LETTERA AI SACERDOTI
IN OCCASIONE DEL GIOVEDI' SANTO 1986
Giovanni Paolo II
1. Eccoci di
nuovo nell'imminenza del Giovedì Santo, giorno in cui Gesù Cristo istitui
l'Eucaristia e, nel medesimo tempo, il nostro sacerdozio ministeriale. Il
Cristo, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv
13,1). Buon Pastore qual era, stava per dare la propria vita per le sue pecore
(cfr. Gv 10,11), per salvare gli uomini, riconciliarli col Padre e introdurli
in una vita nuova. E già agli Apostoli egli offriva in cibo il suo Corpo, dato
per loro, e il suo Sangue, versato per loro.
Ogni anno,
questo giorno è grande per tutti i cristiani. Sull'esempio dei primi discepoli,
essi vengono per comunicare al Corpo e al Sangue di Cristo nella liturgia della
sera, che rinnova la Cena. Ricevono dal Salvatore il testamento dell'amore
fraterno che dovrà ispirare tutta la loro vita, e cominciano a vegliare con
lui, per unirsi alla sua Passione. Voi stessi li radunerete e guiderete la loro
preghiera.
Ma questo
giorno è grande specialmente per noi, cari fratelli sacerdoti. E' la festa dei
sacerdoti. E' il giorno in cui nasce il nostro sacerdozio, che è partecipazione
all'unico Sacerdozio di Cristo Mediatore. In questo giorno, i sacerdoti del
mondo intero sono invitati a concelebrare l'Eucaristia coi loro Vescovi e a
rinnovare attorno ad essi le promesse dei loro impegni sacerdotali a servizio
di Cristo e della sua Chiesa.
In questa
occasione io mi metto particolarmente vicino a ciascuno di voi. E, come ogni
anno, in segno della nostra unione sacramentale nel medesimo sacerdozio, spinto
dalla stima affettuosa che vi porto e dal mio dovere di confermare tutti i miei
fratelli nel loro servizio al Signore, vi invio questa lettera per aiutarvi a
ravvivare il dono inaudito che vi è stato conferito per l'imposizione delle
mani (cfr. 2Tm 1,6). Questo sacerdozio ministeriale, che è nostra parte, è
anche nostra vocazione e nostra grazia. Segna tutta la nostra vita col sigillo
del servizio più necessario e più esigente che ci sia: la salvezza delle anime.
Noi vi siamo d'altronde condotti da una moltitudine di predecessori.
L'esempio
incomparabile del Curato d'Ars
2. Uno di
questi rimane assai presente alla memoria della Chiesa, e sarà particolarmente
commemorato quest'anno, in occasione del secondo centenario della sua nascita:
San Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars.
Desideriamo
tutti ringraziare Cristo, il Principe dei Pastori, per il modello straordinario
di vita e di servizio sacerdotale, che il Santo Curato presenta a tutta la
Chiesa ed innanzitutto a noi sacerdoti.
Quanti tra noi
si sono preparati al sacerdozio, o esercitano oggi il loro difficile compito di
parroci, tenendo sotto gli occhi la figura di San Giovanni Maria Vianney! Il
suo esempio non può cadere nell'oblio. Noi abbiamo più che mai bisogno della
sua testimonianza, della sua intercessiome per affrontare le situazioni del
nostro tempo, nel quale, nonostante un certo numero di segni di speranza,
l'evangelizzazione è contrastata da una laicizzazione crescente, nel quale
inoltre si trascura l'ascesi soprannaturale, molti perdono di vista le
prospettive del Regno di Dio e spesso, anche nella pastorale, ci si preoccupa
troppo esclusivamente dell'aspetto sociale e degli obiettivi temporali. Il
Curato d'Ars ha dovuto affrontare, nel secolo scorso, difficoltà che avevano
forse un altro modo di presentarsi, ma che non erano meno grandi. Con la vita e
con l'azione, egli ha costituito, per la società del suo tempo, come una grande
sfida evangelica, che ha portato mirabili frutti di conversione. Non v'è dubbio
che egli presenti anche oggi per noi tale grande sfida evangelica.
Vi invito
dunque a meditare sul nostro sacerdozio davanti a questo pastore straordinario,
che ha illustrato il pieno compimento del ministero sacerdotale ed insieme la
santità del ministro.
Voi sapete che
Giovanni Maria Battista Vianney è morto ad Ars il 4 agosto 1859, dopo una
quarantina d'anni di estenuante dedizione. Aveva settantatré anni. Al suo
arrivo, Ars era un'oscura borgata della diocesi di Lione, oggi di Belley. Alla
fine della sua vita, vi si accorreva da tutta la Francia, e la sua fama di
santità, dopo la sua morte, attirò subito l'attenzione della Chiesa universale.
San Pio X lo beatificò nel 1905; Pio XI lo canonizzò nel 1925, e poi, nel 1929,
lo dichiarò Patrono dei parroci di tutto il mondo. Nel centenario della sua
morte, Papa Giovanni XXIII scrisse l'Enciclica «Sacerdotii nostri primordia»
per presentare il Curato d'Ars come modello di vita e d'ascesi sacerdotali,
modello di pietà e di culto eucaristico, modello di zelo pastorale, e ciò nel
contesto dei bisogni del nostro tempo. Qui vorrei soltanto attirare la vostra
attenzione su alcuni aspetti essenziali che ci aiutano a riscoprire e a vivere
meglio il nostro sacerdozio.
La sua volontà
tenace di prepararsi al sacerdozio
3. Il Curato
d'Ars è innanzitutto un modello di volontà per coloro che si preparano al
sacerdozio. Il susseguirsi di molte prove avrebbe potuto scoraggiarlo: gli
effetti della tormenta rivoluzionaria, la mancanza d'istruzione del suo
ambiente rurale, la reticenza di suo padre, la necessità di contribuire al
lavoro dei campi, i rischi del servizio militare, e soprattutto, malgrado la
sua intelligenza intuitiva e la sua viva sensibilità, la grande difficoltà ad
apprendere e a memorizzare, e dunque a seguire i corsi di teologia e di latino,
ed infine, per questa ragione, una dimissione dal seminario di Lione. Essendo
stata tuttavia riconosciuta l'autenticità della sua vocazione, a 29 anni egli
poté essere ordinato sacerdote. Con tenacia nel lavoro e nella preghiera,
trionfò su tutti gli ostacoli e i limiti, così allora come più tardi, quando,
durante la vita sacerdotale, preparava laboriosamente i suoi sermoni o portava
avanti, la sera, la lettura di opere di teologi e di autori spirituali. Fin
dalla giovinezza era animato da un grande desiderio di «guadagnare le anime al
buon Dio» come sacerdote, ed era sostenuto dalla fiducia del vicino parroco
d'Ecully, il quale, non dubitando della sua vocazione, si incaricò di una buona
parte della sua preparazione. Quale esempio di coraggio per coloro che, oggi,
conoscono la grazia di essere chiamati al sacerdozio!
La profondità
del suo amore per Cristo e per le anime
4. Il Curato
d'Ars è un modello di zelo sacerdotale per tutti i pastori. Il segreto della
sua generosità si trova senza dubbio nel suo amore a Dio, vissuto senza misura,
in costante risposta all'amore manifestato nel Cristo crocifisso.
Egli fonda lì
il suo desiderio di fare di tutto per salvare le anime, riscattate da Cristo ad
un prezzo così grande, e ricondurle all'amore di Dio. Ricordiamo una delle
frasi lapidarie di cui egli aveva il segreto: «Il sacerdozio è l'amore del
Cuore di Gesù». Egli tornava sempre nei suoi sermoni e nelle catechesi su
questo amore: «O mio Dio preferisco morire amandovi, che vivere un solo istante
senza amarvi. ...Vi amo, o mio divin Salvatore, perché siete stato crocifisso
per me, ...perché mi tenete crocifisso per voi» (Nodet, p. 44).
A causa di
Cristo, egli cerca di conformarsi pienamente alle esigenze radicali che Gesù
propone nel Vangelo ai discepoli che Egli invia in missione: preghiera,
povertà, umiltà, rinuncia a se stessi, penitenza volontaria. E, come Cristo,
anch'egli prova per le sue pecorelle un amore che lo conduce ad un'estrema
dedizione pastorale e al sacrificio di sé. Raramente un pastore è stato tanto
cosciente delle sue responsabilità, divorato dal desiderio di strappare i suoi
fedeli al peccato o alla tiepidezza. «O mio Dio, concedetemi la conversione
della mia parrocchia: accetto di soffrire ciò che voi vorrete, per tutto il
tempo della mia vita».
Cari fratelli
sacerdoti, alimentati dal Concilio Vaticano II, che ha felicemente situato la
consacrazione del prete nel quadro della sua missione pastorale, cerchiamo il
dinamismo del nostro zelo pastorale, con San Giovanni Maria Vianney, nel Cuore
di Gesù, nel suo amore per le anime. Se noi non attingiamo alla medesima
sorgente, il nostro ministero rischierà di portare ben pochi frutti!
I mirabili e
molteplici frutti del suo ministero
5. Nel caso
del Curato d'Ars i frutti sono stati stupefacenti, un po' come per Gesù nel
Vangelo. A Giovanni Maria Vianney, che gli consacra tutte le forze e tutto il
cuore, il Salvatore, in certo modo, dona le anime. Gliele affida, a profusione.
Innanzitutto
la sua parrocchia - che al suo arrivo contava soltanto 230 persone - sarà
profondamente trasformata. E' un fatto che, in quel villaggio, c'era parecchia
indifferenza ed assai poca pratica religiosa tra gli uomini. Il Vescovo aveva
così avvertito Giovanni Maria Vianney: «Non c'è molto amor di Dio in quella
parrocchia: voi ve lo porterete». Ma abbastanza presto, ben al di là del suo
villaggio, il Curato diventa pastore di una moltitudine che giunge da tutta la
regione, da diverse parti della Francia e da altri Paesi. Si parla di 80.000
per l'anno 1858! Si attende a volte per parecchi giorni prima di incontrarlo e
di confessarsi. Ciò che attira, non è tanto la curiosità e neppure lo
giustficata fama dei suoi miracoli e delle guarigioni straordinarie, che il
Santo per altro vorrebbe nascondere. E' ben più il presentimento d'incontrare
un Santo, sorprendente per la sua penitenza, così familiare con Dio nella
preghiera, straordinario per la sua pace e la sua umiltà in mezzo ai successi
popolari, e soprattutto così perspicace nel corrispondere alle disposizioni
interiori delle anime e nel liberarle dai loro pesi, soprattutto al
confessionale. Sì, Dio ha scelto come modello per i pastori uno che poteva
apparire agli occhi degli uomini povero, debole, senza difesa e spregevole
(cfr. 1Cor 1,27-29). Egli lo ha gratificato dei suoi doni migliori quale guida
e medico delle anime.
Pur
riconoscendo una grazia particolare concessa al Curato d'Ars, non abbiamo qui
il segno di una speranza per i pastori che soffrono oggi di un certo deserto
spirituale?
Le diverse
iniziative apostoliche orientate verso l'essenziale
6. Giovanni
Maria Vianney si consacrava essenzialmente all'insegnamento della fede, alla
purificazione delle coscienze, e questi due ministeri convergevano verso
l'Eucaristia. Non bisogna vedere in ciò anche oggi i tre poli del servizio
pastorale del sacerdote? Se lo scopo è certamente quello di radunare il popolo
di Dio attorno al mistero eucaristico per mezzo della catechesi e della
penitenza, altri contatti apostolici, a seconda delle circostanze, sono pure
necessari: a volte è una semplice presenza, forse per lunghi anni, con la
testimonianza silenziosa della fede negli ambienti non cristiani; o anche la
vicinanza alle persone, alle famiglie ed alle loro preoccupazioni; a volte è un
primo annuncio che si sforza di risvegliare alla fede gli increduli e i
tiepidi; può essere pure la testimonianza di carità e di giustizia condivisa
con i laici cristiani, così da rendere più credibile la fede mettendola in
pratica. Di qui tutta una serie di attività o di opere apostoliche, che
preparano o continuano la formazione cristiana. Lo stesso Curato d'Ars si
studiò di prendere delle iniziative adatte al suo tempo ed ai suoi
parrocchiani. Tuttavia, tutte le sue attività sacerdotali erano centrate
sull'Eucaristia, la catechesi ed il sacramento della riconciliazione.
Il sacramento
della riconciliazione
7. E'
certamente la sua instancabile dedizione al sacramento della penitenza, ciò che
ha rivelato il carisma principale del Curato d'Ars ed ha creato a giusto titolo
la sua fama. E' bene che un tale esempio ci porti oggi a ridare al ministero
della riconciliazione tutta quella importanza che gli spetta e che il Sinodo
dei Vescovi del 1983 ha così giustamente messo in evidenza.
Senza il
cammino di conversione, di penitenza e di richiesta di perdono che i ministri
della Chiesa devono instancabilmente incoraggiare ed accogliere, il tanto
desiderato aggiornamento è destinato a restare superficiale ed illusorio.
Il Curato
d'Ars si preoccupava innanzitutto di formare i fedeli al desiderio del
pentimento. Sottolineava la bellezza del perdono divino. Tutta la sua vita
sacerdotale e le sue forze non erano forse consacrate alla conversione dei
peccatori? Ebbene, è nel confessionale che si manifestava soprattutto la
misericordia di Dio. Egli pertanto non intendeva sottrarsi ai penitenti che
venivano da ogni parte e ai quali consacrava spesso dieci ore al giorno, a
volte quindici o anche più. Per lui questa era senza dubbio la più grande delle
pratiche ascetiche, un «martirio»: fisicamente, innanzitutto, nel caldo, nel
freddo o nell'atmosfera soffocante; ed anche moralmente, perché soffriva egli
stesso per i peccati accusati e più ancora per la mancanza di pentimento:
«Piango per ciò per cui voi non piangete». Accanto a questi indifferenti, che
egli accoglieva come meglio poteva e che tentava di svegliare all'amore di Dio,
il Signore gli concedeva di riconciliare dei grandi peccatori pentiti, e anche
di guidare verso la perfezione anime che ne avevano il vivo desiderio. Era
soprattutto qui che Dio gli domandava di partecipare alla Redenzione.
Noi oggi
abbiamo riscoperto, meglio che nel secolo scorso, l'aspetto comunitario della
penitenza, della preparazione al perdono, e dell'azione di grazie dopo il
perdono. Ma il perdono sacramentale richiederà sempre un incontro personale col
Cristo crocifisso attraverso la mediazione del suo ministro. Spesso, purtroppo,
i penitenti non si accalcano con fervore attorno al confessionale, come ai
tempi del Curato d'Ars. Ora, il fatto stesso che un gran numero di essi, per
varie ragioni, sembra astenersi totalmente dalla confessione, è segno che è
urgente sviluppare tutta una pastorale del sacramento della penitenza, portando
incessantemente i cristiani a riscoprire le esigenze di una vera relazione con
Dio, il senso del peccato, per il quale ci si chiude all'Altro e agli altri, la
necessità di convertirsi e di ricevere, per il tramite della Chiesa, il perdono
come dono gratuito di Dio e, infine, le condizioni che permettono di ben celebrare
il sacramento, superando i pregiudizi a suo riguardo, i falsi timori e la
prassi abitudinaria. Una tale situazione richiede nel medesimo tempo che noi
rimaniamo assai disponibili per questo ministero del perdono, pronti a
dedicarvi il tempo e la cura necessari, ed anzi, dirò di più, a dargli la
priorità rispetto ad altre attività. I fedeli comprenderanno così il valore
che, sull'esempio del Curato d'Ars, noi gli conferiamo.
Certo, come
scrivevo nell'Esortazione post-sinodale sulla penitenza, il ministero della
riconciliazione resta senza dubbio il più difficile e il più delicato, il più
faticoso e il più esigente, soprattutto quando i sacerdoti sono pochi. Esso
suppone anche, nel confessore, delle grandi qualità umane, e soprattutto una
vita spirituale intensa e sincera; è necessario che il sacerdote ricorra egli
stesso regolarmente a quel sacramento.
Siatene sempre
convinti, cari fratelli sacerdoti: questo ministero della misericordia è uno
dei più belli e dei più consolanti. Vi permette di illuminare le coscienze, di
perdonarle e di ridare loro vigore nel nome del Signore Gesù, di essere per
loro medici e consiglieri spirituali; esso resta «la insostituibile
manifestazione e verifica del sacerdozio ministeriale».
Eucaristia:
oblazione della Messa, comunione, adorazione
8. I due
sacramenti della riconciliazione e dell'Eucaristia sono strettamente uniti fra
loro. Senza una conversione costantemente rinnovata e l'accoglienza della
grazia sacramentale del perdono, la partecipazione all'Eucaristia non potrebbe
pervenire alla piena efficacia redentrice. Come Cristo cominciò il suo
ministero col «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15), così il Curato
d'Ars iniziava generalmente ognuna delle sue giornate col ministero del
perdono. Ma egli era felice di orientare i suoi penitenti riconciliati verso
l'Eucaristia.
L'Eucaristia
era veramente al centro della sua vita spirituale e della sua pastorale.
Diceva: «Tutte le buone opere riunite non equivalgono al sacrificio della
Messa, perché esse sono opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio»
(Nodet, p. 108). E' lì che è reso presente il sacrificio del Calvario per la
Redenzione del mondo. Evidentemente, il sacerdote deve unire il dono quotidiano
di se stesso all'oblazione della Messa: «Un prete fa dunque bene ad offrirsi a
Dio in sacrificio tutte le mattine!» (Nodet, p. 107). «La Santa Comunione ed il
Santo Sacrificio della Messa sono i due atti più efficaci per ottenere la
conversione dei cuori» (Nodet, p. 110).
La Messa era
inoltre per Giovanni Maria Vianney la grande gioia ed il conforto della sua
vita di sacerdote. Egli metteva grande impegno, malgrado l'afflusso dei
penitenti, a prepararvisi silenziosamente per più di un quarto d'ora. Celebrava
con raccoglimento, esprimendo chiaramente la sua adorazione nei momenti della
Consacrazione e della Comunione. Con realismo egli osservava: «La causa della
rilassatezza del sacerdote è che non si fa attenzione alla Messa!» (Nodet, p.
105).
Il Curato
d'Ars era particolarmente colpito dalla permanenza della presenza reale di
Cristo nell'Eucaristia. Era solitamente davanti al tabernacolo ch'egli passava
lunghe ore d'adorazione, prima dell'alba o alla sera; verso di esso si volgeva
spesso durante le sue omelie dicendo con emozione: «Egli è là!». E' ancora per
questo motivo che lui, così povero nella sua canonica, non esitava a spendere
molto per abbellire la sua chiesa. Apprezzabile risultato fu il fatto che i
suoi parrocchiani presero presto l'abitudine di venire a pregare davanti al SS.
Sacramento, scoprendo, attraverso il comportamento del loro Curato, la
grandezza del Mistero della fede.
In merito ad
una tale testimonianza, pensiamo a ciò che il Concilio Vaticano II ci dice oggi
a proposito dei sacerdoti: «E' nel culto eucaristico che si esercita
soprattutto il loro ministero sacro». Ed assai di recente, il Sinodo
straordinario (dicembre 1985) ricordava: «La liturgia deve favorire e far
risplendere il senso del sacro. Deve essere impregnata di riverenza, di
adorazione e di glorificazione di Dio... L'Eucaristia è la sorgente ed il
culmine di tutta la vita cristiana».
Cari fratelli
sacerdoti, l'esempio del Curato d'Ars ci invita ad un serio esame di coscienza.
Quale posto diamo, nella nostra vita quotidiana, alla Messa? Resta essa come
nel giorno della nostra ordinazione - fu il nostro primo atto di sacerdoti! -,
il principio della nostra azione apostolica e della nostra santificazione
personale? Quale cura mettiamo nel prepararci ad essa? Nel celebrarla? Nel
pregare davanti al SS. Sacramento? Nel condurvi i nostri fedeli? Nel fare delle
nostre chiese la Casa di Dio, verso la quale la presenza divina attira i nostri
contemporanei che hanno troppo spesso l'impressione di un mondo vuoto di Dio?
La
predicazione e la catechesi
9. Il Curato
d'Ars teneva ancora a non trascurare in nulla il ministero della Parola,
assolutamente necessario per predisporre alla fede ed alla conversione.
Giungeva fino a dire: «Nostro Signore, che è la stessa verità non fa minor
conto della sua Parola che del suo Corpo» (Nodet, p. 126). Si sa il tempo che
egli dedicava, soprattutto agli inizi, nel preparare laboriosamente le prediche
della domenica. In seguito, egli giunse ad esprimersi più spontaneamente,
sempre con una convinzione viva, chiara, con immagini e paragoni tratti
dall'esperienza quotidiana, assai suggestivi per i fedeli. Anche le sue
catechesi ai fanciulli costituivano una parte importante del suo ministero, e
gli adulti si univano volentieri ai fanciulli per approfittare di quella
testimonianza senza pari, che sgorgava dal cuore.
Aveva il
coraggio di denunciare il male in tutte le sue forme; senza condiscendenza,
poiché ne andava della salvezza eterna dei suoi fedeli: «Se un pastore resta
muto vedendo Dio oltraggiato e le anime rovinarsi, guai a lui!».
Il ministero
specifico del sacerdote
10. San
Giovanni Maria Vianney offre una risposta eloquente a talune rimesse in
discussione della identità del sacerdote, che si sono manifestate nel corso
degli ultimi vent'anni. Ora tuttavia sembra che si stia arrivando a posizioni
più equilibrate.
Il sacerdote
trova sempre, ed in maniera immutabile, la sorgente della sua identità in
Cristo Sacerdote. Non è il mondo a fissare il suo statuto, secondo i bisogni o
le concezioni dei ruoli sociali. Il prete è segnato dal sigillo del Sacerdozio
di Cristo, per partecipare alla sua funzione d'unico Mediatore e Redentore.
A causa
appunto di questo legame fondamentale, si apre al sacerdote il campo immenso
del servizio alle anime, per la loro salvezza nel Cristo e nella Chiesa. Un
servizio che dev'essere completamente ispirato dall'amore per le anime, a
somiglianza di Cristo che offre per loro la sua vita. Dio vuole che tutti gli
uomini siano salvi, che nessuno di quei piccoli si perda (cfr. Mt 18,14). «Il
sacerdote dev'essere sempre pronto a rispondere ai bisogni delle anime», diceva
il Curato d'Ars (Nodet, p. 101). «Egli non è per sé; è per voi» (Nodet, p.
102).
Il sacerdote è
per i laici: egli li anima e sostiene nell'esercizio del sacerdozio comune dei
battezzati - messo così bene in rilievo dal Concilio Vaticano II -, e che
consiste nel fare della vita un'offerta spirituale, nel render testimonianza
allo spirito cristiano nella famiglia, nel farsi carico degli impegni
temporali, e nel partecipare alla evangelizzazione dei fratelli. Tuttavia, il
servizio del sacerdote è di un altro ordine. Egli è ordinato per agire nel nome
di Cristo-Capo, per far entrare gli uomini nella vita nuova inaugurata da
Cristo, per renderli partecipi dei suoi misteri - Parola, perdono, pane di vita
-, per radunarli nel suo Corpo, per aiutarli a formarsi dall'interno, a vivere
e ad agire secondo il disegno salvifico di Dio. In sintesi, la nostra identità
di preti si manifesta nel dispiegamento «creativo» dell'amore per le anime
comunicato da Cristo Gesù.
I tentativi di
laicizzazione del sacerdote sono dannosi per la Chiesa. Ciò non significa
affatto che il prete possa restare lontano dalle preoccupazioni umane dei
laici: deve esservi vicinissimo, come Giovanni Maria Vianney, ma da prete,
sempre in una prospettiva che sia quella della loro salvezza e del progresso
del Regno di Dio. Egli è il testimone ed il dispensatore di una vita diversa da
quella terrena.
E' essenziale
per la Chiesa che la identità del sacerdote sia salvaguardata, con la sua
dimensione verticale. La vita e la personalità del Curato d'Ars ne sono una
illustrazione particolarmente illuminante e vigorosa.
La sua intima
configurazione a Cristo e la sua solidarietà con i peccatori
11. San
Giovanni Maria Vianney non si è di fatto accontentato di compiere ritualmente
gli atti del suo ministero. E' il proprio cuore e la propria vita ch'egli
cercava di conformare a Cristo.
La preghiera
era l'anima della sua vita: preghiera silenziosa, contemplativa, generalmente
nella sua chiesa, ai piedi del tabernacolo. Attraverso il Cristo, la sua anima
sia priva alle Tre Persone divine, alle quali egli nel testamento, consegnerà
la «sua povera anima». «Conservava un'unione costante con Dio nel mezzo della
sua vita estremamente occupata». E non trascurava né Ufficio divino né Rosario.
Si volgeva
spontaneamente verso la Vergine.
La sua povertà
era straordinaria.
Si spogliava
letteralmente per i poveri. E fuggiva gli onori. La castità brillava nel suo
sguardo. Conosceva il prezzo della purezza per «ritrovare la sorgente
dell'amore che è Dio». L'obbedienza a Cristo si traduceva, per Giovanni Maria
Vianney, nell'obbedienza alla Chiesa e specialmente al Vescovo. S'incarnava
nell'accettazione del pesante incarico di parroco, che spesso lo spaventava.
Ma il Vangelo
insiste soprattutto sulla rinuncia di sé, sull'accettazione della croce. Molte
croci si presentarono al Curato d'Ars nel corso del suo ministero: calunnie
della gente, incomprensioni di un vicario o dei confratelli, contraddizioni, ed
anche una lotta misteriosa contro le potenze infernali, ed a volte persino la
tentazione della disperazione nel mezzo di una notte dello spirito.
Tuttavia, egli
non si accontentava di accettare queste prove senza lamentarsi: andava incontro
alla mortificazione, sottoponendosi a continui digiuni e a ben altre rudi maniere
di «ridurre il suo corpo in servitù», come dice san Paolo.
Ma ciò che
bisogna veder bene in questa penitenza, della quale purtroppo il nostro secolo
ha perso l'abitudine, sono i motivi: l'amore di Dio e la conversione dei
peccatori. Così egli interpella un confratello scoraggiato: «Avete pregato...,
siete uscito in gemiti..., ma avete digiunato, avete vegliato?...» (Nodet, p.
193).
Si raggiunge
qui l'ammonimento di Gesù agii Apostoli: «Questa razza di demoni non si scaccia
se non con la preghiera e il digiuno» (Mt 17,21).
In definitiva,
Giovanni Maria Vianney si santificava per essere più atto a santificare gli
altri. Certo, la conversione resta il segreto dei cuori, liberi della loro
decisione, e il segreto della grazia di Dio. Col suo ministero, il sacerdote
non può che illuminare le persone, guidarle al confessionale e donar loro i
sacramenti. Questi sacramenti sono sì atti di Cristo, la cui efficacia non è
diminuita dall'imperfezione o dall'indegnità del ministro. Ma il risultato
dipende anche dalle disposizioni di colui che li riceve, e queste sono
grandemente favorite dalla santità personale del sacerdote, dalla sua
comprovata testimonianza, come anche dal misterioso scambio di meriti nella
comunione dei santi. San Paolo diceva: «Completo nella mia carne quello che
manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col
1,24). Giovanni Maria Vianney voleva in qualche modo strappare a Dio le grazie
di conversione, non soltanto con la sua preghiera, ma col sacrificio di tutta
la sua vita. Voleva amare Dio per coloro che non l'amavano e persino compiere
in gran parte la penitenza che essi non facevano.
Era veramente
il pastore solidale col suo popolo peccatore.
Cari fratelli
sacerdoti, non temiamo questo coinvolgimento personale - segnato dall'ascesi ed
ispirato dall'amore - che Dio ci chiede per esercitare bene il nostro
sacerdozio. Ricordiamoci della recente riflessione dei Padri sinodali: «Sembra
che nelle difficoltà attuali Dio voglia insegnarci più profondamente il valore,
l'importanza ed il ruolo centrale della croce di Gesù Cristo». Nel sacerdote,
il Cristo rivive la sua Passione per le anime. Rendiamo grazie a Dio, che ci
permette così di partecipare alla Redenzione nel nostro cuore e nella nostra
carne!
Per tutte
queste ragioni San Giovanni Maria Vianney non cessa di essere un testimone,
sempre vivo, sempre attuale, della verità sulla vocazione e sul servizio
sacerdotale. Ci si ricordi del tono convinto col quale egli ha saputo parlare
della grandezza del sacerdote e della sua assoluta necessità. I sacerdoti,
coloro che si preparano al sacerdozio e coloro che vi saranno chiamati hanno
bisogno di fissare lo sguardo sul suo esempio e di seguirlo. I fedeli stessi
percepiranno meglio, grazie a lui, il mistero del sacerdozio dei loro
sacerdoti. No, la figura del Curato d'Ars non tramonta!
Cari fratelli
sacerdoti, voi siete ben convinti dell'importanza dell'annuncio del Vangelo,
che il Concilio Vaticano II ha messo al primo posto tra le funzioni del
sacerdote. Voi vi sforzate, mediante la catechesi, la predicazione e sotto
altre forme che si avvalgono anche dei Mass-media, di arrivare al cuore dei
nostri contemporanei, con le loro attese e le loro incertezze, per suscitare e
nutrire la fede. Come il Curato d'Ars e secondo l'esortazione del Concilio,
dedicatevi ad insegnare la Parola di Dio in se stessa, la quale chiama gli
uomini alla conversione ed alla santità.
Conclusione:
per il Giovedì Santo
12. Cari
fratelli possano queste riflessioni ravvivare la vostra gioia d'essere
sacerdoti, il vostro desiderio di esserlo più profondamente! La testimonianza
del Curato d'Ars contiene ancora molte altre ricchezze da approfondire.
Torneremo più ampiamente su questi temi in occasione del pellegrinaggio che io
stesso avrò la gioia di compiere nell'ottobre prossimo ad Ars per onorare il
secondo centenario della nascita di Giovanni Maria Vianney.
Vi invio
questa prima meditazione, cari fratelli, per la solennità del Giovedi Santo. In
ciascuna delle nostre comunità diocesane ci riuniremo, in quel giorno della
nascita del nostro sacerdozio, per rinnovare la grazia del sacramento
dell'Ordine, per ravvivare l'amore che caratterizza la nostra vocazione.
Ascoltiamo Cristo che ripete a noi come agli Apostoli: «Nessuno ha un amore più
grande di questo: dare la vita per i propri amici... Non vi chiamo più
servi..., vi ho chiamati amici» (Gv 15,13-15).
Davanti a
Colui che manifesta l'Amore nella sua pienezza, noi rinnoviamo i nostri impegni
sacerdotali, Sacerdoti e Vescovi.
Preghiamo gli
uni per gli altri, ciascuno per il suo fratello, e ognuno per tutti.
Chiediamo al
Sacerdote eterno che il ricordo del Curato d'Ars ci aiuti a ravvivare il nostro
zelo al suo servizio.
Supplichiamo
lo Spirito Santo di chiamare a servizio della Chiesa molti sacerdoti della
tempra e della santità del Curato d'Ars: anche nella nostra epoca ne ha un
grande bisogno, e non è meno capace di far sbocciare tali vocazioni.
E noi
affidiamo il nostro sacerdozio alla Vergine Maria, Madre dei sacerdoti, alla
quale Giovanni Maria Vianney ricorreva incessantemente con tenero affetto e
totale fiducia. Era questo, per lui, un motivo in più per ringraziare: «Gesù
Cristo - diceva - dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole
ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire la sua Santa
Madre» (Nodet, p. 252). Da parte mia, vi confermo tutto il mio affetto e, col
vostro Vescovo, vi invio la mia Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano,
il 16 marzo, quinta domenica di Quaresima, dell'anno 1986, ottavo di
Pontificato