Nell'affrontare il tema del
presente intervento, ho pensato che il miglior punto di partenza che avrei
potuto scegliere fosse riferirmi al Concilio Vaticano II.
Senza disprezzare minimamente
documenti come la Costituzione apostolica Pastores dabo vobis o il
recente Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, si deve
riconoscere che - grazie a Dio! - quel grandissimo avvenimento, probabilmente
il maggiore del nostro secolo, continua ad essere la sorgente viva alla quale
anche i documenti appena citati attingono abbondantemente.
Perciò, sono subito andato a
scorrere l'indice analitico (molto ben fatto) dell'edizione francese dei
Documenti del Vaticano II curata dalle Éditions du Centurion[1]. E debbo confessare che sono
rimasto un po' meravigliato di trovare una colonna fitta (in corpo 8) sotto il
tema “prêtres et Christ”. Di fronte a tale abbondanza ho subito pensato che
sarebbe stato necessario mettere un po' di ordine (sapientis est ordinare)
e, da buon scolastico, mi è subito apparso che il procedimento più adatto per
raggiungere questo fine fosse di ricorrere alle quattro cause aristoteliche. È
un procedimento un po' fuori moda (ancorché più di uno lo usi senza dirlo) ma
mi sembra sempre valido.
Devo pure avvertire che quasi
tutto ciò che dirò può anche benissimo applicarsi ai vescovi; perciò bisogna
generalmente intendere “sacerdote” come designando anche i vescovi, a meno che
io avverta del contrario o la cosa fosse evidente di per se stessa.
I. La causa materiale[2]
O, per dirlo con altre parole,
chi può essere ordinato sacerdote? Evidentemente, qui ci fermiamo solo alle
condizioni che ci sembrano aver un rapporto con Cristo.
Per primo, bisogna esser stato
battezzato. Come per tutti gli altri sacramenti. Ora, che cosa produce il
battesimo che renda capace di ricevere gli altri sacramenti? produce il
carattere battesimale[3],
il quale, in quanto tale, è impronta di Cristo e configurazione a Cristo
sacerdote. Ricordiamo infatti come S. Tommaso definisce il carattere:
[...] deputetur quisque
fidelis ad recipiendum vel tradendum aliis ea quae pertinent ad cultum Dei. Et
ad hoc proprie deputetur character sacramentalis. Totus autem ritus christianae
religionis derivatur a sacerdotio Christi. Et ideo manifestum est quod
character sacramentalis specialiter est character Christi, cuius sacerdotio
configurantur fideles secundum sacramentales characteres, qui nihil aliud sunt
quam quaedam participationes sacerdotii Christi, ab ipso Christo derivatae
(III, q. 63, a. 3, c.).
Può sembrare un po' superfluo ricordare questo perché, come ho detto è
comune a tutti i cristiani; ma precisamente, può esser utile sottolineare che
il sacerdote non è il solo ad aver una relazione a Cristo sotto l'aspetto del
culto: ha in comune con tutti i fedeli questo carattere di Cristo che abilita
alla partecipazione al culto liturgico, ai sacramenti della Chiesa e che è
così conformazione a Cristo. Ciò si esprime volentieri oggi con le categorie di
sacerdozio comune e di sacerdozio ministeriale. È importante, in tale
prospettiva ricordare che il sacerdozio ministeriale fiorisce, se si può dire,
sul terreno del sacerdozio comune ed è tutto, interamente a servizio della più
perfetta manifestazione di esso: il culto in spirito e verità.
In secondo luogo, c'è un punto
per il quale, un tempo, una semplice menzione sarebbe bastata, ma che oggi
merita qualche sviluppo: il fatto che solo i maschi possano ricevere il
sacerdozio ordinato. Come affermava Paolo VI[4],
citato dalla lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II (22 maggio 1994):
la ragione vera è che Cristo, dando alla Chiesa
la sua fondamentale costituzione, la sua antropologia teologica, seguita poi
sempre dalla Tradizione della Chiesa stessa, ha stabilito così.
Ma se il motivo fondamentale è
la volontà di Cristo, garantita dalla tradizione delle Chiesa, questo non vieta
di cercare i motivi di convenienza che hanno potuto determinare Cristo a
decidere così. Ed è ciò che cerca di fare la dichiarazione Inter insigniores
della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (15 ottobre 1976). Ora,
uno dei motivi più evidenti - e qui ci ritroviamo nel nostro argomento - è
quello che sorge dalla natura stessa del ministero sacerdotale. E qui la
dichiarazione, nel capitolo 5, intitolato: Ministeriale sacerdotium mysterii
Christi luce contemplandum est, procede in un modo alquanto complesso.
Per primo, richiama la costante
dottrina della Chiesa secondo la quale il sacerdote, quando agisce in quanto
tale (suo [...] munere fungentem), in persona propria non agere, sed
Christum repraesentare, qui per eum agit: sacerdos vice Christi vere
fungitur, ut scripsit iam saeculo III S. Cyprianus [Ep. 63, 14].
In secondo luogo, riserva una
particolare considerazione alla celebrazione dell'Eucaristia, in cui il
sacerdote non solo agisce in virtù di un potere trasmessogli da Cristo, sed
in persona Christi, huius partes sustinens, ita ut ipsam eius imaginem gerat,
cum verba consecrationis enuntiat[5].
Poste queste premesse, il
documento passa, un po' rapidamente mi sembra, alla affermazione che Christianum
ergo sacerdotium est sacramentalis indolis. Forse questa stretta
consequenzialità è un po' forzata, ma checché ne sia delle parole, la dottrina
che si accinge ad esporre la dichiarazione è molto chiara: è indubbio che,
nell'esercizio del suo ministero, il sacerdote rappresenti Cristo. Ora è
conveniente che colui che rappresenta qualcuno o qualche cosa abbia una certa
rassomiglianza con ciò che rappresenta, in modo che si possa facilmente capire
di che cosa si tratta. Comunque, il modo di fare di Cristo nella istituzione
dei sacramenti è sempre consistito nello scegliere ciò che la scolastica chiama
dei segni naturali, dei segni cioè che abbiano una certo rapporto naturale (in
particolare di somiglianza) con ciò che rappresentano. Così deve essere anche
per il sacerdote il quale, nell'esercizio del suo ministero[6],
rappresenta Cristo, anzi, nella celebrazione della messa, agisce in persona
Christi. È quindi conforme all'insieme dell'economia salvifica e in
particolare dell'economia sacramentale che il sacerdote sia segno naturale di
Cristo, ed quindi rassomigli a Cristo.
Ma a questo punto bisogna
chiedersi in che cosa deve rassomigliare a Cristo. Si potrebbe dire, ad
esempio. Cristo era carpentiere, dunque tutti i sacerdoti dal Papa in giù,
debbono fare il carpentiere, oppure Cristo portava la barba, dunque tutti i
sacerdoti debbono portare la barba, ecc. Bisogna quindi, prima di tutto,
precisare sotto quale aspetto il sacerdote rappresenta Cristo e, quindi, deve
somigliare a Cristo. L'abbiamo già sottolineato, il sacerdote rappresenta
Cristo nell'esercizio del proprio ministero, il che si può dire
equivalentemente, quando, a nome di Cristo e, perfino, in persona Christi, egli
propone o opera la salvezza per la quale Cristo è venuto, ha sofferto, è morto
ed è risuscitato.
Questo essendo precisato, è
allora evidente che la somiglianza del sacerdote con Cristo dovrà verificarsi
in quelle cose che hanno significazione nell'economia della salvezza. E quindi
il problema diventa: è un fatto significativo nell'opera della salvezza che
Cristo sia un uomo? È a questa domanda che la dichiarazione risponde, dopo aver
sottinteso tutti i passaggi che ho appena creduto bene sviluppare.
La risposta fondamentale è: il
fatto che il Verbo si sia fatto di sesso maschile è in consonanza con tutta
l'economia della salvezza, “di cui il nucleo è il mistero dell'alleanza”.
Infatti questa alleanza (che è la salvezza) è presentata nel Nuovo Testamento,
presso i Profeti, soprattutto con l'immagine delle nozze fra Dio (sposo) e il
suo popolo (sposa). Questa alleanza si realizza definitivamente con Cristo Gesù
che è lo sposo la cui sposa è la Chiesa. Notiamo che è Cristo stesso a
presentarsi come lo sposo. A ciò si può aggiungere che Cristo è il nuovo Adamo
dal lato del quale nasce la nuova Eva che e la Chiesa. E San Paolo non esita a
dire del matrimonio che è un grande mistero perché rappresenta l'unione
di Cristo e della Chiesa (cfr. Ef 5,31-32)[7].
Penso che non si dovrebbe aver
vergogna di approfondire, o di esplicitare maggiormente, questa immagine
fondamentale dell'unione sponsale. È evidente che, nell'unione sessuale, è
l'uomo che da e la donna che riceve[8].
Ora, lo stesso si verifica nell'unione fra Cristo e la Chiesa. È Cristo che da
la grazia, la salvezza, ed è la Chiesa che accoglie queste ricchezze nel
proprio seno per farle fruttificare.
Perciò, il fatto che Cristo sia
di sesso maschile non è un caso, ma ha un profondo significato nell'economia
della salvezza. E, di conseguenza, conviene che chi deve ex officio
rappresentare Cristo, esserne l'immagine, sia anche lui di sesso maschile.
Vediamo quindi come la conformazione del sacerdote a Cristo inizia in questo
umile dato corporale, umile ma non insignificante: essere di sesso maschile[9].
II. La causa efficiente.
Dal nostro punto
di vista (dimensione cristologica del sacerdozio ordinato), si possono fare due
osservazioni.
A. Il sacerdote tiene il suo sacerdozio da Cristo. Cristo, nella sua
umanità e attraverso il ministero del vescovo, è la causa strumentale del
sacerdozio. Il sacerdozio è un dono ricevuto (S. Paolo ricorda a Timoteo
το χάρισμα του
θεοΰ ο εστίν εν
σοι δια της
επιθέσεως των
χειρών μου [2 Tm 1,6]), ed è un dono che,
certamente, santifica chi lo riceve, se questi è debitamente disposto, ma che è
orientato non direttamente al bene di chi lo riceve, ma al bene della Chiesa.
Queste ovvietà debbono essere
fermamente ricordate oggi. Infatti, c'è nella Chiesa, chi, riproponendo una
vecchia tesi protestante, nega questo rapporto specifico di causalità
efficiente fra Cristo e il sacerdote e pretende che ogni battezzato può, in
virtù del sacerdozio battesimale, svolgere le mansioni sacerdotali. Il Vaticano II aveva fermamente
precisato che il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale o gerarchico essentia
et non gradu tanto differ<u>nt (LG 10). Ma ciò non ha impedito
diversi teologi (o sedicenti tali), come il P. Edward Schillebeeckx e Leonardo
Boff, di sostenere posizioni che neghino questa distinzione. La Congregazione
per la Dottrina della Fede, indipendentemente dai provvedimenti presi nei
riguardi dei singoli autori, pubblicò la lettera Sacerdotium ministeriale
(6 agosto 1983) la cui affermazione centrale è la seguente:
Anche se proposte in forme
abbastanza diverse e sfumate, le suddette opinioni confluiscono tutte nella
stessa conclusione: che il potere di compiere il sacramento dell'eucaristia non
è necessariamente collegato con l'ordinazione sacramentale. È evidente che tale
conclusione non può assolutamente comporsi con la fede trasmessa, poiché, non
solo si misconosce il potere affidato ai sacerdoti, ma si intacca l'intera
struttura apostolica della Chiesa e si deforma la stessa economia sacramentale
della salvezza
(EV 9, 387).
Β. In secondo luogo, per
realizzare questo bene della Chiesa, al quale è ordinato il sacerdozio
ministeriale, Cristo, mediante l'ordinazione, rende il sacerdote partecipe
della propria causalità efficiente o, diciamo meglio, fa del sacerdote una
causa strumentale per mezzo della quale egli agisce.
Questa causalità strumentale è
infallibile nella celebrazione dei sacramenti di cui il sacerdote è ministro (a
patto che egli abbia l'intenzione requisita). Questo che ho appena detto e che,
per noi, appare giustamente come di una piatta banalità merita tuttavia che vi
ci fermiamo un istante. Dire che il ministro del sacramento è, precisamente, soltanto
ministro o, in altre parole, negare ogni donatismo, non è senza conseguenza per
la vita e la pratica del sacerdote. Si può dire che incita all'umiltà, poiché
tutta l'efficacia di ciò che si fa nel sacramento viene d'altrove, dalla
passione di Cristo immediatamente e da Dio in ultima analisi; ma soprattutto
deve far capire al sacerdote come i sacramenti non sono in nessun modo suoi,
sua proprietà o almeno dati in usufrutto. Sono i sacramenti di Cristo sui quali
il sacerdote non ha il benché minimo potere; sono i sacramenti di Cristo,
affidati da Cristo alla Chiesa, e di cui può essere solo l'umile
“distributore”, ma non sono “roba sua” che possa aggiustare a modo suo. Abbiamo
qui il motivo di fondo del richiamo (che mi pare esser rimasto poco ascoltato)
del concilio Vaticano II:
[...] nemo omnino alius [che
non la Sede Apostolica e, nei limiti delle loro competenze, i vescovi e le
conferenze episcopali], etiamsi sit sacerdos, quidquam proprio malte in
Liturgia addat, demat, aut mutet (SC 22).
Negli altri campi dell'attività
sacerdotale, non si può parlare di efficienza ex opere operato. Si deve
tuttavia sottolineare come la missione, la predicazione, l'insegnamento, il
governo, sono come il prolungamento dell'opera stessa di Cristo e come, attuando
queste mansioni, il sacerdote è lo strumento di Cristo, il mezzo per cui
l'efficienza della parola e del governo di Cristo raggiunge ogni luogo e ogni
epoca. Il Vaticano II insegna:
[...] sacerdotes [...] Deo
in Ordinis receptione novo modo consecrati. Christi Aeterni Sacerdotis viva
instrumenta efficiantur; ut mirabile opus Eius, quod superna efficacitate
universum hominum convictum redintegravit, per tempora persequi valeant (Presbyterorum
ordinis 12).
E scrive Giovanni Paolo II:
i presbiteri sono chiamati a
prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore [...]. La vita e il ministero
del sacerdote sono continuazione della vita e dell'azione dello stesso Cristo
(Pastores dabo vobis 15.18).
Notiamo soltanto, a proposito
del passo testè citato di Presbyterorum ordinis, l'espressione viva
instrumenta: i sacerdoti non sono degli Strumenti passivi, ma sono chiamati
a collaborare, ad un grado diverso e secondo diverse modalità a secondo del
compito sacerdotale che esercitano, con Cristo nell'opera di salvezza che per
loro mezzo si attua (cfr. anche Pastores dabo vobis 25).
IIΙ. La causalità formale[10]
Evidentemente, è questo aspetto che ci dovrà ritenere di più. anche
perché sembra il perno intorno al quale il magistero, dal Vaticano II in poi,
costruisce la sua presentazione del sacerdozio cattolico.
A. L'insegnamento del magistero.
Mi sono limitato, brevitatis
gratia, a esaminare Vaticano II e Pastores dabo vobis. — Nelle citazioni,
il corsivo è mio.
1. Vaticano II
Presbyteri [...] vi sacramenti Ordinis,
ad imaginem Christi, summi atque aeterni Sacerdotis (Hebr. 5,
1-10; 7, 24; 9, 11-28), ad Evangelium praedicandum fidelesque pascendos et
ad divinum cultum celebrandum consecrantur, ut ven sacerdotes Novi Testamenti (LG
28).
[...] Presbyteri, unctione
Spiritus Sancti, speciali charactere signantur et sic Christo sacerdoti
configurantur, ita ut in persona Christi Capitis agere valeant (Presbyterorum
ordinis 2).
Eam [sc. vitae unitatem] vero
exstruere valent Presbyteri exemplum in ministerio adimplendo sequentes Christi
Domini, cuius cibus erat voluntatem facere ulius qui Eum misit ut opus suum
perficeret. Sic Boni Pastoris partes agendo, in ipso caritatis pastoralis
exercitio invenient vinculum perfectionis sacerdotalis ad unitatem eorum vitam
et actionem redigens (Presbyterorum ordinis 14).
"i seminaristi" per
sacram ordinationem Christo Sacerdoti configurandi [...] (Optatam totius
8).
2. Pastores dabo vobis (25 marzo 1992)
I presbiteri sono, nella Chiesa
e per la Chiesa,
una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne
proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di
offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l'Eucaristia,
ne esercitano l'amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il
gregge, che raccolgono nell'unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo
nello Spirito. In una parola, i presbiteri esistono ed agiscono per l'annunzio
del Vangelo al mondo e per l'edificazione della Chiesa in nome e in persona
di Cristo Capo e Pastore. [...] Lo Spirito Santo mediante l'unzione
sacramentale dell'Ordine [sic[11]]
li configura, ad un titolo nuovo e speleo, a Gesù Cristo Capo e Pastore [...]
(15).
Mediante la consacrazione
sacramentale,
il sacerdote è configurato a Gesù Cristo in quanto Capo e Pastore della Chiesa e
riceve in dono un “potere spirituale” che è partecipazione all'autorità con la
quale Gesù Cristo mediante il suo Spirito guida la Chiesa (21).
Lo Spirito Santo effuso dal
sacramento dell'Ordine [...] configura il sacerdote a Cristo Capo e Pastore della Chiesa e
gli affida la missione profetica, sacerdotale e regale da compiere nel nome e
nella persona di Cristo [...] (27).
Ma la volontà della Chiesa trova
la sua ultima motivazione nel legame che il celibato ha con l'Ordinazione sacra, che configura il sacerdote a
Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa (29).
La povertà del sacerdote, in forza della sua
configurazione sacramentale a Cristo Capo e Pastore, assume precise
connotazioni “pastorali” [...] (30).
Mediante l'Ordinazione [...] avete ricevuto lo
stesso Spirito di Cristo, che vi rende simili a Lui, perché possiate
agire nel suo nome e vivere in voi i suoi stessi sentimenti (33).
[...] vivere in seminario,
[...] è lasciarsi configurare al Cristo buon Pastore per un migliore
servizio sacerdotale nella Chiesa e nel mondo (42).
Il presbitero, chiamato ad
essere immagine viva di Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa [...] (43).
ecc., ecc. (cfr., in part., i nn. 50, 61, 65, 70, 72).
3. Queste citazioni, che potremmo ancora ampliare, non lasciano alcun
dubbio: il magistero “definisce” il sacerdozio come conformazione a Cristo. È
doveroso sottolineare che, estraendo come ho fatto alcune espressioni dal loro
contesto, ho solo inteso dimostrare questo fatto e non esporre la dottrina che
sviluppa o spiega una tale concezione del sacerdozio ordinato. A dire il vero,
questa dottrina, sotto l'aspetto ora considerato, consiste piuttosto in
affermazioni che non in un approfondimento coerente del tema. Bisogna, perciò,
che cerchiamo di vedere ora, un po' più precisamente, in che cosa consiste
questa “conformazione”.
Β. In quale senso (o in quali
sensi) il sacerdote è conformato a Cristo?
1.
La sintesi del Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri
Il Direttorio per il
ministero e la vita dei presbiteri, pubblicato il 31 gennaio 1994 dalla
Congregazione per il Clero, ha tentato, in un paragrafo intitolato precisamente
“Dimensione Cristologica” una sintesi un po' organica della dottrina recente su
questo punto[12]. Anche se
il testo è un po' lungo, mi pare utile citarlo interamente (anche qui i corsivi
sono nostri; le note, che sono di grande importanza, perché indicano i
documenti di cui si cerca di fare la sintesi, sono riprodotte in nota,
precisando il numero che hanno nel testo originale):
6. La dimensione cristologica,
come quella trinitaria, scaturisce direttamente dal sacramento che configura ontologicamente a
Cristo sacerdote, maestro, santificatore e pastore del suo popolo[13].
Ai fedeli che, rimanendo
innestati nel sacerdozio comune, sono eletti e costituiti nel sacerdozio
ministeriale, è data una partecipazione indelebile allo stesso e unico sacerdozio di Cristo, riguardo
alla santificazione, all'insegnamento e alla guida di tutto il popolo di Dio.
Così, se da una parte, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale
o gerarchico sono necessariamente ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e
l'altro, ognuno a suo modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo,
dall'altra parte, essi differiscono essenzialmente tra di loro[14].
In questo senso, l'identità del
sacerdote è nuova rispetto a quella di tutti i cristiani che, mediante il
battesimo, partecipano, nel loro insieme, all'unico sacerdozio di Cristo e sono
chiamati a dargli testimonianza su tutta la terra[15].
La specificità del sacerdozio ministeriale si situa di fronte al bisogno che
tutti i fedeli hanno di aderire alla mediazione e alla signoria di Cristo, resa
visibile dall'esercizio del sacerdozio ministeriale.
In questa sua peculiare identità cristologica, il sacerdote deve aver
coscienza che la sua vita è un mistero inserito totalmente nel mistero di
Cristo e della Chiesa in un modo nuovo e speleo e che per questo lo impegna
totalmente nell'attività pastorale e lo gratifica[16].
7. Cristo associa gli apostoli
alla sua stessa missione: “Come il Padre ha inandato me, anch'io mando voi” (Gv
20,21). Nella stessa sacra ordinazione, è ontologicamente presente la dimensione missionaria. Il sacerdote è scelto, consacrato e inviato per rendere efficacemente
attuale questa missione eterna di Cristo, di cui diventa autentico
rappresentante e messaggero: “Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi,
disprezza me e chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10,16).
Si può quindi dire che la
configurazione a Cristo, tramite la consacrazione sacramentale, definisce il
sacerdote in seno al popolo di Dio, facendolo partecipare in modo suo proprio
alla potestà santificatrice, magisteriale e pastorale dello stesso Gesù Cristo,
capo e pastore della Chiesa[17].
Agendo in persona Christi capitis, il
presbitero diventa il ministro delle azioni salvifiche essenziali, trasmette le
verità necessarie alla salvezza e pasce il popolo di Dio, conducendolo verso la
santità[18].
Al proposito di questo testo, molto denso, per quanto ci riguarda
precisamente, possiamo notare che:
1) distingue la partecipazione dei fedeli in quanto tali
al sacerdozio di Cristo dalla partecipazione del sacerdote ordinato a questo
stesso sacerdozio, cercando di precisare anche in che cosa consiste questa
differenza (il che è fatto nel modo più soddisfacente nell'ultimo capoverso).
2) quanto alla configurazione del sacerdote a Cristo,
parla in realtà di due cose, che tutt'e due si situano, come dice bene il
testo, al livello ontologico, sottolineando così che non si tratta soltanto di
imitare esteriormente i modi di fare di Cristo, ma che si tratta di una
trasformazione interiore riguardante l'essere stesso del sacerdote.
Rimane tuttavia che, come
dicevo, si tratta di conformazioni diverse che i testi postconciliari[19]
affermano entrambe, ma, a mio avviso, non distinguono abbastanza, rischiando
così di creare equivoci sui quali avremo forse occasione di tornare. Per ora
limitiamoci brevemente a cercare di chiarire le cose.
2. La doppia conformazione a Cristo del sacerdote
I testi che abbiamo citato o ai
quali abbiamo fatto cenno parlano in realtà, anche se a volte non ne sembrano
troppo coscienti, di due tipi di conformazione a Cristo del sacerdote: la prima
secondo la quale il sacerdote riceve nella sacra ordinazione un certo numero di
poteri (la parola non è di moda, ma è inevitabile) propri di Cristo
Capo; la seconda secondo la quale il sacerdote riceve (normalmente) nella
sacra ordinazione uno specifico aiuto che lo rende maggiormente atto a mettere
in pratica questi poteri per il bene della Chiesa. Chi ha un po' di dimestichezza
con la teologia tradizionale avrà riconosciuto qui la distinzione fra carattere
e grazia sacramentale, fra sacramentum et res e res tantum.
a. Il carattere sacerdotale
Si tratta a propriamente parlare
di questa conformazione a Cristo sacerdote mediante la quale il soggetto è reso
partecipe di alcuni poteri di Cristo. Qui, bisogna dire che i documenti,
seguendo anche il Vaticano II, come vedremo, tendono a mettere sullo stesso
piano i tria munera del sacerdozio; mentre S. Tommaso, fedele insieme
alla sua dottrina del carattere come abilitazione al culto e alla dottrina
comune della eucaristia come culmen et fons, ci offre, mi sembra (anche
se poco sviluppata), una messa in ordine più soddisfacente. Secondo lui, la
potestà spirituale in cui consiste il carattere sacerdotale è per primo la
potestà di consacrare l'Eucaristia[20],
poi si estende agli altri sacramenti, in quanto l'Eucaristia è il fine dei
sacramenti[21] e, infine,
alla preparazione del popolo alla ricezione fruttuosa dell'Eucaristia, mediante
l'insegnamento della dottrina[22],
e a una vita conforme alle sue esigenze, mediante il governo. Bisogna tuttavia
confessare che ciò che cosi esponiamo in modo chiaro e preciso si trova, nel
Dottore comune, piuttosto allo stato di suggestioni che non di dottrina
costruita, ma avremo, penso, occasione di tornarci sopra.
Checché ne sia di ciò, questa
conformazione a Cristo Capo data nell'ordinazione è inammissibile, ma ha un
campo limitato: si verifica quando il sacerdote opera gli atti propri della
potestà spirituale cosi ricevuta (quando celebra la messa, amministra i
sacramenti, insegna ex officio, governa il proprio gregge).
b. La grazia sacerdotale
Queste parole di S. Tommaso
possono bastare a descrivere la grazia sacerdotale:
Ad divinam autem liberalitatem
pertinet ut cui confertur potestas ad aliquid operandum, conferantur etiam ea sine
quibus huiusmodi operatio convenienter exercen non potest. Administratio autem
sacramentorum- ad quae ordinatur spiritualis potestas, convenienter non fît
nisi aliquis ad hoc a divina gratia adiuvetur. Et ideo in hoc sacramento
confertur gratia: sicut et in aliis sacramentis (4 CG 74).
Si tratta quindi di un aumento
della grazia santificante specificato all'adempimento conveniente del ministero
sacerdotale.
A riguardo di questa grazia
dobbiamo fare due osservazioni. Primo, essa, come la grazia santificante
con la quale si identifica, conforma a Cristo, in quanto è partecipazione della
grazia stessa di Cristo; ma questa conformazione, anche se prende una
colorazione particolare nel sacerdote, è fondamentalmente comune a tutti i
fedeli. Rimane tuttavia che questa grazia chiama la collaborazione dell'uomo,
il quale deve cercare di imitare Cristo e, poiché è sacerdote, di imitarlo più
particolarmente nelle mansioni propriamente sacerdotali, come esorta il
Concilio Vaticano II nel n. 24 del decreto Presbyterorum ordinis sopracitâto. Secondo,
questa conformazione è purtroppo ammissibile, ad opera del peccato mortale di
cui nessuno, nemmeno i sacerdoti, sono al riparo.
c. Queste precisazioni dovrebbero permetterci di orientarci un po' meglio
in mezzo a tante cose che sono dette del sacerdote alter Christus e su
cui non mi posso qui dilungare[23].
Limitiamoci a precisare che il sacerdote è, secondo gradi variabili[24],
alter Christus nell'espletamento del suo ufficio, in virtù del carattere
sacerdotale; lo può essere, non più nel campo del potere spirituale, ma in
quello della santità (di una santità che certamente sarà colorata dal suo
essere sacerdote), in virtù della grazia santificante ricevuta al battesimo e
perfezionata con l'ordinazione.
IV. La causalità finale.
Questo paragrafo, a rigore,
dovrebbe restare vuoto, poiché Cristo non è dell'ordine della finalità ultima,
ma è un mezzo per raggiungere il fine ultimo che è Dio (“chi crede in me, non crede
in me ma in colui che mi ha mandato”, ecc.). Perciò, anche se si dice spesso
che il ministero sacerdotale consiste nel portare le anime a Cristo, non si
deve dimenticare che Cristo è un fine intermediario, perché quelli che gli sono
stati affidati, egli li rimette a Dio, sia che si consideri ciascuna anima in
particolare, sia che si consideri l'insieme degli eletti (traditio regni).
Pertanto, dall'ordine della finalità siamo riportati all'ordine della
causalità formale.
Cristo ha come fine che Dio sia
glorificato e la glorificazione di Dio passa per la salvezza degli uomini: “Io
ti ho glorificato sulla terra, compiendo l'opera che mi desti da fare”, dice
Gesù (Gv 17,4).
Anche il sacerdote ha lo stesso
fine: che Dio sia glorificato mediante la salvezza degli uomini e a ciò tende
tutto il suo ministero. Non si può dire propriamente, come abbiamo ricordato
poco fa, che Cristo sia fine del ministero sacerdotale. C'è da aggiungere però
che il ministero del sacerdote non è cosa parallela a quello di Cristo, ma è la
prosecuzione di quello di Cristo e la sua attuazione nei diversi tempi e nei
diversi luoghi, sicché il sacerdote agisce sempre in Cristo. Il Concilio
Vaticano II ha espresso bene questa unità di fine e questa relazione di
subordinazione del sacerdote a Cristo nel conseguimento di questo fine in
questo passo del decreto Presbyterorum Ordinis con il quale potremo
chiudere queste brevi riflessioni sulla dimensione cristologica del sacerdozio
ordinato:
Finis igitur quem ministerio
atque vita persequuntur Presbyteri est gloria Dei Patris in Christo procuranda.
Quae gloria in eo est quod homines opus Dei in Christo perfectum conscie,
libere atque grate accipiunt, illudque in tota vita sua manifestant. Presbyteri
itaque, sive orationi et adorationi vacent, sive verbum praedicent, sive
Eucharisticum Sacrificium offerant et cetera Sacramenta administrent, sive
alia prò hominibus exerceant ministeria, conferunt cum ad gloriam Dei augendam
tum ad homines in vita divina provehendos. Quae omnia, dum ex Paschate Christi
manant in glorioso Eiusdem Domini adventu consummabuntur, cum Ipse tradiderit
Regnum Deo et Patri (Presbyterorum Ordinis 2).
Daniel Ols, O.P.
[1] Concile œcuménique Vatican II, Constitutions, Décrets, Déclarations, Messages, Paris, Éditions du Centurion, 1967.
[2] Evidentemente, quando si parla qui di causa materiale, non s'intende parlare di causa puramente materiale (perché di tale ci sarebbe soltanto la materia prima), si vuoi solo indicare ciò che è richiesto come materia a un determinato uso o a una determinata operazione. Nel caso che occupa qui, si tratta del soggetto che è capace di ricevere l'ordinazione sacerdotale e, in ossequio al nostro tema, riteniamo di questi requisiti soltanto coloro che hanno rapporto a Cristo. Questa osservazione permette di spiegare come possiamo considerare qui una certa configurazione a Cristo come causa materiale (mentre più in là parleremo di configurazione a Cristo sotto la categoria della causa formale): non si tratta qui delle cose considerate in se stesse, ma come presupposti alla ordinazione sacerdotale: la configurazione a Cristo che si ha mediante il battesimo è senz'alto) dell'ordine della causalità formale, ma, in rapporto alla recezione degli altri sacramenti, appartiene all'ordine della causa materiale, del requisito previo.
[3] “[...] per ipsum "sacramentum baptismi" homo accipit potestatem recipiendi alia Ecclesiae sacramenta; unde baptismus dicitur esse ianua omnium sacramentorum” (III, q. 63, a. 6, c.).
[4] Paolo VI, Discorso su Il ruolo della donna nel disegno della salvezza. 30 gennaio 1977 [Insegnamenti 15, p. 111].
[5] Non mi soffermo su questo che avremo occasione di analizzare nel corso consacrato a “Eucaristia e presbitero”.
[6] Si vedrà più in là perché insisto su questo punto.
[7] E S. Tommaso aggiunge che è questo il motivo principale della indissolubilità del matrimonio: Et haec quidem inseparabilitas matrimonii praecipue causatur in quantum est sacramentum coniunctionis indissolubilis Christi et Ecclesiae [...] (Super Ep. ad Romanos, c. 7, l.l, Marietti, n.522).
[8] Che cosa capiti poi, come i coniugi partecipino ugualmente alla formazione della prole, ecc., tutto ciò non c'interessa qui. Siamo nell'ambito dell'esperienza comune.
[9] Dovremmo a questo punto fare un paragrafo sul celibato sacerdotale. Anche se non è questo una condizione universalmente richiesta, tuttavia non v'è chi non veda come non si tratti soltanto di una imitazione materiale di Cristo, ma, come abbiamo detto più sopra, dell'imitazione di una condizione di Cristo significativa nel disegno salvifico: Cristo è lo sposo della Chiesa e di nessuna altra, così chi rappresenta Cristo è bene che sia esclusivamente sposo della Chiesa e più particolarmente di quella porzione della Chiesa a lui affidata.
[10] Nel paragrafo consacrato alla causa materiale, avevamo visto quella conformazione a Cristo che era anteriore alla ordinazione e causa sine qua non di essa; ora, si tratta di quella conformità a Cristo che è operata o richiesta dalla stessa ordinazione sacerdotale.
[11] Il documento cita qui, precisando ancora un po' di più, una espressione del Vaticano II (Presbyterorum ordinis 2) che abbiamo riportato qualche riga sopra. La struttura del dettato e la precisazione “sacramentale” sono poco felice, perché potrebbero lasciar pensare che è l'unzione materiale di crisma ad essere la materia del sacramento. Evidentemente, non è così, e bisogna capire questa espressione come designando, in un modo un po' immaginoso (e assai tradizionale), il dono dello Spirito Santo.
[12] Anche l'esortazione apostolica Pastores dabo vobis comporta un paragrafo intitolato “La relazione fondamentale con Cristo Capo e Pastore” (nn. 13-15); ma abbiamo preferito partire dal testo del Direttorio, perché, come diciamo sopra, questo testo tenta una sintesi, mentre il paragrafo della Pastores dabo vobis è prolisso e alquanto confuso.
[13] nota 14: Cf. Conc. ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 18-31: EV l/328ss; Decr. Presbyterorum ordinis, 2: EV 1/1244; C/C, can. 1008.
[14] nota 75; Cf. Conc. ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 10; EV 1/312; Decr. Presbyterorum ordinis, 2: EV 1/1245.
[15] nota 16: Cf. Conc. ecum. Vat. II, Decr. Apostolicam actuositatem, 3: EV 1/920; Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 14: AAS 81 (1989), 409-413; EV 1l/1647ss.
[16] nota 17: Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 13-14: l. c., 677-679; Catechesi nell'udienza generale del 31 marzo 1993: L'Osservatore romano, 1° aprile 1993.
[17] nota 18: Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 13-14: l. c., 684-686.
[18] nota 19: Cf. ibid., 15: /. c., 679-681.
[19] Il concilio, infatti, mi sembra esser stato più attento a distinguere i due aspetti: si paragoni, ad esempio, fra i testi che abbiamo citati, LG 28, in cui si dice che i poteri di Cristo appartengono al sacerdote vi sacramenti, e Presbyterorum ordinis 14, in cui si legge una esortazione ad imitare Cristo, senza allusione al sacramento.
[20] “Quia vero potestas Ordinis ad dispensationem sacramentorum ordinatur, inter sacramenta autem nobilissimum et consummativum aliorum est Eucharistiae sacramentum [...]: oportet quod potestas ordinis consideretur praecipue secundum comparationem ad hoc sacramentum; nam unumquodque denominatur a fine (II de Anima, IV; 415 a].” (4 CG 74).
[21] “Cum igitur potestas Ordinis ad hoc se extendat ut sacramentum corporis Christi conficiat et fidelibus tradat, oportet quod eadem potestas ad hoc se estenda! quod fideles aptos reddat et congrues ad huius sacramenti perceptionem” (Ibid. — È onesto segnalare che nelle frasi che seguono immediatamente l'enunciazione di questo principio, S. Tommaso lo applica unicamente al sacramento della Penitenza, ma, come vedremo subito, ne fa altrove un'applicazione più estesa).
[22] “[...] doctrina est remota praeparatio ad suscipiendum sacramentum” (Super 4 Sent., d. 24, q. 2, a. 2, ad 4m).
[23] Ad esempio, il n. 15 della esortazione apostolica Pastores dabo vobis mescola un po' i due aspetti che abbiamo distinto. Da un lato scrive: “[...] i presbiteri sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore, attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza in mezzo al gregge loro affidato”. Il che è dell'ambito della grazia sacramentale. Poi, un po' più in là dice: “I presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l'Eucaristia, ne esercitano l'amorevole sollecitudine. Uno al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell'unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. In una parola, i presbiteri esistono ed agiscono per l'annuncio del Vangelo al mondo e per l'edificazione della Chiesa in nome e in persona di Cristo Capo e Pastore”. Il che descrive l'attuazione del carattere sacerdotale (la quale, evidentemente, chiama l'informazione della grazia sacerdotale).
[24] Lo è ex opere operato, infallibilmente, nella celebrazione dei sacramenti; lo è nella misura in cui è fedele alla sua missione sacerdotale nell'insegnamento e nel governo.