S. Théophane Vénard

 

«Ho letto la vita di parecchi missionari. Ho letto, fra l'altro, quella di Teofane Vénard, che mi ha interessata e commossa più di quanto non saprei dire». Così si esprimeva santa Teresa di Lisieux, il 19 marzo 1897. Rivelerà un po' più tardi alle sorelle la ragione della sua predilezione: «Teofane Vénard mi piace ancor più di san Luigi Gonzaga, perchè la vita di san Luigi Gonzaga è straordinaria, mentre la sua è assolutamente banale». Aggiungerà: «La mia anima assomiglia alla sua. È lui che ha vissuto meglio la mia strada d'infanzia spirituale».

Teofane è nato il 21 novembre 1829, festa della Presentazione della Santa Vergine, a Saint-Loup-sur-Thouet (Diocesi di Poitiers). Battezzato il giorno stesso, riceve i nomi di Giovanni Teofane, ma non conserverà che quello di Teofane, che vuol dire: «manifestazione di Dio». I suoi genitori sono cattolici ferventi. Due anni prima di Teofane, la piccola Melania era venuta a rallegrare la famiglia. La completeranno due altri maschi, Enrico ed Eusebio.

Teofane, diventato chierichetto, guarda officiare sull'altare con una segreta invidia il sacerdote che l'aveva battezzato; sua madre gli ha spiegato il significato della Messa e del Sacerdozio. Ma la chiamata di Gesù Cristo: «Seguimi!» risonerà più forte all'età di 9 anni, nella solitudine del poggio di Bel Air, dove porta a pascolare la capra paterna, leggendo contemporaneamente gli «Annali della Propagazione della fede», rivista che riporta gli atti dei missionari. Un giorno, termina la vita di Padre Cornay, originario della diocesi di Poitiers, decapitato a causa della fede nel Tonchino (l'attuale Viet Nam), nel 1837. Teofane esclama allora: «Voglio andarci anch'io nel Tonchino! Voglio morire martire anch'io!» La sua decisione è presa!

Teofane conserva in sè il suo segreto e chiede a suo padre di fargli fare studi superiori. Nel 1841, entra nel collegio di Doué, a 50 chilometri da Saint-Loup. La separazione dalla famiglia che ama teneramente è per lui uno strazio. Si segnala ben presto fra i primi della classe. Con i compagni, è talvolta canzonatorio ed irascibile, violento, si arrabbia alla minima contrarietà. Come tutti i ragazzi della sua età, Teofane ha alti e bassi, ma, all'epoca, i biasimi sono più frequenti degli elogi. Illuminato dalla grazia di Dio, comprende che non si ottiene nulla senza sforzo, nè senza la preghiera. Così, scrive alla sorella maggiore, Melania: «Ho preso una risoluzione di cui ti voglio informare. È quella di recitare il rosario tutte le settimane». A poco a poco, grazie al soccorso della preghiera mariana alla portata di tutti, riesce a correggersi.

Fa la prima Comunione il 28 aprile 1842: giorno celeste per lui. Le verità della fede gli fortificano l'anima e lo aiutano a sopportare senza debolezza una prova pesantissima: gli muore la madre l'11 gennaio 1849. Non può trovar consolazione a quel dolore che gettandosi fra le braccia della Santa Vergine.

«Che nulla ti trattenga!»

All'inizio dell'agosto 1847, Teofane lascia Doué per il Seminario Minore di Montmorillon. Dopo avervi studiato la filosofia, entra nel Seminario Maggiore di Poitiers, da dove scrive alla sorella: «Apprenderai non senza piacere che uno dei nostri confratelli, diacono, parte giovedì per il Seminario delle Missioni Estere di Parigi. Che Dio degni guidare i suoi passi, e che il venerabile Cornay vegli su di lui». Con questo, Teofane comincia a preparare i suoi al proprio progetto di partire nelle missioni. Ci impiega tempo, destrezza e tatto. Melania è la prima a capire. Per suo padre, il sacrificio è più difficile, ma finalmente, in un grande slancio di fede, gli dà il suo assenso totale: «Se vedi che Dio ti chiama, e non ne dubito, ubbidisci senza esitare! Che nulla ti trattenga, neppure l'idea di lasciare un padre afflitto». La partenza è fissata per il 27 febbraio 1851, alle nove di sera. Dopo l'ultima cena in famiglia e la recita del rosario, Teofane legge qualche passo dell'Imitazione di Gesù Cristo, attinente con le circostanze, poi recita la preghiera serale, frammezzata dai pianti della famiglia; alla fine, chiede a suo padre di benedirlo. Con un leggero tremito, questi pronuncia distaccando le parole: «Figlio caro, ricevi la benedizione di tuo padre, che ti sacrifica al Signore; sii benedetto in eterno in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia!». Giunta l'ora della partenza, il futuro missionario, sapendo che non rivedrà mai più la famiglia, abbraccia i suoi per l'ultima volta, esce di casa e sale nella carrozza. La profondità della sua sofferenza traspare un po' in una lettera che scriverà più tardi ad un amico sacerdote: «Dio mi ha sostenuto negli ultimi istanti della mia vita familiare, e me li ha addirittura resi dolci e gradevoli. Tuttavia, è stata una buona cosa che fossero brevi: l'emozione traboccava dalla mia anima...»

Nel marzo del 1851, Teofane entra dunque al Seminario delle Missioni Estere, a Parigi. Il 26 aprile 1852, manda una breve lettera alla famiglia: «Una simile notizia non può attendere un solo giorno: sarò sacerdote alla Trinità!». Ma, ben presto, cade ammalato di paratifo. A seguito di una novena alla Santissima Vergine, il pericolo è rapidamente scongiurato. Ma tutta la sua vita sarà caratterizzata da guai di salute.

Il 5 giugno 1852, viene ordinato sacerdote, a 22 anni; celebrerà la sua prima Messa a Nostra Signora delle Vittorie, ma nessuno verrà da Saint-Loup: il sacrificio è stato consumato una volta per sempre. Ormai, è verso il Tonchino che si rivolgono i suoi più ardenti desideri: «La missione del Tonchino è la più ricercata, poichè offre il mezzo più breve per andare in cielo... Oh! se un giorno, anch'io, dovessi esser chiamato e fornire con il mio sangue una testimonianza della fede!». Nel settembre del 1852, Teofane celebra l'ultima Messa in Francia, poi parte in missione alla volta della Cina, secondo la volontà dei Superiori.

«Non perdiamo il nostro tempo!»

Dopo un viaggio di parecchi mesi, la costa cinese appare all'orizzonte e, il 19 marzo 1853, i missionari sbarcano sull'isola di Hong Kong. Teofane non sa ancora quale sarà la sua destinazione definitiva, ma poichè è stato inviato in Cina, comincia ad apprendere il cinese; lo studio penoso, il clima ed il caldo indeboliscono seriamente la sua salute ed è costretto a riposarsi. Il «giovane Padre Vénard», come viene chiamato, è sempre molto allegro! Tutti gli vogliono bene nella casa in cui si vive molto uniti; ma l'evangelizzazione rimane la grande preoccupazione di questi apostoli di Cristo. C'è la Cina, là di fronte, e le anime attendono la luce della Fede cattolica. Teofane è animato da quella stessa fiamma apostolica per la salvezza delle anime che stimolava santa Teresa di Gesù Bambino, la quale scriveva, il 14 luglio 1889, alla sorella Celina: «Celina, durante i pochi istanti che ci rimangono, non perdiamo il nostro tempo... salviamo le anime, che si perdono come fiocchi di neve, mentre Gesù piange».

Teofane esprime la sua grande preoccupazione a Padre Daller, suo amico: «Bisognerà proprio che la madre Cina e le di lei figlie, la Corea, il Giappone e la Cocincina pieghino il ginocchio davanti a Cristo». Tuttavia, non si illude: «L'incarico delle missioni mi sembra pesante, ora che lo vedo più da vicino... Spero che al momento in cui bisognerà avanzare, la forza di Dio aiuterà la mia debolezza e la luce della sua grazia la mia inesperienza».

Mentre si prepara a partire per la Cina, gli giunge una lettera da Parigi, che gli annuncia: «Le attribuiamo il Tonchino». Per lui, è una felicità indicibile: «Ho ricevuto il foglio di via per il Tonchino... Andrò in quella parte che si chiama il Tonchino occidentale. Lì è stato martirizzato il Venerabile Carlo Cornay... Si tratta della regione annamita, in cui la persecuzione è più attiva, viene messa una taglia sulla testa di ogni missionario e quando se ne può acchiappare uno, lo si decapita senza cerimonie».

Il 26 maggio 1854, Teofane lascia Hong Kong e arriva il 13 luglio a Vinh-Tri, centro del Vicariato del Tonchino occidentale. Si getta fra le braccia del Vicario Apostolico, Monsignor Retord. Circa ventidue mesi dopo aver lasciato Parigi, inizia il suo apostolato di missionario. Vinh-Tri è un villaggio totalmente cristiano da un secolo. I missionari vi sono ricevuti apertamente, grazie alla benevolenza del viceré Hung. Questo governatore, suocero dell'imperatore Tu-Duc, protegge i cristiani nella sua provincia, essendo stato guarito da una malattia degli occhi da un seminarista tonchinese. Un seminario e vari istituti vivono e si sviluppano senza subire attacchi.

«Viva la gioia, malgrado tutto!»

Monsignor Retord, grazie alle sue elevate qualità ed alla sua virtù, ha acquisito il rispetto di parecchi mandarini subalterni. Arrivato nel Tonchino in un'epoca di violenta persecuzione, è vissuto per mesi e mesi in nascondigli, senza perdere il suo proverbiale buonumore. Divenuto vescovo, ha comunicato il proprio zelo apostolico a tutta la diocesi. Il suo motto vescovile ufficiale: «Inebriatemi della Croce», è equilibrato da un altro motto familiare che utilizza per tirar su i missionari nei momenti penosi: «Viva la gioia, malgrado tutto!». Ha visto morire di miseria o sotto la tortura un gran numero dei suoi sacerdoti, ma lui non è stato catturato. «Mi rattrista non farne parte», scrive.

Il vescovo apprezza ben presto le qualità del «giovane Padre Vénard». Il brio del nuovo arrivato, che ride e canta molto volentieri, si confà perfettamente alla sua mentalità. Teofane, che deve imparare la lingua del paese, si applica con una volontà talmente tenace che può ben presto predicare in vietnamita. Tutto gli piace del Tonchino, il che gli facilita l'adattamento. Tuttavia, il mangiare locale non va per il suo stomaco e gli causa molte sofferenze. Che importanza ha! È il primo a riderne. Ma la sua salute gli dà di nuovo delle preoccupazioni. Si indebolisce, malgrado le cure che gli sono prodigate, e ben presto bisognerà dargli l'Estrema Unzione; viene iniziata una novena per ottenere la sua guarigione: fin dalle prime invocazioni, il malato si ristabilisce. Senza por tempo in mezzo, si mette all'opera: battesimi, prediche, confessioni.

«Il missionario è l'uomo delle Beatitudini, ricorda Papa Giovanni Paolo II. Prima di mandarli ad evangelizzare, Gesù istruisce i Dodici, mostrando loro le vie della missione: povertà, dolcezza, accettazione delle sofferenze e delle persecuzioni, desiderio di giustizia e di pace, carità, vale a dire esattamente le Beatitudini, realizzate nella vita apostolica (ved. Matt. 5, 1-12). Vivendo le Beatitudini, il missionario sperimenta e mostra concretamente che il Regno di Dio è già venuto e che egli l'ha già accolto. La caratteristica di qualsiasi vita missionaria autentica è la gioia interiore che nasce dalla fede» (Enciclica Redemptoris missio, 7 dicembre 1990, n. 91).

La relativa tranquillità della missione nel Tonchino non durerà. Il potere centrale sollecita i mandarini (funzionari locali), perchè diano la caccia ai sacerdoti. I Padri Castex e Vénard si nascondono nel villaggio di But-Dong, dove sono accolti da una piccola comunità di suore vietnamite, le Amanti della Croce, che fino a quel momento non hanno mai subito attacchi; ivi, egli può almeno celebrare la Messa e continuare in tal modo l'azione missionaria attraverso la preghiera.

Le suore di But-Dong, senza uniforme speciale, lavorano nei campi o percorrono i villaggi vendendo farmaci, il che permette loro di entrare nelle case pagane. Per sfuggire alle ricerche dei mandarini, i due sacerdoti si nascondono fra due tramezzi, in attesa che il pericolo si allontani. In capo a qualche giorno, lasciano But-Dong: in poche settimane, cambieranno nascondiglio sei volte. Nel corso di tali peregrinazioni, Teofane si riammala; si trascina molto faticosamente. Terribili crisi d'asma lo spossano a tal punto che il compagno teme di vederlo morire in un bugigattolo senza aria. Ora, Monsignor Retord si trova a Vinh-Tri: lì, Teofane potrà esser curato. Viene steso, morente, sul fondo di una barca, dove, ansante e soffocante, non perde il sorriso. Riceve nuovamente gli ultimi sacramenti, ma non si illude: «Sono attaccato alla vita soltanto per un pelo. Viva comunque la gioia!» Ma la freschezza dell'autunno lo rianima un po'.

Solo la sofferenza ingenera le anime

Poichè tale è la volontà di Dio, Teofane offre la propria sofferenza e apparente inoperosità per la salvezza eterna delle anime. «Solo la sofferenza può ingenerare anime per Gesù», scriverà santa Teresa alla sorella Celina, l'8 luglio 1891. Si comprende allora la misteriosa simpatia della santa di Lisieux per il missionario del Tonchino.

Con i mesi invernali, Teofane riprende abbastanza forze perchè Monsignor Retord si decida a portarlo con sè nel suo giro pastorale. Le parrocchie vengono visitate una dopo l'altra. I missionari predicano, confessano, amministrano i sacramenti, riconciliano con Dio coloro che sono caduti, incoraggiano tutti i fedeli a progredire. «Non era mai più ardente e più eloquente che quando parlava della beata Vergine Maria, che amava, era evidente, di un vero amore filiale», attesterà Padre Thinh al processo di beatificazione.

Ma la stagione delle piogge del 1856 gli causa una nuova malattia: è la tisi (tubercolosi), questa volta, che gli fa intravedere una morte prossima. Il vescovo, affranto, non sapendo più cosa fare, permette a Teofane di sottoporsi ad un'operazione molto dolorosa di medicina cinese: bisogna bruciare, su diverse parti ben determinate del corpo dell'ammalato, pallottoline di un'erba medicinale. Durante tale operazione dolorosa, Teofane, stringendo fortemente il crocifisso con le due mani, non si lascia sfuggire neppure un gemito. Ben presto, il male regredisce. La sua preghiera pressante: «Avere forze sufficienti per annunciare il Vangelo», è esaudita; potrà riprendere la sua vita di missionario attivo, che condurrà per circa tre anni, fino all'arresto. Il vescovo testimonia: «Ho detto che il suo zelo era immenso. Benchè avesse la salute più fragile di tutti i missionari del vicariato, operava tanto quanto tutti gli altri, passando spesso nel confessionale la metà della notte, talvolta addirittura tutta la notte. La sua fiducia in Dio era senza limiti, e lo rendeva ardito nelle imprese».

Un anno di grazie

Dopo una calma relativa, l'imperatore Tu-Duc, deciso ad annientare «la religione di Gesù», riprende vigorosamente le persecuzioni, nel 1859. Il nuovo editto pubblicato conferma la pena di morte per i sacerdoti, promette una ricompensa a quelli che li denunciano, e prevede sanzioni per i mandarini benevoli nei riguardi dei cristiani. Teofane è intimamente convinto che l'anno entrante 1860 sarà l'anno del suo arresto, e che Dio gli concederà la grazia del martirio. Il vescovo gli dà il permesso di offrirsi a Dio quale vittima per la Chiesa del Tonchino. Per amore filiale verso la Santa Vergine, si consacra a lei secondo la formula di Luigi Maria Grignion de Monfort, rimettendo tutto nelle di lei mani.

Eccolo armato per gli ultimi combattimenti. Si rifugia presso la vedova Can, ma un cugino di quest'ultima lo denuncia e viene arrestato il 30 novembre 1860. Gli si strappano le vesti, poi lo si porta via, legato, mentre continua a pregare e a prepararsi al martirio. Viene trasferito nella roccaforte di Hanoi, rinchiuso in una stretta gabbia di legno. Lì, viene ad interrogarlo il viceré in persona; poi, dà ordini: costruirgli una gabbia di bambù più spaziosa, circondarla con una zanzariera, mettere sul suolo una stuoia, forgiare per il sacerdote una catena quanto più leggera possibile e vegliare a che il prigioniero sia nutrito convenientemente. Il fatto è che, durante l'interrogatorio, Padre Teofane ha prodotto un'ottima impressione: gli viene pertanto concesso un trattamento migliore.

Il catechista Khang, arrestato insieme a Padre Teofane, non viene separato dal maestro. Ottiene, grazie alla complicità di un soldato, carta, inchiostro ed un pennello. Teofane scrive ai confratelli ed alla sua famiglia: «Se otterrò la grazia del martirio, allora soprattutto mi ricorderò di voi. Appuntamento in Cielo! Ci rivedremo lassù!» Sa che suo padre è deceduto quindici mesi prima.

Il giudizio definitivo ha luogo a Hanoi. Egli entra nell'aula del tribunale e gli si riserva l'onore di non flagellarlo. Negli interrogatori, i vari giudici mescolano il fatto religioso e quello politico, provando a rendere il missionario responsabile del bombardamento delle coste annamite da parte di una squadriglia franco-spagnola, o dei tumulti provocati dai maneggi dell'imperatore Tu-Duc. Teofane confuta facilmente tali calunnie e riporta il dibattimento sul vero terreno: è venuto nel Tonchino solo per predicare la religione di Gesù. Gli si mette un crocifisso fra le mani: «Calpesti la Croce, gli dice il viceré, e non sarà condannato a morte!» Allora il missionario alza fra le mani il crocifisso rispettosamente, lo bacia a lungo, poi, con voce forte: «Cosa! esclama, ho predicato la religione della Croce fino ad oggi; come volete che la abiuri? Non stimo la vita di questo mondo al punto di volerla conservare a prezzo di un'apostasia!» Il viceré pronuncia allora la seguente sentenza: «Il sacerdote europeo Vin, il cui vero nome è «Véna», è condannato, a causa della cecità del suo cuore e dell'ostinazione del suo spirito, scartati tutti gli altri motivi, ad avere il capo mozzo, poi esposto per tre giorni e infine gettato nel fiume».

L'esecuzione della sentenza esige la firma di Tu-Duc: il lunedì 17 dicembre 1860, un corriere si avvia alla volta di Hué per portarvi la copia della sentenza. Ma il condannato non conoscerà ufficialmente la propria sorte se non poche ore prima dell'esecuzione della sentenza, il 2 febbraio. La nuova gabbia di Teofane, lunga due metri e la larga un metro e venti, è bella e ornata. Ma che supplizio rimanere in uno spazio tanto ristretto! Le guardie medesime, conquistate dall'affabilità del prigioniero, gli permettono di uscirne di tanto in tanto. Si guadagna la simpatia di ben altre persone: Paolo Muin, un cristiano dal coraggio intrepido, inseritosi nella polizia, ha la possibilità di vedere Padre Teofane quattro o cinque volte al giorno.

Un lago tranquillo

«Se la maggior parte della gente mi dimostra simpatia, scrive Padre Teofane in una lettera alla sua famiglia, il 2 gennaio 1861, ce n'è che mi insulta e si fa beffe di me». Per fortuna, i visitatori si diradano e può scrivere al Vescovo: «Il mio cuore è come un lago tranquillo». Fino alla fine, reciterà il breviario, l'unico libro rimasto in suo possesso. Teofane esprime la sua felicità, cantando il suo desiderio del cielo, e spera di ricevere l'Eucaristia. Il diacono Men riesce a fargli portare la Santa Comunione da cristiane pie che passano inosservate. Il sacerdote Thinh, inviato dal Vescovo, riceve la confessione di Padre Teofane.

La mattina del 2 febbraio, Padre Teofane apprende che sarà giustiziato il giorno stesso. Ringrazia Dio, chiede alla Santa Vergine di aiutarlo fino alla fine, poi, rivestito di abiti festivi, si avvia con gioia al supplizio, cantando il Magnificat. Il boia, che ha bevuto per farsi coraggio, deve ricominciare cinque volte per spiccare il capo del martire a colpi di sciabola. Sembra che, già al terzo colpo, Teofane sia salito in Cielo, in una letizia senza fine... Era quello il desiderio della sua anima: è stato esaudito al di là di ogni speranza.

L'esempio di Teofane Vénard, in particolare il suo modo di accettare il martirio, è stato un prezioso aiuto per santa Teresa di Gesù Bambino. La futura «Dottoressa della Chiesa» vi ha attinto luce e forza.

Il giorno dopo la canonizzazione di Teofane Vénard (19 giugno 1988), Papa Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai pellegrini francesi, dirà: «Santa Teresa di Gesù Bambino è vissuta nell'intimità di san Teofane Vénard, la cui immagine non la lasciava nel momento dell'agonia. Aveva ritrovato la propria esperienza spirituale in una lettera d'addio di Teofane: «Non faccio affidamento sulle mie forze, ma sulla forza di colui che ha vinto la potenza dell'inferno e del mondo attraverso la Croce»».

È a queste due grandi figure della storia recente della Chiesa che affidiamo tutte le Sue intenzioni, senza dimenticare i Suoi defunti.

Dom Antoine Marie osb

 

 

http://www.clairval.com/lettres/it/2004/01/06/7070104.htm