Ponenza di S.E. Raymond
L. Burke,
Prefetto del Supremo
Tribunale della Segnatura Apostolica
Considerazioni preliminari
1. Le mie osservazioni
sulle questioni giuridiche riguardanti il sacerdozio ordinato, che mi sono
suggerite dalla situazione della Chiesa nel nostro tempo, si basano sulla
verità teologica che il ministero del sacerdote ordinato è costitutivo della
vita pastorale nella Chiesa. Qualsiasi considerazione canonica sulle
circostanze concrete della vita e del ministero sacerdotale debbono sempre
rispettare la vocazione a la missione insostituibili del sacerdote in ogni
aspetto della vita della Chiesa, così come viene vista, in modo preminente,
nella celebrazione del sacrificio eucaristico. Papa Benedetto XVI, commentando
l’ordinazione sacerdotale come condizione indispensabile per la valida
celebrazione dell’Eucaristia, osserva:
“È
necessario, pertanto, che i sacerdoti abbiano coscienza che tutto il loro
ministero non deve mai mettere in primo piano loro stessi o le loro opinioni,
ma Gesù Cristo. (…) Il sacerdote è più
che mai servo e deve impegnarsi continuamente ad essere segno che, come
strumento docile nelle mani di Cristo, rimanda a Lui. (…) Il sacerdozio, come
diceva sant'Agostino, è amoris officium, è l'ufficio del buon pastore,
che offre la vita per le pecore (cfr Gv 10, 14-15)” (Papa Benedetto XVI,
Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum
caritatis “Sull'Eucaristia, Fonte e Culmine della vita e della missione
della Chiesa”, 22 febbraio 2007, n. 23).
In
maniera simile, il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II scrisse:
“Le
attività pastorali del presbitero sono molteplici. Se si pensa poi alle
condizioni sociali e culturali del mondo attuale, è facile capire quanto sia
incombente sui presbiteri il pericolo della dispersione in un gran
numero di compiti diversi. Il Concilio Vaticano II ha individuato nella carità
pastorale il vincolo che dà unità alla loro vita e alle loro attività. Essa –
soggiunge il Concilio – « scaturisce soprattutto dal Sacrificio
eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del
presbitero ».64 Si capisce, dunque, quanto sia importante per
la vita spirituale del sacerdote, oltre che per il bene della Chiesa e del
mondo, che egli attui la raccomandazione conciliare di celebrare
quotidianamente l'Eucaristia, « la quale è sempre un atto di Cristo e
della sua Chiesa, anche quando non è possibile che vi assistano i fedeli ».65 In questo modo il sacerdote è in grado di
vincere ogni tensione dispersiva nelle sue giornate, trovando nel Sacrificio
eucaristico, vero centro della sua vita e del suo ministero, l'energia
spirituale necessaria per affrontare i diversi compiti pastorali. Le sue
giornate diventeranno così veramente eucaristiche” (Papa Giovanni Paolo II,
Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia
“sull’Eucarestia nel suo rapporto con la Chiesa”, 17 aprile 2003, Giovedì Santo,
n. 31).
L’analisi
delle questioni giuridiche riguardanti il ministero sacerdotale deve prendere
le sue mosse dalla natura eucaristica della vita e del ministero sacerdotale in
quanto costitutivi della vita della Chiesa.
2. In maniera più
specifica, è importante tenere conto che la cura pastorale e la direzione dei
fedeli nelle parrocchie, soprattutto attraverso la celebrazione del sacrificio
eucaristico, è sempre il primo lavoro del sacerdote. I ministri sacerdotali
specializzati debbono: 1) assistere il ministero parrocchiale nelle aree in cui
è difficile per il parroco fornire il ministero sacerdotale richiesto; per
esempio, la cappellania nelle scuole cattoliche, negli atenei universitari e
nelle istituzioni sanitarie; 2) essere al servizio di tutti i sacerdoti e degli
altri fedeli della Chiesa particolare nelle mansioni della Curia e delle altre
istituzioni diocesane; 3) svolgere le attività essenziali della formazione
sacerdotale presso il Seminario diocesano; 4) fornire il ministero sacerdotale
nelle missioni e per i militari. Riflettendo sulla natura essenzialmente
eucaristica della vita e del ministero sacerdotale, il Servo di Dio Papa
Giovanni Paolo II osservava:
“Tutto
questo mostra quanto sia dolorosa e al di fuori del normale la situazione di
una comunità cristiana che, pur proponendosi per numero e varietà di fedeli
quale parrocchia, manca tuttavia di un sacerdote che la guidi. La parrocchia
infatti è una comunità di battezzati che esprimono e affermano la loro identità
soprattutto attraverso la celebrazione del Sacrificio eucaristico. Ma questo
richiede la presenza di un presbitero, al quale soltanto compete di offrire
l'Eucaristia in persona Christi. Quando la comunità è priva del
sacerdote, giustamente si cerca di rimediare in qualche modo affinché
continuino le celebrazioni domenicali, e i religiosi e i laici che guidano i
loro fratelli e le loro sorelle nella preghiera esercitano in modo lodevole il
sacerdozio comune di tutti i fedeli, basato sulla grazia del Battesimo. Ma tali
soluzioni devono essere ritenute solo provvisorie, mentre la comunità è in
attesa di un sacerdote” (Ecclesia de
Eucharistia n. 32).
“La parrocchia rimane ancora il nucleo
fondamentale nella vita quotidiana della Diocesi” e il sacerdote, per la grazia
del Sacramento dei Sacri Ordini, rende presente Cristo, Capo e Pastore della
parrocchia (Papa Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores Gregis “Sul Vescovo Servitore del Vangelo di Gesù
Cristo per la Speranza del Mondo”, 16 ottobre 2003, n. 45).
3. Le mie osservazioni
particolari sono il frutto degli anni in cui ho servito come Vescovo diocesano
e degli anni che ho trascorso al servizio del Supremo Tribunale della Segnatura
Apostolica: dal 1989 al 1995 come Difensore del Vincolo e, dal 27 giugno
scorso, come Prefetto. La Segnatura Apostolica riceve ricorsi contro singoli
atti amministrativi che sono stati decisi da un Dicastero della Curia Romana o che
sono stati confermati da un Dicastero della Curia Romana, in cui si afferma che
la legge è stata violata nella procedura seguita oppure nella decisione stessa
(Papa Benedetto XVI, Lex propria Supremi Tribunalis Signaturae Apostolicae,
21 giugno 2008, art. 34, §1). Tali
ricorsi molto spesso riguardano la parrocchia o il parroco.
La parrocchia
1.
La parrocchia è, per definizione, una comunità stabile di fedeli in seno alla
Chiesa particolare. In quanto comunità stabile di fedeli, deve essere oggetto
della cura pastorale e della direzione del parroco, che viene nominato dal
Vescovo diocesano (can. 515, §1). Anche se la parrocchia non è un’istituzione di
diritto divino, è necessaria per l’esercizio della carità pastorale a nome del
Vescovo diocesano a beneficio dei fedeli a lui affidati. La parrocchia,
infatti, sin dai primi secoli della Chiesa, si è dimostrata un’istituzione
molto efficiente nella quale i focolari domestici cristiani, in uno specifico
territorio geografico o di un particolare rito liturgico, lingua o cultura, si
riuniscono al fine di edificare la vita della famiglia (la “Chiesa domestica” [Lumen
gentium 11]), e della Chiesa particolare e universale. Il Can. 374, §1, quindi, esige che il
Vescovo diocesano divida la Chiesa particolare in parrocchie (cf. 383, §2).
2. Nell’Esortazione
apostolica pubblicata dopo la X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei
Vescovi (30.9-27.10.2001), il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II osservava:
“È
sulla parrocchia, tuttavia, che i Padri sinodali hanno ritenuto conveniente
fermare la loro attenzione, ricordando che di questa comunità, eminente fra
tutte quelle presenti in una Diocesi, il Vescovo è il primo responsabile: ad
essa pertanto egli deve riservare soprattutto la sua cura. La parrocchia
infatti – come è stato affermato a più voci – rimane ancora il nucleo
fondamentale nella vita quotidiana della Diocesi” (Pastores gregis,
n. 45b).
Gli
elementi essenziali della vita parrocchiale possono essere ricavati dalla
descrizione degli obblighi del parroco: la proclamazione della Parola di Dio
nella sua integrità; la centralità della Santissima Eucaristia; la cura
pastorale di tutti i fedeli, inclusa la correzione di quanto occorre
correggere; la solidarietà con la diocesi e con la Chiesa universale (cann.
528-530).
3. La parrocchia è
costituita da due elementi: a) la comunità che condivide la vita cristiana,
soprattutto grazie alla partecipazione nella Santa Eucaristia (Chiesa locale,
comunità locale dei fedeli); b) il parroco o il pastore che rende presente il
Vescovo nella parrocchia e che, benché sia il pastore proprio della parrocchia,
è in comunione gerarchica con il Vescovo in vista dell’unità del Corpo di
Cristo nella Chiesa particolare e nella Chiesa universale.
4. Data la natura della parrocchia, soltanto il Vescovo diocesano ha la facoltà di erigere una parrocchia, sopprimerla o modificarla in qualche forma. Per intraprendere una di queste tre azioni, è necessario che il Vescovo diocesano ascolti il parere del consiglio presbiterale sulla questione (can. 515, §2). La consultazione del consiglio presbiterale mette in luce l’importanza della parrocchia per la vita dell’intera diocesi e per l’unità fra i sacerdoti, in quanto principali collaboratori e consiglieri del Vescovo, che insieme a quest’ultimo debbono occuparsi della cura pastorale della Chiesa particolare (can. 384).
5. Ascoltare il consiglio presbiterale non è una
formalità disconnessa dalla sostanza delle decisioni concernenti la parrocchia.
Il Codice di Diritto canonico ci dice che, quando è necessario il consiglio di
certe persone per specifici atti amministrativi, l’atto risulta invalido nel
caso in cui il superiore non abbia ascoltato il parere delle persone in
questione (can. 127, §2, 2º). Il Can.
127 chiarisce che il superiore non è obbligato a seguire il loro consiglio,
anche nel caso in cui siano tutti d’accordo fra loro, ma che, allo stesso
tempo, è tenuto a non agire in senso contrario rispetto al consiglio che gli
hanno dato, specialmente nel caso in cui siano tutti d’accordo fra loro,
eccetto che per una ragione che egli ritenga prevalente (can. 127, §2,
2º). Coloro che offrono i propri
consigli al Vescovo diocesano sono tenuti a esprimere il loro pensiero con
sincerità e, a seconda della gravità
della materia che viene esaminata, osservare la segretezza (can. 127, §3).
6. I membri del consiglio presbiterale dovranno
essere pronti ad esprimere il proprio parere al Vescovo diocesano in materia di
erezione, soppressione o alterazione di una parrocchia, a condizione che
abbiano avuto la possibilità di studiare la documentazione concernente lo
specifico atto amministrativo proposto. A seconda della complessità della
questione e del tempo concesso per poter studiare la documentazione, si può
prevedere che un consiglio onesto possa richiedere che la materia venga
esaminata nel corso di più incontri del consiglio presbiterale. Tenendo conto
dell’importanza di queste consulenze, i verbali delle discussioni debbono
essere curati in modo particolare.
7. Oltre a consultare il consiglio presbiterale,
è importante ricordare che allo stesso Vescovo diocesano è chiesto di studiare
tutta la documentazione necessaria e di ascoltare il parere di coloro i cui
diritti possono essere violati dall’atto in questione (can. 50). Per quanto concerne la parrocchia, non può
essere una questione di avere un diritto personale all’esistenza di una
parrocchia particolare, bensì di diritti che appartengono ai ministeri spirituali
forniti attraverso la parrocchia e dei diritti relativi ai beni parrocchiali.
Nel caso della soppressione di una parrocchia che ha ancora dei membri, per
esempio, i beni parrocchiali, di diritto, seguono i membri della parrocchia
nella nuova o nelle nuove parrocchie (cann. 120-123).
8. Dopo aver studiato a fondo la materia e aver
ascoltato coloro i cui diritti sono suscettibili di essere direttamente toccati
dalla decisione, e dopo aver ascoltato il parere del consiglio presbiterale, il
Vescovo diocesano può procedere all’emissione del singolo atto amministrativo,
ovvero ad emettere un decreto per mezzo del quale erige, sopprime o modifica
una parrocchia. Il diritto ecclesiale esige che il decreto venga emesso per
iscritto e che esprima, almeno in forma sommaria, le relative motivazioni (can.
51).
9. Per quanto riguarda la soppressione o la
modifica di una parrocchia, occorre
ricordare che la questione di un cambiamento nella personalità giuridica
pubblica di una parrocchia va distinta dalla questione di un cambiamento nella
disposizione della chiesa parrocchiale come edificio sacro (can. 1222, §§1-2).
Un cambiamento nella disposizione della chiesa parrocchiale, quindi, esige un singolo
atto amministrativo a sé stante, che dovrà essere appositamente preparato. Se
viene proposto di trasformare la chiesa parrocchiale ad uso profano, purché non
indecoroso, la chiesa in questione deve trovarsi in condizioni tali da non
poter più essere utilizzata per il sacro culto e, allo stesso tempo, da non
poter essere restaurata (can. 1222, §1), oppure ci devono essere altre serie
ragioni per le quali non dovrebbe più essere utilizzata (can. 1222, §2). In
quest’ultimo caso, il Vescovo diocesano deve soddisfare tre requisiti: 1) deve
consultare il consiglio presbiterale; 2) deve ottenere il consenso di coloro
che legittimamente rivendicano dei diritti sull’edificio ecclesiale; 3) deve
accertarsi che il bene delle anime non sia in alcun modo messo in pericolo
(can. 1222, §2). La riduzione di una chiesa parrocchiale ad uso profano, purché
non indecoroso, a meno che non sia di fatto già avvenuta, deve essere decisa
per decreto (can. 1212).
Ruolo pastorale della parrocchia
1. Il parroco o il pastore
fornisce la cura pastorale e la direzione del gregge in ogni parrocchia, in
virtù del sacramento del sacerdozio, per mezzo del quale è configurato a
Cristo, Capo e Pastore del gregge. La sua cura pastorale non può essere ridotta
all’amministrazione dei sacramenti, che rappresenta il più alto esercizio del
ministero sacerdotale, ma deve anche includere l’insegnamento della fede e il
governo della comunità dei fedeli a lui affidati (cann. 528-530).
2. Di certo, specialmente
nelle grandi parrocchie, i parroci hanno bisogno dell’assistenza di altre
persone: i vicari parrocchiali (cf. cann. 545-548), i sacerdoti residenti, i
diaconi permanenti, i catechisti, gli insegnanti e gli amministratori nella
scuola cattolica, i volontari che visitano i malati, gli amministratori
finanziari, il personale di segreteria, ecc. Se si vuole che il lavoro degli
altri risulti efficace, questi ultimi debbono essere diretti dal parroco e
compiere il proprio servizio in relazione con il suo ufficio e la sua cura
pastorale. L’assistenza offerta da un
vicario parrocchiale o da un sacerdote residente che è investito da una
responsabilità a tempo pieno rispetto a un ministero sacerdotale specializzato
è, ovviamente, diversa, poiché costituisce un esercizio diretto del sacerdozio
ordinato e viene svolta nel contesto dell’unità del presbiterato con il
Vescovo.
In alcuni casi, a causa
della carenza di sacerdoti, il Vescovo potrebbe aver bisogno di affidare la
cura di più di una parrocchia ad un singolo pastore che sia assistito da una
squadra di collaboratori (cann. 526, §§1-2; and 534, §2). In vista dell’integrità di ogni parrocchia,
tuttavia, l’officio del parroco deve essere rispettato e onorato:
«Alcuni
Vescovi, a motivo della scarsità di clero, hanno provveduto ad istituire le
cosiddette “équipes pastorales”, composte da un sacerdote e da alcuni
fedeli – diaconi, religiosi e laici –, che sono incaricati di svolgere le
attività pastorali in più parrocchie riunite in una, anche se non formalmente.
In qualche caso l’esercizio della cura pastorale di una parrocchia è stato
partecipato a uno o più diaconi o ad altri fedeli, con un sacerdote che li
diriga pur mantenendo altri uffici ecclesiastici (663). In tali casi, bisogna
che risulti di fatto e in concreto, e non solo giuridicamente, che è il
sacerdote ad avere la guida della parrocchia ed a rispondere al Vescovo della
sua conduzione. Il diacono, i religiosi, i laici aiutano il sacerdote
collaborando con lui. Ovviamente, solo ai ministri sacri sono riservate le
funzioni che richiedono il sacramento dell’Ordine. Il Vescovo istruisca i
fedeli che si tratta di una situazione di supplenza per mancanza di un
sacerdote che possa essere nominato parroco, e sia sollecito a porre fine a
tale situazione appena gli sarà possibile» (Congregazione dei Vescovi, Direttorio Apostolorum successores,
“Per il ministero pastorale dei vescovi”, 22 febbraio 2004, n. 216).
4.
Quando il rispetto del diritto dei fedeli al ministero del parroco viene
trascurato o è totalmente assente, l’identità cattolica della parrocchia tende
ad annacquarsi e a scomparire. I fedeli cominciano a vedere la parrocchia come
un nucleo democratico e a cadere nell’assemblearismo. Inoltre, la fede nella
Santa Eucaristia e nel Sacro Sacerdozio inizia a indebolirsi o persino ad
aprire la strada all’errore; come, per esempio, quando si descrive un servizio
di preghiera domenicale come “la Messa del diacono” o “la Messa della suora”.
Inoltre, nella mente dei fedeli, l’Eucaristia stessa diventa separata dal sacrificio
eucaristico offerto sull’altare della chiesa parrocchiale. I fedeli cominciano
a vedere il diacono o la suora o il ministro laico straordinario come il loro
pastore. Si generano dei risentimenti fra il parroco e gli altri ministri, che
possono cominciare a credere che l’unica differenza fra il loro ministero e
quello del parroco consista nella loro non idoneità a celebrare la Santa Messa,
ad ascoltare le confessioni, ad amministrare l’unzione degli infermi, in cui le
azioni sacramentali riservate al sacerdote cominciano ad essere viste come mere
funzioni.
5.
Il trasferimento del parroco è regolato dai cann. 1748-1752. Il trasferimento in quanto tale viene posto
in essere per mezzo di un decreto in cui le motivazioni del trasferimento sono
indicate, perlomeno, in maniera sintetica (can. 51), anche nel caso in cui le
motivazioni siano già state comunicate durante il processo del trasferimento.
Il processo viene attentamente articolato in modo da salvaguardare il bene del
parroco e il bene di tutti i fedeli.
6. La rimozione del parroco viene deliberata “quando il ministero pastorale di un parroco per qualche causa, anche senza sua colpa grave, risulti dannoso o almeno inefficace” (can. 1740). Nell’eseguire la rimozione di un parroco, il processo descritto nei cann. 1740-1747 dovrà essere seguito scrupolosamente. Il Vescovo diocesano dovrebbe essere particolarmente attento nel nominare un corpo stabile di parroci, dai quali sceglierà due membri che saranno disponibili per una consultazione in simili casi (can. 1742, §1). Aspettare a istituire questo corpo di parroci, fino al momento in cui capiti un caso di rimozione di un parroco, non farebbe altro che incoraggiare accuse di parzialità nella scelta dei parroci da consultare.
Parroci che lavorano e vivono insieme
1. E’ possibile assegnare più
sacerdoti perché lavorino insieme al servizio di un gruppo di parrocchie, in
modo che ognuno dei sacerdoti abbia la responsabilità dell’intero ministero
parrocchiale (in solidum). In quest’ultimo caso, uno dei sacerdoti dovrà
fare da perno per dirigere l’azione congiunta del gruppo e rispondere al
Vescovo (can. 517, §1). Quest’ultimo caso è visto come straordinario. La norma
rimane un singolo pastore per ogni parrocchia (can. 526, §1).
2. Esiste anche la
possibilità che diversi parroci, ognuno al servizio di una singola parrocchia,
condividano la stessa rettoria. Anche se questa sistemazione promuove la
fraternità sacerdotale, presenta la difficoltà che il parroco si trova a vivere
lontano dal suo popolo (can. 533, §1). Ci si deve porre la domanda: il fine della
fraternità sacerdotale può essere meglio raggiunto se i sacerdoti in una certa
zona compiono lo sforzo concertato di programmare un tempo da trascorrere
insieme e rimanervi fedeli?
Pianificazione pastorale e carenza di sacerdoti
1. La carenza di sacerdoti
non è un dato di fatto. Dobbiamo credere che Dio chiamerà un numero sufficiente
di uomini a servire il suo popolo come loro autentici pastori. Allo stesso
tempo, proprio la nostra fiducia nella chiamata di Dio esige da noi un impegno
attivo nell’apostolato delle vocazioni sacerdotali (can. 233, §§1-2). Da parte
di alcuni, con il passare degli anni, il fatto di non riuscire a promuovere le
vocazioni sacerdotali era collegato a una forma di promozione a senso unico
degli apostolati dei non ordinati. In verità, non esiste alcuna autentica
promozione del servizio ecclesiale dei non ordinati che non sia collegata con
una vigorosa promozione delle vocazioni sacerdotali.
2. La carenza di sacerdoti rischia di diventare
una profezia che si autorealizza. La sua ossessione demoralizza pesantemente
l’apostolato delle vocazioni sacerdotali. Gli uomini devono essere incoraggiati
a prendere in considerazione la vocazione sacerdotale non perché ci sia bisogno
di loro per compensare la carenza di sacerdoti, ma perché Dio li chiama.
3. Una pianificazione
pastorale realistica deve includere un programma ben strutturato di promozione
delle vocazioni sacerdotali. Il Vescovo diocesano è investito della principale
responsabilità rispetto all’apostolato delle vocazioni sacerdotali (can. 385),
mentre allo stesso tempo deve guidare tutti i fedeli ad adempiere alle loro
responsabilità nel promuovere le vocazioni sacerdotali (can. 233, §1). Andrebbe
osservato che genitori e parroci hanno una particolare responsabilità
nell’assistere quegli uomini che hanno udito la chiamata al sacerdozio ordinato
(can. 233, §1). Per quanto riguarda il
servizio della famiglia nel promuovere le vocazioni sacerdotali, Papa Benedetto
XVI ha osservato:
«La
pastorale vocazionale, in realtà, deve coinvolgere tutta la comunità cristiana
in ogni suo ambito. Ovviamente, in questo capillare lavoro pastorale è inclusa
anche l'opera di sensibilizzazione delle famiglie, spesso indifferenti se non
addirittura contrarie all'ipotesi della vocazione sacerdotale. Si aprano con
generosità al dono della vita ed educhino i figli ad essere disponibili alla
volontà di Dio. In sintesi, occorre soprattutto avere il coraggio di proporre
ai giovani la radicalità della sequela di Cristo mostrandone il fascino» .(Sacramentum
caritatis, n. 25)
4. Tanto i non ordinati
quanto gli ordinati devono essere preparati a lavorare insieme per la Chiesa,
in conformità con le istruzioni della Santa Sede in materia (Congregazione per il
Clero, Pontificio Consiglio per i Laici, Congregazione per la Dottrina della
Fede, Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Congregazione
per i Vescovi, Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Congregazione
per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Pontificio
Consiglio per l’Interpretazione dei testi legislativi, Istruzione “Su alcune
questioni riguardanti la collaborazione dei fedeli non ordinati nel sacro
ministero dei sacerdoti”, 15 agosto 1997).
Ministero sacerdotale specializzato
1. C’è una necessità
assoluta del sacerdote cappellano nella scuola cattolica, il quale rende
presente il Vescovo in una delle attività ecclesiali fondamentali in materia di
educazione cattolica. Il ministero del sacerdote cappellano è al servizio tanto
degli studenti quanto della facoltà e del personale.
2.
La
pastorale universitaria per gli studenti richiede la nomina stabile di
sacerdoti che celebrino i sacramenti per loro, li accompagnino a una più
profonda comprensione della fede cattolica e li possano consigliare,
specialmente nelle questioni che appartengono a fede e ragione e alla vita
morale, specificamente rispetto ai modi in cui si può mettere in pratica la
fede in una società totalmente secolarizzata (cf. can. 813). Il sacerdote cappellano universitario offre
la sua cura pastorale anche ai docenti e al personale dell’ateneo e a tutti
coloro che sono associati con il suo ministero in campo universitario.
3. Similmente, esiste una
necessità essenziale del sacerdote cappellano nelle strutture medico-sanitarie
cattoliche, il quale offre il ministero di guarigione di Cristo Sacerdote a chi
è gravemente malato, deve sottoporsi a un serio intervento chirurgico o è
moribondo. Il cappellano, inoltre, fornisce un ministero sacerdotale essenziale
alle famiglie dei pazienti gravemente malati o moribondi e ai professionisti
medici e paramedici.
4. Le nostre forze armate,
dedicate alla sicurezza e alla libertà di tutti, hanno un particolare bisogno
di attenzioni sacerdotali, specialmente a causa del forte stress della vita
militare e a causa dei pericoli che spesso i soldati si trovano ad affrontare.
Le qualità di un sacerdote cappellano militare, attualmente, rendono imperativo
per ogni Vescovo di considerare dei sacerdoti adatti che egli abbia la
possibilità di rendere disponibili per la cura sacerdotale delle forze armate.
5. La Chiesa è
essenzialmente missionaria. La fedeltà alla nostra identità missionaria include
la generosità nell’offrire sacerdoti per il servizio delle missioni nelle quali
la loro carenza risulta particolarmente accentuata.
6. Il Seminario diocesano,
se vuole offrire una sana formazione sacerdotale a coloro che sono chiamati a
servire come sacerdoti diocesani, richiede un solido corpo docente composto da
sacerdoti membri di facoltà i quali non solo forniscano una formazione umana,
spirituale, intellettuale e pastorale, ma costituiscano un esempio dei frutti
di tale formazione in una santa vita sacerdotale:
«I Vescovi per primi
devono sentire la loro grave responsabilità circa la formazione di coloro che
saranno incaricati dell'educazione dei futuri presbiteri. Per questo ministero
devono essere scelti sacerdoti di vita esemplare, in possesso di diverse
qualità: « la maturità umana e spirituale, l'esperienza pastorale, la
competenza professionale, la stabilità nella propria vocazione, la capacità
alla collaborazione, la preparazione dottrinale nelle scienze umane
(specialmente la psicologia) corrispondente all'ufficio, la conoscenza dei modi
per lavorare in gruppo » (Propositio 29) (Papa Giovanni Paolo II, Esortazione
apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, “Circa la formazione dei
sacerdoti nelle circostanze attuali”, 25 marzo 1992, n. 66).
La
Diocesi che ha la benedizione di possedere un proprio seminario deve preparare,
approfittando di tale benedizione, alcuni sacerdoti che siano disponibili per
il servizio della formazione sacerdotale nel seminario diocesano.
7. La Curia arcidiocesana,
“quale struttura di cui il Vescovo si serve per esprimere la propria carità
pastorale nei suoi vari aspetti”, richiede il servizio di alcuni sacerdoti
(Papa Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores gregis “Sul Vescovo Servitore del Vangelo di Gesù
Cristo per la Speranza del Mondo”, 16 ottobre 2003, n. 45). Alcuni offici,
particolarmente quelli che implicano l’esercizio vicario della giurisdizione
episcopale, debbono essere ricoperti da un sacerdote; per esempio, gli offici
di vicario generale, vicario giudiziale, vicario giudiziale aggiunto, vicario
episcopale, moderatore della Curia. Il servizio offerto da un certo numero di
sacerdoti nella Curia arcidiocesana e in altre istituzioni arcidiocesane, in
aggiunta a coloro che prestano il proprio servizio in offici che richiedono che
il titolare sia un sacerdote, garantisce in maniera più efficace la presenza
della carità pastorale del Vescovo in tutto il lavoro della Curia. Oltre a
quella della Curia diocesana, la diocesi può anche avere la responsabilità di
fornire il personale sacerdotale richiesto ai tribunali interdiocesani o
regionali di prima o seconda istanza. I sacerdoti che prestano il proprio
servizio presso la Curia arcidiocesana debbono essere adeguatamente preparati con ulteriori studi; per esempio, lo studio
del codice di diritto canonico nel caso dei sacerdoti che prestano il proprio
servizio come giudici nei processi giudiziali riguardanti la sacra realtà del
matrimonio cristiano.
8. La comunione nella
Chiesa universale significa anche che, alcune volte, la Santa Sede o la
Conferenza Episcopale o un’altra istituzione o agenzia ecclesiale potrebbe
richiedere i servizi di un sacerdote diocesano.
Decanato
1. Nel secondo paragrafo
dello stesso canone che richiede al Vescovo diocesano di dividere la diocesi in
parrocchie, il Codice di Diritto Canonico
prevede la presenza di vicariati foranei o decanati, affinché l’attività
pastorale nelle parrocchie confinanti possa essere coordinata e la dovuta cura
dei sacerdoti che prestano il proprio servizio nelle parrocchie possa essere
garantita dal Vescovo diocesano (can. 374, §2). Il decanato, chiaramente,
è al servizio della parrocchia, in quanto le responsabilità del vicario foraneo
o del decano sono centrati sulla promozione di una sana attività pastorale in
tutte le parrocchie del decanato e sulla cura dei sacerdoti del decanato, in
modo che possano svolgere la loro missione insostituibile nella parrocchia o
nelle parrocchie loro affidate (can. 555, §§1-4). Il Vescovo diocesano dovrà
ascoltare il parere del vicario foraneo o del decano prima di nominare un
pastore nel suo vicariato foraneo o decanato (can. 524), e lo potrà consultare
prima della nomina di un vicario parrocchiale (can. 547).
2. Il vescovo diocesano ha
la responsabilità di stabilire vicariati foranei, nella misura in cui li
ritenga appropriati e utili, e di modificarli. Il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi suggerisce
l’utilità di “dotare i vicariati foranei di uno statuto comune, che il
Vescovo approverà dopo aver ascoltato il Consiglio Presbiterale” (Apostolorum
successores, n. 218). Tali statuti dovranno contenere i seguenti elementi:
1) le parrocchie che appartengono a ogni vicariato foraneo; 2) il titolo del
sacerdote incaricato del vicariato foraneo, le modalità della sua selezione, il
mandato del suo servizio e tutte le facoltà speciali che il Vescovo diocesano
gli voglia attribuire; 3) la natura degli incontri del vicariato foraneo; 4)
l’appartenenza dei vicari foranei agli altri organismi consultivi diocesani (Apostolorum
successores, n. 217).
3. Si raccomanda che il
Vescovo diocesano incontri regolarmente i vicari foranei: “Converrà perciò che
il Vescovo tenga incontri periodici con i Vicari foranei, per trattare i
problemi della diocesi e per essere debitamente informato della situazione
delle parrocchie” (Apostolorum successores, n. 219).
4. Il Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi affronta anche
l’istituzione delle regioni pastorali sotto la cura di un vicario episcopale (Apostolorum
successores, n. 219; cf. can. 476).
Conclusione
In
conclusione, vorrei sottolineare i seguenti punti:
1. Una sana ecclesiologia e
una sana teologia del sacerdozio ordinato deve sempre essere il fondamento del
nostro trattamento delle questioni giuridiche relative al sacerdozio ordinato e
al ministero del sacerdote ordinato.
2. Nell’affrontare le
questioni giuridiche riguardanti la parrocchia e il parroco, il sacerdozio
ordinato, in quanto costitutivo della vita della Chiesa, deve sempre essere
tenuto presente e rispettato.
3. La formazione
sacerdotale, specialmente la formazione pastorale, dovrà aiutare le persone in
formazione a sviluppare le virtù necessarie per sostenere un’identità
sacerdotale distinta pur continuando a lavorare insieme ai non ordinati nel
portare avanti la missione della Chiesa.
4. I programmi destinati a
preparare i non ordinati a servire la Chiesa in un impegno a tempo pieno o a
tempo parziale debbono mettere in luce la relazione essenziale fra il ministero
dei non ordinati e il ministero ordinato.
5. Una sana ecclesiologia
esige una visione della Chiesa che sia veramente cattolica e, di conseguenza,
sia consapevole della necessità che una Chiesa particolare sia generosa nel
provvedere ai bisogni – inclusi quelli del ministero sacerdotale – della Chiesa
universale.