Basilica di San Pietro in
Vaticano
Altare della Cattedra
sabato 9 gennaio 2010
Ordinazioni diaconali
Omelia di S. E. Rev.ma Mons.
Mauro Piacenza
Arciv. tit. di Vittoriana
Segretario della
Congregazione per il Clero
[1Gv 4,11-18; Sal 71;
Mc 5,45-52]
X
Sia lodato Gesù Cristo!
Carissimi ordinandi,
Reverendi confratelli
e cari fedeli tutti,
oggi la gioia del Natale,
della quale ancora sono colmi i nostri cuori, si rinnova efficacemente per la
nascita sacramentale di questi figli, che si presentano alla Chiesa per essere
ordinati diaconi.
La ragione unica del grande
mistero dell’Incarnazione, del chinarsi di Dio sull’uomo, anzi del suo
“entrare” nell’umanità per salvarla, è la medesima che spinge voi oggi a
presentarvi al Signore, offrendogli definitivamente le vostre esistenze
attraverso il dono della vostra libertà: tale ragione ha un nome preciso, si
chiama amore!
L’amore, ben lo sappiamo,
non è appena un sentimento, né, tanto meno, un’emozione. Esso è un giudizio, un
preciso atto della volontà, visibile, toccabile e udibile; di esso è possibile
fare memoria, vivere, nel presente e nel futuro, e per esso si dona la vita.
L’essenza di Dio come relazione interpersonale tra Padre, Figlio e Spirito
Santo, è la condizione di possibilità della creazione, che implica il concepire
altro da Sé.
L’Amore e l’identità di Dio
come Amore è la condizione permanente di possibilità della Redenzione: un Amore
che ha comportato l’invio del Figlio da parte del Padre, l’obbedienza filiale
di Gesù Cristo fino alla morte ed il perenne rinnovamento amoroso della
Pentecoste fino alla consumazione della storia.
Di questo Amore
straordinario, in se stesso inaccessibile agli uomini, Dio ha misteriosamente
permesso non solo che noi avessimo inesauribile desiderio, per creazione, ma anche
che potessimo farne reale esperienza per Redenzione, cioè per grazia.
Tale grazia ha un nome ben
preciso: Gesù di Nazareth. Coincide misteriosamente e straordinariamente con il
vagito del Bimbo Gesù tra le braccia della Vergine Madre; coincide con l’incontro
tra lo sguardo di San Giuseppe e lo sguardo della Beata Vergine Maria, entrambi
protesi a contemplare il piccolo Gesù; coincide con il compimento del desiderio
dei pastori, i quali, spinti dalla “scintilla naturale” dell’amore, grazie
all’annuncio degli Angeli, ne hanno potuto incontrare il compimento
soprannaturale.
Di questo Amore ha fatto
esperienza l’Apostolo Giovanni e ad esso si riferisce quando scrive: «se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli
altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in
noi e l'amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4,11-12).
L’imperativo dell’amore
reciproco si fonda, dunque, sull’esperienza dell’Amore divino gratuito e
salvifico divino, sulla permanenza nel tempo di tale medesimo Amore e sulla Sua
comunicabilità, per via di partecipazione, attraverso la struttura e la vita
sacramentale della Chiesa, e attraverso la testimonianza cristiana.
Voi, carissimi ordinandi
diaconi, siete oggi particolarmente chiamati a rinnovare la coscienza della
precedenza dell’Amore salvifico di dio per ciascuno di voi, su ogni vostro atto
e ogni vostra scelta, anche sull’“Eccomi” che avete appena pronunciato. Nel
contempo, siete chiamati a rinnovare la speranza, ed è una certezza, che, attraverso
l’Ordinazione sacramentale, il mistero dell’Amore si compie in voi, Cristo vi
rinnova il Suo “Sì” definitivo ed associa il vostro “sì” al Suo. Per questa
ragione il vostro “sì” oggi è definitivo, è “tutto” e “per sempre”, non in
virtù delle nostre fragili volontà, ma per questo legame divino, sacramentale,
reale e definitivo, che Cristo opera tra il nostro ed il Suo “Sì”.
Tale legame è il fondamento
del “rimanere” in Dio, che abbiamo ascoltato: certamente, con il concorso della
nostra intelligenza, libertà e volontà, ma soprattutto fondandoci
costantemente, quotidianamente, istante per istante, sul “Sì” di Cristo, noi
possiamo sperare di vivere la fedeltà e la definitività dei Santi. L’esercizio
eroico delle virtù si fonda proprio sul rimanere in Cristo, cioè sul permanere
nella memoria di Lui e nella coscienza dell’Amore gratuito creazionale e dell’Amore
oblativo redentivo.
Come diaconi divenite “ministri”,
cioè servi di questo Amore; siete chiamati, in ogni circostanza, anche quando
sarete, come gli Apostoli del Vangelo, “affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte”, a riconoscere l’Amore che
vi viene incontro, che vi precede e che vi segue, e nel quale, da oggi e per
sempre, la vostra umana esistenza è immersa.
Gesù va incontro ai Suoi
amici stanchi, esattamente “sul finire della notte”: infatti è Lui il Sole che
vince le tenebre, è Lui l’alba radiosa che ridona sempre nuova speranza e nuove
energie. Guardando a Lui possiamo sempre sperare che la notte sia quasi terminata
e che un nuovo giorno sorga all’orizzonte.
Ciò che talvolta può
impedire di riconoscere il Signore è, come nel Vangelo che abbiamo ascoltato,
l’equivoco sulla realtà, e sul valore salvifico dell’adesione ad essa dopo
l’Incarnazione, equivoco che disorienta, genera timore e può far scambiare la
realtà per un’immagine di essa, appunto, un “fantasma”. Il modo, il metodo,
attraverso il quale il Signore ha deciso di manifestarsi nella storia e si
manifesta oggi nella vostra storia, cari ordinandi diaconi, non possiamo
stabilirlo noi, ma lo ha determinato Egli stesso: nella storia Egli si è
manifestato attraverso l’Incarnazione, e tale metodo permane ed è attualizzato
oggi attraverso l’offerta dei vostri corpi mortali a Dio, perché vi trasformi
in offerta a Lui gradita, attraverso l’Ordinazione diaconale.
Voi non offrite a Dio
un’idea, o un fantasma di voi stessi. Voi offrite tutto voi stessi, esattamente
come Egli non ha offerto un’idea all’umanità, ma ha dato Se stesso, la propria
Carne ed il proprio Sangue, compiendo l’unico, reale e definitivo servizio
della Salvezza, del quale, dopo il Santo Battesimo, siete oggi sacramentalmente
e più perfettamente partecipi.
Il Signore sconfigge
l’equivoco degli Apostoli sulla realtà non argomentando con essi dialetticamente,
ma salendo sulla barca con loro. Dice esattamente il testo: «E salì sulla barca con loro e il vento cessò» (Mc 6,51). Egli
condivide, non solo genericamente l’esperienza dell’umanità, ma la concreta
storia di ciascuno. Egli è qui, presente, operante, in modo efficace e
definitivo, attraverso la vostra Ordinazione, per la vostra stessa salvezza
eterna.
Per chi è chiamato, infatti,
e desidero ribadirlo in questa Papale Basilica, a metà dell’Anno Sacerdotale, la
Vocazione non è appena un “servizio speciale” nella Chiesa, quasi una mera
estensione funzionale del sacerdozio battesimale; la Vocazione è la via scelta
da Dio per la nostra salvezza eterna, il metodo scelto da Lui per entrare in
rapporto con noi, ed esso implica la dimensione totalizzante della verginità,
che diviene così costitutiva di tale rapporto.
Essere diaconi comporta, per
voi, il “servizio della verginità”. Esso è un vero e proprio ministero
profetico, per il quale molti uomini potranno comprendere la differenza tra il
sentimento dell’amore e la realtà dell’amore, tra l’idea o il fantasma
dell’amore, oggi così presenti in questa nostra società relativista ed
edonista, e la realtà oblativa, libera e volontaria dell’amore, che,
irriducibilmente, splende nella verginità per il Regno dei Cieli.
Tra qualche istante
diverrete, dunque, diaconi. Diverrete sacramentalmente, cioè realmente, esperti
dell’Amore di Dio, annunciatori di tale Amore, capaci di distinguere tra
“fantasmi” e realtà, e, infine, diventerete ministri, cioè servi dell’Amore,
sarete ministri di Dio!
Affidiamo alla Beata Vergine
Maria, Madre del Bell’Amore, che è il Bimbo Gesù, le vostre esistenze, il
vostro ministero. Sia Lei, Causa della nostra letizia, la custode anche della
gioia profonda che avvertite in questi istanti; Lei, che ha custodito nel Suo
grembo verginale la vera Gioia del mondo, che è Cristo Signore, vi custodisca
sempre questa Gioia e nella Gioia, affinché il vostro ministero
sia tra i fantasmi capace di riconoscere la realtà, nella notte capace di
vedere l’Alba e, sempre, luminoso canto del Magnificat.
Amen.