S. Daniele Comboni
L'11 novembre 1997, Lubna Abdel Aziz, una donna
mussulmana di 38 anni, è ammessa all'Ospedale Santa Maria di Khartum (Sudan),
diretto dalle Suore Comboniane, in vista di subirvi un taglio cesareo per la
nascita del suo quinto bambino. Qualche ora dopo la nascita, la madre è
moribonda. Per arrestare una grave emorragia, viene sottoposta a due interventi
chirurgici, senza alcun risultato. I medici considerano allora l'ammalata
spacciata. La Suora responsabile del Servizio Maternità ha l'idea di invocare
Monsignor Daniele Comboni, la cui fama è grande anche fra i Mussulmani, a causa
della sua vita interamente consacrata al servizio delle popolazioni africane.
Dopo aver chiesto alla donna ed a suo marito il permesso di pregare Monsignor
Comboni per la guarigione, tutte le religiose pregano secondo quell'intenzione.
Non avendo una nuova operazione prodotto nessun miglioramento, si pensa che la
paziente stia per morire, quando, ad un tratto, essa riprende i sensi: alcuni
giorni dopo, i medici la dichiarano guarita. In seguito, altri due medici
mussulmani esamineranno la donna, e la loro conclusione sarà allegata agli atti
del processo di canonizzazione. «Guarigione improvvisa, totale e duratura,
senza postumi, scientificamente inspiegabile», ha riconosciuto all'unanimità la
commissione medica riunitasi l'11 aprile 2002. Tale guarigione ha permesso la
canonizzazione del beato Daniele Comboni, il 5 ottobre 2003.
Daniele
Comboni è nato il 15 marzo 1831 a Limone sul Garda. Nel febbraio del 1843,
viene iscritto al Convitto di Padre Mazza, a Verona; gli viene chiesto: «Cosa
farai da grande? – Il sacerdote». Padre Mazza ha fondato due istituti
scolastici per i bambini poveri. Ha intenzioni missionarie per l'Africa
centrale, e pensa di ricevere a Verona bambini africani per dar loro una solida
formazione umana e cristiana.
A
quindici anni, Daniele legge con interesse appassionato la storia dei martiri
del Giappone. Assiste anche alla partenza di due Padri dell'Istituto Mazza per
le missioni africane. «Nel gennaio del 1849, a diciassette anni, quando ero
studente di filosofia, scriverà, feci voto davanti a Padre Mazza, mio venerato
Superiore, di consacrare tutta la mia esistenza all'apostolato nell'Africa
centrale; con la grazia di Dio, non sono mai venuto meno alla mia promessa».
Ordinato sacerdote nell'Istituto Mazza, il 31 dicembre 1854, impara l'arabo e
nozioni di medicina.
Nello spazio di una notte
All'inizio
del settembre 1857, Padre Comboni s'imbarca per l'Egitto, insieme ad altri
quattro missionari dell'Istituto ed un laico. Arrivano alla Missione di Santa
Croce, nel Sudan, il 14 febbraio 1858, dopo una sosta a Khartum. Il 5 marzo, il
giovane missionario scrive a suo padre: «Il primo sforzo che Dio ci chiede, è
quello di imparare la lingua dei Dinka (popolazione del paese)... La lingua dei
Dinka non è mai stata nota fuori del loro territorio, in modo che non esistono
nè grammatica, nè vocabolario, nè insegnanti per studiarla». La Missione nel
Sudan è molto ardua. Padre Comboni scrive: «Dei 22 missionari della Missione di
Khartum, che esiste da 10 anni, 16 sono morti e quasi tutti nel corso dei primi
mesi. Siamo minacciati dalla morte ad ogni istante: perchè, oltre al clima,
molti muoiono per mancanza di medici e di medicine. Ma sia resa gloria al
Signore!... Qui, si può morire nello spazio di una notte... Pertanto, bisogna
esser sempre pronti».
«La
Chiesa ci incoraggia a prepararci all'ora della nostra morte, a chiedere alla
Madre di Dio di intercedere per noi nell'ora della nostra morte, e ad
affidarci a san Giuseppe, patrono della buona morte: «In ogni azione, in ogni
pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso. Se avrai
la coscienza retta, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star
lontano dal peccato che fuggire la morte. Se oggi non sei preparato a morire,
come lo sarai domani?» (Imitazione di Cristo, 1, 23, 1). «Laudato si, mi
Signore, per sora nostra Morte corporale, / da la quale nullo omo vivente po'
scampare. / Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!; / beati quelli
che trovarà / ne le tue sanctissime voluntati, / ca la morte seconda no li farrà
male.» (San Francesco d'Assisi)» (Catechismo della Chiesa Cattolica,
1014).
Fin
dal 1859, spossati, i missionari devono ripiegare su Khartum e Padre Comboni,
minato dalla febbre, torna a Verona. Dal punto di vista umano, l'insuccesso è
totale. Attorno a lui, si moltiplicano i commenti beffardi. Approfitta della
convalescenza per istruire giovani africani raccolti dall'Istituto Mazza. Il 15
settembre 1864, sta pregando nella basilica di San Pietro a Roma, quando gli
viene un'idea: mettere per iscritto le sue considerazioni sull'Africa e farle
conoscere alla Congregazione per la Propagazione della Fede. Si mette subito
all'opera e lavora senza interrompersi per più di due giorni. «Un cattolico
abituato a giudicare le cose alla luce che gli viene dall'alto, scrive, non
considera l'Africa attraverso il solo punto di vista degli interessi umani, ma
alla pura luce della Fede; e vede in Africa una moltitudine di fratelli, figli
del loro comune Padre Celeste». Preconizza una rigenerazione degli Africani da
parte degli Africani. I missionari istituiranno centri di formazione per i vari
mestieri. Da tali centri usciranno i dirigenti della società negra rigenerata e
dell'evangelizzazione. In pari tempo, si costituiranno in Europa importanti
associazioni per assicurare il finanziamento dell'opera.
Un'opera cattolica
Il
Cardinale Barnabo, prefetto della Congregazione per la Propagazione della Fede,
cui viene consegnato il piano, ottiene per Padre Comboni un'udienza da Papa Pio
IX, che gli dà la sua benedizione. Padre Comboni inizia un giro d'Europa ed
entra in contatto con le società missionarie, gli Ordini religiosi, le
personalità influenti ed i governi che si interessano all'Africa. «Quest'opera
deve essere cattolica, afferma, e non specificamente spagnola o francese, tedesca
o italiana». Ottiene approvazioni, ma incontra anche aspre opposizioni. Il 2
agosto 1865, Padre Mazza muore. Privato del suo Padre spirituale, Daniele
Comboni si sente molto solo, ma, per lui, prove, insuccessi e delusioni hanno
un senso; sono una garanzia di successo, perchè Gesù ha fondato la sua Chiesa
sulla Croce.
Dopo
un breve viaggio in Africa, il missionario fonda a Verona, sotto l'autorità del
vescovo, l'opera del Buon Pastore che comporta un seminario per la formazione
degli europei destinati alle Missioni Africane. Poi, torna al Cairo per
insediarvi la sua opera, e lo ritroviamo nuovamente in Europa nel luglio del
1868. Mentre suscita dovunque interesse per le sue opere, lettere diffamatorie
contro di lui vengono inviate dall'Egitto a Roma ed a Verona da uno dei suoi
collaboratori che è malcontento. Più tardi, quel Padre ritratterà la denuncia
ed implorerà il suo perdono, ma, lì per lì, le lettere ed altri malintesi
producono la riprovazione di Padre Comboni da parte della Congregazione per la
Propagazione della Fede; l'opera del Buon Pastore viene danneggiata in modo
imprevisto da una decisione della Santa Sede. La giustificazione che Padre
Comboni dà al Cardinale Barnabo e la testimonianza in suo favore del Vicario
apostolico in Egitto, lo fanno rientrare nelle grazie di Roma.
A
fine febbraio del 1869, di ritorno al Cairo, ha la grande gioia di constatare i
primi frutti del suo piano. Gli allievi delle due prime scuole studiano sotto
la direzione di insegnanti europei. La terza scuola, destinata alle ragazze, è
diretta da insegnanti negre. Viene così dimostrato che gli Africani sono capaci
non solo di imparare, ma anche di insegnare. A quell'epoca, tale dimostrazione
cambia le mentalità. Padre Comboni dirà: «Ho voluto mostrare ai popoli, con un
esempio lampante, che, secondo il sublime spirito del Vangelo, tutti gli
uomini, bianchi e neri, sono uguali davanti a Dio; e che tutti hanno diritto
all'acquisizione ed ai benefici della fede e della civiltà cristiana».
Sentendole cantare...
La
scuola in cui insegnano le maestre africane è aperta alle allieve di tutte le
razze. Vi si insegnano il catechismo, l'aritmetica, l'arabo, il francese,
l'italiano, il tedesco, l'armeno ed i lavori muliebri, dal lavoro a maglia ai
ricami più fini d'oro e di seta. «Solo vedendo le nostre care piccole Africane,
scrive Padre Comboni, solo parlando con loro o sentendole cantare, molte altre
che non hanno ancora la fede desiderano ora farsi cattoliche... Bisogna
tuttavia agire con precauzione, perchè si corre il rischio di urtare la
sensibilità mussulmana, e bisogna tener conto anche della sorveglianza della
massoneria guidata da tre logge». Ma è altresì necessario opporsi alla
mentalità di certi cattolici che poco si preoccupano della dignità dei negri.
In
occasione di un lungo soggiorno a Vienna, in Austria, Daniele Comboni scrive,
in quattro mesi, più di mille lettere per convincere gli amici del fatto che la
Missione dell'Africa centrale prosegue, malgrado le innumerevoli difficoltà che
incontra. «La presentazione del messaggio evangelico non è per la Chiesa un
contributo facoltativo, ricordava Papa Paolo VI: è il dovere che le incombe,
per delega del Signore Gesù, affinchè gli uomini possano credere ed essere
salvati. Sì, questo messaggio è necessario ed unico. Non può esser sostituito.
Non ammette nè indifferenza, nè sincretismo, nè adattamento. Ne va della
salvezza degli uomini... Questo messaggio merita che l'apostolo vi consacri
tutto il suo tempo, tutte le sue energie, che vi sacrifichi, se necessario, la
vita» (Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975). Nello stesso senso, Papa
Giovanni Paolo II afferma: «L'annuncio del Vangelo costituisce il primo
servizio che la Chiesa possa rendere ad ogni uomo ed all'intera umanità.
L'evangelizzazione, al di là degli interventi di valorizzazione umana, talvolta
anche rischiosi, comporta sempre un annuncio esplicito di Cristo... La Missione
«ad gentes» (presso i non cristiani) deve prevalere su qualsiasi altro
impegno, anche se necessario, di carattere sociale ed umanitario» (5 ottobre
2003).
A
Verona, Padre Comboni fonda l'Opera delle Pie Madri dell'Africa Nera, religiose
destinate alle Missioni. Infatti, egli è convinto che, per un'azione
missionaria efficace e duratura, è necessaria la partecipazione delle donne. Il
7 giugno 1872, viene nominato ufficialmente Provicario apostolico del Vicariato
dell'Africa centrale. In settembre, lascia Verona per Il Cairo, dove è
testimone di un fatto che lo riempie di gioia: un sacerdote africano, ex
schiavo riscattato, battezza una donna africana adulta; è la rigenerazione
dell'Africa da parte dell'Africa. Rimane tre mesi al Cairo, poi si reca a
Khartum, nella sua sede di Provicario, dove tutti, cattolici e mussulmani, lo
accolgono solennemente. Un mese dopo, si addentra nel continente africano e, il
19 giugno, giunge a El Obeid, capitale del Kordofan (oggi nel Sudan).
Nulla da temere
A
Khartum come a El Obeid, la presenza delle suore trasforma e facilita il
compito della Missione. Gli indigeni, cui gli stranieri hanno causato troppi
mali con la loro violenza ed i loro raggiri, scoprono con gioia che non hanno
nulla da temere da quelle donne. La massima autorità islamica del Sudan è
conquistata: il Gran Muftì ringrazia ufficialmente Padre Comboni per aver
portato lì le Suore. Ma Padre Comboni si trova confrontato al traffico di
schiavi, organizzato da certe tribù. Ogni anno, passano per El Obeid o per
Khartum più di cinquecentomila schiavi razziati nelle regioni meridionali. «Ho
incontrato, riferisce Padre Comboni, fra Khartum e El Obeid, migliaia di
schiavi; la maggior parte erano donne mescolate agli uomini senza il minimo
indumento. I piccoli di meno di tre anni erano portati da donne che avanzavano
a piedi. Altri, uomini e donne, erano in gruppi di otto o dieci, uniti l'un
l'altro per il collo e attaccati ad un giogo che pesava sulle loro spalle...
Tutti erano spinti selvaggiamente con lance e bastoni». Daniele Comboni ha
parole durissime contro coloro che condividono la responsabilità di tali
ignominie. Il governo del Sultano d'Egitto ha vietato severamente il traffico
di schiavi, ma, in pratica, persone altolocate traggono un beneficio da quel
mercato infame. Per lottare contro questo stato di fatto, il Provicario
apostolico deve esser molto prudente. Deve preservare la vita dei suoi
collaboratori, sacerdoti, coadiutori, suore ed insegnanti. Un errore da parte
sua, può esser loro fatale. In una lettera pastorale ai fedeli, in data 10
agosto 1873, ricorda l'insegnamento di Cristo sulla fratellanza universale
degli uomini e minaccia coloro che collaborano allo schiavismo.
Daniele
Comboni pensa alle tappe seguenti della Missione, di cui la prima riguarda la
regione del Gebel Nuba, nel centro dell'Africa. Uno dei capi Nuba si reca in
visita presso i missionari di El Obeid. Vede negri che sanno leggere e
scrivere, parlare lingue europee, che conoscono le tecniche moderne per vari
mestieri. Sbalordito, conclude un accordo con Padre Comboni per l'istituzione
di una Missione nel suo paese, a Delen, vale a dire a cinque giorni di marcia
da El Obeid. Padre Comboni vi si reca nel settembre del 1875. Vi è accolto con
molta gentilezza e rimane conquistato dall'organizzazione che regna fra i Nuba,
dove la saggia amministrazione della giustizia rende inutile il ricorso alla
forza. Tutto sembra andare per il meglio. Ma un'amara delusione rovescia la
situazione. Si dichiarano epidemie di febbre che colpiscono in pochi giorni
tredici dei quattordici membri della Missione. È impossibile curarsi sul posto,
per mancanza di medicine: bisogna chiudere la Missione. Le Suore che
accompagnano la difficile ritirata stupiscono Padre Comboni con la loro forza
d'animo.
Ancora
sotto il peso dell'insuccesso, Padre Comboni è nuovamente oggetto di calunnie.
Lo si accusa di essere un amministratore incapace. In seno alla Missione, tali accuse
provocano dissensi dolorosi. Screditato in Europa, il missionario si reca
quindi a Roma, nella primavera del 1876, per presentare la propria difesa. Più
tardi, scriverà: «Soltanto su questa «Via Crucis», cosparsa di spine che
matureranno, potranno perfezionarsi e raggiungere un successo finale le opere
volute da Dio... Gli ostacoli e le ostilità contro cui l'opera sublime di
rigenerazione dell'Africa nera ha dovuto lottare fin dal primo giorno, possono
esser considerati come una garanzia infallibile di ottimo successo e di futuro
felice». Padre Comboni attinge la propria forza dalla preghiera. Poco prima di
morire, confesserà: «È peccato non meditare mai; ma io ho trascurato raramente
le meditazioni nella vita passata, e mai, assolutamente mai da molto tempo,
neppure nel deserto, ed anzi non una sola volta... Lo stesso valga per
l'Ufficio (il Breviario)...».
L'effetto di una catastrofe
Il
27 novembre 1876, dopo aver riconosciuto la falsità delle accuse mosse contro
di lui, la Congregazione per la Propagazione della Fede decide di elevare
Daniele Comboni all'episcopato. Alla fine del 1877, egli intraprende la settima
partenza per l'Africa. La nuova dignità fa sì che a Monsignor Comboni venga
riservata un'accoglienza ufficiale e solenne. Nel mese d'aprile del 1878, egli
si trova a Khartum, da dove intende stimolare le Missioni. Ma tutti i suoi
piani saranno ben presto travolti; infatti, scrive: «Quasi tutta la mia
attività, per ora, è dedicata a sostenere, come un vero apostolo di Gesù
Cristo, l'effetto di una spaventosa catastrofe». Un'eccezionale siccità fa
perire circa un terzo della popolazione. Il denaro raccolto in Europa serve ad
acquistare viveri, a peso d'oro. La carestia porta con sè epidemie terribili.
In luglio, la siccità cessa, ma lascia il posto a piogge torrenziali, seguite
da una nuova ondata di caldo, che apre la via ad altre malattie. In settembre,
Monsignor Comboni è il solo sacerdote che rimanga presente a Khartum. Le
relazioni fra l'Egitto ed il Sudan sono sempre più limitate, in modo tale che a
Khartum ci si sente abbandonati da tutti. Colpito dalle febbri, il prelato
torna in Italia all'inizio del 1879.
In
Europa, egli è vittima di una nuova campagna di denigrazione da parte di due
Missionari che operano in Africa. Gli si rimprovera ora di intrattenere un
rapporto sospetto con una suora siriana, Virginia Mansur, di cui ha preso la
difesa, a buon diritto. Essendo le accuse giunte a Roma, deve discolparsi. Nel
novembre del 1880, Monsignor Comboni s'imbarca nuovamente per l'Africa. Incontra
uno dei suoi accusatori, che riconosce il proprio errore. Monsignor Comboni lo
riprende quale confessore, come prima delle accuse. Scriverà di lui: «È un pio
e santo sacerdote... Benchè mi ostacoli da cinque anni, giudico che Gesù ha
disposto così per amore, per il mio bene spirituale; poichè il fatto di operare
con lui e di sopportarlo è una buona occasione per me di esercitare la
pazienza, di essere attento alla mia condotta, di correggere i miei gravi
difetti, le mie chiacchiere ed i miei peccati...». Dopo una sosta al Cairo,
dove constata che i suoi conti sono in regola senza debiti, parte, alla fine
del gennaio 1881, per il Sudan.
Uno
dei confratelli del prelato scriverà di lui: «Attraverso l'esempio e le buone
parole, incoraggiava tutti a sopportare le privazioni che si dovevano patire
molto spesso; per quanto potesse esser stanco e affranto, ci raccontava cose
divertenti per riconfortarci... Dimentico di sè, si informava premurosamente
sul nostro stato fisico e morale, mattina e sera, e trovava sempre nuove parole
di sostegno e di incoraggiamento». Monsignor Comboni ha creato in Africa una
specie di ufficio-stampa della Missione: «Devo scrivere, in qualità di
corrispondente di quindici giornali tedeschi, francesi, inglesi, americani». Ma
tale faticoso lavoro gli fa ottenere sussidi importanti per le Missioni.
Nel
maggio del 1881, Monsignor Comboni procede alla volta dei Monti Nuba, dove,
appoggiato dall'esercito governativo, intensifica la lotta contro gli
schiavisti. Di ritorno dal viaggio, potrà scrivere a Roma: «Fra un anno, o
anche meno, l'abolizione totale della schiavitù presso i Nuba sarà un fatto
compiuto. Non si possono descrivere la gioia e l'entusiasmo delle popolazioni
che, dopo la mia visita, non si sono visti strappare nè un figlio, nè una
figlia, nè una mucca, nè una capra; riconoscono unanimemente che li ha liberati
la Chiesa cattolica». La sua spedizione ha anche risultati di utilità generale
per la conoscenza della geografia del paese e della lingua.
È troppo!
Poco
dopo, il vescovo è schiantato da «un dolore profondo e terribile, che supera
tutte le umiliazioni e le afflizioni subite finora»; non lo può nascondere
sotto l'abituale sorriso. Le calunnie ricominciano; la schiettezza,
l'impulsività e la vivacità che gli sono proprie, gli hanno creato nemici. Lo
si accusa nuovamente di essersi innamorato di Virginia Mansur, e tale calunnia
viene riferita al suo vecchio padre settantottenne. Monsignor Comboni ne è
esacerbato: «Turbare ed affliggere un santo vegliardo, che non solo mi ha dato
la vita terrena, ma più ancora la vita spirituale, è troppo!» Confida ad un
amico: «Non ho più nè la forza nè il coraggio di scrivere; sono stupefatto di
vedermi trattato in questo modo». Sprofonda nell'angoscia; poi, a poco a poco,
la fiducia in Dio, tanto radicata nella sua anima, ha il sopravvento. Tuttavia,
Monsignor Comboni è spossato. Il 10 ottobre 1881, perfettamente cosciente,
riceve l'Estrema Unzione e si spegne dolcemente, a cinquant'anni, come un
fanciullo che si addormenta in braccio alla madre. Tutti i consoli d'Europa ed
anche il Governatore del Sudan sono presenti alle esequie. Fra l'assistenza, si
mescolano cattolici, copti, mussulmani, pagani, maggiorenti ed ex schiavi.
I
missionari, comboniani e comboniane, sono oggigiorno più di quattromila, ed
operano in Africa e in altre regioni del mondo. «Come non volgere lo sguardo
con affetto ed inquietudine, anche oggi, alle care popolazioni africane? diceva
Papa Giovanni Paolo II in occasione della canonizzazione di Monsignor Comboni.
Terra ricca di risorse umane e spirituali, l'Africa continua ad essere afflitta
da innumerevoli difficoltà e problemi. Possa la Comunità internazionale
aiutarla attivamente a costruirsi un avvenire di speranza. Affido il mio
appello all'intercessione di san Daniele Comboni, eminente evangelizzatore e
protettore del Continente nero». Preghiamo particolarmente per i cristiani del
Sudan che si trovano in condizioni di vita difficili e sono vittime di
persecuzioni.
Dom Antoine Marie osb
http://www.clairval.com/lettres/it/2005/05/11/7110505.htm