Ponenza di P. Nikolaus Schöch, O.F.M.

 

 

SFIDE AL MINISTERO SACERDOTALE OGGI

 

 

1.  Introduzione

 

Varie diocesi dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti sono sempre più frequentemente colpite dai seguenti fenomeni: 1) diminuzione apparentemente inarrestabile del clero; 2) diminuzione del numero dei fedeli (per morte, basso numero di battesimi, migrazione o abbandono dalla Chiesa); 3) diminuzione delle risorse economiche. Il numero delle ordinazioni sacerdotali è basso e l'aiuto del clero straniero non è sufficiente per superare il problema della carenza di candidati all'ufficio di parroco.

Si cerca di rispondere all'emergenza con la ristrutturazione delle comunità dei fedeli in uno dei modi seguenti:

1) più parrocchie in vari settori della pastorale conservano l'indipendenza delle singole parrocchie con i loro consigli, ma coordinano le loro attività;

2) associazione di più parrocchie autonome che avranno un unico parroco a norma del can. 526, § 1. Stipuleranno un accordo giuridicamente vincolante tra di loro e avranno consigli e comitati comuni. La figura corrisponde più o meno all'unità pastorale in Italia.

3) Unione estintiva di parrocchie piccole. Ne nascono parrocchie estese che continuano la loro presenza nei singoli luoghi come comunità dipendenti di fedeli.

4) Grandi parrocchie, in parte create dall'unione di parrocchie piccole affidate, a volte, a gruppi di sacerdoti in solidum (cf. can. 517, § 1).

5) Parrocchie grandi affidate ad un diacono o ad un gruppo di fedeli con un sacerdote moderatore non residente (cf. can. 517, § 2);

6) In alcune diocesi della Francia sono stati creati dei settori e delle comunità locali che sembrano sostituirsi poco a poco alle parrocchie considerate corrispondenti al sistema clericale tridentino ormai ritenuto, da alcuni ambienti ecclesiali, superato.

Tutte queste trasformazioni costituiscono una notevole sfida per la scelta dei candidati al sacerdozio, la loro formazione iniziale e la formazione permanente del Clero. Senza un solido accompagnamento dei seminaristi e dei sacerdoti si rischia la perdita dell'identità e del ruolo specifico del sacerdote all'interno della comunità locale. Nella seguente presentazione saranno elencati alcuni principi circa l'esercizio della cura pastorale che, secondo il modesto parere del sottoscritto, sono fondamentali per assicurare una chiara identità al clero del futuro. E' vero che non sono i compiti a definire il sacerdozio, ma è altrettanto vero che il modo di esercitare il ministero incide sulla percezione della natura del sacerdozio, sia da parte dello stesso sacerdote sia da parte dei fedeli.

 

2. La chiarezza del concetto di cura pastorale

Il concetto di "cura pastoralis plena" non si trovava nel CIC/1917 (can. 154), ma è stato introdotto nel CIC/1983 per distinguere certi uffici riservati ai sacerdoti da altri che possono essere esercitati da diaconi, religiosi, o laici (can. 517, 2). Il CIC/1983 definisce il compito del parroco ricorrendo all’espressione di "cura pastorale". Il termine "cura pastoralis" compare nel CIC/1983 ben 27 volte, anche se la parola classica di "cura animarum" non è del tutto scomparsa, ma è rimasta ancora dieci volte.

Il CIC distingue tra la “cura pastoralis plena” (can. 150) e la “cura pastoralis partialis” (can. 536). Per l’esercizio di un ufficio con la pienezza della cura pastorale occorre l’ordine sacerdotale. La presidenza nelle celebrazioni dell'eucaristia e degli altri sacramenti è integrale. La “plena cura animarum” è stata attribuita dalla dottrina canonica classica al Vescovo diocesano e solo analogamente ai parroci.[1]

L'ufficio parrocchiale è senza dubbio l'ufficio canonico più eminente in ordine alla cura animarum. Il can. 519 descrive il significato di "cura pastorale" con l'esercizio delle tre funzioni: 1) funzione di governare; 2) funzione di insegnare; 3) funzione di santificare. La cura pastorale si esprime più concretamente: 1) nella predicazione, nella catechesi, nell'educazione e nella preparazione ai sacramenti; 2) nella celebrazione dei sacramenti, nella moderazione della preghiera liturgica, nella direzione spirituale; 3) nell'ultima responsabilità per le questioni amministrative; 4) nei compiti di conciliazione, di animazione e di coordinamento della comunità parrocchiale e dei vari ministeri in essa.

La partecipazione di laici con funzioni distinte all’esercizio della cura pastorale non la sminuisce, ma è conseguenza della distinzione tra sacramento dell’iniziazione e sacramento dell’ordine.

 

3. Si rende sempre più necessaria la capacità di collaborare con diaconi ed altri operatori pastorali nonché dei consigli

In base al battesimo e alla cresima tutti i fedeli hanno parte alla missione della Chiesa e sono chiamati a collaborare alla costruzione di una comunità viva: nella cura pastorale il parroco non è l’unico soggetto attivo, ma modera gli altri sacerdoti, fedeli laici e religiosi, suoi collaboratori. La parrocchia offre un buon esempio per l’apostolato comune[2].

A volte il parroco o colui che dirige l'unità pastorale forma con i suoi più stretti collaboratori, specialmente quelli impiegati a tempo pieno, un’equipe pastorale mettendo in evidenza la parrocchia come comunità di comunità. La figura del parroco e della sua equipe pastorale è doppia come anche la modalità dell’esercizio del ministero sacerdotale che si esprime nella modalità personale senza trascurare l’articolazione dell’insieme della comunità parrocchiale.

Il sistema dell'equipe pastorale è particolarmente frequente nelle unità pastorali dove si aggiunge al sacerdote moderatore,  che svolge allo stesso tempo anche la funzione di parroco in una delle parrocchie appartenenti all'unità, possono essere aggiunti altri sacerdoti (vicari) nonché diaconi permanenti, operatori pastorali (uomini e donne). Sono da coinvolgere anche missioni per i fedeli di altre lingue dove fossero presenti.

Il funzionamento dell’equipe pastorale richiede una chiara ripartizione delle funzioni ed un coordinamento delle azioni intraprese. Questa articolazione è una specifica competenza, anche se non esclusiva, del parroco. Potrà essere esercitata da un membro dell’equipe pastorale che animerà il funzionamento tecnico del gruppo e dei suoi compiti. Il parroco come coordinatore, e non certo come un qualsiasi membro, assicurerà così il coordinamento del lavoro di ciascuno e vigilerà sulla sua osservanza e sulle relazioni tra i membri. Il Parroco è preposto a tutti i sacerdoti, diaconi, collaboratori e collaboratrici.

 

4. Il sacerdote che dirige la parrocchia non può essere sostituito da un collegio

Bisogna ricordare che nel CIC ci sono soltanto alcune rare allusioni al lavoro in equipe (cfr. can. 519, 545, 2; 776). Il parroco è l'ultimo responsabile per l'andamento della comunità. La collaborazione in equipe non deve oscurare il fatto che il governo della parrocchia, ma anche dell'unità pastorale e del Vicariato foraneo, non è collegiale.

Il principio di governo uni-personale è rimasto (can. 460 § 1 CIC e can. 526, § 1 CIC), ma conosce alcune eccezioni: il can. 517, § 1 prevede l'affidamento "in solidum" di una parrocchia ad un gruppo di sacerdoti. Per rimediare alla carenza di sacerdoti i Vescovi applicano frequentemente la seconda modalità prevista nel can. 526, § 1 affidando ad un sacerdote come parroco varie parrocchie. Il principio uni-personale non esclude la moderazione delle sedute dei consigli da parte di un laico, che non sarà tuttavia il presidente. Anche il Vescovo può avere un moderatore della curia diocesana (cfr. can. 473, § 2).

Non sembra un uso appropriato l'aggettivo "collegiale" per indicare l'esercizio della cura pastorale, in quanto la sua struttura è gerarchica, mentre nel collegio tutti i membri contribuiscono allo stesso modo alla formazione della volontà. La collaborazione dei laici ha un carattere parziale rispetto alla piena cura pastorale, che presuppone il sacerdozio ministeriale. Per dirlo con poche parole: l'équipe non deve sostituire il “pastore proprio” della comunità pastorale. E' auspicabile che la determinazione di tutto il programma pastorale avvenga da parte dell'equipe pastorale insieme con i consigli pastorali parrocchiali ed i consigli parrocchiali per gli affari economici, ma non significa che il parroco, ove è ancora presente, debba esercitare la sua cura pastorale secondo le indicazioni date collegialmente dall'equipe pastorale. Neanche la moderazione delle unità pastorali potrà essere collegiale.

Non bisogna cedere alla tentazione di superare la distinzione tra i membri dell'equipe pastorale basata sul sacramento dell’ordine. A tale scopo non si dovrebbe parlare indistintamente già nell'introduzione di "Seelsorger" (uomini con cura d'anime) e "Seelsorgerinnen" (donne con cura d'anime). Neanche l'unità pastorale viene affidata all'equipe pastorale collegialmente. La figura del sacerdote nominato parroco di una singola parrocchia non dovrebbe scomparire.

La collaborazione dei laici alla cura pastorale parrocchiale non significa che ad essi spetti la “cura piena”. La figura di un responsabile laico nominato dall'equipe pastorale e residente in loco non è né il rappresentante legale della parrocchia, né agisce indipendente dal sacerdote moderatore.

Non è collegiale neanche la cura pastorale esercitata da parte di un "coetus sacerdotum", al quale è stata affidata la cura pastorale "in solidum". La posizione del moderatore secondo il can. 517, § 1 può essere interpretata a causa della formulazione aperta o come un "primus inter pares" o come un "parochus superior". La qualificazione come primus inter pares è sostenuta dall'argomento che tutti i sacerdoti dell’equipe, sono titolari degli obblighi, potestà e facoltà del parroco e si trovano così sullo stesso livello. Siccome l'ufficio parrocchiale può funzionare soltanto in senso uni-personale, esso richiede che qualcuno moderi il gruppo dei sacerdoti. La sua funzione è giuridicamente più forte. Il moderatore dei sacerdoti nominati parroci in solidum è il pastore proprio. Lui è responsabile dinanzi al Vescovo e rappresenta la parrocchia nei negozi giuridici. Tutti possiedono le facoltà necessarie per il ministero pastorale, la concessione delle dispense e l'assistenza ai matrimoni.

 

5. L'Eucaristia deve rimanere il centro della vita ecclesiale nonostante la diminuzione del clero

La soluzione non è organizzare le nostre parrocchie affinché possano funzionare senza sacerdoti e neanche organizzare le nostre comunità affinché sappiano continuare senza eucaristia e senza la celebrazione dei sacramenti. Le comunità non sarebbero altro che Centri di servizi sociali. La celebrazione dell’eucaristia non sarebbe più il centro della vita parrocchiale come previsto nel can. 528, § 2: “Il parroco faccia in modo che la santissima Eucaristia sia il centro dell’assemblea parrocchiale dei fedeli”.

Nel 1961 è stato pubblicato un famoso libro sulla parrocchia come comunità eucaristica. La celebrazione dell’eucaristia è l’apice della comunità, è l’atto centrale del governo della comunità. Il sacerdote esercita la “repraesentatio Christi capitis” nella Chiesa e la potestà di governo non solo con il suo ministero, ma con tutta la sua esistenza e conferisce alla comunità la sua identità cristiana: “Tra direzione della parrocchia e presidenza del sacerdote nella celebrazione dell’eucaristia sussiste un vincolo imprescindibile. Il servizio all’unità non può essere reciso dal sacramento dell’unità, l’eucaristia[3].

E’ importante poter sperimentare nell’annunzio della parola, nella celebrazione dei sacramenti e nella diaconia la chiesa a livello parrocchiale e sovra parrocchiale. La moderazione dell'attività pastorale che comprende la presidenza sacramentale, particolarmente l’eucaristia, definisce il ministero episcopale e presbiterale.

Se si emargina il servizio del sacerdote con le sue funzioni parrocchiali, sorge il pericolo di perdere il centro di gravità, intorno al quale si raduna sempre di nuovo la comunità parrocchiale nella celebrazione dell’eucaristia, cioè il Signore crocifisso e risorto. E' preoccupante il fatto che non sia più possibile celebrare la messa tutti i giorni in varie chiese, a volte nemmeno tutte le Domeniche.

La diminuzione del Clero comporta la riduzione numerica delle messe e la parziale sostituzione delle messe con celebrazioni della parola presiedute da laici, il trasferimento di alcune attività pastorali come la pastorale giovanile dalla parrocchia all’unità pastorale ecc. Bisogna ammettere, però, che alcuni di questi effetti negativi sono inevitabili nel contesto di una diocesi segnata da una crescente scarsità di clero.

Bisogna chiedersi se alcune Chiese particolari siano ancora davvero un organismo vivente o piuttosto un’organizzazione amministrativa, in quanto si vede la tendenza a conferire funzioni ecclesiali ad impiegati laici stipendiati, con graduale disimpegno del lavoro volontario e gratuito soprattutto nelle parrocchie, con gravi rischi finanziari. In alcuni membri non ordinati è da notare una deficiente comprensione teologica del mistero eucaristico.

Qualora il sacro ministro non sia direttamente responsabile della celebrazione liturgica domenicale (eucaristia, celebrazione della parola), egli non ritiene necessario di parteciparvi insieme con tutti i parrocchiani. Il ministro sacro fuori servizio non è più reperibile per i suoi parrocchiani né direttamente né telefonicamente né in caso di urgenza.

Quasi introvabile all'interno di popolosi e caotici quartieri moderni, la parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio; è piuttosto «la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d'unità», è «una casa di famiglia, fraterna ed accogliente», è la «comunità di fedeli».[4]

 

6. I sacerdoti del futuro non devono ridurre la loro attività alla celebrazione dei sacramenti, trascurando le funzioni di insegnare e di governare

Il ministero del pastore trova il suo culmine nella rappresentazione del pastore invisibile della Chiesa: nel condurre i singoli fedeli a Cristo, nel unirli in una comunità fondata in Cristo e su Cristo con l'esercizio del triplice ministero dell'annunzio, della santificazione e della guida degli uomini. Tale ministero aiuta i fedeli a trovare la salvezza, a conservarla ed a procedere nella comunità. La qualifica per un tale ministero come pastore nella missione di salvezza della Chiesa viene conferita esclusivamente con il sacramento dell'Ordine (can. 1008), più precisamente con l'ordinazione presbiterale, cosicché l'ordinazione presbiterale diventa la caratteristica del termine "cura d'anime".[5]

Il ministero ordinato è inscindibilmente legato alle tre funzioni dalle quali non si può togliere la funzione di governare. Oggi, si verifica specialmente in alcune diocesi del mondo occidentale il pericolo di ridurre il ministero del clero scarseggiante alla sola funzione di santificare, concretamente alla celebrazione dei sacramenti e all'animazione spirituale mentre si delega la funzione di insegnare al di fuori delle omelie e la funzione di governare integralmente ai laici, che decidono collegialmente. I consigli rischiano di essere trasformati in collegi. Non è corretto che nelle decisioni conti semplicemente il voto di maggioranza.

Il sacerdote parroco è figura sacramentale di Cristo-pastore, pastore per eccellenza, capo del corpo ecclesiale in un determinato luogo, che convoca e invia. Non svolge personalmente tutte le attività nella parrocchia, ma esercita le tre funzioni (o la piena cura pastorale) con la collaborazione di altri fedeli. Il parroco non fa tutto da solo, ma cura che tutto venga fatto.

La funzione del sacerdote è quella della duplice rappresentazione. Il sacerdote rappresenta Cristo e, allo stesso tempo, la Chiesa e la comunità dei fedeli in forza della sua capacità data sacramentalmente con la potestas sacra e in forza di un mandato dato da parte della Chiesa. La funzione di rappresentazione e la funzione di moderazione della comunità sono irrescindibilmente connesse.

Non sono i compiti esercitati a definire il ministero sacerdotale bensì l'ordinazione sacramentale. Solo il sacramento dell'Ordine attribuisce ad esso una peculiare partecipazione all'ufficio di Cristo Capo e Pastore e al suo sacerdozio eterno[6]. Il ministro non si definisce dall’attività in se stessa, ma dall’ordinazione sacramentale.

Se il sacerdote viene del tutto emarginato dalla moderazione della comunità, si verifica il pericolo di sviluppare un concetto di cura pastorale staccato dal fondamento ecclesiologico. Il sacerdote sarebbe solamente competente per le rare celebrazioni eucaristiche e l'amministrazione del sacramento della penitenza. La frequente celebrazione del sacramento dell’eucaristia non starebbe più al centro della vita parrocchiale.

Proprio per superare questi pericoli, che vanno al cuore della costituzione divina della Chiesa, i Padri del Sinodo dei Vescovi sulla missione dei laici hanno insistito sulla necessità che siano espresse con chiarezza, anche servendosi di una terminologia più precisa, l'unità di missione della Chiesa, alla quale partecipano tutti i battezzati, ed insieme l'essenziale diversità di ministero dei pastori, radicato nel sacramento dell'Ordine, rispetto agli altri ministeri, uffici e funzioni ecclesiali, che sono radicati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione. [7]

La funzione di governare è da considerarsi come un aspetto della pastorale. Non si può scindere il governo dalla cura pastorale, bensì l'amministrazione dalla cura pastorale. Bisogna ridurre gli impegni amministrativi del parroco affinché possa dedicare più tempo alla sua vera funzione.

Il Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri ricorda di non ridurre l'attività del sacerdote alle celebrazioni, ma di conservare il suo ruolo di moderatore e guida della comunità: "La partecipazione nella Chiesa è basata sul mistero della comunione che, di natura sua, contempla in se stessa la presenza e l'azione della Gerarchia ecclesiastica. Di conseguenza, non è ammissibile nella Chiesa una certa mentalità, che si manifesta talvolta soprattutto in alcuni organismi di partecipazione ecclesiale e che tende sia a confondere i compiti dei presbiteri e quelli dei fedeli laici, sia a non distinguere l'autorità propria del Vescovo da quella dei presbiteri come collaboratori dei Vescovi, sia a negare la specificità del ministero petrino nel Collegio Episcopale."[8] La realtà sacramentale della Chiesa (LG 1) non va ridotta all'espletamento di servizi dal punto di vista funzionale.

Bisogna stare attenti a giungere ad una comprensione non solo funzionale del ministero sacerdotale. Non dovrà essere strumentalizzato in nome dell’efficienza. Una tale riduzione condurrebbe inevitabilmente a conflitti di potere. L’episcopato, il presbiterato ed il diaconato nella Chiesa si riferiscono al corpo di Cristo e al suo servizio per la salvezza di tutti. La finalità dei tre gradi dell’Ordine è l’edificazione del corpo e lo svolgimento della missione della Chiesa. La potestà sacra non è un privilegio o l’appropriazione della grazia di Dio, perché il ministro non viene ordinato per se stesso, ma per rappresentare e comunicare la chiamata ed il dono di Dio alla sua Chiesa. Nel suo nome il ministro partecipa all'offerta di Cristo a suo Padre, di cui l’eucaristia è il culmine. Con la funzione di insegnare, santificare e governare il ministro incoraggia la piena responsabilità del laicato conformemente alla sua vocazione.

La realtà sacramentale della Chiesa (LG 1) non va ridotta all'espletamento di servizi dal punto di vista funzionale e l'esercizio di una funzione normalmente riservata al parroco non trasforma il laico in pastore. Il ministro non si definisce dall’attività in se stessa, ma dall’ordinazione sacramentale. Solo il sacramento conferito al ministro ordinato offre una partecipazione particolare alla funzione di Cristo Capo e Pastore, nel suo sacerdozio eterno.

L'esercizio del ministero presbiterale non potrà diventare, perciò, come infelicemente auspicato da alcuni, itinerante, “paolino”, sempre in movimento da una parrocchia o da una comunità di base ad un'altra. E' esagerato rinunziare del tutto all'esperienza plurisecolare tridentina e sostituire il sacerdote, che presiede stabilmente una comunità locale, incontra la gente e soddisfa i suoi bisogni religiosi. La paternità spirituale del sacerdote e il suo servizio alla comunione non potrà essere solo itinerante. Alcune forme di mobilità davvero richieste dalla più grande mobilità della gente rispetto a tempi antecedenti potrebbe essere assicurato da membri di istituti religiosi o società di vita apostolica.

 

7.  Sfide per i sacerdoti moderatori di parrocchie senza parroco

Il can. 517, § 2 è stato redatto per far fronte “temporaneamente” a situazioni di emergenza. Laddove la soluzione d’emergenza diventa normale fino a determinare la struttura pastorale dell’intera diocesi allora si avrebbero conseguenze ecclesiologiche quanto mai negative. Il ministero ordinato non verrebbe più visto come punto di riferimento per la trasmissione della fede con tutte le conseguenze anche sulla causa delle vocazioni. Così alla ricerca di più vocazioni otterremo meno vocazioni.

Nelle parrocchie a norma del can. 517, § 2 manca il sacerdote come pastor proprius. In assenza di sacerdoti da nominare parroci il sacerdote che modera l'attività pastorale, non è pastor proprius in quanto l'ufficio di parroco rimane vacante.

L'affidamento della moderazione dell'unità pastorale ad un sacerdote significa che egli presiede la celebrazione dell'eucaristia, l'annuncio della parola, l'attività  caritativa. Così indica Cristo come base e misura di tutti i servizi pastorali ed incoraggia i fedeli ad assumere responsabilmente compiti nella pastorale e nella moderazione di comunità. Al sacerdote è affidato specificamente il servizio dell'unità.

La persona non-sacerdote alla quale si affida la cura pastorale di una parrocchia a norma del can. 517, § 2 non è un semplice collaboratore del sacerdote, ma partecipa, con il mandato del Vescovo, pubblicamente alla missione della Chiesa. A questa persona viene affidato l'esercizio della cura pastorale di una parrocchia con la partecipazione a tutte le tre funzioni della Chiesa. Questa partecipazione non è definita nel can. 517, § 2, per cui occorre un'ulteriore determinazione da parte del Vescovo diocesano nel diritto particolare. Il sacerdote che modera la cura pastorale rappresenta il principio gerarchico nella parrocchia.

Il can. 517, § 2 costituisce sempre una soluzione d'emergenza, dato che l'ufficio di parroco rimane vacante a lungo termine. E' vacante l'ufficio del parroco, non la parrocchia. Il sacerdote moderatore esprime la sua moderazione con la supervisione del lavoro della persona incaricata della cura pastorale insieme al consiglio pastorale parrocchiale. A tale sacerdote spetta la responsabilità per la celebrazione dell'eucaristia e degli altri sacramenti, nonché per l'annunzio della parola.

 

8. Conclusione

Il clero diocesano e regolare invecchia progressivamente, mentre l'età media degli operatori pastorali laici è piuttosto bassa. Il Clero anziano non deve uscire di scena finché gode di buona salute, e comunque può svolgere il ministero in una modalità adeguata alle proprie forze. Il sacerdozio – lungi da ogni concezione funzionalista - non è un “lavoro” qualsiasi, che si conclude semplicemente con la cessazione dall'esercizio del ministero, a volte anche contro la volontà dello stesso sacerdote, a seconda delle diocesi tra i 65 e 75 anni. Anzitutto a norma del codice il pensionamento avviene a 75 anni e non prima e per di più questo termine non è automatico ma è legato alle condizioni reali della persona. Si aggiunga poi che anche quando si ritenesse opportuno pensionare all’età di 75 anni non si tratta di pensionamento dal ministero bensì da uno specifico ufficio. Inoltre, qualsiasi piano pastorale esista in una diocesi un sacerdote che viva o soggiorni anche transitoriamente su un territorio ha sempre il diritto di celebrare a meno che non sia stato “legittimamente” privato di tale facoltà.

Non si potrà rinunziare ad una certa stabilità del sacerdote per la cura pastorale piena. L'itineranza paolina suggerita da alcuni teologi e sinodi diocesani come visione auspicabile per il ministero sacerdotale del futuro, non sembra estendibile agli uffici con piena cura pastorale, anche se sarà necessario un certo numero di sacerdoti, specialmente religiosi appartenenti ad istituti a governo centralizzato e membri di società di vita apostolica, dedicati ad attività pastorali mobili.

Saranno sempre più necessari sacerdoti capaci a moderare unità pastorali, parrocchie sempre più grandi, più parrocchie insieme e parrocchie senza parroco residente. La formazione iniziale e permanente dovrà essere adeguata a queste esigenze ed aiutare ad evitare l'esaurimento con un prudente impiego delle proprie forze ed idee chiare circa le attività imprescindibilmente pertinenti al ministero sacerdotale e quelle opzionali. Sarà molto importante non ridurre tali attività alla celebrazione dei sacramenti, ma bisogna insistere affinché la moderazione della cura pastorale sia riservata assolutamente a colui che presiede l'eucaristia, perché in essa si trova la sorgente che crea comunione.

 



[1] Cf. LG 23, 26; CD 11.

[2] Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Apostolicam Actuositatem, n. 10.

[3] Diocesi di Limburg (Germania), Statuto per la cura pastorale parrocchiale ai sensi del can. 517 § 2, 15 maggio 1999, in: Pier Virginio Aimone, La cura pastorale ai sensi del can. 517 § 2: la disciplina nella Chiesa particolare di Limburg in Germania, in: Quaderni di diritto ecclesiale 14 (2001), 308.

[4] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Christifideles laici, n. 26.

[5] Cf. H. Schmitz, Officium animarum curam secumferens. Zum Begriff des seelsorgerischen Amtes, in: Ministerium Iustitiae (Festschrift H. Heinemann zur Vollendung des 60. Lebensjahres), Essen 1985, 129.

[6] Giovanni Paolo II, Esortazione post-sinodale, Christifideles laici, n. 23.

[7] Giovanni Paolo II, Esortazione post-sinodale, Christifideles laici, n. 23.

[8] Congregazione per il Clero, Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri (31 gennaio 1994), n. 17.