SFIDE AL
MINISTERO SACERDOTALE OGGI
Varie diocesi dell’Europa occidentale e degli
Stati Uniti sono sempre più frequentemente colpite dai seguenti fenomeni: 1)
diminuzione apparentemente inarrestabile del clero; 2) diminuzione del numero
dei fedeli (per morte, basso numero di battesimi, migrazione o abbandono dalla
Chiesa); 3) diminuzione delle risorse economiche. Il numero delle ordinazioni
sacerdotali è basso e l'aiuto del clero straniero non è sufficiente per
superare il problema della carenza di candidati all'ufficio di parroco.
Si cerca di rispondere all'emergenza con la
ristrutturazione delle comunità dei fedeli in uno dei modi seguenti:
1) più parrocchie in vari
settori della pastorale conservano l'indipendenza delle singole parrocchie con
i loro consigli, ma coordinano le loro attività;
2) associazione di più
parrocchie autonome che avranno un unico parroco a norma del can. 526, § 1. Stipuleranno
un accordo giuridicamente vincolante tra di loro e avranno consigli e comitati
comuni. La figura corrisponde più o meno all'unità pastorale in Italia.
3) Unione estintiva di
parrocchie piccole. Ne nascono parrocchie estese che continuano la loro
presenza nei singoli luoghi come comunità dipendenti di fedeli.
4) Grandi parrocchie, in
parte create dall'unione di parrocchie piccole affidate, a volte, a gruppi di
sacerdoti in solidum (cf. can. 517, §
1).
5) Parrocchie grandi affidate ad un diacono o ad un gruppo di fedeli con un sacerdote moderatore non residente (cf. can. 517, § 2);
6) In alcune diocesi della
Francia sono stati creati dei settori e delle comunità locali che sembrano
sostituirsi poco a poco alle parrocchie considerate corrispondenti al sistema
clericale tridentino ormai ritenuto, da alcuni ambienti ecclesiali, superato.
Tutte queste trasformazioni costituiscono una notevole sfida per la scelta dei candidati al sacerdozio, la loro formazione iniziale e la formazione permanente del Clero. Senza un solido accompagnamento dei seminaristi e dei sacerdoti si rischia la perdita dell'identità e del ruolo specifico del sacerdote all'interno della comunità locale. Nella seguente presentazione saranno elencati alcuni principi circa l'esercizio della cura pastorale che, secondo il modesto parere del sottoscritto, sono fondamentali per assicurare una chiara identità al clero del futuro. E' vero che non sono i compiti a definire il sacerdozio, ma è altrettanto vero che il modo di esercitare il ministero incide sulla percezione della natura del sacerdozio, sia da parte dello stesso sacerdote sia da parte dei fedeli.
2. La
chiarezza del concetto di cura pastorale
Il concetto di "cura pastoralis
plena" non si trovava nel CIC/1917 (can. 154), ma è stato introdotto
nel CIC/1983 per distinguere certi uffici riservati ai sacerdoti da altri che
possono essere esercitati da diaconi, religiosi, o laici (can. 517, 2). Il
CIC/1983 definisce il compito del parroco ricorrendo all’espressione di
"cura pastorale". Il termine "cura pastoralis"
compare nel CIC/1983 ben 27 volte, anche se la parola classica di "cura
animarum" non è del tutto scomparsa, ma è rimasta ancora dieci volte.
Il CIC distingue tra la “cura
pastoralis plena” (can. 150) e la “cura pastoralis partialis” (can.
536). Per l’esercizio di un ufficio con la pienezza della cura pastorale
occorre l’ordine sacerdotale. La presidenza nelle celebrazioni dell'eucaristia
e degli altri sacramenti è integrale. La “plena cura animarum” è stata
attribuita dalla dottrina canonica classica al Vescovo diocesano e solo
analogamente ai parroci.[1]
L'ufficio parrocchiale è senza dubbio
l'ufficio canonico più eminente in ordine alla cura animarum. Il can.
519 descrive il significato di "cura pastorale" con l'esercizio delle
tre funzioni: 1) funzione di governare; 2) funzione di insegnare; 3) funzione
di santificare. La cura pastorale si esprime più concretamente: 1) nella
predicazione, nella catechesi, nell'educazione e nella preparazione ai
sacramenti; 2) nella celebrazione dei sacramenti, nella moderazione della
preghiera liturgica, nella direzione spirituale; 3) nell'ultima responsabilità per
le questioni amministrative; 4) nei compiti di conciliazione, di animazione e di
coordinamento della comunità parrocchiale e dei vari ministeri in essa.
La partecipazione di laici con funzioni distinte
all’esercizio della cura pastorale non la sminuisce, ma è conseguenza della
distinzione tra sacramento dell’iniziazione e sacramento dell’ordine.
3. Si
rende sempre più necessaria la capacità di collaborare con diaconi ed altri
operatori pastorali nonché dei consigli
In base al battesimo e alla cresima tutti
i fedeli hanno parte alla missione della Chiesa e sono chiamati a collaborare
alla costruzione di una comunità viva: nella cura pastorale il parroco non è
l’unico soggetto attivo, ma modera gli altri sacerdoti, fedeli laici e
religiosi, suoi collaboratori. La parrocchia offre un buon esempio per
l’apostolato comune[2].
A volte il parroco o colui che dirige
l'unità pastorale forma con i suoi più stretti collaboratori, specialmente
quelli impiegati a tempo pieno, un’equipe pastorale mettendo in evidenza la
parrocchia come comunità di comunità. La figura del parroco e della sua equipe
pastorale è doppia come anche la modalità dell’esercizio del ministero
sacerdotale che si esprime nella modalità personale senza trascurare
l’articolazione dell’insieme della comunità parrocchiale.
Il sistema dell'equipe pastorale è
particolarmente frequente nelle unità pastorali dove si aggiunge al sacerdote
moderatore, che svolge allo stesso
tempo anche la funzione di parroco in una delle parrocchie appartenenti
all'unità, possono essere aggiunti altri sacerdoti (vicari) nonché diaconi
permanenti, operatori pastorali (uomini e donne). Sono da coinvolgere anche
missioni per i fedeli di altre lingue dove fossero presenti.
Il funzionamento
dell’equipe pastorale richiede una chiara ripartizione delle funzioni ed un
coordinamento delle azioni intraprese. Questa articolazione è una specifica
competenza, anche se non esclusiva, del parroco. Potrà essere esercitata da un
membro dell’equipe pastorale che animerà il funzionamento tecnico del gruppo e
dei suoi compiti. Il parroco come coordinatore, e non certo come un qualsiasi
membro, assicurerà così il coordinamento del lavoro di ciascuno e vigilerà
sulla sua osservanza e sulle relazioni tra i membri. Il Parroco è preposto a
tutti i sacerdoti, diaconi, collaboratori e collaboratrici.
4. Il
sacerdote che dirige la parrocchia non può essere sostituito da un collegio
Bisogna ricordare che nel CIC ci sono soltanto alcune rare allusioni al lavoro in equipe (cfr. can. 519, 545, 2; 776). Il parroco è l'ultimo responsabile per l'andamento della comunità. La collaborazione in equipe non deve oscurare il fatto che il governo della parrocchia, ma anche dell'unità pastorale e del Vicariato foraneo, non è collegiale.
Il principio di governo uni-personale è rimasto (can. 460 § 1 CIC e can.
526, § 1 CIC), ma conosce alcune eccezioni: il can. 517, § 1 prevede
l'affidamento "in solidum" di una parrocchia ad un gruppo di
sacerdoti. Per rimediare alla carenza di sacerdoti i Vescovi applicano
frequentemente la seconda modalità prevista nel can. 526, § 1 affidando ad un
sacerdote come parroco varie parrocchie. Il principio uni-personale non esclude
la moderazione delle sedute dei consigli da parte di un laico, che non sarà
tuttavia il presidente. Anche il Vescovo può avere un moderatore della curia
diocesana (cfr. can. 473, § 2).
Non sembra un uso appropriato l'aggettivo
"collegiale" per indicare l'esercizio della cura pastorale, in quanto
la sua struttura è gerarchica, mentre nel collegio tutti i membri
contribuiscono allo stesso modo alla formazione della volontà. La
collaborazione dei laici ha un carattere parziale rispetto alla piena cura
pastorale, che presuppone il sacerdozio ministeriale. Per dirlo con poche
parole: l'équipe non deve sostituire il “pastore proprio” della comunità
pastorale. E' auspicabile che la determinazione di tutto il programma pastorale
avvenga da parte dell'equipe pastorale insieme con i consigli pastorali
parrocchiali ed i consigli parrocchiali per gli affari economici, ma non
significa che il parroco, ove è ancora presente, debba esercitare la sua cura
pastorale secondo le indicazioni date collegialmente dall'equipe pastorale. Neanche
la moderazione delle unità pastorali potrà essere collegiale.
Non bisogna cedere alla tentazione di
superare la distinzione tra i membri dell'equipe pastorale basata sul
sacramento dell’ordine. A tale scopo non si dovrebbe parlare indistintamente
già nell'introduzione di "Seelsorger" (uomini con cura
d'anime) e "Seelsorgerinnen" (donne con cura d'anime). Neanche
l'unità pastorale viene affidata all'equipe pastorale collegialmente. La figura
del sacerdote nominato parroco di una singola parrocchia non dovrebbe
scomparire.
La collaborazione dei laici alla cura
pastorale parrocchiale non significa che ad essi spetti la “cura piena”. La
figura di un responsabile laico nominato dall'equipe pastorale e residente in loco non è né il rappresentante
legale della parrocchia, né agisce indipendente dal sacerdote moderatore.
Non è collegiale neanche la cura pastorale
esercitata da parte di un "coetus
sacerdotum", al quale è stata
affidata la cura pastorale "in
solidum". La posizione del moderatore secondo il can. 517, § 1 può
essere interpretata a causa della formulazione aperta o come un "primus
inter pares" o come un "parochus superior". La
qualificazione come primus inter pares è sostenuta dall'argomento che
tutti i sacerdoti dell’equipe, sono titolari degli obblighi, potestà e facoltà
del parroco e si trovano così sullo stesso livello. Siccome l'ufficio
parrocchiale può funzionare soltanto in senso uni-personale, esso richiede che
qualcuno moderi il gruppo dei sacerdoti. La sua funzione è giuridicamente più
forte. Il moderatore dei sacerdoti nominati parroci in solidum è il
pastore proprio. Lui è responsabile dinanzi al Vescovo e rappresenta la
parrocchia nei negozi giuridici. Tutti possiedono le facoltà necessarie per il
ministero pastorale, la concessione delle dispense e l'assistenza ai matrimoni.
5. L'Eucaristia
deve rimanere il centro della vita ecclesiale nonostante la diminuzione del
clero
La soluzione non è organizzare le nostre
parrocchie affinché possano funzionare senza sacerdoti e neanche organizzare le
nostre comunità affinché sappiano continuare senza eucaristia e senza la
celebrazione dei sacramenti. Le comunità non sarebbero altro che Centri di
servizi sociali. La celebrazione dell’eucaristia non sarebbe più il centro
della vita parrocchiale come previsto nel can. 528, § 2: “Il parroco faccia
in modo che la santissima Eucaristia sia il centro dell’assemblea parrocchiale
dei fedeli”.
Nel 1961 è stato pubblicato un famoso
libro sulla parrocchia come comunità eucaristica. La celebrazione
dell’eucaristia è l’apice della comunità, è l’atto centrale del governo della
comunità. Il sacerdote esercita la “repraesentatio Christi capitis”
nella Chiesa e la potestà di governo non solo con il suo ministero, ma con
tutta la sua esistenza e conferisce alla comunità la sua identità cristiana: “Tra
direzione della parrocchia e presidenza del sacerdote nella celebrazione
dell’eucaristia sussiste un vincolo imprescindibile. Il servizio all’unità non
può essere reciso dal sacramento dell’unità, l’eucaristia”[3].
E’ importante poter sperimentare nell’annunzio della parola, nella celebrazione dei sacramenti e nella diaconia la chiesa a livello parrocchiale e sovra parrocchiale. La moderazione dell'attività pastorale che comprende la presidenza sacramentale, particolarmente l’eucaristia, definisce il ministero episcopale e presbiterale.
Se si emargina il
servizio del sacerdote con le sue funzioni parrocchiali, sorge il pericolo di
perdere il centro di gravità, intorno al quale si raduna sempre di nuovo la
comunità parrocchiale nella celebrazione dell’eucaristia, cioè il Signore
crocifisso e risorto. E' preoccupante il fatto che non sia più possibile
celebrare la messa tutti i giorni in varie chiese, a volte nemmeno tutte le
Domeniche.
La diminuzione del Clero comporta la
riduzione numerica delle messe e la parziale sostituzione delle messe con
celebrazioni della parola presiedute da laici, il trasferimento di alcune
attività pastorali come la pastorale giovanile dalla parrocchia all’unità
pastorale ecc. Bisogna ammettere, però, che alcuni di questi effetti negativi
sono inevitabili nel contesto di una diocesi segnata da una crescente scarsità
di clero.
Bisogna chiedersi se alcune Chiese particolari
siano ancora davvero un organismo vivente o piuttosto un’organizzazione
amministrativa, in quanto si vede la tendenza a conferire funzioni ecclesiali ad
impiegati laici stipendiati, con graduale disimpegno del lavoro volontario e
gratuito soprattutto nelle parrocchie, con gravi rischi finanziari. In alcuni
membri non ordinati è da notare una deficiente comprensione teologica del mistero
eucaristico.
Qualora il sacro ministro non sia direttamente
responsabile della celebrazione liturgica domenicale (eucaristia, celebrazione
della parola), egli non ritiene necessario di parteciparvi insieme con tutti i
parrocchiani. Il ministro sacro fuori servizio non è più reperibile per i suoi
parrocchiani né direttamente né telefonicamente né in caso di urgenza.
Quasi introvabile all'interno di popolosi
e caotici quartieri moderni, la parrocchia non è principalmente una struttura,
un territorio, un edificio; è piuttosto «la famiglia di Dio, come una
fraternità animata dallo spirito d'unità», è «una casa di famiglia, fraterna ed
accogliente», è la «comunità di fedeli».[4]
6.
I sacerdoti del futuro non devono ridurre la loro attività alla celebrazione
dei sacramenti, trascurando le funzioni di insegnare e di governare
Il ministero del pastore trova il suo
culmine nella rappresentazione del pastore invisibile della Chiesa: nel condurre
i singoli fedeli a Cristo, nel unirli in una comunità fondata in Cristo e su
Cristo con l'esercizio del triplice ministero dell'annunzio, della santificazione
e della guida degli uomini. Tale ministero aiuta i fedeli a trovare la
salvezza, a conservarla ed a procedere nella comunità. La qualifica per un tale
ministero come pastore nella missione di salvezza della Chiesa viene conferita esclusivamente
con il sacramento dell'Ordine (can. 1008), più precisamente con l'ordinazione
presbiterale, cosicché l'ordinazione presbiterale diventa la caratteristica del
termine "cura d'anime".[5]
Il ministero ordinato è inscindibilmente legato alle tre funzioni dalle quali non si può togliere la funzione di governare. Oggi, si verifica specialmente in alcune diocesi del mondo occidentale il pericolo di ridurre il ministero del clero scarseggiante alla sola funzione di santificare, concretamente alla celebrazione dei sacramenti e all'animazione spirituale mentre si delega la funzione di insegnare al di fuori delle omelie e la funzione di governare integralmente ai laici, che decidono collegialmente. I consigli rischiano di essere trasformati in collegi. Non è corretto che nelle decisioni conti semplicemente il voto di maggioranza.
Il sacerdote parroco è figura sacramentale
di Cristo-pastore, pastore per eccellenza, capo del corpo ecclesiale in un determinato
luogo, che convoca e invia. Non svolge personalmente tutte le attività nella
parrocchia, ma esercita le tre funzioni (o la piena cura pastorale) con la
collaborazione di altri fedeli. Il parroco non fa tutto da solo, ma cura che
tutto venga fatto.
La funzione del sacerdote è quella della
duplice rappresentazione. Il sacerdote rappresenta Cristo e, allo stesso tempo,
la Chiesa e la comunità dei fedeli in forza della sua capacità data
sacramentalmente con la potestas sacra e in forza di un mandato dato da
parte della Chiesa. La funzione di rappresentazione e la funzione di
moderazione della comunità sono irrescindibilmente connesse.
Non sono i compiti esercitati a definire
il ministero sacerdotale bensì l'ordinazione sacramentale. Solo il sacramento
dell'Ordine attribuisce ad esso una peculiare partecipazione all'ufficio di
Cristo Capo e Pastore e al suo sacerdozio eterno[6].
Il ministro non si definisce dall’attività in se stessa, ma dall’ordinazione
sacramentale.
Se il sacerdote viene del tutto emarginato
dalla moderazione della comunità, si verifica il pericolo di sviluppare un
concetto di cura pastorale staccato dal fondamento ecclesiologico. Il sacerdote
sarebbe solamente competente per le rare celebrazioni eucaristiche e
l'amministrazione del sacramento della penitenza. La frequente celebrazione del
sacramento dell’eucaristia non starebbe più al centro della vita parrocchiale.
Proprio
per superare questi pericoli, che vanno al cuore della costituzione divina
della Chiesa, i Padri del Sinodo dei Vescovi sulla missione dei laici hanno
insistito sulla necessità che siano espresse con chiarezza, anche servendosi di
una terminologia più precisa, l'unità di missione della Chiesa, alla
quale partecipano tutti i battezzati, ed insieme l'essenziale diversità di
ministero dei pastori, radicato nel sacramento dell'Ordine, rispetto agli
altri ministeri, uffici e funzioni ecclesiali, che sono radicati nei sacramenti
del Battesimo e della Confermazione. [7]
La funzione di
governare è da considerarsi come un aspetto della pastorale. Non si può
scindere il governo dalla cura pastorale, bensì l'amministrazione dalla cura
pastorale. Bisogna ridurre gli impegni amministrativi del parroco affinché
possa dedicare più tempo alla sua vera funzione.
Il
Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri ricorda di non ridurre
l'attività del sacerdote alle celebrazioni, ma di conservare il suo ruolo di
moderatore e guida della comunità: "La partecipazione nella Chiesa è
basata sul mistero della comunione che, di natura sua, contempla in se stessa
la presenza e l'azione della Gerarchia ecclesiastica. Di conseguenza, non è
ammissibile nella Chiesa una certa mentalità, che si manifesta talvolta
soprattutto in alcuni organismi di partecipazione ecclesiale e che tende sia a
confondere i compiti dei presbiteri e quelli dei fedeli laici, sia a non
distinguere l'autorità propria del Vescovo da quella dei presbiteri come
collaboratori dei Vescovi, sia a negare la specificità del ministero petrino
nel Collegio Episcopale."[8] La realtà sacramentale della Chiesa (LG 1)
non va ridotta all'espletamento di servizi dal punto di vista funzionale.
Bisogna stare attenti a giungere ad una
comprensione non solo funzionale del ministero sacerdotale. Non dovrà essere
strumentalizzato in nome dell’efficienza. Una tale riduzione condurrebbe
inevitabilmente a conflitti di potere. L’episcopato, il presbiterato ed il
diaconato nella Chiesa si riferiscono al corpo di Cristo e al suo servizio per
la salvezza di tutti. La finalità dei tre gradi dell’Ordine è l’edificazione
del corpo e lo svolgimento della missione della Chiesa. La potestà sacra non è
un privilegio o l’appropriazione della grazia di Dio, perché il ministro non
viene ordinato per se stesso, ma per rappresentare e comunicare la chiamata ed
il dono di Dio alla sua Chiesa. Nel suo nome il ministro partecipa all'offerta
di Cristo a suo Padre, di cui l’eucaristia è il culmine. Con la funzione di
insegnare, santificare e governare il ministro incoraggia la piena
responsabilità del laicato conformemente alla sua vocazione.
La realtà sacramentale della Chiesa (LG 1)
non va ridotta all'espletamento di servizi dal punto di vista funzionale e
l'esercizio di una funzione normalmente riservata al parroco non trasforma il
laico in pastore. Il ministro non si definisce dall’attività in se stessa, ma
dall’ordinazione sacramentale. Solo il sacramento conferito al ministro
ordinato offre una partecipazione particolare alla funzione di Cristo Capo e
Pastore, nel suo sacerdozio eterno.
L'esercizio del ministero presbiterale non
potrà diventare, perciò, come infelicemente auspicato da alcuni, itinerante, “paolino”,
sempre in movimento da una parrocchia o da una comunità di base ad un'altra. E'
esagerato rinunziare del tutto all'esperienza plurisecolare tridentina e
sostituire il sacerdote, che presiede stabilmente una comunità locale, incontra
la gente e soddisfa i suoi bisogni religiosi. La paternità spirituale del
sacerdote e il suo servizio alla comunione non potrà essere solo itinerante.
Alcune forme di mobilità davvero richieste dalla più grande mobilità della
gente rispetto a tempi antecedenti potrebbe essere assicurato da membri di
istituti religiosi o società di vita apostolica.
7. Sfide per i sacerdoti moderatori di
parrocchie senza parroco
Il can. 517, § 2 è stato redatto per far fronte
“temporaneamente” a situazioni di emergenza. Laddove la soluzione d’emergenza
diventa normale fino a determinare la struttura pastorale dell’intera diocesi
allora si avrebbero conseguenze ecclesiologiche quanto mai negative. Il ministero
ordinato non verrebbe più visto come punto di riferimento per la trasmissione
della fede con tutte le conseguenze anche sulla causa delle vocazioni. Così
alla ricerca di più vocazioni otterremo meno vocazioni.
Nelle parrocchie a norma del can. 517, § 2
manca il sacerdote come pastor proprius.
In assenza di sacerdoti da nominare parroci il sacerdote che modera l'attività
pastorale, non è pastor proprius in
quanto l'ufficio di parroco rimane vacante.
L'affidamento della moderazione dell'unità
pastorale ad un sacerdote significa che egli presiede la celebrazione
dell'eucaristia, l'annuncio della parola, l'attività caritativa. Così indica Cristo come base e misura di tutti i
servizi pastorali ed incoraggia i fedeli ad assumere responsabilmente compiti
nella pastorale e nella moderazione di comunità. Al sacerdote è affidato
specificamente il servizio dell'unità.
La persona non-sacerdote alla quale si affida la cura pastorale di una
parrocchia a norma del can. 517, § 2 non è un semplice collaboratore del sacerdote,
ma partecipa, con il mandato del Vescovo, pubblicamente alla missione della
Chiesa. A questa persona viene affidato l'esercizio della cura pastorale di una
parrocchia con la partecipazione a tutte le tre funzioni della Chiesa. Questa
partecipazione non è definita nel can. 517, § 2, per cui occorre un'ulteriore
determinazione da parte del Vescovo diocesano nel diritto particolare. Il
sacerdote che modera la cura pastorale rappresenta il principio gerarchico
nella parrocchia.
Il can. 517, § 2 costituisce sempre una soluzione d'emergenza, dato che
l'ufficio di parroco rimane vacante a lungo termine. E' vacante l'ufficio del
parroco, non la parrocchia. Il sacerdote moderatore esprime la sua moderazione
con la supervisione del lavoro della persona incaricata della cura pastorale
insieme al consiglio pastorale parrocchiale. A tale sacerdote spetta la
responsabilità per la celebrazione dell'eucaristia e degli altri sacramenti,
nonché per l'annunzio della parola.
8. Conclusione
Il clero diocesano e regolare invecchia progressivamente, mentre l'età
media degli operatori pastorali laici è piuttosto bassa. Il Clero anziano non
deve uscire di scena finché gode di buona salute, e comunque può svolgere il
ministero in una modalità adeguata alle proprie forze. Il sacerdozio – lungi da
ogni concezione funzionalista - non è un “lavoro” qualsiasi, che si conclude
semplicemente con la cessazione dall'esercizio del ministero, a volte anche
contro la volontà dello stesso sacerdote, a seconda delle diocesi tra i 65 e 75
anni. Anzitutto a norma del codice il pensionamento avviene a 75 anni e non
prima e per di più questo termine non è automatico ma è legato alle condizioni
reali della persona. Si aggiunga poi che anche quando si ritenesse opportuno
pensionare all’età di 75 anni non si tratta di pensionamento dal ministero
bensì da uno specifico ufficio. Inoltre, qualsiasi piano pastorale esista in
una diocesi un sacerdote che viva o soggiorni anche transitoriamente su un
territorio ha sempre il diritto di celebrare a meno che non sia stato
“legittimamente” privato di tale facoltà.
Non si potrà rinunziare ad una certa stabilità del sacerdote per la cura
pastorale piena. L'itineranza paolina suggerita da alcuni teologi e sinodi
diocesani come visione auspicabile per il ministero sacerdotale del futuro, non
sembra estendibile agli uffici con piena cura pastorale, anche se sarà
necessario un certo numero di sacerdoti, specialmente religiosi appartenenti ad
istituti a governo centralizzato e membri di società di vita apostolica, dedicati
ad attività pastorali mobili.
Saranno sempre più
necessari sacerdoti capaci a moderare unità pastorali, parrocchie sempre più
grandi, più parrocchie insieme e parrocchie senza parroco residente. La
formazione iniziale e permanente dovrà essere adeguata a queste esigenze ed
aiutare ad evitare l'esaurimento con un prudente impiego delle proprie forze ed
idee chiare circa le attività imprescindibilmente pertinenti al ministero
sacerdotale e quelle opzionali. Sarà molto importante non ridurre tali attività
alla celebrazione dei sacramenti, ma bisogna insistere affinché la moderazione
della cura pastorale sia riservata assolutamente a colui che presiede l'eucaristia,
perché in essa si trova la sorgente che crea comunione.
[1] Cf. LG 23, 26; CD 11.
[2] Concilio Ecumenico
Vaticano II, Decreto Apostolicam Actuositatem, n. 10.
[3] Diocesi di Limburg (Germania), Statuto per la cura
pastorale parrocchiale ai sensi del can. 517 § 2, 15 maggio 1999, in: Pier
Virginio Aimone, La cura
pastorale ai sensi del can. 517 § 2: la disciplina nella Chiesa particolare di
Limburg in Germania, in: Quaderni di diritto ecclesiale 14 (2001), 308.
[4] Giovanni Paolo
II, Esort. ap. Christifideles laici, n. 26.
[5] Cf. H. Schmitz,
Officium animarum curam secumferens. Zum Begriff des seelsorgerischen Amtes, in: Ministerium Iustitiae (Festschrift H.
Heinemann zur Vollendung des 60. Lebensjahres), Essen 1985,
129.
[6] Giovanni Paolo
II, Esortazione post-sinodale, Christifideles laici, n. 23.
[7] Giovanni Paolo
II, Esortazione post-sinodale, Christifideles laici, n. 23.
[8] Congregazione
per il Clero, Direttorio per il
Ministero e la Vita dei Presbiteri (31 gennaio 1994), n. 17.