B. Michele Tansi
«Per evitare ogni
errore grave nella vita, dobbiamo guardarci da qualsiasi iniziativa
precipitosa». Questa regola veniva abitualmente seguita e raccomandata dal
beato Padre Tansi che aggiungeva: «Possiamo tenere questa linea di condotta
presentandoci davanti a Dio, organizzando il nostro compito con Lui e
realizzandolo con Lui. Allora, non ci turberanno né il successo né
l'insuccesso».
Iwene
Tansi nasce nel 1903 in un piccolo villaggio della Nigeria. I suoi genitori
sono pagani ma profondamente religiosi. Egli è ancora molto giovane quando
muore suo padre. In occasione della nascita di Iwene, suo padre gli ha
fabbricato un gri-gri (portafortuna) personale: il bambino ci tiene molto. Ma,
un giorno, rientrando dalla scuola cristiana Saint Joseph di Aguleri, dove ha
iniziato a frequentare le lezioni, Iwene, di nove anni, distrugge tremando il
suo gri-gri. Padre Rubino, che prepara il bambino al battesimo, gli ha chiesto
di distruggere questo oggetto di superstizione prima di ricevere il sacramento.
Poco dopo, Iwene viene battezzato con il nome di Michele. Nel corso della sua
adolescenza, Michele si rende conto di vedere con un occhio solo, malattia che
gli rimarrà per tutta la vita. Tuttavia, lavora molto e riesce nei suoi studi.
L'ultimo anno, quando ha solo sedici anni, gli si chiede se vuole rimanere a
scuola come insegnante. Potrebbe stabilirsi altrove e ottenere un impiego
migliore, ma il denaro non lo attira e preferisce accettare. Nel 1922, Michele
perde sua madre in circostanze tragiche che lo sconvolgono. Nel loro villaggio,
la mortalità infantile era aumentata improvvisamente. Si chiese allo stregone
di stabilire con la magia chi fosse il colpevole di questa cattiva sorte. Egli
designò la madre di Michele, che accusò di preservarsi magicamente dalla morte
alle spese dei bambini del paese. Ella dovette sottomettersi alla sanzione:
bere del veleno. Il dolore di Michele è immenso, ma lo spinge a lavorare alla
conversione dei suoi tre fratelli al cristianesimo. Questi si convertono
effettivamente; quanto a sua sorella, verrà battezzata subito prima di morire.
Un'apertura che libera
Fin
dall'età di ventun anni, Michele, che ha proseguito i suoi studi continuando ad
insegnare, diventa direttore della scuola del villaggio di Aguleri. Percepisce
tuttavia la chiamata di Dio alla vita sacerdotale ed entra presto nel seminario
minore di Igbariam per approfondire la sua vocazione. I suoi famigliari si
oppongono a questa decisione, ritenendo che sia anormale non sposarsi. Ma il
giovane non si lascia smuovere. Dopo sei anni di studi al seminario minore,
viene inviato a lavorare in missione per un anno, a Eke. La sua umiltà e la sua
bontà lo fanno apprezzare da tutti. Alla conclusione di questo anno, Michele
fonda, con due compagni, il seminario maggiore di Eke, di cui è nominato
economo. Con l'avvicinarsi del giorno della sua ordinazione al suddiaconato,
Michele si mostra preoccupato e inquieto. Gli sembra di non progredire
abbastanza rapidamente nei suoi studi. Va a manifestare i suoi dubbi al suo
Superiore. Quest'ultimo gli assicura che è completamente libero d'interrompere
il suo percorso verso il sacerdozio, che, in questo caso, potrà fare molto per
annunciare Cristo da laico, ma che se decide di continuare, il vescovo lo
ordinerà nel giorno stabilito. Queste parole tranquillizzano il giovane e gli
restituiscono la gioia e la convinzione della sua vocazione. Prosegue quindi la
sua formazione al seminario e, al termine di questa, riceve l'ordinazione
sacerdotale, il 19 dicembre 1937.
Il
giovane sacerdote viene dapprima inviato a Nnewi dove viene in aiuto al Padre
Jean Anyogu. Entrambi si spostano spesso per raggiungere i cristiani dei
villaggi lontani; vi trovano centinaia di fedeli ai quali amministrano i
sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia. «Padre Tansi sapeva che in ogni
essere umano c'è qualcosa del figliuol prodigo, affermava Papa Giovanni Paolo
II, in occasione della beatificazione del Padre, in Nigeria. Sapeva che tutti
gli uomini e tutte le donne subiscono la tentazione di separarsi da Dio, per
condurre un'esistenza indipendente ed improntata all'egoismo. Sapeva che poi
sarebbero rimasti delusi dalla vacuità dell'illusione che li aveva affascinati
e che alla fine avrebbero trovato in fondo al proprio cuore la strada che li
avrebbe riportati alla casa del Padre. Incoraggiò le persone a confessare i
propri peccati e a ricevere il perdono di Dio nel Sacramento della
Riconciliazione. Le supplicò di perdonarsi reciprocamente come Dio perdona noi,
di trasmettere il dono della riconciliazione, concretizzandolo a tutti i
livelli della vita nigeriana. Padre Tansi ha cercato di imitare il padre della
parabola: era sempre disponibile per coloro che cercavano la riconciliazione.
Diffondeva la gioia della comunione ritrovata con Dio. Esortava le persone ad
accogliere la pace di Cristo e le incoraggiava ad alimentare la vita di grazia
con la Parola di Dio e con la Santa Comunione» (22 marzo 1998).
Due
anni dopo, nel 1940, Padre Michele viene nominato nella parrocchia di Dunkofia.
Egli mette tutta la sua intelligenza pratica al servizio del suo zelo
sacerdotale. Molteplici progetti fervono nel suo spirito. È preoccupato del
fatto che, conformemente al costume del paese, poche ragazze arrivino vergini
al matrimonio. Per rimediare a questa situazione, fa costruire dei collegi dove
queste potranno ricevere un'educazione religiosa veramente cristiana nonché una
formazione pratica per diventare delle buone mogli e madri di famiglia. Questo
incontra opposizioni da parte di molti giovanotti che credono sia un loro
diritto avere rapporti prematrimoniali. Tuttavia, Padre Tansi rimane fermo, ben
consapevole del fatto che «l'atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel
matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude
dalla comunione sacramentale» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC 2390).
La bellezza di una vita casta
Una
situazione simile a quella incontrata da Padre Tansi si ritrova ai nostri
giorni: «Molti attualmente reclamano una specie di «diritto alla prova»
quando c'è intenzione di sposarsi, osserva il Catechismo della Chiesa
Cattolica. Qualunque sia la fermezza del proposito di coloro che si
impegnano in rapporti sessuali prematuri, tali rapporti non consentono di
assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un
uomo e di una donna, e specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai
capricci. L'unione carnale è moralmente legittima solo quando tra l'uomo e la
donna si sia instaurata una comunità di vita definitiva. L'amore umano non
ammette la «prova». Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro» (CCC
2391). Ogni battezzato è chiamato a condurre una vita casta, ciascuno
secondo il suo proprio stato di vita. Deve lottare contro la concupiscenza della
carne e i desideri disordinati. Con la grazia di Dio, può giungervi attraverso
la virtù di castità che comporta un apprendimento del dominio di sé, attraverso
la purezza d'intenzione che cerca di scoprire e di compiere in ogni cosa la
volontà di Dio, attraverso la purezza dello sguardo esteriore e interiore,
attraverso la preghiera: «Ero abbastanza sciocco da non sapere che nessuno può
essere continente, se Tu non glielo concedi» scriveva sant'Agostino
rivolgendosi a Dio (cfr. CCC 2339, 2394, 2520). Papa Benedetto XVI
afferma: «Il mondo ha bisogno di vite limpide, di anime chiare, di intelligenze
semplici, che rifiutino di essere considerate creature oggetto di piacere. È
necessario dire di no a quei mezzi di comunicazione sociale che mettono in
ridicolo la santità del matrimonio e la verginità prima del matrimonio. È
proprio ora che ci è data nella Madonna la miglior difesa contro i mali che
affliggono la vita moderna; la devozione mariana è la sicura garanzia di
protezione materna e di tutela nell'ora della tentazione» (Omelia dell'11
maggio 2007).
Padre
Michele attira molte persone di buona volontà per aiutarlo nelle sue varie
costruzioni e nei suoi vari lavori, ma lui stesso vi si impegna con tutta la
sua persona. Attento alle esigenze dei suoi parrocchiani, mostra interesse per
ciascuno e prende in considerazione tutti i problemi incontrati, grandi o
piccoli. Desidera soprattutto avvicinare i suoi fedeli a Dio. Trascorre molto
tempo in preghiera e si mortifica spesso. Un giovane seminarista, tentato di abbandonare
la sua vocazione in un momento di pesanti prove, si reca alla chiesa e vi trova
il Padre Tansi immerso nella preghiera, a un'ora molto tarda della notte; ne è
sconvolto e attinge da questo esempio la forza per perseverare sulla via del
sacerdozio. In seguito, diventerà vescovo.
La scoperta di un'altra via
Un
giorno, una religiosa presta a Padre Michele il libro del beato Dom Marmion:
«Cristo ideale del monaco». Egli vi scopre nella vita monastica un altro modo
di offrire la propria persona e di servire Dio. Benché attirato da questo
genere di vita, intraprende la fondazione di una nuova parrocchia che chiama
Akpu-Ajalli. Vi costruisce un centro di formazione per la preparazione al
matrimonio, e si dedica a ricondurre le famiglie a Dio. La visita delle
cinquanta sedi secondarie dipendenti dalla parrocchia lo costringe a percorrere
lunghe distanze, attraverso boscaglia e paludi. Attinge la propria forza dal
suo grande amore per Dio.
Nel
1949, Padre Tansi viene nominato parroco di Aguleri. In meno di un anno,
sistema i problemi finanziari che ha trovato al suo arrivo. Con il suo vice
parroco, Padre Clemente, evangelizza i propri parrocchiani, conducendo lo
stesso genere di vita che conduceva nelle sue missioni precedenti. La sua
carità lo porta un giorno a sotterrare con le proprie mani un parrocchiano
morto di colera, che nessuno vuole toccare per paura del contagio. Forte della
sua missione pastorale, non teme di denunciare il male e di tener duro contro
il consiglio parrocchiale se questo non intraprende una buona via. Certi
parrocchiani si lamentano di lui con il vescovo, rimproverandogli di occuparsi
troppo delle cose di Dio e di non agire secondo i loro desideri.
In
questo periodo, Mons. Heery, vescovo di Onitsha, diocesi di Padre Tansi,
concepisce il desiderio d'introdurre in Nigeria la vita monastica, inviando
degli aspiranti a formarsi in Europa. Contatta diverse Abbazie e riceve una
risposta favorevole dall'Abbazia cistercense di Mount Saint Bernard, in
Inghilterra. All'inizio dell'anno 1950, visita Aguleri e scopre che Padre
Michele e Padre Clemente desiderano diventare monaci. Nonostante la carenza di
sacerdoti per la sua diocesi, il prelato dà la priorità all'introduzione della
vita contemplativa e invia prima Padre Michele a Mount Saint Bernard. Entrato
il 3 luglio 1950 nel Monastero, questi vi è accolto da una comunità di
settantun monaci di cui trenta preti. Vi riceve il nome di Padre Cipriano.
Sette volte al giorno, i monaci si riuniscono nella chiesa per cantare le lodi
di Dio. All'Abbazia di Mount Saint Bernard, il primo Ufficio è quello delle
Vigilie alle due e un quarto della mattina. Il resto della giornata è scandito
dai diversi Uffici, attorno alla Messa Solenne della comunità. Altri due
aspetti importanti della vita monastica sono la lectio e il lavoro manuale.
Quest'ultimo va dai grossi lavori della fattoria alla pulizia e alla
manutenzione del monastero. L'ospitalità, attraverso l'accoglienza nella
foresteria, occupa anch'essa il suo posto nella vita monastica secondo la
Regola di san Benedetto. La lettura e lo studio, in un'Abbazia di Trappisti, si
svolgono in una sala comune chiamata Scriptorium. Di notte, i monaci dormono
ciascuno in uno dei box ricavati in un grande dormitorio. I monaci di Mount
Saint Bernard non mangiano mai carne né pesce. Le giornate trascorrono nel
silenzio.
Un altro clima
Da
una vita attiva piena di responsabilità, Padre Cipriano è passato a una vita
nascosta dove si ritrova principiante. Nonostante il suo sacerdozio, chiede di
essere trattato come un novizio comune e si accontenta sempre dell'ultimo
posto, disponibile a tutti i lavori che gli vengono richiesti; mantiene
tuttavia il senso dell'umorismo. Durante i primi cinque anni, non ha la facoltà
di ricevere le confessioni. Gli verrà concessa in seguito, ma unicamente per
confessare gli Africani che lo chiedessero. Abituato al sole dei tropici,
soffre per il clima dell'Inghilterra, che trova «molto freddo». Assimila a poco
a poco i principi fondamentali della vita contemplativa che spiegherà con
persuasione a un gruppo di studenti africani del suo paese, venuti a visitare
il Monastero.
Padre
Clemente è venuto a raggiungere Padre Cipriano a Mount Saint Bernard dove ha
ricevuto il nome di Padre Marco. Entrambi desiderano ritornare un giorno nel
loro paese per instaurarvi la vita contemplativa. Il loro vescovo prende in
considerazione con il Padre Abate la possibilità di creare una fondazione in
Nigeria, ma questo progetto fallisce. I due preti decidono allora, con il
consenso esplicito del loro vescovo, di rimanere a Mount Saint Bernard; vi
fanno la loro prima professione l'8 dicembre 1953. Quindi entrano per tre anni
allo scolasticato dell'Abbazia, dove approfondiscono lo studio della teologia.
La
vita in comunità non è sempre facile per Padre Cipriano. Ha un complesso
d'inferiorità da cui non arriverà a liberarsi completamente. Per otto anni,
lavora al laboratorio di rilegatura. Deve soprattutto mantenere in buono stato
i libri del coro con un lavoro ripetitivo e noioso che consiste nell'incollare
delle strisce di nastro adesivo nei punti strappati. Per la maggior parte del
tempo svolge questo compito in uno stanzino freddo, al di sopra della tromba
delle scale. Non si ribella, ma riconosce che questo lavoro non ha alcuna
attrattiva per lui. Un monaco incaricato di controllare la sua opera talvolta
si lamenta di lui e disfa il suo lavoro che ritiene sbagliato. Padre Cipriano è
profondamente ferito dalla rudezza e dall'arroganza di questo monaco; ma offre
volentieri a Dio tutte le proprie difficoltà.
«Il
sudore e la fatica, che il lavoro necessariamente comporta nella condizione
presente dell'umanità, offrono al cristiano e ad ogni uomo, che è chiamato a
seguire Cristo, la possibilità di partecipare nell'amore all'opera che il
Cristo è venuto a compiere. Quest'opera di salvezza è avvenuta per mezzo della
sofferenza e della morte di croce. Sopportando la fatica del lavoro in unione
con Cristo crocifisso per noi, l'uomo collabora in qualche modo col Figlio di
Dio alla redenzione dell'umanità. Egli si dimostra vero discepolo di Gesù,
portando a sua volta la croce ogni giorno nell'attività che è chiamato a
compiere» (Giovanni Paolo II, Laborem exercens, n. 26; 14 settembre
1981).
Una vita di fede
L'8
dicembre 1956, Padre Cipriano e Padre Marco fanno la loro professione perpetua.
Lasciano lo scolasticato e ognuno riceve un posto nel grande Scriptorium. Là,
potranno leggere, studiare e scrivere. La scrivania di Padre Cipriano è in una
corrente d'aria penosa non appena si apre la porta, ma non chiede di cambiare
posto. Egli mette tutto il suo impegno nel vivere pienamente la vocazione
cistercense che è quella di seguire Cristo nella sua vita nascosta a Nazaret e
di partecipare con la preghiera e la penitenza all'opera della Redenzione degli
uomini. Un prete molto legato a lui dirà che egli non ha mai saputo che cosa
fosse la consolazione nella preghiera. Già nel 1953, Padre Cipriano scriveva a
una religiosa africana: «La vita spirituale è una vita di fede e non di
sentimento. Durante la maggior parte di questa vita, può avvenire che non vi
siano né consolazione né segni esteriori che mostrino che siamo graditi a Dio o
che Dio è contento di noi».
L'autorità
di Dio che rivela e che non può né ingannare se stesso né ingannare noi è il
motivo della nostra fede. Questa è certa, più certa di qualsiasi conoscenza
umana, perché si fonda sulla Parola stessa di Dio, che non può mentire. Qui su
questa terra, camminiamo nella fede, non nella chiara visione (2Co 5,7),
e conosciamo Dio come in uno specchio, in maniera confusa«, imperfetta
(1Co 13,12). Luminosa per merito di Colui in cui essa crede, la fede viene
spesso vissuta nell'oscurità. Essa può venir messa alla prova. Il mondo nel
quale viviamo sembra spesso ben lontano da ciò che la fede ci assicura;
l'esperienza che facciamo del male e della sofferenza, delle ingiustizie e
della morte pare contraddire la Buona Novella; questa esperienza può far
vacillare la fede e diventare per essa una tentazione. È allora che dobbiamo
volgerci verso i testimoni della fede: Abramo, che credette, sperando contro
ogni speranza (Rm 4,18); la Vergine Maria che è penetrata fin nella notte
della fede comunicando alla sofferenza di suo Figlio e alla notte della sua
tomba (cfr. CCC 156-157, 164-165).
Padre
Cipriano mantiene il cuore rivolto verso la sua terra natale da cui gli
giungono numerose lettere. Accoglie con il viso illuminato di gioia i
visitatori africani, soprattutto quelli che vengono dalla Nigeria. Nel luglio
1961, i monaci si pongono di nuovo la questione di un'eventuale fondazione.
Hanno luogo numerose discussioni in riunioni di comunità sull'opportunità e il
luogo per l'esecuzione di questo progetto. Il vescovo da cui dipendevano
precedentemente i Padri Cipriano e Marco viene a parlare alla comunità di una
possibilità di realizzare questa fondazione nell'est della Nigeria. Padre
Cipriano preferisce mantenere il silenzio durante le discussioni, anche se il
progetto gli sta molto a cuore. Si affida totalmente a Dio e si dedica alla
preghiera fervente. Alla fine, l'intervento del vescovo raccoglie quasi tutti i
suffragi e iniziano i preparativi per la fondazione.
Nel
gennaio 1962, si scopre che Padre Cipriano ha un tumore al collo; viene operato
senza indugio. È una forma benigna di tubercolosi. Questo non gli impedisce di
darsi da fare nel giardino. Mostra anzi un grande interesse per il giardinaggio
e si rallegra del risultato del suo lavoro. Lungi dal sottrarsi alle corvée di
diserbo o di dissodamento, vi si dedica con predilezione. Il 19 dicembre 1962,
la comunità organizza una festa per il giubileo d'argento sacerdotale di Padre
Cipriano. In questa occasione, riceve un gran numero di lettere provenienti dal
mondo intero nonché una benedizione del Papa.
L'Africa o il Cielo?
Durante
questo periodo, proseguono le pratiche per la fondazione in Nigeria. Ma alla
fine, nella primavera 1963, si decide di cambiarne la destinazione e di
insediarla in Camerun, su richiesta di un vescovo di quel paese. Padre Cipriano
viene designato per far parte della fondazione con il titolo di Maestro dei
Novizi. Nonostante il suo rimpianto di non andare in Nigeria, si prepara con
determinazione a partire; non fa tuttavia parte del primo gruppo di monaci che
si reca in Camerun nell'ottobre 1963. Nel gennaio 1964, padre Cipriano si
ammala ed è costretto a letto. Gli viene proposto un letto nell'infermeria, ma
preferisce rimanere sul suo pagliericcio fino al giorno in cui gli viene
scoperta una trombosi alla gamba e un gonfiore anormale allo stomaco. Il medico
decide di farlo ricoverare in ospedale. Prima della partenza, il Padre ha un
attacco che gli causa un dolore violento, senza fargli perdere conoscenza.
Prega senza sosta: «Mio Dio, mio Dio! Sia fatta la tua volontà! Nelle tue mani,
mio Dio!» Gli vengono amministrate l'Unzione degli infermi e l'Eucaristia. È
sdraiato su una barella nell'ambulanza che lo condurrà in ospedale, quando il
prete che deve accompagnare in Camerun il gruppo di cui egli fa parte gli dice:
«Il tuo biglietto per l'Africa è preso. Bisogna che tu torni presto da noi! –
Andremo, di sicuro!» risponde Padre Cipriano. Ma qualche ora dopo l'arrivo in
ospedale, una rottura di aneurisma dell'aorta provoca la sua morte.
In
occasione della beatificazione di Padre Tansi, il 22 marzo 1998, Papa Giovanni
Paolo II diceva di lui: «Era soprattutto uomo di Dio: le lunghe ore trascorse
davanti al Santissimo Sacramento riempivano il suo cuore di amore generoso e
coraggioso. Coloro che lo hanno conosciuto testimoniano il suo grande amore per
Dio. Quanti lo hanno incontrato sono rimasti colpiti dalla sua bontà personale.
È stato poi uomo del popolo: ha messo sempre gli altri prima di se stesso ed è
stato particolarmente attento alle necessità pastorali delle famiglie. Si è
adoperato molto affinché le coppie venissero ben preparate al Santo Matrimonio
e ha predicato l'importanza della castità. Ha cercato in tutti i modi di
promuovere la dignità delle donne. In particolare, considerava preziosa
l'educazione delle giovani».
Chiediamo
al beato padre Michele Tansi di guidarci nelle vie della vita interiore e
dell'apostolato.
Dom Antoine Marie osb
http://www.clairval.com/lettres/it/2008/10/23/7221008.htm