nei Padri della Chiesa. Il XIII Convegno di catechesi patristica, «Salesia­num» 52 (1990), pp. 703-715. Sull'argomento - dopo A. ORBE, Lo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdota­le, in R. LATOURELLE (cur.), Vaticano II: bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), Assisi 1987, pp. 1366-1380 - vedi A.-G. HAMMAN, La formation du clergé latin dans les quatre premiers siècles, ora in ID., Études patristi­ques. Méthodologie - Liturgie - Histoire - Théologie (= Théologie historique, 85), Paris 1991, pp. 279-290, e le ampie rasse­gne bibliografiche di A. FAIVRE, Ordonner la fraternité. Pouvoir d'innover et retour à l'ordre dans l'Église ancienne (= Hi­stoire), Paris 1992, pp. 455-511, e di S. LONGOSZ, De sacerdotio in antiquitate christiana bibliographia [in lingua polacca], «Vox Patrum» 13-15 (1993-1995), pp. 499-555 (cfr. ibidem, pp. 29-311, alcuni importanti contributi sul nostro argomento).

 

[5]Cfr. S. FELICI (cur.), La formazione al sacerdozio ministeriale...

 

[6]Cfr. G. COPPA, Istanze formative e pastorali del presbitero nella vita e nelle opere di S. Ambrogio, in S. FELICI (cur.), La formazione al sacerdozio ministeriale..., pp. 95-132.

 

[7]Ibidem, pp. 131 s.

 

[8]Cfr. A. PINCHERLE, Ambrogio ed Agostino, «Augustinianum» 14 (1974), pp. 385-407; G. BIFFI, Conversione di Agostino e vita di una Chiesa, in A. CAPRIOLI-L. VACCARO (curr.), Agostino e la conversione cristiana (= Augustiniana. Testi e Stu­di, 1), Palermo 1987, pp. 23-34.

 

[9]AGOSTINO, Confessioni 6,4, edd. M. SKUTELLA - H. JUERGENS - W. SCHAUB, BT, Stuttgart 1981, p. 102. Vedi anche S. AGOSTINO, Confessioni, 2 (libri IV-VI), edd. M. SIMONETTI et alii, Fondazione Lorenzo Valla 1993, pp. 94-99 (com­mento, pp. 252-255).

 

[10]AGOSTINO, Confessiones 9,7, edd. M. SKUTELLA et alii, p. 192.

 

[11]Sulla cura delle vocazioni e sull'ideale sacerdotale di Agostino, per molti aspetti simile a quella di Ambrogio, vedi ultimamen­te GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica «Augustinum Hipponensem», «Acta Apostolicae Sedis» 79 (1987), pp. 164-167; G. CERIOTTI, La pastorale delle vocazioni in S. Agostino (= Quaerere Deum, 9), Palermo 1991; A.-G. HAMMAN, Saint Augustin et la formation du clergé en Afrique chrétienne, ora in ID., Études patristiques..., pp. 269-278; P. LANGA, La ordinación sacerdotal de san Augustín, «Revista Augustiniana» 33 (1992), pp. 133-143.

 

[12]Cfr. J. JANSSENS, La verecondia nel comportamento dei chierici secondo il "De officiis ministrorum" di Sant'Ambrogio, in S. FELICI (cur.), La formazione al sacerdozio ministeriale..., pp. 133-143.

 

[13]Ibidem, pp. 142 s.

 

[14]Cfr. «L'Osservatore Romano» 10.1.1990, pp. 1.5.

 

[15]IPC 62, pp. 634 s.

 

[16]«L'Osservatore...», p. 5.

 

[17]Cfr. E. DAL COVOLO-A.M. TRIACCA (curr.), Lo studio dei Padri della Chiesa.... Da parte sua l'Istituto Patristico Augu­stininum ha pubblicato Lo studio dei Padri della Chiesa nella ricerca attuale, Roma 1991 (estratto da «Seminarium» n.s. 30 [1990], pp. 327-578): per la nostra ricerca è utile soprattutto C. CORSATO, L'insegnamento dei Padri della Chiesa nell'ambi­to delle discipline teologiche: una memoria feconda di futuro, ibidem, pp. 460-485.

 

[18]Cfr. E. DAL COVOLO-A.M. TRIACCA (curr.), Lo studio dei Padri della Chiesa..., pp. 7-17.

 

[19]Ibidem, pp. 19-43.

 

[20]Ibidem, pp. 45-88.

 

[21]Ibidem, pp. 89-100.

 

[22]Ibidem, pp. 101-131.

 

[23]Ibidem, pp. 133-148.

 

[24]Ibidem, pp. 149-183.

 

[25]Ibidem, pp. 185-202.

 

[26]«L'Osservatore...», p. 5.

 

[27]Cfr. E. DAL COVOLO-A.M. TRIACCA (curr.), Lo studio dei Padri della Chiesa..., pp. 3-6. Vedi anche l'ampia recensione di G. CREMASCOLI in «La Civiltà Cattolica» 143 (1992) III, pp. 448 s.

 

[28]Cfr. E. DAL COVOLO, Corona Patrum: recenti e prossime pubblicazioni nel progresso delle ricerche patristiche italiane, «Ricerche Teologiche» 1 (1990), pp. 207-219; ID., La «Corona Patrum»: un contributo al progresso degli studi patristici in Italia, «Filosofia e Teologia» 6 (1992), pp. 321-330; ID., I Padri della Chiesa e la cultura odierna. In margine a due convegni sugli studi patristici, «La rivista del clero italiano» 73 (1992), pp. 221-231.

 

[29]Cfr. P. LAGHI, Riflessioni sulla formazione culturale del sacerdote in margine all'istruzione sullo studio dei Padri della Chie­sa, in E. DAL COVOLO (cur.), Per una cultura dell'Europa unita. Lo studio dei Padri della Chiesa oggi, Torino 1992, pp. 77-86.

 

[30]Ibidem, pp. 83 s.

 

[31]Ibidem, p. 84.

 

[32]PAOLO VI, Lettera a Sua Eminenza il Cardinale Michele Pellegrino per il centenario della morte di J.P. Migne, «Acta Apo­stolicae Sedis» 67 (1975), p. 471.

 

[33]Cfr. P. LAGHI, Riflessioni sulla formazione culturale del sacerdote..., p. 86.

 

[34]Cfr. M. PELLEGRINO, Un cinquantennio di studi patristici in Italia, «La scuola cattolica» 80 (1952), pp. 424-452 (ripubbli­cato in ID., Ricerche patristiche, 2, Torino 1982, pp. 45-73). Vedi anche ID., Il posto dei Padri nell'insegnamento teologico, «Seminarium» 18 (1966), p. 894; E. DAL COVOLO, I Padri della Chiesa negli scritti del salesiano don Giuseppe Quadrio, «Ricerche storiche salesiane» 9 (1990), p. 443; ID., Fra letteratura cristiana antica e teologia: lo studio dei Padri, «Ricerche Teologiche» 2 (1991), pp. 45-56; ID., Un'intervista al prof. Manlio Simonetti, ibidem, pp. 139-144.

 

[35]Cfr. ID., I Padri della Chiesa..., p. 443. Tuttavia M. PELLEGRINO, Un cinquantennio..., segnalava tra i sintomi di un rinno­vamento ormai attuale il fatto che già intorno agli anni Cinquanta l'insegnamento della patrologia veniva introdotto come di­sciplina autonoma in vari Seminari. Secondo A. MARRANZINI, La teologia italiana dal Vaticano I al Vaticano II, in Bilancio della teologia del XX secolo, 2. La teologia del XX secolo, Roma 1972, p. 104, «i progressi degli studi biblici e patristici dopo la seconda guerra mondiale si risentono nei trattati dogmatici, scritti ancora per lo più in latino ma che differiscono non poco da quelli dell'anteguerra». Il Marranzini individua le caratteristiche del rinnovamento nella «migliore conoscenza dell'esegesi, della patristica e del metodo storico» e «nella maggiore preoccupazione di far risaltare il valore vitale dei dogmi e di additare il rapporto fra la perenne verità cristiana e gli atteggiamenti spirituali degli uomini» (ibidem).

 

[36]Cfr. supra, nota 16 e contesto.

 

[37]«I Padri possono, per la ricchezza del loro pensiero teologico, per la loro profonda spiritualità e per la loro sensibilità pastora­le, contribuire in modo efficace, anche nel nostro tempo, ad una solida formazione dei futuri presbiteri»: J. SARAIVA MAR­TINS, Lo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale, «L'Osservatore Romano» 13.6.1992, p. 5 (ripubblicato in Vi darò pastori secondo il mio cuore... Testo e commenti [= Quaderni de «L'Osservatore Romano», 20], Città del Vaticano 1992, p. 302); cfr. ID., Gli studi teologici secondo gli orientamenti del Magistero. Loro funzione nella preparazione al presbite­rato, «Seminarium» n.s. 32 (1992), pp. 330-345, là dove si indicano «le ragioni che ci inducono a studiare e insegnare le opere dei Padri» nella formazione sacerdotale (ibidem, p. 333); ID., I Padri della Chiesa nella ricerca teologica attuale, «Semina­rium» n.s. 33 (1993), pp. 272-285. Vedi inoltre P. MELONI, Lo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale, in Theologica. Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, 2, Cagliari 1993, pp. 85-94; C. DAGENS, Une certaine manière de faire de la théologie. De l'interêt des Pères de l'Église à l'aube du IIIe millénaire, «Nouvelle Revue Théologique» 117 (1995), pp. 65-83.

 

[38]BENEDETTO, Regula 73,2, edd. A. DE VOGÜÉ-J. NEUFVILLE, SC 182, Paris 1972, p. 672.