Assemblea Plenaria 16-18 marzo 2009

 

 

Parole di Saluto e di Introduzione

dell'Em.mo Card. Prefetto Cláudio Hummes

 

 

«L’identità missionaria del presbitero nella Chiesa,

quale dimensione intrinseca

dell’esercizio dei tria munera»

 

 

Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

 

1. Introduzione

     Vorrei dare il più cordiale benvenuto a tutti i Membri della Congregazione e, particolarmente, a coloro che per la prima volta, si uniscono a noi in questa Assemblea Plenaria, quali nuovi membri. A tutti, che con non pochi sacrifici, sono convenuti nella Città Eterna, il mio sincero ringraziamento.

     Desidero con Voi ringraziare il Signore che ci ha radunati in questa Aula, cum Petro et sub Petro, e sotto la protezione dell’Apostolo Paolo, proprio in questo Anno Paolino, in quello spirito di comunione, di fede e di amore, che ci unisce nel servizio alla Chiesa, per il bene dei nostri presbiteri, diaconi e dell’intero Popolo di Dio.

     Negli ultimi anni, questo Dicastero ha dato un contributo non indifferente nell’ambito delle proprie competenze. Come non ricordare l’importante Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, pubblicato nel 1994; poi, nel 1999, la lettera circolare “Il presbitero maestro della Parola, ministro dei sacramenti e guida della comunità in vista del terzo millennio cristiano”; nel 2002, l’istruzione “Il presbitero, pastore e guida della comunità parrocchiale” e, finalmente, nel 2004, l’Assemblea Plenaria ha rivolto la propria attenzione agli “organismi di collaborazione nella Chiesa particolare, a livello diocesano e parrocchiale,” e alla “Pastorale dei Santuari”, cercando di evidenziare, con chiarezza e completezza, lo specifico fondamento teologico sacramentale che sottostà alla normativa codiciale ed alle recenti disposizioni magisteriali sugli organismi diocesani e su quelli parrocchiali; ed indicando, così, la via per sanare e rimuovere le inadeguate costituzioni e prassi di funzionamento di “organismi di partecipazione” nella Chiesa particolare – a livello diocesano e parrocchiale –, che sono, a volte, difformi o contrarie alla legislazione universale della Chiesa.  

     Oggi, in sintonia con il Magistero della Chiesa, ed in modo particolare con i Documenti del Concilio Vaticano II e con i recenti interventi del Sommo Pontefice, la Congregazione  propone un tema che considera di notevole rilevanza ecclesiale in questi momenti: “L’identità missionaria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera”. L’obiettivo fondamentale è evidenziare la rilevanza dell’identità missionaria del presbitero, nel contesto attuale della vita della Chiesa.

 

2. L’urgenza missionaria nel mondo attuale

     La Chiesa è per la sua natura missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre (Decreto Ad gentes, n. 2). Si tratta di una missionarietà intrinseca, fondata ultimamente nelle stesse missioni trinitarie. “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15). Nella stessa vocazione dell’Apostolo delle genti: “Va’; perché io ti manderò lontano, tra i pagani” (At 22, 21).

Nelle odierne circostanze, nel panorama mondiale, si rinnova l’urgenza missionaria, non soltanto “ad gentes”, ma all’interno dello stesso gregge, già costituto come Chiesa.

     Papa Benedetto XVI, fin dall’inizio del suo pontificato, ha ribadito costantemente il tema delle nuove condizioni nelle quali si trova oggi la Chiesa nella società post-moderna. Siamo di fronte ad una società la cui cultura cerca di rifiutare Dio ed è profondamente segnata dal secolarismo, dal relativismo, dallo scientismo, dall’indifferentismo religioso, dall’agnosticismo e da un laicismo, spesso militante e anti-religioso. Questa nuova cultura post-moderna avanza, anzitutto nei paesi occidentali, è dominante nei media, ma si espande, progressivamente, a tutti i popoli, attraverso la mobilità umana e tutte le forme attuali di comunicazione.

Lo stesso Pontefice, parlando ai vescovi tedeschi, durante la Giornata mondiale della Gioventù (2005), disse: “Sappiamo che il secolarismo e la scristianizzazione progrediscono, che il relativismo cresce, che l’influsso dell’etica e della morale cattoliche diminuisce sempre più. Non poche persone abbandonano la Chiesa, o se vi rimangono, accettano soltanto una parte dell’insegnamento cattolico, scegliendo solo alcuni aspetti del cristianesimo. […] Voi stessi, cari Confratelli, avete affermato [...]: ‘Noi siamo diventati terra di missione’. […] Dovremmo riflettere seriamente sul modo in cui possiamo realizzare una vera evangelizzazione. […] Non è sufficiente che noi cerchiamo di conservare il gregge esistente, anche se questo è molto importante […]. Credo che dobbiamo tutti insieme cercare di trovare nuovi modi per riportare il Vangelo nel mondo attuale, annunciare di nuovo Cristo e stabilire la fede” (Disc. nel Piussaal del Seminario di Colonia, 21.8.2005).

     Nel contempo, cresce la consapevolezza che, oltre ai problemi della cultura post-moderna, si presentano, sia il problema dell’altissima percentuale di cattolici che vivono lontani della prassi religiosa, sia il problema della diminuzione drastica, per diverse cause, del numero di coloro che si dichiarano cattolici; c’è, nel contempo, il problema della crescita straordinaria delle cosiddette “sette evangeliche pentecostali” e di altre sette.

     Innanzi a questa realtà, urge accogliere con generosità l’invito fatto dal Santo Padre ad una vera “missione”, rivolta a coloro che, pur essendo stati da noi battezzati, per diverse circostanze storiche, non sono stati da noi sufficientemente evangelizzati. Nel suo discorso ai Vescovi brasiliani, nel 2007, il Papa ha detto: “[…] È necessario, pertanto, avviare l’attività apostolica come una vera missione nell’ambito del gregge costituito dalla Chiesa Cattolica in Brasile, promovendo un’evangelizzazione metodica e capillare in vista di un’adesione personale e comunitaria a Cristo. […]. Si richiede, in una parola, una missione evangelizzatrice che interpelli tutte le forze vive di questo gregge immenso” (Discorso del Santo Padre ai Vescovi Brasiliani, 11 maggio 2007, n. 3).

 

3. L’identità missionaria dei Presbiteri ed i tria munera

     L’esercizio del ministero presbiterale appare fondamentale, all’interno dell’intero Popolo di Dio, nel rispondere alle situazioni che sono in contrasto con il Vangelo. Al riguardo, è necessario riprendere, con tutta la loro forza, i fondamenti della vera identità missionaria dei Presbiteri, in vista di un superamento dei problemi che affliggono l’umanità e si riflettono nella vita della Chiesa.

     Il Decreto Presbyterorum Ordinis, sul ministero e la vita dei presbiteri, sviluppa questa verità quando si riferisce, nei nn. 4-6, rispettivamente ai presbiteri ministri della parola di Dio, ministri della santificazione con i sacramenti e l’Eucaristia, e guide ed educatori del popolo di Dio. Sono i “tria munera” del presbitero.

     L’identità missionaria del presbitero, anche se non ne è oggetto esplicito, è chiaramente presente in questi testi. Il sacerdote, “inviato”, che partecipa della missione di Cristo, inviato dal Padre, si trova coinvolto in una dinamica missionaria, senza la quale non potrebbe veramente vivere la propria identità (Giovanni Paolo II,  Pastores dabo vobis, 26).

     Nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis si afferma che, pur inserito in una Chiesa particolare, il presbitero, in virtù della sua ordinazione, ha ricevuto un dono spirituale che lo prepara ad una missione universale, fino ai confini della terra (cf. At 1,8), perché «qualsiasi ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli» (PDV 32).).

     Se parliamo di missione, dobbiamo tener presente, necessariamente, che l’inviato, il presbitero in questo caso, si trova in relazione sia con chi lo invia sia con coloro ai quali è inviato. Esaminando la sua relazione con Cristo, il primo inviato dal Padre, bisogna sottolineare il fatto che, stando ai testi del Nuovo Testamento, è Cristo stesso a inviare e a costituire i ministri della sua Chiesa, essi non possono essere considerati semplicemente eletti o delegati dalla comunità o dal popolo sacerdotale. “Il presbitero trova la piena verità della sua identità nell’essere una derivazione, una partecipazione specifica e una continuazione dello stesso Cristo, sommo ed eterno sacerdote della nuova Alleanza; è un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote” (Giovanni Paolo II,  Pastores dabo vobis, 12).

    

4. Il presbitero e l’esigenza di una nuova prassi missionaria

     In questa relazione con Cristo, la prima verità che viene alla luce è l’importanza di una profonda identificazione e intimità con Colui che consacra il presbitero e lo invia. Infatti, l’essere missionario richiede l’essere discepolo. Il testo di San Marco afferma: “[Gesù] salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3, 13-15). “Chiamò a sé quelli che egli volle” e “che stessero con lui”, ecco il discepolato! Questi discepoli saranno mandati a predicare ed a scacciare i demoni. Ecco, i missionari!

     Nell’itinerario del discepolato, tutto inizia con la chiamata del Signore. L’iniziativa è sempre Sua. Ciò indica che la chiamata è una grazia, che deve essere liberamente e umilmente accolta e custodita, con l’aiuto dello Spirito Santo. Dio ci ha amati per primo. È il primato della grazia. Alla chiamata segue l’incontro con Gesù per ascoltare la sua parola e fare l’esperienza del suo amore per ciascuno e per l’intera umanità. Egli ci ama e ci rivela il vero Dio, uno e trino, che è amore.

     Nel Vangelo si mostra come, in questo incontro, lo Spirito di Gesù trasformi colui che ha il cuore aperto. Infatti, chi incontra Gesù sperimenta un profondo coinvolgimento con la sua persona e la sua missione nel mondo, crede in lui, sperimenta il suo amore, aderisce a lui, decide di seguirlo incondizionatamente, dovunque ciò conduca, investe in lui tutta la propria vita e, se necessario, accetta di morire per lui. Esce dall’incontro con un cuore gioioso ed entusiasta, affascinato dal mistero di Gesù, e si lancia ad annunciarlo a tutti. Così, il discepolo diventa simile al Maestro, inviato da lui e sostenuto dallo Spirito Santo.

     Il Santo Padre Benedetto XVI, in un suo commento al citato brano di S. Marco, presenta l’essenza della vocazione spirituale del sacerdote, come lo “stare con Cristo”, per poi “essere mandato da Lui”: “Stare con Lui ed essere mandati da Lui – due cose inscindibili tra loro. Solo chi sta con Lui impara a conoscerlo e può annunciarlo veramente. Chi sta con Lui, non trattiene per sé ciò che ha trovato, ma deve comunicarlo”. Diversamente, si cadrebbe nel “vuoto attivistico”: La prassi lo afferma: dove i sacerdoti, a causa dei grandi compiti, permettono che lo stare col Signore si riduca sempre di più, lì perdono infine, nonostante la loro attività forse eroica, la forza interiore che li sostiene. Quello che fanno diventa un vuoto attivismo” (Ai seminaristi, ai sacerdoti, ai religiose e religiosi e ai membri dell’Opera Pontificia per le Vocazioni di speciale consacrazione, Germania, 11 settembre 2006).

     Per il presbitero, lo “stare con Lui” si rinnova sempre, e in modo assolutamente speciale, nella celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, ma anche nella lettura orante della Bibbia, nell’orazione fedele della Liturgia delle Ore, nella preghiera personale e comunitaria, nel ricevere il sacramento della Riconciliazione, nella solidarietà con i poveri e in molte altre forme.

     Si tratta di “stare con Lui” per diventare veri discepoli suoi e per poi annunziarlo con vigore ed efficacia! “Stare con Lui” per poi portarlo agli uomini, ecco il compito centrale del sacerdote!  

     Si tratta, in ultima analisi, di vivere una vita incentrata su Dio. “Se in una vita sacerdotale si perde questa centralità di Dio, si svuota passo a passo anche lo zelo dell’agire” (Papa Benedetto XVI, Ai membri della Curia Romana, 22 dicembre 2006). Da questa profonda ed intima esperienza di Dio scaturisce la vocazione missionaria dei presbiteri.

     Oggi, questa missione si sviluppa necessariamente in due ambiti, cioè: “ad gentes” e nello stesso gregge, già costituito, della Chiesa, ossia tra i battezzati. Gli orizzonti della missione “ad gentes” si allargano e richiedono rinnovato impulso missionario. La Chiesa guarda con premura, amore e speranza, per esempio, all’Asia, in speciale modo alla Cina, e all’Africa. I presbiteri sono invitati ad ascoltare il soffio dello Spirito e a condividere questa sollecitudine della Chiesa universale. D’altra parte, nello stesso gregge già costituito della Chiesa, nei paesi cosidetti cristiani, dove  purtroppo più della metà dei battezzati non partecipa alla vita della Chiesa, perché poco o per niente evangelizzati, un’evangelizzazione missionaria è diventata ormai urgente e improrogabile. È su questa missione all’interno dello stesso gregge, che vogliamo anzitutto riflettere in questa Plenaria. La missione “ad gentes” è di competenza specifica della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

 

5. Il Presbitero, discepolo e missionario, nel esercizio dei “tria munera”

     Il Concilio Vaticano II presenta il presbitero come ministro della Parola, ministro della santificazione con i sacramenti, in modo speciale, con l’Eucaristia, e come pastore, guida ed educatore del Popolo di Dio (cfr. Presbyterorum ordinis, nn. 4-6). Sono i “tria munera”, ambiti del suo essere discepolo e missionario.

5.1. Nell’ambito del munus docendi

     Prima di tutto, per essere un vero missionario all’interno dello stesso gregge della Chiesa, secondo le attuali esigenze, è essenziale ed indispensabile che il presbitero si decida non soltanto ad accogliere ed evangelizzare coloro che lo cercano, sia nella parrocchia sia altrove, ma ad “alzarsi ed andare” in cerca, prima di tutto, dei battezzati che non partecipano alla vita della comunità ecclesiale, e anche di tutti coloro che poco, o per niente, conoscono Gesù Cristo. Questa nuova missione deve essere abbracciata con entusiasmo da ogni parrocchia, in forma permanente, con un slancio che cerchi di raggiungere tutti i battezzati del proprio territorio e poi anche i non battezzati.

     L’annunzio specificamente missionario del Vangelo richiede che sia dato un rilievo centrale al Kerigma. Questo primo o rinnovato annunzio kerigmatico di Gesù Cristo, morto e risorto, e del suo Regno, ha, senz’altro, un vigore e una unzione speciale dello Spirito Santo.  Il Kerigma è per eccellenza il contenuto della predicazione missionaria.

Nell’enciclica Redemptoris Missio (1990), Giovanni Paolo II scrisse: “Nella realtà complessa della missione il primo annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce ‘nel mistero dell’amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui’ e apre la via alla conversione. La fede nasce dall’annunzio (…) L’annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto; in lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; in lui Dio dona la ‘vita nuova’, divina ed eterna. È questa la ‘buona novella’, che cambia l’uomo e la storia dell’umanità e che tutti i popoli hanno il diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita dell’uomo e dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve essere fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adattato alle circostanze. In esso lo Spirito è all’opera e instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in quanto l’uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre” (n. 44).

Pertanto, bisogna riprendere, “opportune et importune” con molta costanza, convinzione e gioia evangelizzatrice, questo primo annunzio, sia nelle omelie, durante le Sante Messe o altri eventi evangelizzatori, sia nelle catechesi, sia nelle visite domiciliari, nelle piazze, nei mezzi di comunicazione sociale, negli incontri personali con i nostri battezzati che non partecipano alla vita delle comunità ecclesiali, insomma, ovunque lo Spirito ci spinga ed offra un’opportunità da non sprecare.

In questo sforzo missionario, i destinatari privilegiati saranno i poveri. Come disse lo stesso Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me […] e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18). Nel già citato discorso ai vescovi brasiliani, Benedetto XVI disse:

“Tra i problemi che affliggono la vostra sollecitudine pastorale c’è, senza dubbio, la questione dei cattolici che abbandonano la vita ecclesiale. Sembra chiaro che la causa principale, tra le altre, di questo problema possa essere attribuita alla mancanza di un’evangelizzazione in cui Cristo e la sua Chiesa stiano al centro di ogni delucidazione. […] Nell’Enciclica Deus caritas est, ho ricordato che «all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (n. 1). È necessario, pertanto, avviare l’attività apostolica come una vera missione nell’ambito del gregge costituito dalla Chiesa Cattolica (…), promovendo un’evangelizzazione metodica e capillare in vista di un’adesione personale e comunitaria a Cristo. Si tratta infatti di non risparmiare sforzi per andare alla ricerca dei cattolici che si sono allontanati e di coloro che conoscono poco o niente Gesù Cristo […] In questo sforzo evangelizzatore, la comunità ecclesiale si distingue per le iniziative pastorali, inviando soprattutto nelle case delle periferie urbane e dell’interno i suoi missionari, laici o religiosi, cercando di dialogare con tutti in spirito di comprensione e di delicata carità. Tuttavia, se le persone incontrate vivono in una situazione di povertà, bisogna aiutarle come facevano le prime comunità cristiane, praticando la solidarietà perché si sentano veramente amate. La gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa, sia nell’aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace. I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, ed il Vescovo, formato ad immagine del Buon Pastore, deve essere particolarmente attento a offrire il balsamo divino della fede, senza trascurare il «pane materiale». Come ho potuto mettere in risalto nell’Enciclica Deus caritas est, «la Chiesa non può trascurare il servizio della carità, così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola» (22) (n.3).

5.2. Nell’ambito del munus sanctificandi

Di ogni celebrazione sacramentale fa parte la proclamazione della Parola di Dio, dato che il sacramento richiede la fede di chi lo riceve. Questo fatto indica che la celebrazione dei sacramenti, in modo speciale dell’Eucaristia, possiede una dimensione missionaria intrinseca, che può essere sviluppata come annunzio del Signore Gesù e del Suo Regno, a coloro che, poco, o ancora per niente, sono stati evangelizzati.

     Poi, bisogna sottolineare che l’Eucaristia è il centro della vita della Chiesa e di ogni cristiano. In questo senso si può dire che l’Eucaristia è il punto d’arrivo della missione. Il missionario va in cerca delle persone e dei popoli per portarli alla mensa del Signore, preannunzio escatologico del banchetto di vita eterna, presso Dio, nel cielo, che sarà la realizzazione piena della salvezza, secondo il disegno redentore del Padre. L’Eucaristia ha, inoltre, una dimensione d’invio missionario. Ogni Santa Messa si conclude con l’invio di tutti i partecipanti all’opera missionaria nella società.

La comunità cristiana, nel celebrare l’Eucaristia e nel ricevere il sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù, è profondamente unita al Signore e colmata di questo Suo amore senza misura. Al contempo, riceve ogni volta, di nuovo, il comandamento di Gesù “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato” e si sente spinta dallo Spirito di Cristo ad andare ed annunciare a tutte le creature la buona Novella dell’amore di Dio e della speranza sicura nella Sua misericordia salvatrice. Nel decreto Presbyterorum Ordinis, del Concilio Vaticano II, si dice: “L’Eucaristia costituisce, infatti, la fonte e il culmine di tutta l’evangelizzazione” (n.5).

     La stessa celebrazione eucaristica, e degli altri Sacramenti, bella, serena, dignitosa e devota, secondo le norme liturgiche, diventa un’evangelizzazione molto speciale per i fedeli presenti. 

     Tutti i Sacramenti ricevono la propria forza santificante dalla morte e risurrezione di Cristo e proclamano la misericordia indefettibile di Dio. La loro essenza ed efficacia missionarie devono essere sempre sottolineate.

5.3. Nell’ambito del munus regendi

     Nell’attuale urgenza missionaria è indispensabile che i sacerdoti guidino alla missione la comunità a loro affidata, profondamente animati dalla carità pastorale, consapevoli di essere ministri di Cristo. Parte integrante del munus regendi è la capacità personale del presbitero di suscitare lo spirito missionario e la corresponsabilità nei fedeli laici, contando su di loro per la nuova evangelizzazione.

     Infatti, la corresponsabilità e la compartecipazione dei fedeli laici alla missione della Chiesa non comporta un annullamento dell’essere pastore del presbitero. Nel  incontro del Papa con i sacerdoti delle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso, egli disse: “Mi sembra che questo sia uno dei risultati importanti e positivi del Concilio: la corresponsabilità di tutta la parrocchia: non è più soltanto il parroco che deve vivificare tutto, ma, poiché tutti siamo parrocchia, tutti dobbiamo collaborare ed aiutare, affinché il parroco non rimanga isolato sopra come coordinatore, ma si trovi realmente come pastore affiancato in questi lavori comuni nei quali, insieme, si realizza e si vive la parrocchia” (Id.).

     Nel munus regendi il parroco, riguardo alla missione nella sua parrocchia, dovrà convocare i membri della comunità parrocchiale ad assumere con lui stesso questa missione. Il laico è chiamato dal Signore, in virtù del battesimo e della cresima, ad essere evangelizzatore. Così, il parroco convochi i suoi laici, li formi e l’invii alla missione, alla quale lui stesso si volgerà.

     Per il buon esito della missione parrocchiale, sarà necessaria una buona metodologia missionaria. La Chiesa ne ha bi millenaria esperienza. Nondimeno, ogni epoca storica porta con sé nuove circostanze, da rilevare nel modo di attuare la missione.

     L’autentica identità missionaria esige anche che il presbitero renda evidente la sua genuina presenza di pastore. In tale contesto si comprende l’importanza pastorale dell’abito ecclesiastico, che è un segno dell’identità universale del sacerdote. Quanto più una società è pluralista e secolarizzata, tanto più abbisogna di segni di identificazione del sacro. (Cf. PAOLO VI, Catechesi nell'Udienza generale del 17 settembre 1969, Allocuzione al clero (1 marzo 1973): Insegnamenti di Paolo VI, VII (1969), 1065; XI (1973), 176; can. 284; Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, n. 66; Il Presbitero: maestro della Parola..., cap. IV, n. 3). In modo simili, ma ancora più profondo, può e deve essere un segno della trascendenza del Regno di Dio, la forte testimonianza del celibato sacerdotale.

     È importante aggiungere ancora che le circostanze attuali rivelano con urgenza la necessità di una profonda disponibilità dei presbiteri, che non siano solo in grado di cambiare incarico pastorale, ma anche città, regione o Paese, a seconda delle diverse necessità, e di adempiere alla missione che in ogni circostanza sia necessaria, andando oltre, per amore di Dio, ai propri gusti e progetti personali. Per la natura stessa del loro ministero, essi debbono dunque essere penetrati e animati da un profondo spirito missionario e da quello spirito veramente cattolico che li abitui a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti, nel loro animo, a predicare dovunque il Vangelo. (Cfr. Decr. Optatam totius, n. 20; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1565; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 18; Concilio Vaticano II,).

 

6. La formazione missionaria dei presbiteri e le vocazioni sacerdotali

     Tutti i presbiteri devono ricevere una specifica ed accurata formazione missionaria, dato che la Chiesa vuole impegnarsi, con rinnovato ardore e con urgenza, nella missione ad gentes ed in una evangelizzazione missionaria, diretta agli stessi battezzati, in modo particolare a coloro che si sono allontanati dalla partecipazione alla vita e all’attività della comunità ecclesiale. Si tratta di una formazione che dovrebbe avere inizio già nel seminario, in modo sistematico, approfondito ed ampio.

Appare sempre più urgente, allora, creare un legame fondamentale tra il tempo della formazione seminaristica e quello dell’iniziale ministero e della formazione permanente, che devono essere saldati insieme ed assolutamente armonici, in ordine alla missione, perché in quest’opera il clero possa divenire sempre più pienamente ciò che è: una perla preziosa ed indispensabile, offerta, da Cristo, alla Chiesa ed all’umanità intera.

 

7. Conclusione

     Se la missionarietà è un elemento costitutivo dell’identità ecclesiale, dobbiamo essere grati al Signore che rinnova, anche attraverso il recente Magistero Pontificio, tale chiara consapevolezza in tutta la sua Chiesa, ed in particolare nei presbiteri.

L’urgenza missionaria, nel mondo attuale, è davvero grande e domanda un rinnovamento della pastorale, la quale dovrebbe concepirsi in “missione permanente”, sia ad gentes, sia dove la Chiesa è già stabilita, andando alla ricerca di coloro che noi abbiamo battezzati e che hanno diritto ad essere da noi evangelizzati.

I presbiteri e tutta la comunità ecclesiale non dovrebbero risparmiare energie, opportune et importune, in una evangelizzazione missionaria urgente, intensa ed estesa, in tutti gli ambienti della società attuale, ma anzitutto tra i poveri. Una tale permanente “tensione missionaria” non potrà che giovare anche al rinnovamento della vera identità sacerdotale in ogni  presbitero, il quale, proprio nell’esercizio missionario dei tria munera, troverà la principale via di santificazione personale, e quindi del pieno compimento della propria  vocazione sacerdotale e  umana.

La missione e il presbitero, per essere tali, secondo il Cuore del Buon Pastore, guardino incessantemente alla Beata Vergine Maria che, piena di grazia, ha portato il Signore a tutto il mondo, come “luce delle genti”, e  sempre continua a visitare gli uomini di ogni tempo, ancora pellegrini sulle vie del mondo, per mostrare loro il volto di Gesù di Nazareth, il nostro unico Salvatore.