Beato Karl Leisner (1915 Rees – 1945 Planegg)

 

 

Un evento inaudito si svolge la domenica mattina, il 17 dicembre 1944, nella baracca 26 del campo di concentramento di Dachau: Karl Leisner, il deportato dal sorriso inesauribile, da cinque anni l'angelo consolatore dei suoi compagni di sventura, viene ordinato sacerdote di Gesù Cristo. Gravemente ammalato, è sull'orlo della prostrazione. Riceve l'unzione sacerdotale sulla croce. Il suo bello sguardo, rasserenato, maturato dalla sofferenza, divorato dalla febbre, proclama l'immutabile gioia di Cristo Gesù. Gli rimarranno da vivere solo nove mesi...

Karl Leisner è nato il 28 febbraio 1915 a Rees, in Vestfalia (ovest della Germania). Nel 1921, la sua famiglia si trasferisce a Kleve, cittadina non lontana. Il Signor Leisner, intendente di finanza del tribunale, uomo molto metodico, profondamente attaccato alla fede cattolica tramandatagli dai suoi avi, ha un carattere energico, talvolta addirittura impetuoso. La moglie, gentile e comprensiva, sempre calma e conciliante, fa regnare l'amore in famiglia. Ragazzino svelto, discolo, esuberante, Karl frequenta inizialmente la scuola elementare, poi, nel 1927, il liceo statale. Alunno bravo, studia facilmente. La sua curiosità è inesauribile; si sforza continuamente di conoscere il perchè delle cose. Il suo sorriso radioso gli apre i cuori. A contatto con il catechista del liceo, don Walter Vinnenberg, che ha il dono di suscitare l'entusiasmo, Karl sviluppa i suoi talenti di organizzatore e di animatore di giovani. Ha 12 anni, quando il sacerdote gli propone di creare un'associazione della gioventù, il gruppo San Werner. Accetta ed inaugura il registro delle sedute. Le relazioni diventano, nel maggio 1928, il diario della sua anima, che permette di seguire l'ascensione spirituale del giovane.

«Signore, dammi la forza!»

Fra le attività del gruppo San Werner, occupano un gran posto le gite in bicicletta. Karl le relata particolareggiatamente e umoristicamente. La partenza è preceduta da una Messa e, quando il catechista accompagna i ragazzi, il Santo Sacrificio costituisce l'apice di ogni giornata. Karl ed i compagni passano ore inebrianti a montare la tenda, a scoprire città e paesaggi, uomini e mestieri, a vincere gli ostacoli, a superare se stessi, trascinando altri giovani nella luce di Dio. Natura generosa, Karl si adatta a tutte le situazioni. Nelle tappe, si suonano il flauto e la chitarra, s'intonano canti popolari, senza dimenticare atti di fervente devozione alla Santa Vergine. Ben presto, Karl viene nominato responsabile dei Movimenti della Gioventù Cattolica della circoscrizione di Kleve; s'interessa anche alla vita civica e politica.

L'adolescente manifesta una stupefacente maturità. Rattristato dalle proprie cadute, riacquista ben presto la serenità. A seguito di un peccato, scrive: «Sono ricaduto ancora una volta... Basta! Abbasso il peccato!... Rimani calmo e coraggioso, malgrado tutte le futilità e tutta la voracità dei sensi! Voglio avere la massima stima di me stesso: sono un'immagine del Dio trinitario che è un solo Dio. Ristabilire in me l'unità fra il volere e l'agire». Karl non è un superuomo, nè un santo caduto dal Cielo già aureolato. Conduce un duro combattimento spirituale. Ancora in tenera età, decide di purificarsi lo spirito ed il cuore, e di regolamentare il proprio comportamento. Le sue risoluzioni così si riassumono: ordine (nell'anima, nel contegno esterno, nelle attività), disciplina, devozione e amore. Nel 1933, annota: «Il mio cuore erra qua e là, fino a quando si riposa in Te, mio Dio! Tu, Signore, sei l'ordine, la bellezza, il riposo più profondo. Tu dai la pace che il mondo non può dare... Senza l'amore di Dio e la gioia nell'anima, non giungerò a nulla. Con Dio, avrò tutto in me! Signore, dammi la forza!» A Pasqua del 1933, prima di entrare in terza liceo, Karl si reca a Schönstatt per un ritiro spirituale. Nel cuore della spiritualità del movimento apostolico di Schönstatt, si trova l'alleanza d'amore con Maria, attraverso cui ci si lascia condurre dalla Santa Vergine verso Cristo, che porta i suoi discepoli al Padre. Si cammina così sulla via della santità, dell'abbandono alla Provvidenza e dell'infanzia spirituale, compiendo il più perfettamente possibile, e con amore, il proprio compito quotidiano, per quanto modesto ed insignificante esso appaia allo sguardo umano.

Controcorrente

Tuttavia, nel gennaio 1933, il nazionalsocialismo è giunto al potere in Germania. Il 2 luglio seguente, le autorità chiudono i locali delle organizzazioni cattoliche e ne confiscano i beni. Karl scrive: «A scuola, gli scontri sono sempre più duri... Ci fustigano quali attivisti cattolici, nemici dello Stato... Ne siamo ancora più fieri. Malgrado molti momenti foschi che suscitano il timore, manteniamo altissima l'insegna cattolica del movimento della gioventù». Il giovane è individuato molto rapidamente e schedato dalla Gestapo (polizia politica). Si sforza di essere più prudente nel parlare, senza tuttavia nascondere la propria fede cristiana, e senza rinunciare all'impegno assunto in città. Tutti i giorni, fa lo sforzo di alzarsi abbastanza presto per andare a Messa e fare la Comunione. La serietà della sua applicazione a scuola impedisce ai responsabili del liceo di espellerlo. Supera l'esame di maturità con la menzione «Buono».

Nel silenzio di un ritiro, nel dicembre 1933, Karl esamina il problema della carriera da seguire: «La solitudine mi ha fortificato, mi ha dato il coraggio definitivo di osar assumere il fardello della vocazione sacerdotale». Questa decisione tranquillizza il giovane, ma egli dovrà in seguito sostenere in proposito molte lotte. Il 5 maggio 1934, entra al Borromäum di Münster, casa che riunisce gli studenti che si destinano al sacerdozio. Durante due anni, studia la Filosofia e la Teologia presso l'università di Münster. È un giovane maturo, di una grande delicatezza morale. Il vescovo, Monsignor Clemens von Galen, che sarà detto il «leone di Münster», a causa della sua eroica resistenza al nazionalsocialismo, lo nomina responsabile diocesano della Gioventù Cattolica. «La fede e l'entusiasmo di Karl per Cristo devono essere un incoraggiamento ed un modello, soprattutto per i giovani che vivono in un ambiente caratterizzato dalla miscredenza e dell'indifferenza. Poichè i dittatori politici non sono i soli a limitare la libertà. Ci vogliono altrettanto coraggio ed altrettanta forza per affermarsi controcorrente dello spirito dell'epoca, orientato verso il consumo e il piacere egoistico della vita, e che tende occasionalmente all'antipatia nei riguardi della Chiesa, se non addirittura ad un ateismo militante» (Giovanni Paolo II, omelia per la beatificazione di Karl Leisner).

«Gettiamo nel fuoco tutto l'odio!»

Nel numero di giugno del 1934 di un mensile cattolico per i giovani, Karl scrive: «Ardiamo d'amore per Cristo e per qualsiasi essere umano, a più forte ragione per ogni fratello e sorella del nostro popolo tedesco! Gettiamo nel fuoco tutto l'odio... Che dalle fiamme dell'amore, si levi l'eterna nostalgia del cuore tedesco: un grande e potente popolo, cristianamente unito dall'amore e dal mutuo rispetto».

A Pasqua del 1936, Karl, che deve continuare gli studi in un'università di sua scelta per due semestri, va a Friburgo in Brisgovia. Da lì, avrà la gioia di andare a visitare Roma e di essere ricevuto in udienza da Papa Pio XI, che ha condannato, a cinque giorni d'intervallo, il nazionalsocialismo (Enciclica Mit Brennender Sorge, 14 marzo) e il comunismo (Enciclica Divini Redemptoris, 19 marzo 1937). A Friburgo, Karl alloggia presso la famiglia Ruby, dove sorveglia gli studi dei nove ragazzi. Davanti alla vita armoniosa della famiglia, si interroga: non sarei chiamato anch'io a fondare una famiglia cristiana? Sente crescere il suo affetto per la figlia maggiore dei Ruby, Elisabetta, ma conserva per sè il proprio segreto e non se ne apre con la ragazza. Comincia allora per lui una lunga e dolorosa lotta fra il desiderio del sacerdozio e quello della vita di famiglia. All'inizio del 1938, Karl supera l'esame di ammissione al seminario maggiore; tuttavia, la lotta fra la vocazione e l'attrattiva del matrimonio, sempre latente, riprende intensamente nella sua anima, fino alla fine del mese di giugno, quando una lettera di Elisabetta, cui ha aperto il proprio cuore, lo spinge a non abbandonare la vocazione sacerdotale. Il 4 marzo 1939, Karl viene ordinato suddiacono e, il 25, riceve il diaconato dalle mani di Monsignor von Galen.

Da un bel po', risente una grande stanchezza e attribuisce tale stato alla crisi della sua vocazione. Ma gli accessi di tosse, sempre più frequenti, hanno un'altra origine. Una visita medica conclude alla terribile diagnosi: tubercolosi in fase avanzata. Karl è costernato. Ben presto, tuttavia, si riprende: «Devo guarire». Viene mandato in un sanatorio nella Foresta Nera. A poco a poco, la sua docilità nel seguire le prescrizioni mediche concorre al miglioramento del suo stato di salute: la guarigione sembra in vista. Ma, nel frattempo, la guerra è scoppiata: l'Europa è messa a fuoco.

Una collera fatale

Il 9 novembre 1939, la notizia di un attentato contro Hitler a Monaco di Baviera si diffonde nel sanatorio. Karl è nella sua stanza quando un amico, che condivide le illusioni di numerosi Tedeschi sul «terzo Reich», gli annuncia con gioia che Hitler è uscito indenne dall'attentato: «Peccato che non ci sia rimasto», risponde Karl, che intuisce in quale terribile tragedia l'orgoglio del Führer trascina la Germania e l'Europa. L'amico esce dalla stanza incollerito. Senza cattive intenzioni, ma spinto dalle domande degli ammalati raggruppati non lontano, lascia capire quali siano i sentimenti di Karl. Leisner viene immediatamente denunciato alla polizia e, il giorno stesso, è rinchiuso nella prigione di Friburgo. Avvolto in una coperta grossolana, steso su un letto di ferro, tremante di freddo in una cella oscura, si sente solo, abbandonato, votato ad una morte ineluttabile. I primi giorni sono terribili. Ma, a poco a poco, si riprende ed attinge alla fede la forza di accettare la situazione. Pronuncia il suo «fiat» e perdona di tutto cuore a coloro che gli hanno fatto del male, cercando conforto nella Santissima Vergine e nella comunione dei santi.

Il 16 marzo 1940, Karl viene internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, vicino a Berlino. Il suo nome è abolito: lo si chiama ormai con il numero di matricola: 17520. Con il capo rasato, vestito con il pigiama a righe dei deportati, «escluso dalla comunità del popolo tedesco», non ha più nessun diritto. Nel campo regnano la paura della frusta e del lavoro sovrumano imposto, nonchè la fame lancinante ed un'angoscia permanente di fronte all'avvenire. Tuttavia, Karl, animato da una gioia interiore, irraggia i compagni con il suo ottimismo sorridente. In dicembre, dietro le insistenze del vescovato tedesco, Himmler, comandante supremo delle SS, decide di raggruppare gli ecclesiastici in un solo campo, a Dachau, e di sottoporli a condizioni meno inumane. Il campo di Dachau, vicino a Monaco di Baviera, inizialmente previsto per 8.000 detenuti, ne accoglierà fino a 50.000; 15.000 prigionieri vi moriranno ogni anno. Il numero di sacerdoti detenuti si eleverà a più di 2.600, di cui un migliaio morirà sul posto. Hanno tuttavia – consolazione inestimabile – la possibilità di assistere alla Messa. L'anno 1942 è duro: inverno gelido, primavera piovosa. Ogni mattina, le SS prolungano l'appello dei prigionieri intirizziti, spesso bagnati fino al midollo, fuori, sulla piazza. La salute di Karl non resiste. Nella notte del 15 marzo, gli si rompe un vaso sanguigno polmonare, provocandogli un'emorragia. Viene ammesso all'infermeria dove rimarrà per due mesi. Ci tornerà per tre volte, dopo brevi soggiorni nelle baracche dei sacerdoti.

L'angelo della consolazione

L' »infermeria» è un'anticamera della morte, dove, in un indescrivibile ammucchiamento e in una disperazione straziante, uomini affrontano la morte. L'ansimare e la tosse secca dei tubercolosi continuano giorno e notte. Karl si rifugia nel Sacro Cuore di Gesù attraverso la preghiera e la supplica. Attinge la pace e la forza di sorridere alla Santa Comunione che gli viene portata regolarmente, di nascosto. Non appena può alzarsi, va da un letto all'altro, dispensando parole di incoraggiamento e di sollievo, illuminando i cuori con il suo bel sorriso. Ben presto, è noto come l'angelo della consolazione, e gli ammalati vanno a confidargli il loro sconforto. Nasconde in permanenza sotto al cuscino una scatola contenente Ostie consacrate che distribuisce, nella sua qualità di diacono, ai suoi fratelli nella Fede. La sua presenza è particolarmente confortante per i deportati russi che sono numerosi ad esser falciati dalla morte. Grazie ai rudimenti della loro lingua, che è riuscito ad apprendere, più d'uno sente parlare per la prima volta dell'agonia di Gesù e della Buona Novella del Padre che ci ama e ci aspetta. «Il Signore non chiede ai discepoli un compromesso con il mondo, ma al contrario una confessione di fede che è pronta ad offrirsi anche in sacrificio. Karl Leisner ha dato tale testimonianza non solo a parole, ma anche con la vita e la morte. In un mondo diventato inumano, ha testimoniato Cristo, che è il solo ad essere la Via, la Verità e la Vita» (Giovanni Paolo II, omelia per la beatificazione).

Ammalato, Karl è ritenuto una «bocca inutile». Nell'ottobre del 1942, figura sull'elenco dei deportati che devono esser sterminati in una camera a gas. Due sacerdoti riescono a far cancellare il suo nome dall'elenco. «Ogni giorno, mi offro alla Santa Vergine, mia Madre, scrive. Essa mi ha meravigliosamente guidato in tre anni di prigionia». All'inizio del 1943, il tifo imperversa a Dachau, e falcia circa 6.000 vittime. Karl scampa all'epidemia, perchè la sezione dei tubercolosi è isolata dal resto del campo. Il 4 giugno, scrive ad un amico: «Guardandomi indietro, sono molto riconoscente al Signore ed alla di lui Santa Madre. Se ascoltassi la piccolezza del cuore umano, vorrei sperare un pronto ritorno per ritrovarti. Ma il Signore sa quel che conviene ». Nell'assoluto smarrimento della sua situazione, esprime un pensiero eroico: ringrazia Dio di averlo configurato alla Passione di suo Figlio, per mezzo di quelle prove.

Inimmaginabile, ma vero!

Il 6 settembre 1944, arriva a Dachau un convoglio di deportati francesi, fra cui si trova un vescovo francese, Monsignor Gabriel Piguet. Ben presto, una voce corre fra i detenuti: «Perchè il vescovo non ordinerebbe Karl sacerdote?» Sul suo letto di sofferenze, Karl obietta: «Ordinato a Dachau? Inimmaginabile! e poi, la mia parrocchia ha diritto alla mia prima Messa!» Ma, a poco a poco, l'idea si fa strada e, il 23 settembre, l'ammalato chiede per iscritto al proprio vescovo l'autorizzazione necessaria. Verso la fine dell'anno 1944, il terzo Reich perde terreno davanti all'avanzata degli Alleati; il controllo della posta da parte delle SS si fa meno rigoroso. Una ragazza di 20 anni si incarica, a rischio della vita, del collegamento fra i prigionieri e l'esterno del campo. All'inizio di dicembre 1944, Karl riceve una lettera scritta da una delle sue sorelle, che comporta, in mezzo al testo, le seguenti parole scritte con un'altra calligrafia: «Autorizzo le cerimonie richieste a condizione che possano farsi validamente e che ne rimanga una prova sicura»; segue la firma di Monsignor von Galen, che Pio XII non tarderà a nominare cardinale.

Allora, l'ordinazione clandestina viene preparata in gran segreto. Grazie alla complicità di parecchi detenuti, viene confezionato un anello episcopale di ottone, un pastorale scolpito in legno di quercia, una mitra, con seta e perle, e ornamenti di stoffa viola. La domenica «Gaudete», il 17 dicembre, arriva finalmente. Il vescovo viene rivestito con gli ornamenti pontificali. Karl, rinfrancato da un'iniezione di caffeina, indossa l'alba bianca e la stola diaconale; porta sul braccio sinistro la pianeta ripiegata, e nella mano destra il cero acceso: nulla, infatti, viene omesso dei minimi riti previsti. Le guance rosse rivelano la febbre che divora l'ammalato. L'emozione dei trecento testimoni, cui si sono aggregati i 2.300 altri sacerdoti del campo, è indescrivibile. Durante la cerimonia, un deportato ebreo suona il violino, all'esterno, per sviare l'attenzione dei sorveglianti. Alla fine della Messa, Monsignor Piguet e Karl si ritrovano per una prima colazione preparata dal gruppo dei pastori protestanti. Quante complicità e quanta ingegnosità ci sono mai volute per guarnire la tavola: tovaglia bianca, servizio di porcellana, caffè e dolci... «L'ordinazione sacerdotale di Karl Leisner ha costituito per il gruppo dei pastori protestanti un grande evento», scriverà il loro decano, il Dott. Ernst Wilm.

Di ritorno fra i tubercolosi, Karl continua la sua via crucis. Il 26 dicembre, può celebrare la sua prima Messa. Scrive: «In capo a più di cinque anni di preghiere e di attesa, giornate riempite di una grande felicità... Che Dio abbia potuto, per intercessione di Nostra Signora, esaudirci in modo tanto bello ed unico, non riesco ancora a concepirlo». Mentre la tubercolosi giunge allo stadio finale, il nuovo sacerdote testimonia un totale abbandono alla divina Provvidenza.

La fine della guerra si avvicina. Il 29 aprile 1945, gli Americani prendono il campo di Dachau. Finalmente la libertà ritrovata per i superstiti della terribile deportazione! All'inizio del mese di maggio, Karl viene trasportato al sanatorio di Planegg, vicino a Monaco di Baviera. Scrive: «Felicità traboccante! Grazie, grazie... Da solo, in una stanza tutta per me, che felicità!... Nel silenzio, Dio parla, benchè mi senta spossato». Ma è troppo tardi per salvare don Leisner. Ormai, sarà un'intensa sofferenza, fino alla fine. Unito a Cristo in Croce, offre se stesso a Dio per l'espiazione dei peccati e per la salvezza degli uomini. Malgrado le sofferenze, resta allegro come un tempo, pensando ben poco a sè. Scrive: «Non perdersi d'animo, non perdere pazienza...»

Ritorno alle origini

Il 16 giugno, sfoglia un magnifico libro illustrato sull'Europa. Allora, gli sgorga dal profondo del cuore una preghiera che riassume tutto il suo amore per la terra europea. È vissuto per cinque anni nell'Europa del dolore. Sa quale male la rode. Ma ne conosce anche il rimedio, perciò questo grido: «O tu, povera Europa, torna al tuo Signore Gesù Cristo! Lì si trova la fonte dei più bei valori di cui dai prova. Torna alle fresche origini della vera forza divina!» A questo appello, fa eco, ai giorni nostri, una lettera scritta da Papa Giovanni Paolo II, il 14 dicembre 2000, in occasione del dodicesimo centenario dell'incoronazione di Carlomagno: «Solo attraverso l'accettazione della fede cristiana l'Europa diventò un continente che, durante tutti i secoli, è riuscito ad espandere i suoi valori in quasi tutte le altre parti della terra, per il bene dell'umanità... Le ideologie che sono state causa di tanti fiumi di lacrime e di sangue nel corso del XX secolo, sono apparse in un'Europa che aveva voluto dimenticare i propri fondamenti cristiani... Fu la negazione di Dio e dei suoi comandamenti che creò, nel secolo scorso, la tirannide degli idoli, che si è espressa attraverso la glorificazione di una razza, di una classe, dello Stato, della nazione, di un partito, al posto della glorificazione del Dio vivo e vero. È appunto alla luce delle sciagure che si sono riversate sul XX secolo, che si capisce quanto i diritti di Dio e dell'uomo si affermino o crollino insieme».

Il 29 giugno 1945, Karl riceve la visita dei suoi genitori. Sono tutti e tre sconvolti: «Siamo insieme!» Il 25 luglio, Karl può assistere, dal letto, ad una Messa celebrata da uno dei suoi amici. Lo stesso giorno, conclude il suo diario spirituale con queste parole: «O altissimo, benedici anche i miei nemici». Gli rimangono da vivere otto giorni. Dirà a sua madre: «Mamma, devo confidarti qualcosa; tuttavia, non esser triste. So che morirò tra breve, ma sono felice». La sera dell'8 agosto, arrivano le sue tre sorelle: che gioia poter chiacchierare a lungo con loro! Infine, il 12 agosto, entra in agonia e si spegne serenamente per andare a raggiungere in Cielo il coro dei santi angeli.

Proclamandolo beato il 23 giugno 1996, Papa Giovanni Paolo II l'ha citato ad esempio: «Karl Leisner ci incoraggia a rimanere sulla via che si chiama Cristo. Non dobbiamo mai abbandonarci alla stanchezza, anche se tale strada ci sembra talvolta oscura e se richiede sacrifici. Guardiamoci dai falsi profeti che vogliono indicarci altre vie. Cristo è la via che conduce alla vita. Tutte le altre strade si avvereranno deviazioni o false tracce».

Accogliamo con fiducia questa raccomandazione del Papa. Anche san Benedetto, padre dei monaci e patrono d'Europa, ci orienta nella medesima direzione. «Vedete, dice nel Prologo della sua Regola, come il Signore stesso, nella sua bontà, ci mostra il cammino della vita». Chiediamo a Nostra Signora di guidarci verso la Luce eterna nella pace e nella gioia di Cristo.

Dom Antoine Marie osb

 

 

http://www.clairval.com/lettres/it/2002/07/31/6310702.htm