Ponenza di S. Em. Policarp Card. Pengo, Arcivescovo di Dar es Salaam
L’identità
missionaria del presbitero nella Chiesa,
quale
dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera
La situazione in Africa
I Le
odierne categorie generali dei sacerdoti in Africa
Attualmente i sacerdoti
in Africa possono essere classificati, ai fini di una veloce analisi della
situazione, nelle seguenti categorie. Ovviamente, la situazione concreta è
molto diversa da una regione all’altra nel continente, nonché da un paese
all’altro nella stessa regione e da una diocesi all’altra nell’ambito di una
stessa Conferenza Episcopale.
a) I sacerdoti diocesani
autoctoni
In molte parti
dell’Africa, dove la Chiesa locale è ben stabilita, i sacerdoti diocesani
autoctoni costituiscono la grande maggioranza dei sacerdoti. In queste regioni
o Chiese locali c’è stata talvolta l’espressa intenzione di escludere i
sacerdoti appartenenti ad altre categorie, così come descritte più avanti, dal
partecipare a qualunque ministero sacerdotale significativo. Le motivazioni di
tale tendenza all’esclusione possono essere razziali, tribali o etniche.
Non c’è dubbio che, in tali casi, l’identità sacerdotale missionaria propria è fortemente messa in pericolo. Aspetti o atteggiamenti che possono risultare sfavorevoli rispetto al lavoro missionario proprio dei sacerdoti possono non essere percepiti come tali per la mancanza di una prospettiva critica da parte di un occhio esterno.
Ci sono altre aree nel
continente in cui i sacerdoti diocesani autoctoni costituiscono una minoranza
insignificante, vuoi per la recente evangelizzazione della regione, vuoi perché
la popolazione indigena appartiene a un’altra religione fortemente missionaria,
come l’Islam.
In tali aree, la Chiesa
viene percepita perlopiù come una realtà straniera di poco o nessun interesse
per la popolazione locale. Per guadagnarsi uno spazio in simili situazioni, i
sacerdoti si sentono spesso obbligati a coinvolgersi in attività sociali che
risultano solo molto indirettamente pertinenti rispetto al ministero
sacerdotale.
Nel contesto della
povertà materiale che i sacerdoti si trovano ad affrontare in molte parti
dell’Africa, tale coinvolgimento nelle attività sociali porta molti di loro a
lasciare in blocco il proprio ministero per ottenere migliori condizioni di
vita.
b) I sacerdoti fidei
donum
Il sacerdote fidei donum rappresenta una realtà
anche in Africa, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II. Durante i primi
anni, i sacerdoti fidei donum sono venuti in Africa dalle Chiese europee, che
hanno mandato i primi evangelizzatori nel continente. In Tanzania, per esempio,
la fonte principale di sacerdoti fidei donum era costituita dalle diocesi
italiane. Molto presto agli italiani si unirono gli iugoslavi, i polacchi e
altri europei dell’Est.
Oggi, numerose diocesi
in Africa forniscono sacerdoti fidei donum ad altre diocesi africane
all’interno di una medesima Conferenza Episcopale e anche ad altri paesi
all’interno e all’esterno dell’Africa.
Essendo così grandi le
esigenze in termini di ministero sacerdotale nel continente, si tende a dare la
priorità all’invio di sacerdoti fidei donum nel continente. Questo potrebbe
ridurre la tentazione di desiderare di entrare a far parte dell’istituzione
“fidei donum” soprattutto come mezzo per sfuggire alle condizioni di povertà
materiale e sociale che imperversano in molti paesi africani.
c) Sacerdoti che
appartengono a congregazioni religiose o missionarie
I primi sacerdoti
evangelizzatori di quasi tutte le parti dell’Africa erano missionari stranieri.
Per la maggior parte, questi sacerdoti missionari provenivano dall’Europa
occidentale, dagli Stati Uniti d’America e dal Canada. Per anni si sono
adoperati per portare la buona novella del Vangelo affidandosi interamente a
risorse materiali e spirituali provenienti dai loro rispettivi paesi d’origine.
Quando si visita un
cimitero di una chiesa, come quello di Bagamoyo sulla costa dell’Oceano Indiano
della Tanzania, non si può fare a meno di ammirare l’indomito zelo, la totale
dedizione e l’amore per il Vangelo che animavano l’evangelizzazione iniziale. I
missionari morivano molto giovani ed erano costantemente sostituiti da un
numero ancora maggiore di missionari dei loro stessi paesi.
Oggi il mondo
occidentale non si trova più in una posizione tale da poter continuare ad avere
quello zelo iniziale per il Vangelo in Africa. Non ci si può più aspettare che
tanti sacerdoti come prima vengano in Africa dall’Occidente. In concomitanza
con la riduzione del numero dei missionari occidentali, ha avuto luogo una riduzione
dell’assistenza materiale per l’evangelizzazione. Le due questioni, in
particolare la riduzione del flusso dei sacerdoti missionari dall’Europa e
dall’America verso l’Africa e la riduzione del flusso dei finanziamenti,
vengono erroneamente collegate l’una con l’altra nella mente delle persone
semplici non ben informate, nel quadro di una falsa logica causa-effetto.
Fortunatamente, le
società missionarie tradizionali dei sacerdoti provenienti dall’Occidente sono
state sostituite numericamente in maniera adeguata dai membri autoctoni delle
medesime congregazioni o società, così come da membri di nuove congregazioni,
tanto autoctone quanto provenienti dall’esterno, per esempio dall’India, dalle
Filippine o dalla Polonia. L’unica differenza consistente fra allora e adesso è
che oggi non c’è la stessa quantità di assistenza materiale che c’era allora.
Si dovrebbe evitare di
generalizzare riguardo alla situazione delle vocazioni in Africa. Ci sono notevoli
differenze fra le varie regioni del continente. Tuttavia, possiamo dire che le
vocazioni al sacerdozio nella maggior parte delle regioni sub-sahariane sono
numerose, sia al sacerdozio religioso che a quello diocesano.
Mentre, a buon diritto,
parliamo di numerose vocazioni al sacerdozio in Africa, dobbiamo renderci conto
che il numero delle vocazioni è lontano dal risultare sufficiente per le
esigenze concrete delle Chiese in rapida crescita nel continente. Un esempio
concreto: nell’Arcidiocesi di Dar es Salaam, abbiamo non più di 150 sacerdoti
(fra diocesani e religiosi) per una popolazione totale di oltre cinque milioni,
di cui 1,2 milioni sono cattolici.
Sempre nel contesto
della vocazione sacerdotale, dobbiamo osservare il fatto che, a causa della mancanza
di formatori adeguatamente preparati al compito di formare futuri sacerdoti,
anche il “prodotto finale” dei nostri seminari è ben lungi dal risultare
adeguato.
Una considerazione finale a proposito delle vocazioni al sacerdozio in Africa riguarda la situazione socio-economica nel ministero pastorale del sacerdote africano. A causa della situazione di povertà sociale ed economica in molti paesi africani oggi, i giovani potrebbero sentire la spinta a entrare nel ministero sacerdotale con motivazioni sbagliate: ottenere una migliore condizione sociale o economica nella vita. Con simili motivazioni, le conseguenze per il ministero sacerdotale sono sempre deplorevoli.
III Suggerimenti
per migliorare l’identità del ministero sacerdotale in Africa
Sulla base della descrizione precedente della situazione del sacerdote in Africa e lo stato delle vocazioni al sacerdozio, vorrei in tutta umiltà suggerire le seguenti iniziative da intraprendere:
1. In primo luogo, è
necessario fornire condizioni adeguate e del personale per la formazione dei
sacerdoti nei seminari africani. Si dovrebbero mettere a disposizione dei
sacerdoti ben preparati per il lavoro di formazione nei seminari anziché andare
a cercare “pascoli più verdi” in altre parti del mondo.
2. L’istituzione del
sacerdote “Fidei donum” nel continente dovrebbe essere meglio sviluppata, dando
la priorità assoluta allo scambio dei sacerdoti diocesani all’interno delle
Conferenze Episcopali e del continente.
3. Incoraggiare in modo più
determinato le vocazioni alle congregazioni religiose e missionarie all’interno
dell’Africa.
4. Creare nei fedeli laici
di Cristo la consapevolezza che l’obbligo di mantenere la Chiesa appartiene
principalmente a loro; qualunque aiuto che possa ancora essere ottenuto dalle
altre Chiese dovrebbe essere visto come sussidiario.
5. Discernere con maggiore
acutezza le motivazioni in base a cui i seminaristi vogliono diventare
sacerdoti.
6. Scoraggiare fra i
seminaristi e i sacerdoti le inclinazioni a favorire gli atteggiamenti di
tribalismo, etnocentrismo e ogni altra forma di spirito di discriminazione.