SAN PEDRO POVEDA

 

Segno per la Chiesa e il mondo contemporaneo

 

 

 

María Encarnación González

Direttice dell’Ufficio per le Cause dei Santi

della Conferenza Episcopale Spagnola

 

 

 

 

 

San Pedro Poveda era un uomo semplice, umile, audace e di dialogo, con una chiara coerenza tra il suo modo di sentire, di pensare e di fare, sostenuta con serena fortezza tra il pluralismo e la contraddizione. Non rassomigliava a quelli che si distinsero per il loro protagonismo, in un'epoca nella quale tutti desideravano avere un ruolo molto importante nel complesso scenario della vita spagnola. Era di quelli che, con discrezione, prendevano sul serio ciò che si doveva fare, lasciando gli onori, i primi posti e le lodi agli altri. Ma tutti lo conoscevano. Sapevano dove trovare padre Poveda sempre disposto ad ascoltare e a incoraggiare.

Ogni epoca storica ha le sue tendenze e le sue sfide, e anche la sua, in cui l'Europa si apriva alla modernità. Aveva 26 anni quando cominciava un nuovo secolo, il XX, nato con l'ansia di rinnovamento che di solito accompagna il cambio di secolo.

Giovane, coraggioso, deciso, gli sembrava allora che tutto si potesse fare e, molto entusiasta del proprio ideale, si buttò a capo fitto non per lamentarsi del molto che c'era da fare, ma per impegnarsi in quello che poteva. Così si comportò sempre. Ed ebbe pieno successo, un successo però molto particolare: diventò un grande santo. Un santo di quelli che insegnano come si vive e si muore per Cristo.

Quando il Papa lo proclamó Santo nella Piazza  Colón di Madrid il 4 maggio del 2003, lasciò memoria di questo atto, come in simili casi, in un documento molto solenne: una Bolla pontificia. Questa Bolla, scritta a mano in pergamena e firmata di suo pugno da Giovanni Paolo II, dopo la solenne formula di canonizzazione e prima dei paragrafi finali, dice così:”Conclusa la preghiera rituale, abbiamo venerato quest’uomo eccezionale e, ammirando la sua eroica laboriosità e i suoi meravigliosi esempi di fede, abbiamo invocato la sua protezione per tutta la Chiesa”. Questo paragrafo è molto importante: il Papa sollecita, a favore della Chiesa, l’intercessione di questo grande santo, che visse e morì per essa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chiamato al sacerdozio

 

Pedro Poveda nacque a Linares (Jaén - Spagna), il 3 dicembre 1874 e fu battezzato nella parrocchia di Santa Maria una settimana dopo. Era il primogenito di don Giuseppe Poveda Montes e di donna Maria Linajeros Castroverde, un matrimonio profondamente cristiano e molto inserito nel proprio ambiente locale.

Linares era una cittadina importante; le miniere di piombo, in pieno sfruttamento, attraevano immigrati per lavorare in esse, anche se dovevano vivere, come purtroppo succede, in condizioni difficili. Ma vi furono persone che fecero grandi fortune. Piena di contrasti, questa città era anche un campionario dei diversi partiti politici e delle tendenze culturali che stavano sorgendo o si dibattevano in Spagna.

La famiglia Poveda apparteneva, in un certo senso, ad una classe media colta, sensibile ai problemi sociali, e con amici tra i poveri e tra i ricchi. Don Giuseppe era chimico in una Società mineraria e la madre si prendeva cura della numerosa famiglia con cinque figli maschi.

Pedro, che visse la sua fanciullezza nel vasto ambiente familiare con nonni, zii, cugini, ecc. presto manifestò grande attrazione per il sacerdozio. Egli stesso racconta del suo amore, da bambino, per "le messe" e noi possiamo ancora ammirare i vestiti e paramenti che con affetto gli cucivano le zie per celebrarle. Tuttavia il padre non permise subito che soddisfacesse il suo desiderio, perché desiderava che la sua vocazione si consolidasse. Ma poi, per la sua prolungata insistenza, gli diede il permesso di entrare in seminario a Jaén a 15 anni, a patto che concludesse anche gli studi di Baccalaureato. E così avvenne. Ottenne questo titolo nel 1893. Pedro, poi, così lo raccontava:

 

“Dovetti sostenere una battaglia perché mi lasciassero andare in Seminario; mio padre si opponeva perché aveva pensato che avrei dovuto conseguire il grado di baccalaureato e credeva che, se fossi entrato in Seminario, non avrei conseguito il grado. Non fu così: nell’anno in cui  frequentai nel Seminario il 6° anno, cioé il 3° di filosofia, finii il mio Baccalaureato nell’Istituto di Baeza con giudizio di ottimo nei due esercizi”.

 

Cominciare a prepararsi per diventare sacerdote "è stata la più grande gioia che mi avessero potuto dare. lo sognavo il seminario e passavo il tempo facendo progetti", scriveva più tardi. In questi anni del seminario si impegnò nell'adempimento dei suoi doveri di studente e nella carità con i poveri. Considerato responsabile e di grande fiducia, gli furono affidati commissioni e servizi.

Le difficoltà economiche della famiglia, per la prolungata malattia del padre, lo costrinsero a chiedere una borsa di studio, che gli fu concessa dal nuovo vescovo della diocesi nel seminario di Guadix (Granada), don Maximiliano Fernández del Rincón. Nel seminario di questa città si trasferì nel 1894. “Andai a Guadix con un entusiasmo straordinario – diceva qualche tempo dopo – e con fortissimi desideri di essere santo e di imitare quell’uomo insigne,

A Guadix terminò i suoi studi e contemporaneamente svolse alcuni servizi nella diocesi. Il 17 aprile 1897, Sabato Santo, fu ordinato sacerdote nella cappella del Vescovado, dove celebrò la sua prima Messa Solenne il giorno 21, mercoledì di Pasqua. In seguito queste furono le date personali che ricordò e celebrò maggiormente. Nella sua agenda, nella ricorrenza di questi giorni, si notano espressioni come queste: “Anniversario”, Giorno benedetto”. Soleva ripetere: “Signore, che io sia sacerdote sempre in pensieri, parole e opere”.

Rimase nella diocesi di Guadix come Vice Segretario del Vescovo e Segretario del Governo Ecclesiastico, Professore e Direttore Spirituale del Seminario, Presidente delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli e dell'Opera di Propaganda - Fide e, soprattutto, come persona di fiducia del Vescovo che gli affidò diversi incarichi. Dedicò pure tempo allo studio, e nel 1900, ottenne la  licenza in Teologia.

 

 

 

 

 

 

 

Nella città e nelle grotte:

 la formazione delle persone

 

Durante questi intensi anni della sua formazione ed esperienza sacerdotale, attento a grandi e piccoli, cominciò a prendere coscienza, non solo della necessità dell’evangelizzazione, ma anche dei problemi sociali del contesto in cui viveva.

In seguito alla missione predicata nella quaresima del 1902 nelle grotte che circondano la città di Guadix, aggiunse alle sue attività abituali nel Vescovado e nel Seminario quella di promuovere, sia dal punto di vista umano che cristiano, gli abitanti di questa zona emarginata che soffrivano disoccupazione, fame, analfabetismo, povertà e abbandono, e cominciò a stabilire relazioni tra la città e la periferia che reciprocamente tendevano a ignorarsi.

Colpito dall’abbandono in cui vivevano i numerosissimi abitanti delle grotte pensò che la cosa migliore che poteva fare a favore dei grandi e dei piccoli era facilitare loro mezzi per l’educazione personale e professionale in modo che potessero arrivare a essere persone preparate e, quindi, capaci di svolgere un lavoro che permettesse loro una vita degna. Per questo, come scriveva allora, “ Poiché il fondamento dell’educazione e la base di ogni progresso morale e materiale è Gesù Cristo, la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di installare il Santissimo Sacramento nella Cappella delle grotte. Ma, dove direte che abbiamo dovuto collocare il Re del cielo e della terra? In una grotta, simile alle antiche catacombe”. Infatti, da secoli, una delle grotte, situata in un luogo centrale del quartiere, era stata trasformata in una cappella. Era presieduto da un  suggestivo quadro della Madonna delle Grazie, tenuta in grande devozione nella zona, ma, sebbene questa bella grotta fosse parrocchia, abitualmente non era  aperta al culto. Per questo la prima cosa che procurò il giovane Padre Poveda fu che lì ci fosse il Signore, presente nel Tabernacolo. Per lui Gesù Cristo fu sempre il centro della sua persona e di tutta la sua attività e lo dimostrò fin da principio nelle grotte di Guadix.

Con l’aiuto di Enti pubblici e di alcuni privati, in pochi mesi potè costruire le "Scuole del Sacro Cuore di Gesù", stipendiare i maestri, dare da mangiare ad alcuni bambini e bambine e aprire scuole serali e laboratori per adulti, realizzando così un servizio importante di aiuto umanitario, educativo, e di formazione cristiana e professionale, in mezzo a questo vasto settore della popolazione, emarginato e privo di mezzi. Inoltre, sollecitò l'interessamento delle autorità locali e dei centri di cultura di Guadix accorciando così le distanze tra gli abitanti della città e delle grotte, separati da secoli. Le autorità locali seppero riconoscergli questo importante impegno umanitario nominandolo, nel 1904, "Figlio adottivo prediletto" e dedicandogli una strada e un bell'album con più di 700 firme "a spese dei giovani del luogo", come è scritto nella dedica.

In questo periodo si erano già trasferiti a vivere con don Pedro i suoi genitori e Carlo, il fratello più piccolo. Decisi a rimanere a Guadix, avevano portato con loro un grande quadro dell'Immacolata che apparteneva da tempo alla famiglia, davanti al quale, come lui stesso dice, una zia lo aveva offerto alla Madonna, appena nato, "perché mi benedicesse e per chiedere che, se non dovevo diventare un buon cristiano, mi togliesse la vita prima di vedere la luce". Pedro Poveda ebbe sempre un affetto particolare per quel quadro.

Padre Poveda fu sempre molto devoto della Vergine e quel quadro della Madonna delle Grazie che presiedeva la Cappella delle Grotte, rimase sempre impresso, in modo molto singolare, nel suo animo. Nel 1934, due anni prima della sua morte, lo ricordava in questo modo:

 

"confesso sinceramente che nel salire alle grotte di Guadix con un gruppo dei miei seminaristi, non pensavo ad altro che ad una catechesi, che inoltre da quelle visite alla Cappella della Madonna delle Grazie, titolare di quel sacro luogo, mezzo grotta e mezzo cappella, nacque il progetto delle scuole e che la vocazione a questo genere di apostolato ebbe lì la sua origine. I cambiamenti successivi, fino a giungere alla realizzazione dell' ultima tappa, l'Istituzione Teresiana, sono maturati davanti ad un'altra immagine della Madonna, nella Santa grotta di Covadonga".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessione e preghiera:

Fondatore dell’Istituzione Teresiana

 

Dopo tre anni di lavoro molto intenso, dinanzi alle inevitabili difficoltà incontrate, nel 1905, si trasferì a Madrid col desiderio di fondare un asilo per bambini di strada, che non poté realizzare. Visse a Linares e a Baeza, aiutando un fratello negli studi, fino a quando, nel 1906, fu nominato canonico della Basilica di Santa Maria di Covadonga (Asturie), nella zona montana del nord della Spagna, dove visse fino al 1913.

Dinanzi a circostanze e ambienti diversi rispetto alla sua natia Andalusia, non modificò il suo atteggiamento. Attento, per esigenza della sua fede, al nuovo ambiente in mezzo al quale viveva, si preoccupò innanzi tutto dei numerosi pellegrini che giungevano al Santuario. Perché la loro esperienza religiosa  si prolungasse un po’ di più delle poche ore della loro permanenza lì, pubblicò libri e opuscoli con i quali desiderava collaborare alla loro formazione cristiana, come En provecho del alma (Linares 1909), Para los niiños (Barcelona 1910) e Plan de vida (Linares 1911). In un altro libretto,  Visita a la Santina (Oviedo , 1909) offriva ai pellegrini suggerimenti per il tempo in cui sarebbero rimasti nel Santuario e, con i cinque opuscoli dal titolo La voz del Amado (Vergara, 1908), si proponeva di facilitare loro la pratica della preghiera basandosi sui testi della Sacra Scrittura, che, per allora, era una grande novità.. Li esortava anche alla conversione continua, al buon uso del tempo e alla comunione frequente, ben preparata e riconoscente, secondo gli orientamenti pastorali che la Chiesa, in quel momento, offriva ai fedeli.

Durante questi sette intensi anni di Covadonga comprese via via in profondità quello che aveva incominciato a percepire a Guadix: l'importanza di dedicarsi all’educazione dei bambini e dei giovani perché arrivassero a essere persone libere e responsabili nella società e, di conseguenza, la necessità che i maestri fossero ben preparati professionalmente, vivessero la loro fede in modo coerente e responsabile, fossero solidali e sapessero cooperare.

I suoi frequenti soggiorni a Madrid, passaggio obbligato dei suoi viaggi da Covadonga a  Linares,  la vicinanza a Oviedo, con una prestigiosa Università, e la vicina città di  Gij6n, con un importante porto aperto all'Europa e all'America, gli ampliarono man mano orizzonti e conoscenze, cosicché arrivò a captare con grande chiaroveggenza e profondità i problemi che, soprattutto sull’educazione e l’insegnamento, si dibattevano in quel momento.

Giunse così a captare, con grande profondità, i problemi concreti del rapporto tra fede e scienza che incidevano in modo decisivo nel campo della scuola. Negli articoli che pubblicò in quel tempo sulla stampa, che furono raccolti poco dopo in un opuscolo intitolato Alrededor de un proyecto (Linares, 1913), analizzò questi problemi. Inoltre, era il momento in cui, apartire da diverse esperienze isolate, nasceva la pedagogia scientifica, e lo Stato, da parte sua, tentava di impadronirsi della scuola, prima principalmente in mano alla Chiesa.

Quella di Covadonga fu una tappa decisiva della sua biografia, intensa per riflessione e progetti, durante la quale maturò il suo ideale apostolico ed educativo, orientato da sempre  alla formazione e al coordinamento degli educatori.

Nei suoi lunghi spazi di preghiera, "guardando la Santina", approfondì il mistero dell'Incarnazione del Verbo e la partecipazione dei credenti nel mistero della Redenzione. Dalla sua identificazione con Cristo Crocifisso e dalla riflessione sulla realtà, che progressivamente andava scoprendo, nacquero nuovi progetti di azione. Per tradurli in pratica scrisse e pubblicò articoli ed opuscoli programmatici, come il conosciuto Ensayo de Proyectos Pedagogicos" (Gijón, 1911; Sevilla, 1912), il Simulacro pedagogico (Sevilla, 1912), e il Diario de una Fundación (Sevilla, 1912),  nei quali ebbe la chiaroveggenza e l'audacia di proporre un ampio piano di formazione e coordinamento degli insegnanti, coordinamento che poco dopo diede luogo alla “Federazione Nazionale di Maestri Cattolici”. Inoltre, disposto sempre a "cominciare facendo", dal 1911 fondò "Accademie per studentesse delle Magistrali, Centri Pedagogici e Riviste che diedero inizio, come germe della sua opera principale, all’Istituzione Teresiana. Per le "Accademie" scrisse: Avisos Espirituales de Santa Teresa de Jesús, selezione dalle sue opere in 20 brevi capitoli, con testi scelti dalle opere della Santa, e alcuni originali Consigli  (Covadonga 1911) alle  Professoresse ed alle Alunne, future maestre, dove vengono abbozzate le linee pedagogiche che avrebbe sviluppato successivamente.

Nella I Assemblea Generale dell’Istituzione Teresiana, che ebbe luogo nel 1928, il fondatore pose la domanda: l’Opera, potrebbe perdere la sua identità? E, volgendo  gli occhi alla sua origine , sempre chiave di rinnovata identità, scrisse queste e altre considerazioni in merito:

 

“Covadonga è per l’Istituzione qualcosa di singolare, unico, e per me, qualcosa ancora più singolare e unico.

La santa Grotta sarà sempre la culla della nostra amatissima Opera.

Davanti all'immagine della Santina si pregò, si progettò, si intravide, per così dire, lo sviluppo dell'Opera

Infine, sette anni di vita intensa in quel benedetto recinto danno molto frutto, e tutto ciò che hanno dato è stato intorno all’ideale della mia vita, che nacque e si consolidò guardando la Santina”.

 

Come potè affermare San Pedro Povera che l’Istituzione Teresiana nacque a Covadonga e non a Gijon, dove, nell’agosto del 1911, fondò la prima Accademia per maestri, o a Oviedo, dove nel dicembre dello stesso anno diede vita alla prima Accademia per studenti di Magistero? Risulta evidente che, coerentemente al suo pensare e al suo sentire, il fondatore non metteva in relazione l’origine della sua Opera con le attività concrete alle quali all’inizio diede luogo il nuovo carisma, ma con il suo momento frontale, genuino, germinale; con l’ispirazione nata dalla preghiera e dallo studio che animò quelle e  tutte le attività che sarebbero venute dopo. Perché l’Istituzione Teresiana, nella sua peculiare identità, non fa riferimento a una attività concreta, ma a un progetto di formazione e di coordinamento di educatori, animato dallo Spirito, che nacque e si consolidò guardando la Santina.

Da ciò deriva anche che , per il fondatore la devozione alla Madonna fosse qualcosa di sostanziale, di irrinunciabile, essendo un elemento costitutivo della sua identità. Nel 1927, riferendosi all’evidente devozione alla Madonna che caratterizzava l’Istituzione, scrisse: “Questo segno mi sembra tanto di Dio che, ve lo confesso sinceramente, preferirei vedere scomparire l’Opera, piuttosto che vedere diminuire in essa la devozione mariana”.

Perché, in questo caso, si starebbe indebolendo la sua identità. E insisteva: l’Istituzione Teresiana “è una associazione eminentemente mariana per la sua origine, per la sua storia e per  sua propria scelta. E’ nata nella grotta di Covadonga”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Impulso all’Istituzione Teresiana e

impegno nel suo ambiente

 

            “Mi è molto dispiaciuto lasciare Covadonga, ma è stata più grande la gioia che mi produsse la speranza di vedere progredire la mia Opera in molti luoghi. Da Jaén, avrei potuto servire meglio l’Opera”. Così spiegava Pedro Poveda il suo trasferimento a Jaén nel 1913.

            Il Vescovo della sua diocesi lo ricevette con compiacenza, così come scriveva alcuni anni dopo, nel gennaio del 1917, in una lettera diretta a Poveda:

 

“Quando lei fu nominato canonico della Cattedrale di Jaén, ricevetti una lettera dal signore Abate della Collegiata di Covadonga, dove lei era canonico, che si congratulava con me per il suo trasferimento a Jaén e mi faceva le lodi della sua Opera, del suo spirito di diffusione del Vangelo e delle sue capacità pedagogiche per tanto importante obiettivo [ ...]

                Insomma: il mio giudizio sulla sua Opera è che la considero come discesa dal Cielo, di una opportunità straordinaria per attendere alle necessità che i tempi presenti esigono [..]. e, di conseguenza, Opera di grande e ampia trascendenza. Concludo incoraggiandolo a continuare”.

 

Per meglio dare impulso, quindi, a questa Opera che raggruppava persone dedicate a evangelizzare nel mondo dell’educazione e della cultura, soprattutto nel campo dell’insegnamento, decise di tornare alla sua diocesi di origine, considerando, inoltre, che, nell’osservanza di un recente decreto, nel corso 1913-1914, era previsto che si creassero Scuole Normali di Maestre nei capoluoghi di provincia che ancora non le avevano, come nel caso di Jaén, dove solo c’era la Normale per Maestri.

Lì fu canonoco della Cattedrale, ottenne il titolo di Maestro, lavorò come professore del Seminario e di ambedue le Scuole Normali e partecipò attivamente alla vita della città, prestando sempre notevole attenzione ai settori più bisognosi e alle nuove correnti educative e culturali dell’ambiente locale.. Molto presto la sua presenza venne richiesta in diverse iniziative cittadine, come l’Associazione della stampa, l’Accademia di Studi Superiori e la Reale Società Economica di Amici del Paese. Fu anche direttore spirituale del Centro Catechistico di Operai, membro della Giunta di Reclusi e Liberti e Vocale della Giunta Provinciale di Beneficenza. Dal 1912 apparteneva alla Unione Apostolica di Sacerdoti Secolari, a carattere internazionale.

A Jaén pubblicò l’opuscolo El estudio de la Pedagogia en los Seminarios (1917), che raccoglie la lezione inaugurale del corso 1914-1915, che gli toccò tenere come ultimo professore arrivato al Centro. Manifestò in modo molto documentato la sua convinzione, certo del fatto che coloro che avevano come missione di educare alla fede, avrebbero dovuto possedere la preparazione pedagogica adeguata, facendo proposte concrete.

Appena arrivato a Jaén, conobbe Maria Josefa Segovia, allora ventiduenne, che stava concludendo gli studi nella Scuola Superiore del Magistero di Madrid e arrivò a essere la sua principale collaboratrice nell’Istituzione Teresiana. A lei affidò il compito di iniziare una Accademia-Internato a Jaén per le alunne della nuova Scuola Normale femminile, mentre faceva le  Pratiche e la Memoria della Scuola Superiore, compito che realizzò con notevole competenza ed entusiasmo. A partire da lì Don Pedro continuò ad animare la creazione di altre Accademie e Centri di formazione pedagogica in diversi capoluoghi di provincia, che erano allo stesso tempo focolari di profonda vita cristiana e presentavano una fisionomia sempre più propria e definita.

Quest' Opera si estese con molta rapidità e vide crescere notevolmente le sue attività e i suoi collaboratori, contribuendo in modo decisivo alla promozione e formazione della donna. Le Accademie di Santa Teresa di Gesù, di cui la maggioranza aveva degli internati per le studentesse delle Scuole Normali, facilitarono l’accesso agli studi di Magistero a molte giovani delle città e dei paesi e il loro futuro esercizio professionale. Inoltre, nel 1914, don Pedro Poveda aprì a Madrid la prima residenza universitria femminile della Spagna e agglutinò buona parte del corpo insegnante femminile, in particolare di Scuole Normali. L’Opera Teresiana, all’inizio degli anni venti del secolo scorso, diventò forse il gruppo più qualificato e impegnato nella formazione umana e cristiana della donna studiosa.

L’Istituzione Teresiana, articolata in diversi gruppi e con presenza molto attiva nei diversi settori della cultura e della società, nel 1917 fu riconosciuta civilmente a Jaén secondo la vigente Legge di Associazioni e ottenne approvazione ecclesiastica diocesana come Associazione di Fedeli, una “Pia Unione” secondo il recente promulgato Codice di Diritto Canonico. Rimase costituita, fin dall’inizio, come una Istituzione di fedeli laici complessa, con un unico spirito e missione e diversi modi di appartenervi come membro. Fu messa sotto la titolarità di Santa Teresa  di Gesù, donna di vasta cultura e di solida vita di prghiera, adottò come stile di vita quello dei primi cristiani e identificò l’educazione e la cultura come l’ambito specifico della sua missione.

Negli ultimi anni del suo soggiorno a Jaén, il Padre Poveda – come da tutti veniva chiamato – scrisse e pubblicò Consideraciones (1920) e, principalmente, l’opuscolo e il libro dal titolo Jesùs, Maestro de oración (Cordoba, 1922), oggi pubblicato in edizione critica nella Biblioteca di Autori Cristiani (Madrid, 1997 e 2000). Anche i suoi scritti della tappa di Covadonga furono pubblicati in nuove edizioni e Poveda aggiunse una nuova e importante serie ai suoi Consigli.

Fin da quando vide la luce il primo numero della “Prima Epoca”, nell’ottobre del 1913, Don Pedro Poveda animò sempre il Boletín de las Academias Teresianas, rivista pioniera nel suo genere in quanto alla formazione pedagogica degli educatori, formazione in consonanza con l’altrettanto desiderato approfondimento della loro fede. Egli scrisse spesso nelle pagine del Bollettino e spronò le insegnanti delle Accademie che lo facessero, riuscendo a mantenere viva, e sempre più perfezionata, la presenza di questa pubblicazione negli ambienti educativi.

 

 

 

 

 

Un’opera della Chiesa aperta al futuro.

Intensa attività apostolica

 

Nel 1921 don Pedro Poveda si stabilì a Madrid, essendo stato nominato cappellano reale. In questa città svolse diversi incarichi: tra cui quello di far parte, nel 1922, della Commissione Centrale contro l’Analfabetismo. In questo stesso anno fu nominato arciprete di Vic (Barcellona)  ed in seguito di Burgo de Osma (Soria), in cambio del suo incarico nella Cattedrale di Jaén, dispensato di risiedervi per poter svolgere il lavoro che gli era stato affidato a Madrid.

Dedicò parte della sua attività a consolidare l’Istituzione Teresiana che continuava a diffondersi. Nel 1919 Maria Josefa Segovia fu nominata prima direttrice generale, e in quegli anni l’Opera rimase definitivamente configurata nelle sue finalità e nella sua complessa organizzazione, che comprende, in una sola Istituzione, un nucleo di donne pienamente impegnate nella missione con una donazione totale a Cristo e diverse associazioni cooperatrici. La finalità educativa e culturale ha come base la speciale attenzione alla formazione cristiana, umana e professionale di tutti i membri e come caratteristica principale la presenza nei posti di carattere pubblico, quelli, cioè, che permettono la relazione tra e con tutti i gruppi sociali.

Avendo ottenuto un considerevole sviluppo geografico e organizzativo, essendo ben definito lo spirito che doveva animarla ed i modi e le forme di realizzare la missione, dietro richiesta del Nunzio di Sua Santità in Spagna,  l'Associazione di Laici "Istituzione Teresiana", fu presentata a Roma da alcuni dei suoi membri per l'approvazione pontificia, che ottenne definitivamente con il Breve Inter Frugiferas, del Papa Pio XI, l'11 gennaio 1924. Si dava così stabilità a un nuovo carisma nella Chiesa e nel mondo, che richiedeva dai fedeli laici un esigente impegno di vita evangelica e una peculiare responsabilità in alcuni aspetti concreti della missione ecclesiale, carisma che diede inizio a un cammino che dopo si è fatto più ampio e comune.

            Educatore di vita cristiana e dei rapporti tra fede e scienza, uomo di profonda preghiera e solidale con i più bisognosi, Padre Poveda era convinto che i cristiani dovevano contribuire con il loro sforzo alla costruzione di un mondo migliore e più fraterno per tutti, secondo i disegni di Dio, per cui, ratificato il carisma dell’Istituzione Teresiana con la recente approvazione del Papa, attraverso quest' Opera e altre attività, si lanciò, sempre più decisamente, a promuoverlo, motivo per cui favorì la presenza di uomini e donne di fede in diversi ambiti culturali e della società.

            Continuò con crescente impegno a promuovere progetti di carattere educativo. Così, nel 1925, contribuì a realizzare e appoggiò un progetto della Scuola di Studi Superiori del Magistero a favore dei maestri delle scuole rurali delle zone più svantaggiate; nel 1926 rispose positivamente alla richiesta del Vescovo di Madrid-Alcalà di fondare una Accademia per maestri, base dell’Istituzione del Divino Maestro, che riuniva educatori del ramo maschile; in questo stesso periodo, animati dall’Istituzione Teresiana, diede inizio a programmi all’avanguardia a favore della donna contadina e nel 1927 formalizzò la creazione dell’Istituto Cattolico Femminile di Madrid, sperimentato fin dal 1923, primo centro di Insegnamento Medio di iniziativa privata con studi convalidati ufficialmente, con cui si proponeva di facilitare l’accesso della donna nell’Università. Nel 1928 e nel 1930 favorì la presenza di maestre dell’Istituzione Teresiana nelle campagne missionarie per gli emigranti nel sud della Francia, promosse dall’episcopato spagnolo; nel 1929, insieme ai PP Enrique Herrera Oria, SJ, e Domingo Lázaro, SM, fondò la F.A.E. (Federazione di Amici dell’Insegnamento), con il proposito di animare persone, gruppi e associazioni impegnate nell’ambito educativo, e fece parte della prima Giunta di governo e del Consiglio di Redazione della sua rivista, Atenas. Nello stesso periodo diffuse l’enciclica di Pio XI Divini illius Magistri (1929), sulla educazione cristiana dei giovani.

Lavorò anche, e molto attivamente, nell'Azione Cattolica. Nello stesso anno 1929 il Vescovo di Madrid-Alcalà e il Cardinale Primate gli diedero l’incarico dell’organizzazione dei Giovani Studenti Universitari Cattolici, per cui aprì una sede a Madrid, animata da membri dell’Istituzione Teresiana. Nel 1929 partecipò anche al I Congresso Nazionale dell’Azione Cattolca come Consigliere Nazionale dei Padri di Famiglia, e nel 1930 fu presente alla I Assemblea dell’Azione Cattolca Nazionale, come Presidente dei Giovani e degli Studenti. Nel 1930 fu invitato dalla Giunta Centrale di Azione Cattolica a far parte di una commissione incaricata di studiare un progetto di Università Cattolca per la Spagna, come esistevano in altri paesi europei, e si impegnò nel progetto per la Facoltà di Pedagogia di detta Università.

In questi anni, quando la donna si stava incorporando nei compiti della società contemporanea, l’Istituzione Teresiana, in progressivo sviluppo, non solo significava un movimento in avanti, ma si stava dimostrando capace di progettare programmi di azione e di offrire risorse formative capaci di dare risposta alle nuove sfide del contesto che stava cambiando.

            Attento, come sempre, all’ambito dell’educazione e della cultura, alla percezione del considerevole aumento del numero di studentesse e studenti universitari, nella terza decade del secolo XX, don Pedro Poveda si interessò vivamente a questo settore. Oltre che assumere la suddetta organizzazione di Studentesse Universitarie dell’Azione Cattolica e potenziare l’Istituto Cattolico Femminile recentemente creato, aprì nuove residenze dell’Istituzione Teresiana per la donna che frequentava l’Università e, negli anni difficili della II Repubblica, ideò mezzi per mantenere Associazioni di studentesse e laureate giovani e creò Associazioni come la Lega Femminile di Orientamento e Cultura.

Convinto che la pietà e la cultura erano chiamate a convivere in buona armonia nella mente e nel cuore dei credenti, e che la fede non metteva in conflitto la dedicazione agli studi di più alto livello, come alcuni non si stancavano di ripetere, nel 1930 si rivolgeva in questo modo alle universitarie presentando loro l'aspetto più genuino del carisma dell'Istituzione Teresiana:

 

"Nel nostro programma, dopo la fede, o meglio, insieme alla fede, poniamo la scienza. Siamo figli del Dio delle Scienze, di cui dice la Sacra Scrittura 'Deus Scientiarum, Dominus est'. L'autore della fede e della scienza è uno solo, Dio; ed il soggetto della fede e della scienza è la creatura umana. Così come l'altro giorno vi dicevo che dovete essere donne di grande fede, di fede viva, di fede vissuta, e vi chiedevo di non dire mai: non più fede, così vi dico oggi: desiderate la scienza, impegnatevi per acquistarla e non stancatevi mai, né dite mai: non più scienza. La molta scienza porta a Dio, la poca ci separa da Lui".

 

O, in altre parole, nel 1932: “Bisogna dimostrare con i fatti che la scienza si coniuga bene con la santità di vita”. Ma una fede e una scienza il cui fine non è quello di qualificare chi le possiede, ma quello di essere vero e umile segno del Regno di Dio.

E’ anche di questo periodo, diretta agli stessi destinatari, quest’altra affermazione molto sua, che ripete e sottolinea nell’opuscolo Hablemos de las alumnas,  pubblicato nel 1933:

 

            “Considero un errore la preoccupazione esagerata di circondare la giovane studentessa di ogni genere di comodità e di isolarla da ogni contatto con l’umanità povera e bisognosa per evitarle sofferenze e dispiaceri. A cosa servirà dopo una giovane educata così? Che ruolo avrà nella società, cosa rimedierà con la sua scienza?”.

 

            Non era facile la proposta, e meno ancora per quelli che, pur con le migliori intenzioni, pensavano che gli studi superiori potevano perfino essere pregiudizievoli per le giovani studentesse, o che possedere un titolo accademico superiore significasse collocarsi al di sopra degli altri. Sanno così di giustificazione le parole di don Pedro nel 1927 nell’appoggiare il programma dell’Istituto Cattolico Femminile: “educare la donna, anche per l’Università, non è deformarla, ma perfezionarla” Era ben cosciente della difficoltà, non solo ambientale o di contesto, ma anche perché la sua proposta tentava di mettere in relazione termini che potevano sembrare antinomici, sebbene, messi adeguatamente in relazione, potevano arrivare a richiamarsi tra di loro.

             Si trattava, in realtà,  di un nuovo carisma nella Chiesa e per il mondo, che racchiudeva in sé, non solo l’articolazione fede-scienza o pietà-studio, ma la maggiore esigenza di vita cristiana nei membri di una Istituzione approvata dal Papa con la semplice forma giuridica di una “Pia Unione” di fedeli laici. Scriveva nel 1929:

 

            “Abbiamo inaugurato un cammino nuovo nel Diritto Canonico e abbiamo dato la norma per altre opere, ma, avremo dato l’esempio di virtù, di perfezione?... Per l’Opera grande che realizziamo, questa Opera audace, coraggiosissima, e, se così si può dire, quasi temeraria,  è necessaria  straordinaria vocazione, santa fissazione di perfezione, prurito di squisitezza spirituale, tempra di martire, zelo di apostolo, monomania di scienza, ossessione di edificazione”.

 

            Pur senza far parte degli organismi direttivi dell’Istituzione Teresiana negli ultimi anni della sua vita, si dedicò intensamente, come fondatore, ad aprire nuovi campi ai diversi aspetti della  missione, ad animare decisamente quest’Opera che, come si è detto, stava apportando un carisma molto nuovo ed efficace, e a prendere le adeguate previsioni per impedire che il trascorrere del tempo, o diverse circostanze, potessero toglierle l’identità.

"L'Opera deve essere ora e sempre come è stata pensata fin dal principio - diceva. Santità più che mai; virtù solide a costo della vita". E si rafforzava in ciò che era stato detto poco dopo l'approvazione pontificia dell'Istituzione Teresiana: "Pia Unione Primaria. Un'Associazione minima nell'ordine canonico, ma quanto è grande la sua missione! Quanta santità si chiede ad essa!".

 

            Con la chiara coscienza dell'universalità di questo carisma incoraggiò anche l'espansione geografica dell'Opera, intensificando le relazioni con organizzazioni internazionali e iniziando la presenza dell'Istituzione Teresiana fuori dalla Spagna: in Cile nel 1928 e poco dopo in Italia nel 1934, “a favore della maggiore identificazione con la Chiesa” .

Per lasciare bene consolidata l’Opera nella sua più genuina identità, nel 1935 ottenne dalla Santa Sede il Breve Litteris Apostolicis, che confermava l’origine dell’Istituzione Teresiana a Covadonga , don Pedro Poveda come suo fondatore e il carattere universale di questa Opera.

Da parte sua, per meglio compiere i suoi doveri di presbitero e sempre attento ai più bisognosi, oltre che continuare ad appartenere all’Unione Apostolica di Sacerdoti Secolari, dal 1930 appartenne alla "Fraternità del Rifugio" che prestava soccorso a poveri, vagabondi e malati.

Considerato uomo prudente e di pace, di virtù solida e buon consigliere, di carità eroica, semplice, uomo di dialogo e profondamente umile, don Pedro Poveda seppe offrire la sua matura esperienza a giovani sacerdoti, religiosi e secolari, alcuni dei quali iniziatori di opere che si consolidarono successivamente, che ricorrevano a lui in cerca di orientamenti, suggerimenti, appoggi. "Tutti dobbiamo cooperare"; "C'è posto per tutti, posto per ognuno e campo di azione dove poter lavorare"; sono frasi dei suoi primi scritti il cui contenuto seppe sempre tradurre in pratica, e che spiegano e danno senso pieno al suo costante atteggiamento di collaborazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Incarnazione del Verbo,

come chiamata alla santità

 

La più genuina sintesi del carisma, del dono di Dio per la Chiesa e per il mondo, ricevuto da chi ben presto definì sé stesso "strumento" nelle mani di Dio, è condensata in questo breve testo, redatto da don Pedro Poveda:

 

"L'Incarnazione ben intesa, la persona di Cristo, la sua natura e la sua vita offrono a chi lo comprende, la norma sicura per arrivare ad essere santo con la santità più vera, rimanendo al tempo stesso umano dell'umanesimo vero".

 

Questa affermazione è inserita nella parte finale, conclusiva, di un breve scritto del 1915, reso pubblico nel "Bollettino delle Accademie Teresiane" dell'ottobre 1916 che, riferendosi a Santa Teresa di Gesù, intendeva spiegare il "carattere eminentemente umano di quella vita tutta di Dio".

Questa chiara e forte chiamata alla santità, conseguenza dell'avere ben capito il mistero dell'Incarnazione del Verbo, che trova nella persona di Cristo la chiave di una vita "pienamente umana e tutta di Dio", costituisce il nucleo della spiritualità del sacerdote Pedro Poveda e del carisma dell'associazione di laici da lui fondata, che è l'Istituzione Teresiana. Il resto è sviluppo di questo primo e fondamentale pensiero che presenta, sin da principio, una sottolineatura essenziale. "Fede e scienza" o "spirito e scienza", "preghiera e studio", "maestri virtuosi e sapienti", "fede e cultura" sono alcune varianti del ripetuto binomio povedano, i cui termini si richiamano tra loro, definito da lui "forma sostanziale", "dogma" o volontà fondazionale della sua Istituzione Teresiana.

            Era convinto che i cristiani, chiamati alla santità nel loro impegno per la fede e la cultura, potevano e dovevano apportare alla società pluralista contemporanea valori e orientamenti per la costruzione di un mondo più umano, più giusto e solidale. Agli abitanti delle grotte di Guadix furono offerti i migliori metodi pedagogici del momento, e ciò perché, nel suo modo iniziale e costante di intendere l’unione fede-cultura, soggiaceva un senso di comunione, di solidarietà e di giustizia che spingeva a dare il meglio al più bisognoso e che era capace di incanalare gli sforzi comuni verso un futuro più conforme con la vera volontà del Signore. Per questo lo stile di questa spiritualità si caratterizza per la semplicità, la gioia, la mitezza, la responsabilità nel lavoro, la capacità di collaborare e la costante esigenza nello studio. E ha come meta la più autentica santità.

            Con la certezza  che è impegno ineludibile del credente compiere il proprio dovere, e ancor più quando possiede una preparazione a cui non tutti hanno avuto accesso, o ha una seria responsabilità rispetto agli altri, così scriveva nel 1930 alle universitarie:

 

"Se sarete donne di fede stimerete un dovere primario il compimento dei vostri obblighi e uno di essi è lo studio, il lavoro, il lavoro assiduo che vi rende atte e degne di possedere un titolo che, se da una parte vi fa accedere a posti sociali di importanza e di prestigio, dall'altra vi obbliga ad acquisire il bagaglio scientifico necessario per occuparlo degnamente senza ingannare la società che vi offre questi posti perché suppone che siate adeguatamente preparate".

 

I numerosi scritti dedicati all'Istituzione Teresiana dal suo fondatore tracciano, dunque, un itinerario che ha come asse un profondo  cristocentrismo ─ “L’Incarnazione bene intesa” ─, richiede la vita nello Spirito, considera essenziale la solida devozione mariana, il senso profondo di essere Chiesa, e fa dell'educazione e della cultura, specialmente dei più poveri, un vero segno del Regno di Dio.

Una autentica vita cristiana, insomma, con le caratteristiche di un carisma che ha una responsabilità specifica nella Chiesa e nella società.

La sua spiritualità sacerdotale ha come centro una profonda vita eucaristica dalla quale scaturisce la sua intensa attività apostolica. L'intimità e la identificazione con Cristo Crocifisso, la sua carità eroica con tutti, l'umiltà profonda e la mitezza autentica sono i tratti che caratterizzano questo inconfondibile uomo di Dio.

            E come sintesi, o come costante atteggiamento, Pedro Poveda sottolinea l'importanza di bene operare, di essere testimone eloquente dei fatti e della realtà. Sono del 1935, un anno prima della sua morte, le affermazioni espresse dall'inizio in diversi modi:

 

"La verità é nei fatti, non nelle parole, come diceva San Giovanni: 'Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con le opere, perché in questo consiste il vero amore". Le opere, sì; esse danno testimonianza di noi e dicono con eloquenza incomparabile quello che siamo".

 

 

 

 

 

 

 

 

Consegnato totalmente,

fino al martirio

 

Il desiderio di vivere la sua fede fino al dono della propria vita se fosse stato necessario, manifestato in alcune occasioni, aveva generato in lui una autentica spiritualità martiriale. "Umiliazioni, abbattimenti, contrarietà, persecuzioni, sofferenze, martirio, tutto ciò è una legittima conseguenza" ―aveva scritto nel 1920― dell'essere coerente con la fede. La circostanza concreta, la dura persecuzione religiosa in Spagna sin dal 1931 inasprita nel 1936, fu solo un'occasione che mise in evidenza ciò che già si era consolidato dentro di lui.

In quegli anni difficili di tanto estremismo e dolore insistette continuamente sulla non violenza. Diceva: "non bisogna farsi illusioni; la mitezza, l'affabilità, la dolcezza, sono virtù che conquistano il mondo". E inoltre:

 

"Ora è tempo di raddoppiare la preghiera, di soffrire meglio, di abbondare nella carità, di parlare di meno, di vivere molto uniti al Signore, di essere molto prudenti, di consolare il prossimo, di incoraggiare i pusillanimi, di prodigare misericordia, di vivere fiduciosi nella Provvidenza, di avere e dare pace".

 

             P. Agostino Gemelli, OFM, fondatore e rettore dell’ Università Cattolica di Milano che nei suoi diversi viaggi in Spagna parlò varie volte con don Pedro Poveda, ci ha offerto una importante testimonianza, circa i suoi atteggiamenti in questo momento cruciale.

           

 

 

“Ho conosciuto Padre Pedro Poveda a motivo dei miei tre viaggi in Spagna, durante i quali ogni volta mi fermavo per circa una settimana a Madrid. Inoltre ho mantenuto con lui una frequente e intensa corrispondenza.[…].

Il mio terzo viaggio ha avuto luogo, se non mi sbaglio,  nel 1935; già allora erano numerosi e  frequenti i  segni del grande sconvolgimento  che agitava tutte le classi sociali.

Un giorno, con molto candore e con grande semplicità, mi disse che se fosse stato necessario versare il sangue per la Chiesa, era disposto a darlo con animo non solo rassegnato,  bensì gioioso, senza temere nulla per la sua persona e con la sicurezza che la Provvidenza di Dio avrebbe salvato i membri della sua Istituzione. Queste semplici espressioni sincere, manifestazione di una profonda convinzione, mi meravigliarono tanto che quando arrivò in Italia la notizia della sua morte atroce , non ho tardato a dire ai miei amici e conoscenti che, salvo il giudizio della Chiesa, poteva essere considerato martire. La narrazione delle sofferenze patite e del modo in cui fu ucciso mi sembrò  una conseguenza logica del suo stato d’animo”.

 

Il 27 luglio 1936 appena terminata la celebrazione della Messa, fu arrestato nella sua casa di via Alameda di Madrid. Non negò la sua identità davanti a coloro che andarono a prenderlo: "Sono sacerdote di Cristo". Alcune ore dopo, al momento di essere separato da suo fratello, che lo aveva accompagnato, gli disse: "Addio, Carlo, si vede che il Signore, che mi ha voluto fondatore, mi vuole anche martire". E non si è saputo altro, con certezza, di lui.

Il giorno dopo, una professoressa ed una giovane dottoressa dell'Istituzione Teresiana, trovarono il suo cadavere vicino alla cappella del cimitero dell'Almudena, con ferite di arma da fuoco. Sul suo petto si vedeva, perforato, lo scapolare della Madonna del Carmelo. Aveva 61 anni. Trasportarono il suo cadavere al cimitero di San Lorenzo, dove il giorno 29 fu seppellito insieme a sua madre che, dopo lunghi anni vissuti con lui, era morta l’anno precedente.

Anche una giovane maestra, appartenente all'Istituzione Teresiana, la Beata Vittoria Diez y Bustos de Molina, fu martirizzata a Hornachuelos (Cordoba) pochi giorni dopo, il 12 agosto dello stesso anno 1936.

            La grande fama di santità di don Pedro Poveda, iniziata già in vita e continuata dopo la morte, che fu considerata sin dal principio vero martirio, spinge l'Istituzione Teresiana a chiedere l'istruzione della sua Causa di canonizzazione nel 1955. Conclusi tutti i processi, è beatificato dal Papa Giovanni Paolo II a Roma il 10 ottobre 1993. Dieci anni dopo, il 4 maggio del 2003, è stato canonizzato a Madrid, durante la V visita apostolica del Papa Giovanni Paolo II in Spagna. I suoi resti si trovano nella Casa di Spiritualità  "Santa Maria", dell'Istituzione Teresiana a Los Negrales (Madrid).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Rendo giustizia al Padre Poveda”

           

Così si esprimeva P. Jesús Castellano, eminente teologo, professore di Spiritualità  nel Pontificio Istituto di Spiritualità Theresianum di Roma nel celebrare in questa città, il 17 maggio del 2003, la recente canonizzazione di san Pedro Poveda:

 

“Come studioso della spiritualità del secolo XX, devo confessare che una lettura degli scritti di padre Poveda mi risulta di grandissimo interesse.

Bisogna rendere giustizia a quest’uomo per alcune ragioni fondamentali: prima di tutto perché la spiritualità di padre Poveda ha tutti i titoli per essere considerata anticipatrice di tutta una serie di valori che costituiscono la trama della spiritualità della seconda metà del sec.XX col Concilio Vaticano II e che lui anticipa”.

 

            Senza dubbio alcuno, l’umanesimo povedano, con ampia radice biblica,  che trova “la norma sicura per giungere ad essere santo” ne “la Incarnazione ben intesa”, è chiaramente anticipatore della serie di valori che assume, concretizza e propone il Concilio Vaticano II. Aggiunge P. Jesús Castellano:

 

“Trovo veramente Pedro Poveda un anticipatore e un forgiatore della spiritualità del secolo XX, prima ancora di quei grandi che fino adesso sono riconosciuti nei manuali di storia della spiritualità contemporanea.

Egli é anticipatore di una spiritualità che sta per nascere come spiritualità: aperta, evangelica, che ritorna alle fonti, di grande apertura al mondo bisognoso di ricevere un cristianesimo vivo e adatto alle nuove condizioni di un tempo che sta cambiando.

Rendo dunque giustizia a padre Poveda: dobbiamo veramente considerarlo testimone, maestro e fondatore, che dà un contributo alla formazione della spiritualità, con intuizioni anticipatrici della prima metà del secolo XX. che rimanga per la storia della spiritualità della Chiesa”.

 

E, basandosi sugli scritti di san Pedro Poveda, nella  novità del carisma dell’Istituzione Teresiana  e nell’impulso che durante la sua vita diede a questa Opera, così commenta:

 

“Basterebbe riprendere tutta la tematica di Gesù, Maestro di preghiera, della “Vite e i tralci” e di altre idee cristologiche per capire la sua modernità evangelica. E’ una spiritualità che anticipa, anche nella Spagna della prima metà del secolo XX, quel ritorno alle fonti, caratteristico di qualche decennio più tardi, con la sua appassionata rivisitazione della vita dei primi cristiani come modello, una specie di anticipazione del grande movimento del ritorno ai padri nella teologia della spiritualità.

E’ una spiritualità quella di Poveda, che rivaluta, con l’aiuto dei testi biblici del Nuovo Testamento, la dimensione profetica, sacerdotale e regale del popolo di Dio. Una spiritualità inoltre, che prende tutta un’altra parte della spiritualità del sec.XX, che si forgia soprattutto dopo la prima guerra mondiale e dopo la seconda guerra mondiale, cioè quella spiritualità dell’impegno nel mondo, della rivalutazione delle realtà create, delle connotazioni in relazione alla cultura, di promozione della donna. Una spiritualità poi, che trovo viva, concreta, di grandi intuizioni pedagogiche e di immediate applicazioni vitali.

Non é uno scrittore di grandi trattati; é l’uomo concreto, che trasmette esperienza, un vero mistagogo ―diremmo oggi― della vita evangelica, dell’impegno apostolico, vero maestro spirituale.

 

In questo senso P. Castellano evidenzia, come già segnalato, il riferimento di san Pedro Poveda ai primi cristiani, presente nei suoi scritti fin dall'inizio. Persino le grotte di Guadix gli  ricordavano le antiche catacombe che in quei momenti, con gli  scavi archeologici, venivano scoperte. Il riferimento alla chiesa primitiva, ai  primi seguaci di Gesù, è uno dei segni più chiari della novità del carisma da lui ricevuto, carisma chiamato a impregnare il momento presente della originaria purezza evangelica:

 

“È viva la sua essenzialità cristologica, quindi, di matrice giovannea e paolina. L’ecclesialità viva ed essenziale della comunità degli Atti degli Apostoli, con un recupero spirituale concreto della immagine archetipo della comunità di Gerusalemme, alla quale, secondo una famosa espressione di L. Cerfaux, tutti i secoli guardano. Quando inizia questo capolavoro dello Spirito, che é la primitiva comunità, tutti i secoli guardano, come tutti gli artisti cercano di ispirarsi ai capolavori che trovano nei musei. Anche il Padre Poveda ha avuto questa intuizione: un ritorno costante a quando comincia la vita nuova, a quando nasce la Chiesa. Per questo il suo modello è la primitiva comunità cristiana, plasmata dalla parola di Gesù e dall'azione dello Spirito.

Il santo Pedro Poveda é arrivato anche, come pochi santi, a sentire come propria la preghiera sacerdotale di Gesù; si veda il cap. 17 di Giovanni, commentato da lui nel libro Gesù, Maestro di preghiera, come vertice dell’ideale della vita cristiana nella comunione con Dio e fra di noi, con la chiara visione della spiritualità delle beatitudini e la forza travolgente della gioia come virtù prettamente cristiana. Quello che lui propone é una specie di umanesimo delle beatitudini. Mi piace questa accentuazione della gioia cristiana che avviene verso la fine, verso la vicinanza del martirio, perché io giudico la gioia cristiana un “quarto (?) trascendentale” della vita cristiana, accanto all’amore-verità, all’amore-bontà, all’amore-bellezza, l’amore che é gioia. In questo, Pedro Poveda é profeta anticipatore”.

 

Sottolinea la dimensione di fondatore non solo come chi ha formulato una dottrina, ma ancor più come chi l’ha  ratificata con la sua vita. Una vita coerente con la sua vocazione specifica al sacerdozio, capace dì generare qualcosa di diverso da lui, radicato nel vangelo e chiamato a renderlo presente nella realtà attuale:

 

“Lui é maestro ed é fondatore. E’ maestro con la sua dottrina, testimone con la sua vita. Ha lasciato un seme fecondo, fecondato dallo Spirito Santo, che ha prodotto un grande movimento di spiritualità. Egli ha dato all’Istituzione Teresiana la capacità di mantenere la sua vocazione laicale e la sua capacità di coinvolgere altri laici e laiche nel progetto di una presenza viva nel mondo, con le caratteristiche di internazionalità e missionarietà e apostolicità e, soprattutto, con la dimensione culturale, che sono proprie del carisma di padre Poveda, infuso nella sua Opera”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Segni antchi e nuovi

per la Chiesa di oggi

 

Il ricordo di don Pedro Poveda è rimasto unito alla fama della sua santità, alla novità di aver dato un decisivo e concreto impulso alla missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, al suo qualificato contributo all'educazione, e alla possibilità di generare progetti apostolici dinamici, capaci di rispondere, secondo il proprio carisma, alle necessità circostanti.

L'Istituzione Teresiana, fondata da Pedro Poveda, è un'Associazione di Laici, di diritto pontificio, presente oggi in 30 paesi di quattro continenti, che offre la possibilità di una formazione solida per vivere a fondo le esigenze del battesimo, anche con una donazione totale a Cristo, e per realizzare, come Chiesa, una missione al servizio del Regno di Dio. Cerca la promozione umana e la trasformazione sociale mediante l'educazione e la cultura e , come le prime comunità cristiane, i suoi membri illuminano la loro vita con la Parola di Dio, la alimentano con l'Eucaristia, vivono l'amore fraterno e fanno della condivisione la loro norma di vita.

            Sono già trascorsi i cento anni da quando il giovane sacerdote Pedro Poveda cominciò la sua evangelizzazione nelle grotte di Guadix. Allora "la prima cosa che facemmo fu portare Gesù Sacramentato nella nostra cappella delle grotte" scriveva nel 1904, perché "il fondamento di ogni progresso morale e materiale è Gesù Cristo". E dopo, in giusta coerenza con la vocazione ricevuta davanti alla Madonna delle Grazie della "Ermita nueva", affermava con forza davanti ai membri dell’Istituzione Teresiana da lui fondata:

 

"Nessuno, per quanta autorità abbia, per quanta sapienza possieda, con le migliori virtù di cui sia pieno, nessuno può né potrà mai porre altro fondamento che quello posto sin dal principio: che è Cristo". Questa è la nostra Opera, questa è la dottrina che abbiamo professato, e con nessun pretesto dobbiamo ammettere elementi umani in quello che è stato fondato in Cristo, per Cristo e attraverso Cristo".

 

Ci avviciniamo al centenario della fondazione della Istituzione Teresiana. Quando nel 1974 si compivano i cento anni della nascita di san Pedro Poveda, l’UNESCO lo presentò al mondo nel suo calendario biennale per la celebrazione degli anniversari di “personaggi illustri nel  campo dell’educazione, della scienza e della cultura che hanno influito profondamente nello sviluppo della società umana e della cultura mondiale”, come “Pedagogo e umanista spagnolo”. Contemporaneamente, nella piazza principale di Linares, i suoi compaesani dedicavano un monumento con una lapide, in cui si leggeva la migliore sintesi della sua biografia: “All’uomo buono, al fondatore, il suo paese riconoscente”.

            Questo uomo buono, questo fondatore, questo pedagogo e umanista, lasciò scritto con chiarezza alla sua fondazione nel 1929 in che cosa consiste la maggior bontà, la migliore pedagogia  e  il più pieno  umanesimo:

 

“Poiché sono profondamente convinto che tutto è opera di Dio e che il cammino che Dio traccia per l’Istituzione è questo, vorrei inculcare queste verità in tal modo nell’animo [ dei membri di questa Opera] che né ora né mai possano pensare di appoggiarsi in mezzi umani, né desiderarne altri che non siano la preghiera e la penitenza, né porre la loro fiducia in niente di umano, ma nella misericordia del Signore.

Forse qualcuno si domanda: Perché dice questo? Risponderi che, se in questo momento non vi passa per la mente di pensare in modo diverso, potrebbe succedere che, con il passare del tempo, vi dimenticaste di queste verità e pensaste che è cosa umana quello che è opera di Dio."

 

Ai sacerdoti che come lui sono stati chiamati ad una speciale configurazione con Cristo, unico Mediatore, don Pedro Poveda continua ad offrire la testimonianza del proprio atteggiamento, espressa in una nota personale del 1933:

 

"Signore, che io pensi ciò che tu vuoi che io pensi; che io desideri ciò che tu vuoi che io desideri; che io parli come tu vuoi che io parli; che io operi come tu vuoi che io operi. Questa è la mia unica aspirazione".

 

O, detto più brevemente in tante occasioni: "ogni giorno desidero di più compiere in me la tua Volontà sempre e in tutte le cose";" tutte le mie preghiere si indirizzano a: "doce me facere volumtatem tuam" (insegnami a fare la tua volontà).

L’Eucaristia era, e non poteva essere diversamente, l’autentico centro della sua vita sacerdotale, per cui abbondano nei suoi scritti suppliche come questa:

 

"Signore, possa io celebrare ogni giorno meglio la Santa Messa".

 

"Sono trascorsi già 36 anni da quando sono stato ordinato sacerdote. Quanto vivrò ancora? Solo Dio lo sa. A Lui chiedo la grazia di non tralasciare di celebrare un solo giorno con fervore la S. Messa".

 

Nel 1933, quando formula questa preghiera, non gli rimanevano molti anni di vita, ma in essi si compì precisamente quello che era stato per lui un atteggiamento costantemente mantenuto, perché il sacerdote è un uomo di Dio per gli altri:

 

"Bisogna farsi tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo. Se c'è da vegliare si veglia; se c'è da soffrire, si soffre; se c'è da umiliarsi, ci si umilia; se c'è da chiedere l'elemosina la si chiede, se c'è da ammalarsi ci si ammala; se c'è da morire, si muore".

 

Agli educatori, ai professori, ai maestri, a coloro che erano stati al centro dei suoi progetti e attività, ripeteva queste o simili parole: "Io vi chiedo un sistema nuovo, un nuovo metodo e procedimenti tanto nuovi come antichi ispirati all'amore". E ancora, già alla fine della sua vita, nel 1935:

 

"Con dolcezza si educa, con dolcezza si insegna, con dolcezza si ottiene la correzione, con dolcezza si evitano molti peccati, con dolcezza si governa bene, con dolcezza si fa bene ogni cosa".

 

E' questa la chiave della più genuina pedagogia povedana, l'unico metodo che volle e seppe offrire, affermando, sin dagli inizi (1912) con parole come queste:

 

"Bisogna fare in modo che ogni alunno dia di sé tutto ciò che di buono può dare e non è facile ottenerlo senza un clima di libertà. Per educare bisogna conoscere la persona che si educa; senza questa conoscenza i mezzi più eccellenti risulteranno infruttuosi".

 

 Don Pedro Poveda, educatore convinto ed efficace, con una sicura abilità nel dare orientamento, prudentemente audace, amabile e cordiale, ebbe sempre fiducia nei giovani .

 

"Chi sono i più valorosi, intrepidi, coraggiosi, audaci? I giovani. Chi sono coloro che hanno ideali, coloro che dimenticano se stessi? I giovani. Voi mi chiederete ora cosa potete fare. Oh gioventù, arma potente, braccio quasi onnipotente, forza del mondo! Questa sia la vostra prima riflessione. Siamo giovani: possiamo tutto. Siamo di Dio: possiamo fare tutto ciò che è buono".

 

Scriveva queste parole nel 1933, quasi alla fine della sua vita, sintetizzando un itinerario nel quale la gioventù aveva sempre occupato il suo interesse e la sua attività.

 

"Credere fermamente e tacere non è possibile. Ho creduto, per questo ho parlato. Cioè, la mia convinzione, la mia fede non è vacillante, è ferma, incrollabile, e perciò parlo. Coloro che credono di poter conciliare un silenzio riprovevole con la fede sincera pretendono l'impossibile", diceva nel 1920 a tutti coloro che si consideravano discepoli di Cristo Gesù, e aggiungeva: "I veri credenti parlano per confessare la verità che professano, quando devono, come devono, davanti a chi devono e per dire ciò che devono". In questo modo:

 

"Seriamente, senza provocazione, ma senza vigliaccheria; senza petulanza, ma senza pusillanimità; con carità, ma senza adulazione; con rispetto, ma senza timidezza; senza ira, ma con dignità; senza ostinazione, ma con fermezza; con coraggio, ma senza temerarietà".

 

Poteva esprimersi così perché questa era stata e continuava ad essere la sua esperienza personale. Si riferiva a una manifestazione della propria fede che in molte occasioni doveva essere espressa con parole e con fatti, e sempre come il tralcio che è unito alla vite, lasciando scorrere la vita che circola nel suo interno. sosteneva don Pedro nel 1925.

 

"Gli uomini e le donne di Dio sono inconfondibili. Non si distinguono perché sono brillanti, né perché splendono, né per la loro forza umana, ma per i frutti santi, per quello che sentivano gli apostoli sulla strada di Emmaus quando camminavano in compagnia di Cristo risorto, che non conoscevano, ma sperimentavano gli effetti della sua presenza".

 

La stessa cosa potrebbe dire a noi, cristiani di oggi.

 

 

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