Convegno
Teologico
“Fedeltà di Cristo, Fedeltà del
Sacerdote”
Congregazione per il
Clero
Roma, 11 e 12 marzo 2010
Introduzione ai lavori
del Cardinale Cláudio
Hummes
Arcivescovo Emerito di
São Paulo
Prefetto della
Congregazione per il Clero
Signori Cardinali,
cari Confratelli nell’Episcopato e nel
Sacerdozio,
gentili convenuti tutti,
È con vero piacere che
introduco i lavori di questo Convegno Teologico internazionale, che si situa
nel cuore dell’Anno Sacerdotale e ne diviene momento particolarmente
qualificante, soprattutto grazie alla vostra generosa partecipazione. Ringrazio
pertanto da subito, oltre agli illustri relatori, ciascuno dei presenti per
aver risposto all’appello della Congregazione e per il contributo che potrà
portare nella propria realtà, dilatando il frutto dei lavori di questi giorni.
Come tema del
Convegno, è stato scelto lo stesso motto dell’Anno Sacerdotale, come segno di
unità con la mens che ha guidato il Santo Padre nell’indizione dell’Anno
e come riconoscimento della felice ed efficace formula: “Fedeltà di Cristo,
Fedeltà del Sacerdote”. Il tema coniuga nel ministero sacerdotale il primato
della grazia con il dovere sempre urgente della fedeltà e della testimonianza
del sacerdote.
Il nostro convegno si
articolerà in tre sessioni, mentre domani mattina ascolteremo la voce del Santo
Padre, che indicherà la strada. La successione degli interventi, che i relatori
ci offriranno, obbedirà alla logica del motto: “Fedeltà di Cristo, Fedeltà del
sacerdote”.
Il principio “agere
sequitur esse”, da sempre (cfr. Rm 1,20-25) ha costituito la chiave ermeneutica
della realtà, nello sguardo dell’uomo sul cosmo, nel quale può riconoscere l’opera
e quindi l’esistenza di Dio; e nello sguardo dell’uomo verso se stesso, che riconoscendosi
come bisognoso di Colui che ha fatto tutte le cose, scorge l’unica strada per
il proprio compimento: essere conforme alla Volontà del Suo Creatore.
Ma, come Paolo scrive
ai Romani, dinanzi ad “ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano
la verità nell’ingiustizia” (Rm 1,18), Dio, che è Amore, nella Sua infinita misericordia, ha deciso di
venire incontro all’uomo, rivelando Sé stesso, attraverso i profeti e,
finalmente, attraverso il suo Figlio, fatto uomo, Gesù Cristo, il quale, in
questo modo, si è manifestato come la Via, la Verità e la Vita. Benedetto XVI,
nella Sua recente visita al Seminario Romano Maggiore, ha ricordato che, facendosi
uomo, l’Unigenito Figlio del Padre ha prodotto per noi il frutto che Dio
attendeva dal mondo: Egli stesso è questo frutto, il Dono che Dio fa di Sé all’uomo,
l’indissolubile Amore tra il Creatore e la creatura, pienamente accolto ed
eternamente corrisposto nella Persona del Signore, nato, morto e risorto per
noi (cf. Benedetto XVI, Visita al Seminario Romano Maggiore, 12 febbraio 2010).
La precedenza assoluta
del Suo Amore per noi, del quale la creazione è segno, diviene, nel Mistero
della Salvezza, il nostro stesso essere. Cristo, infatti, ha voluto renderci
partecipi della Sua stessa Realtà, facendoci membra vive del Suo Corpo.
Infatti, per la fede e per il sacramento del Battesimo siamo diventati
partecipi della Sua filiazione divina. In Lui, siamo realmente figli di Dio,
per partecipazione. Ecco, la realtà fondamentale della nostra salvezza. In
conseguenza, la comunità dei credenti, la comunità dei discepoli, diventa il
Corpo mistico di Cristo, il suo Popolo, la sua Chiesa. Questo Popolo è un
popolo sacerdotale perché è il Corpo mistico di Cristo, eterno Sacerdote. Dice
il Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium:
“Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini (cfr. Eb 5,1-5), fece del nuovo popolo ‘un regno e sacerdoti per il
Dio e il Padre suo’ (Ap 1,6; cfr. 5,9-10).
Infatti per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati
vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per
offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far
conoscere i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua
luce (cfr. 1 Pt 2,4-10). Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella
preghiera e lodando insieme Dio (cfr. At
2,42-47), offrano se stessi come vittima viva, santa e gradevole a Dio (cfr. Rm 12,1), rendano dovunque
testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza
che è in essi di una vita eterna (cfr. 1
Pt 3,15)” (n.10). Questo è il
sacerdozio comune dei fedeli.
Di questa comunità dei
discepoli, di questo popolo sacerdotale, Gesù è il Capo e il Pastore.
Nondimeno, Gesù, tra i membri della sua comunità, sceglie alcuni per farli
partecipi del Suo stesso e proprio munus
di Capo e Pastore, affinché continuino la Sua opera in questo mondo fino alla
fine dei tempi. Saranno capi e pastori della comunità attraverso la storia. Pure
rimanendo Gesù Cristo, morto e risorto, l’unico Pastore e Capo, i prescelti da
Lui tra i suoi discepoli, e consacrati con l’unzione dello Spirito Santo nel
sacramento dell’Ordine, anche loro, per partecipazione ma realmente, sono
costituiti capi e pastori della Chiesa e agiscono “in persona Christi Capitis”. Ecco il sacerdozio ministeriale! Riguardo
al sacerdozio ministeriale, il Concilio Vaticano II insegna che esso differisce
essenzialmente dal sacerdozio comune dei fedeli, ma “sono tuttavia ordinati
l’uno all’altro” e “ognuno a suo proprio modo partecipano dell’unico sacerdozio
di Cristo” (LG n.10). “Lo stesso Signore,
affinché i fedeli fossero uniti in un corpo solo, di cui però ‘non tutte le
membra hanno la stessa funzione’ (Rm 12,4), promosse alcuni di loro come
ministri, in modo che nel seno della società dei fedeli avessero la sacra
potestà dell’ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati, e che in
nome di Cristo svolgessero per gli uomini in forma ufficiale la funzione
sacerdotale” (Conc. Vat. II, PO n.2).
Benedetto XVI insegna: “Scelto fra gli uomini, il sacerdote resta uno di essi
ed è chiamato a servirli donando loro la vita di Dio. È lui che "continua
l'opera di redenzione sulla terra" (Nodet, p. 98)” (Videomessaggio di
Benedetto XVI al Ritiro Sacerdotale Internazionale, ad Ars, 27.9.09). Ecco l’identità dei presbiteri, tema di
questo convegno!
Configurati
sacramentalmente a Cristo, Capo e Pastore della Chiesa, i presbiteri devono
essere fedeli come Cristo è stato fedele al Padre e alla missione di salvezza
del genere umano, fino a dare la Sua vita in croce. Fedeltà di Cristo, fedeltà
del sacerdote.
Essendo il 150º
anniversario della morte del Santo Curato D’Ars l’opportunità colta dal Santo
Padre per indire l’Anno Sacerdotale, l’esemplare fedeltà del Santo Curato al
suo ministero pastorale, ispira anche i presbiteri a approfondire e rinvigorire
la loro stessa fedeltà e illumina questo nostro convegno a trovare la giusta
strada per offrire le sue riflessioni sull’identità dei presbiteri alla Chiesa
di oggi.
Così, mi piace
ricordare ciò che il Santo Padre scrive nella lettera di indizione dell’Anno
Sacerdotale (16.6.09): “Il
Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù”, soleva dire il Santo Curato d’Ars.[2] Questa
toccante espressione ci permette anzitutto di evocare con tenerezza e
riconoscenza l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa,
ma anche per la stessa umanità. Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai
fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e
dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i
sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottolineare le
loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto, la loro
carità tendenzialmente universale? E che dire della fedeltà coraggiosa di tanti
sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro
vocazione: quella di “amici di Cristo”, da Lui particolarmente chiamati,
prescelti e inviati?”.
Quindi, l’espressione del Santo Curato: “il sacerdozio è l’amore del Cuore di
Cristo”, vuol dire che l’incommensurabile
amore di Cristo all’umanità Lo ha portato a costituire il sacerdozio
ministeriale nella sua Chiesa.
Di tale Amore il sacerdote
è chiamato ad essere il primo esperto, in quella singolare vicinanza al Mistero
che gli è concessa, il primo servitore nell’amministrazione dei Sacramenti e
nella fedeltà che sgorga dal riconoscere tanto Amore, e lo stesso strumento, cioè
il luogo visibile e trasparente nel quale l’Amore di Cristo incontra gli uomini.
Nella sessione di
questa mattina, quindi, volgeremo innanzitutto lo sguardo al Mistero nel quale
il sacerdote è immerso sacramentalmente, e perciò definitivamente, sapendo che il sacerdote stesso, come diceva San Giovanni Maria Vianney, «non si capirà bene che in cielo» (Le curé d’Ars. Sa
pensée - Son cœur. Présentés par l’Abbé
Bernard Nodet, éd. Xavier Mappus, Foi Vivante, 1966, p. 98-99).
La nostra riflessione si
soffermerà, poi, sul rapporto tra i sacerdoti e la cultura contemporanea. A tal
riguardo, sappiamo che uno dei compiti, nei quali l’identità sacerdotale immediatamente
si declina, è quello dell’insegnamento: il munus docendi. Se da un lato,
quindi, è quanto mai urgente imparare ad entrare in coraggiosa ed efficace relazione
con l’odierna cultura, la quale, avendo voltato le spalle alla Verità assoluta
e al Mistero, è divenuta relativismo, spinto spesso ad un vero nichilismo, pretendendo
che la coscienza di ciascuno potesse divenire arbitraria origine della verità,
e quindi di un mistero a propria immagine e somiglianza, dall’altro, ancor più
urgente risulta il prender coscienza di quanto è dato ad ogni cristiano e, in
modo assolutamente singolare, al sacerdote.
L’essere sacerdotale,
infatti, costituisce una viva testimonianza del vero Logos, “luce che illumina ogni uomo” e da senso ad ogni cosa, un Logos che al contempo è dia-logos
fin dalla origine eterna nel seno del Padre, un dia-logos offerto ad ogni cultura umana. Questo Logos è Cristo, il Figlio di Dio fatto
uomo, morto e risorto per la nostra salvezza. Questo nuovo orizzonte che è Cristo,
Logos e dia-logos, deve splendere sempre dinanzi al presbitero. Egli,
perciò, fermo nella verità e conoscendo la mèta, della quale fa quotidiana
esperienza come amore e fedeltà di Dio, può innanzitutto resistere alla
tentazione del pensiero debole dell’attuale cultura dominante e condividere con
i fratelli uomini la medesima avventura umana, la quale, con Cristo, è sempre
umano-divina. Apprendendo, poi, dal Signore, la verità assoluta e fondante che
illumina ogni realtà, è chiamato a discernere autorevolmente ogni via, distogliendo
i fedeli dall’una e incoraggiandoli verso l’altra, perché tutti conseguano la
medesima mèta, «cioè la salvezza delle anime»
(cfr. 1Pt 1,9).
Nella sessione pomeridiana,
da questa realtà che definisce l’identità sacerdotale e, al contempo, configura
ogni sacerdote, saranno declinate le dimensioni del suo agire, che dovrà sempre
essere coerente e consequenziale con la specifica identità ricevuta. Tale agire
domanda di essere interpretato adeguatamente, così come la Chiesa la ha
recepito e trasmesso fino ad oggi.
Tale fedeltà, che è
fedeltà a Cristo, fondata sulla
fedeltà di Cristo, è in realtà
la garanzia dell’efficacia e del dinamismo missionario dei presbiteri. Emerge
oggi come la missione sia particolarmente urgente ad ogni livello della società,
soprattutto nei confronti di quei battezzati che, non sufficientemente
evangelizzati, si sono allontanati dalla
vita delle nostre comunità. Essi domandano una mai sopita attenzione di carità
pastorale da parte dei presbiteri, i quali attingeranno, proprio dalla fedeltà
di Cristo, la forza della fedeltà a Cristo e ai fratelli.
Nella sessione
conclusiva di domani pomeriggio, poi, il Convegno analizzerà due temi che, in
modo diverso, sono oggi quanto mai attuali. Innanzitutto guarderemo l’identità
del sacerdote come ministro della Sacra Liturgia. Si tratterà di guardare,
quindi, allo stesso “cuore” di questo Corpo, che è il Mistero Eucaristico, dal
quale traggono origine e nel quale trovano il proprio fine sia l’autentico
esercizio del sacerdozio, da prepararsi fin dagli anni della formazione seminaristica,
sia l’autentica e fedele celebrazione della Liturgia, da custodirsi nella docile
obbedienza ed attuazione dell’insegnamento magisteriale.
Infine, il tema del
celibato sacerdotale, quale chiamata e dono dello Spirito Santo, vissuto con
senso e con gioia nel rapporto totalizzante con il Signore. Esso diviene
autenticamente fecondo nella paternità spirituale e pastorale dei ministri e
quale profezia del Regno futuro e definitivo.
Affidando il nostro
convegno ed ogni frutto, che Dio voglia trarne, a Colei che è il Capolavoro
della Carità Divina, Maria Santissima, Regina degli Apostoli e Madre dei
Sacerdoti, auguro a tutti ed a ciascuno quel gaudium veritatis che
sempre deriva dal contemplare Colui che, fino a qui, si è degnato di chinarsi,
per accogliere tutti in Sé e condurli al Padre, nello Spirito: Gesù di Nazaret,
Sommo ed Eterno Sacerdote. Grazie!
Cardinale
Cláudio Hummes
Arcivescovo
Emerito di São Paulo
Prefetto
della Congregazione per il Clero