CONGREGAZIONE PER IL CLERO

L'IDENTITÀ MISSIONARIA DEL PRESBITERO NELLA CHIESA QUALE DIMENSIONE INTRINSECA DELL'ESERCIZIO DEI TRIA MUNERA

Lettera Circolare

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CONGREGATIO PRO CLERICIS

Venerati Fratelli nell'Episcopato,

È con sincera gratitudine che, ad Anno Sacerdotale appena con­cluso, la Congregazione per il Clero offre, per il tramite dei Vescovi, all'intero popolo di Dio ed in particolare ai Sacerdoti, il frutto dell'As­semblea Plenaria tenutasi in Vaticano dal 16 al 18 marzo 2009 sul tema: « L'identità missionaria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell'esercizio dei tria munera».

Nella scia dei contributi offerti negli ultimi anni, che vanno dal Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri (1994), al « Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti » (1998); dalla Lettera Circolare « Il Presbitero maestro della Parola, ministro dei sacramenti e guida della comunità in vista del terzo millennio cristiano » (1999), all'Istruzione « Il presbitero, pa­store e guida della comunità parrocchiale » (2002), questa Lettera Circolare intende richiamare l'attenzione sull'importanza della dimensione mis­sionaria e sul suo costitutivo rapporto con l'identità stessa del ministro ordinato.

Ciascun sacerdote, infatti, partecipa della stessa vita del Signore Gesù, agisce nella Sua Persona e, conseguentemente, è strumento es­senziale della Sua missione di inviato dal Padre per condurre tutti gli uomini alla conoscenza della Verità. L'essere pastori richiede che lo slancio missionario sia vissuto come personale e profondo desiderio di dilatazione del Regno di Dio e comunicato in un permanente im­pegno di evangelica testimonianza, primo elemento di ogni autentico apostolato.

Affidiamo l'esistenza di ogni Sacerdote e la conseguente missione, nella quale vive la missione stessa della Chiesa, alla protezione della Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli, perché attraverso il fedele esercizio del munus docendi,, l'attento e devoto compimento del munus sanctificandi e l'autorevole guida del munus regendi,, possano realmente rendere presente Cristo, Unico Sommo Sacerdote e Pastore delle no­stre anime.

 

CLÁUDIO Card. HUMMES

Arcivescovo Emerito di São Paulo

Prefetto

X MAURO PIACENZA

Arcivescovo tit. di Vittoriana

Segretario

 

ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO

Sala del Concistoro

Lunedì, 16 marzo 2009

 

Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio!

 

Sono lieto di potervi accogliere in speciale Udienza alla vigilia del­la partenza per l'Africa, ove mi recherò per consegnare l’Instrumentum laboris della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo per l'Africa, che si terrà qui a Roma nel prossimo ottobre. Ringrazio il Prefetto della Congregazione, il Signor Cardinale Claúdio Hummes, per le gentili espressioni con cui ha interpretato i comuni sentimenti. Con lui saluto tutti voi, Superiori, Officiali e Membri della Congregazione, con ani­mo grato per tutto il lavoro che svolgete a servizio di un settore tanto importante della vita della Chiesa.

Il tema che avete scelto per questa Plenaria — « L'identità missiona­ria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell'eserci­zio dei tria munera» — consente alcune riflessioni per il lavoro di questi giorni e per i frutti abbondanti che certamente esso porterà. Se l'intera Chiesa è missionaria e se ogni cristiano, in forza del Battesimo e della Confermazione, quasi ex officio (cfr CCC, 1305) riceve il mandato di professare pubblicamente la fede, il sacerdozio ministeriale, anche da questo punto di vista, si distingue ontologicamente, e non solo per grado, dal sacerdozio battesimale, detto anche sacerdozio comune. Del primo, infatti, è costitutivo il mandato apostolico: « Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura »» (Mc 16,15). Tale man­dato non è, lo sappiamo, un semplice incarico affidato a collaboratori; le sue radici sono più profonde e vanno ricercate molto più lontano.

La dimensione missionaria del presbitero nasce dalla sua confi­gurazione sacramentale a Cristo Capo: essa porta con sé, come con­seguenza, un'adesione cordiale e totale a quella che la tradizione ecclesiale ha individuato come l'apostolica vivendi forma. Questa consiste nella partecipazione ad una « vita nuova » spiritualmente intesa, a quel « nuovo stile di vita » che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli. Per l'imposizione delle mani del Vescovo e la preghiera consacratoria della Chiesa, i candidati divengono uomini nuovi, divengono « presbiteri ». In questa luce appare chiaro come i tria munera siano prima un dono e solo conseguentemente un ufficio, pri­ma una partecipazione ad una vita, e perciò una potestas. Certamente, la grande tradizione ecclesiale ha giustamente svincolato l'efficacia sa­cramentale dalla concreta situazione esistenziale del singolo sacerdote, e così le legittime attese dei fedeli sono adeguatamente salvaguardate. Ma questa giusta precisazione dottrinale nulla toglie alla necessaria, anzi indispensabile, tensione verso la perfezione morale, che deve abi­tare ogni cuore autenticamente sacerdotale.

Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la per­fezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l'efficacia del loro ministero, ho deciso di indire uno speciale « Anno Sacerdotale », che andrà dal 19 giugno prossimo fino al 11 giugno 2010. Ricorre infatti il 150° anniversario della morte del Santo Curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney, vero esempio di Pastore a servizio del gregge di Cristo. Sarà cura della vostra Congregazione, d'intesa con gli Ordinari diocesani e con i Superiori degli Istituti religiosi, promuovere e coordinare le va­rie iniziative spirituali e pastorali che appariranno utili a far percepire sempre più l'importanza del ruolo e della missione del sacerdote nella Chiesa e nella società contemporanea.

La missione del presbitero, come evidenzia il tema della plenaria, si svolge « nella Chiesa ». Una tale dimensione ecclesiale, comunionale, gerarchica e dottrinale è assolutamente indispensabile ad ogni autenti­ca missione e, sola, ne garantisce la spirituale efficacia. I quattro aspet­ti menzionati devono essere sempre riconosciuti come intimamente correlati: la missione è « ecclesiale » perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote. La missione è « comunionale », perché si svolge in un'unità e comunione che solo secondariamente ha anche aspetti rile­vanti di visibilità sociale. Questi, d'altra parte, derivano essenzialmente da quell'intimità divina della quale il sacerdote è chiamato ad essere esperto, per poter condurre, con umiltà e fiducia, le anime a lui affidate al medesimo incontro con il Signore. Infine le dimensioni « gerarchica » e « dottrinale » suggeriscono di ribadire l'importanza della disciplina (il termine si collega con « discepolo ») ecclesiastica e della formazione dottrinale, e non solo teologica, iniziale e permanente.

La consapevolezza dei radicali cambiamenti sociali degli ultimi de­cenni deve muovere le migliori energie ecclesiali a curare la formazio­ne dei candidati al ministero. In particolare, deve stimolare la costante sollecitudine dei Pastori verso i loro primi collaboratori, sia coltivando relazioni umane veramente paterne, sia preoccupandosi della loro for­mazione permanente, soprattutto sotto il profilo dottrinale. La missio­ne ha le sue radici in special modo in una buona formazione, sviluppa­ta in comunione con l'ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità. In tal senso, è importante favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa. Urgente appare anche il recupero di quella consapevolezza che spinge i sacerdoti ad essere presenti, iden­tificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù per­sonali sia anche per l'abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa.

Come Chiesa e come sacerdoti annunciamo Gesù di Nazaret Si­gnore e Cristo, crocifisso e risorto, Sovrano del tempo e della storia, nella lieta certezza che tale verità coincide con le attese più profonde del cuore umano. Nel mistero dell'incarnazione del Verbo, nel fatto cioè che Dio si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto che il metodo dell'annuncio cristiano. La missione ha qui il suo vero centro propulsore: in Gesù Cristo, appunto. La centralità di Cristo porta con sé la giusta valorizzazione del sacerdozio ministeriale, senza il quale non ci sarebbe né l'Eucaristia, né, tanto meno, la missione e la stessa Chiesa. In tal senso è necessario vigilare affinché le « nuove struttu­re » od organizzazioni pastorali non siano pensate per un tempo nel quale si dovrebbe « fare a meno » del ministero ordinato, partendo da un'erronea interpretazione della giusta promozione dei laici, perché in tal caso si porrebbero i presupposti per l'ulteriore diluizione del sacerdozio ministeriale e le eventuali presunte « soluzioni » verrebbero drammaticamente a coincidere con le reali cause delle problematiche contemporanee legate al ministero.

Sono certo che in questi giorni il lavoro dell'Assemblea plena­ria, sotto la protezione della Mater Ecclesiae, potrà approfondire questi brevi spunti che mi permetto di sottoporre all'attenzione dei Signori Cardinali e degli Arcivescovi e Vescovi, invocando su tutti la copiosa abbondanza dei doni celesti, in pegno dei quali imparto a voi e alle persone a voi care una speciale, affettuosa Benedizione Apostolica.

Benedictus PP. XVI


CONGREGATIO PRO CLERICIS

L'IDENTITÀ MISSIONARIA DEL PRESBITERO NELLA CHIESA QUALE DIMENSIONE INTRINSECA DELL'ESERCIZIO DEI TRIA MUNERA

Lettera Circolare


Introduzione

Ecclesia peregrinans natura sua missionaria est.

« La Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre ».1

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, sull'onda dell'ininterrotta Tradizione, è quanto mai esplicito nell'affermare la missionarietà in­trinseca della Chiesa. La Chiesa non esiste da sé e per se stessa: essa trae la sua origine dalle missioni del Figlio e dello Spirito; la Chiesa è chiamata, per sua natura, ad uscire da se stessa in un movimento verso il mondo, per essere segno dell'Emmanuele, del Verbo fattosi carne, del Dio-con-noi.

La missionarietà, dal punto di vista teologico, è compresa in cia­scuna delle note della Chiesa ed è particolarmente rappresentata sia dalla cattolicità sia dall'apostolicità. Come adempiere fedelmente al compito dell'essere apostoli, testimoni fedeli del Signore, annuncia­tori della Parola ed amministratori umili e certi della grazia, se non attraverso la missione, intesa come vero e proprio fattore costitutivo dell'essere Chiesa?

La missione della Chiesa, inoltre, è la missione che essa ha ricevu­to da Gesù Cristo con il dono dello Spirito Santo. Essa è unica, ed è affidata a tutti i membri del popolo di Dio, resi partecipi del sacerdozio di Cristo mediante i sacramenti dell'iniziazione, allo scopo di offrire a Dio un sacrificio spirituale e di testimoniare Cristo davanti agli uomi­ni. Tale missione si estende a tutti gli uomini, a tutte le culture, a tutti i luoghi e a tutti i tempi. Ad un'unica missione corrisponde un unico sacerdozio: quello di Cristo, del quale partecipano tutti i membri del popolo di Dio, seppur in modo diverso e non solo per grado.

In tale missione, certamente, i presbiteri, in quanto i più prezio­si collaboratori dei Vescovi, successori degli Apostoli, detengono un ruolo centrale ed assolutamente insostituibile, affidato loro dalla Prov­videnza di Dio.

1 Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2; cf. anche 5-6 e 9-10; Cost. dogm. Lumen gentium, 8; 13; 17; 23; Decr. Christus Dominus, 6.

 

1. Coscienza ecclesiale della necessità di un rinnovato impegno missionario

La missionarietà intrinseca della Chiesa è fondata dinamicamente sulle stesse missioni trinitarie. La Chiesa è chiamata, per sua natura, ad annunziare la persona di Gesù Cristo morto e risorto, a rivolgersi all'intera umanità, secondo il mandato ricevuto dallo stesso Signore: « Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura » (Mc 16,15); « Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi » (Gv 20,21). Nella stessa vocazione di san Paolo, c'è un invio: « Va', per­ché io ti manderò lontano, alle nazioni » (At 22,21).

Per realizzare questa missione, la Chiesa riceve lo Spirito Santo, mandato dal Padre e dal Figlio nella Pentecoste. Lo Spirito sceso sugli Apostoli è lo Spirito di Gesù: ripropone i gesti di Gesù, fa annunziare la parola di Gesù (cf. At 4,30), fa ridire la preghiera di Gesù (cf. At 7,59s; Lc 23,34.46), fa perpetuare, nella frazione del pane, il ringraziamento e il sacrificio di Gesù e conserva tra i fratelli l'unità (cf. At 2,42; 4,32). Lo Spirito Santo conferma e manifesta la comunione dei discepoli come nuova creazione, come comunità di salvezza escatologica ed invia in missione: « Di me sarete testimoni [...] fino ai confini della terra » (At 1,8). Lo Spirito Santo sospinge la Chiesa nascente alla missione in tutto il mondo, dimostrando, in tal modo, che egli è effuso su « ogni carne » (cf. At 2,17).

Oggi, innanzi alle nuove condizioni della presenza e dell'attività della Chiesa, nel panorama mondiale, si rinnova l'urgenza missiona­ria, non soltanto ad gentes, ma nello stesso gregge, già costituito, della Chiesa.

Nel corso degli ultimi decenni il magistero petrino ha autorevol­mente espresso con toni sempre più forti e decisi l'urgenza di un rinno­vato impegno missionario. Basti pensare a Evangelii nuntiandi di Paolo VI o a Redemptoris missio e Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II,2 fino ai numerosi interventi di Benedetto XVI.3

Non minore è la preoccupazione del Papa Benedetto XVI per la missione ad gentes, come dimostra la sua costante sollecitudine. È da sottolineare e da incoraggiare sempre più la presenza, ancora oggi, di molti missionari inviati ad gentes. Ovviamente non sono sufficienti. Inoltre, si va delineando un fenomeno nuovo: missionari africani e asiatici che aiutano la Chiesa, per esempio, in Europa.

Bisogna anche gioire e ringraziare Dio per tanti nuovi Movimenti e Comunità ecclesiali, anche laicali, che vivono la missionarietà, sia nel­la propria regione — tra i cattolici che, per motivi diversi, non vivono l'appartenenza alla comunità ecclesiale —, sia ad gentes.

2   Cf. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 2; 4-5; 14; Gio­vanni Paolo II, Lett. Enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 1; Id., Lett. ap. Novo millenio ineunte (6 gennaio 2001), 1; 40; 58.

3   Benedetto XVI, parlando ai vescovi tedeschi durante la Giornata mondi­ale della Gioventù (2005), disse: «Sappiamo che il secolarismo e la scristianizzazione progrediscono, che il relativismo cresce, che l'influsso dell'etica e della morale cat­toliche diminuisce sempre più. Non poche persone abbandonano la Chiesa, o se vi rimangono, accettano soltanto una parte dell'insegnamento cattolico, scegliendo solo alcuni aspetti del cristianesimo. Preoccupante rimane la situazione religiosa nell'Est, dove, sappiamo, la maggioranza della popolazione non è battezzata e non ha alcun contatto con la Chiesa e, spesso, non conosce affatto né Cristo né la Chiesa. Voi stessi, cari Confratelli, avete affermato [...]: 'Noi siamo diventati terra di missione'. [...] Dovremmo riflettere seriamente sul modo in cui possiamo realizzare una vera evangelizzazione. Le persone non conoscono Dio, non conoscono Cristo. Esiste un nuovo paganesimo e non è sufficiente che noi cerchiamo di conservare il gregge esist­ente, anche se questo è molto importante; ma s'impone la grande domanda: che cosa è realmente la vita? Credo che dobbiamo tutti insieme cercare di trovare nuovi modi per riportare il Vangelo nel mondo attuale, annunciare di nuovo Cristo e stabilire la fede» (Discorso nel Piussaal del Seminario di Colonia, 21 agosto 2005). Al Clero di Roma Benedetto XVI, all'inizio del pontificato, ha sottolineato l'importanza della Missione cittadina, già in corso (cf. Discorso al Clero di Roma [13 maggio 2005]). Nel suo viaggio in Brasile, nel maggio del 2007, per aprire la V Conferenza Generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, il cui tema era: « Discepoli e missionari di Gesù Cristo, affinché i nostri popoli in Lui abbiano vita », il Papa ha incoraggiato i Vescovi brasiliani ad una vera «missione», rivolta a coloro che pur essendo stati da noi battez­zati, per diverse circostanze storiche non sono stati sufficientemente evangelizzati (cf. Discorso ai Vescovi del Brasile nella 'Catedral da Sé' a Sao Paulo [11 maggio 2007]).

 

2. Aspetti teologico-spirituali della missionarietà dei presbiteri

Non possiamo considerare l'aspetto missionario della teologia e della spiritualità sacerdotale, senza esplicitare la relazione con il mi­stero di Cristo. Come è stato già rilevato al n. 1, la Chiesa trova il suo fondamento nelle missioni di Cristo e dello Spirito Santo: così ogni «missione», e la dimensione missionaria della Chiesa stessa, intrinseca alla sua natura, si fondano sulla partecipazione alla missione divina. Il Signore Gesù è, per antonomasia, l'inviato del Padre. Con intensità maggiore o minore, tutti gli scritti neotestamentari rendono questa te­stimonianza.

Nel Vangelo di Luca Gesù presenta se stesso come colui che, consacrato con l'unzione dello Spirito, è stato inviato ad annunciare ai poveri la Buona Novella (cf. Lc 4,18; Is 61,1-2). Nei tre Vangeli si­nottici, Gesù identifica se stesso con il figlio amato che, nella parabola dei vignaioli omicidi, è inviato dal padrone della vigna alla fine, dopo i servi (cf. Mc 12,1-12; Mt 21,33-46; Lc 20,9-19); in altri momenti parla della propria condizione di inviato (cf. Mt 15,24). Anche in Paolo ap­pare l'idea della missione di Cristo da parte di Dio Padre (cf. Gal 4,4; Rm 8,3).

È però soprattutto nei testi giovannei che appare, con maggior frequenza, la « missione » divina di Gesù.4 Essere « l'inviato del Pa­dre » appartiene certamente all'identità di Gesù: Egli è colui che il Padre ha consacrato e inviato nel mondo, e questo fatto è espressio­ne della sua irripetibile filiazione divina (cf. Gv 10,36-38). Gesù ha portato a termine l'Opera salvifica, sempre, come inviato del Padre e come colui che compie le opere di chi lo ha mandato, in obbedienza alla sua volontà. Soltanto nell'adempimento di questa volontà Gesù ha esercitato il suo ministero di sacerdote, profeta e re. Allo stesso tempo, soltanto in quanto inviato del Padre, egli invia, a sua volta, i discepoli. La missione, in tutti i suoi vari aspetti, ha il suo fondamen­to nella missione del Figlio nel mondo e nella missione dello Spirito Santo.5

Gesù è l'inviato che, a sua volta, invia (cf. Gv 17,18). La « missionarietà »» è, prima di tutto, una dimensione della vita e del ministero di Gesù e, perciò, lo è della Chiesa e di ogni singolo cristiano, secondo le esigenze della vocazione personale. Vediamo come egli ha esercitato il suo ministero salvifico, per il bene degli uomini, nelle tre dimensioni, intimamente collegate, di insegnamento, di santificazione e di gover­no; o, in altri termini, più direttamente biblici, di profeta e rivelatore del Padre, di sacerdote, di Signore, re, pastore.

Anche se Gesù, nella sua proclamazione del Regno e nella sua fun­zione di rivelatore del Padre, si è sentito specialmente inviato al popolo d'Israele (cf. Mt 15,24; 10,5), non mancano diversi episodi nella sua vita, nei quali si apre l'orizzonte di universalità del suo messaggio: Gesù non esclude i gentili dalla salvezza, loda la fede di alcuni di loro, per esempio quella del centurione, e annuncia che i pagani arriveranno dai confini del mondo, per sedersi a mensa con i patriarchi d'Israele (cf. Mt 8,10-12; Lc 7,9); ugualmente dice alla donna cananea: « Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri » (Mt 15,28; cf. Mc 7,29). In continuità con la sua stessa missione, Gesù risorto invia i suoi discepoli a predica­re il Vangelo a tutte le nazioni, una missione universale (cf. Gv 20,21-22; Mt 28,19-20; Mc 16,15; At 1,8). La rivelazione cristiana è destinata a tutti gli uomini, senza distinzioni.

La rivelazione di Dio Padre, che Gesù porta, si fonda sulla sua unione irripetibile con il Padre, nella sua coscienza filiale; solo a partire da questa può esercitare la sua funzione di rivelatore (cf. Mt 11,12-27; Lc 10,21-22; Gv 1,18; 14,6-9; 17,3.4.6.). Far conoscere il Padre, con tutto ciò che questa conoscenza implica, è lo scopo ultimo di tutto l'in­segnamento di Gesù. La sua missione di rivelatore è talmente radicata nel mistero della sua persona che, anche nella vita eterna, continuerà la sua rivelazione del Padre: « Io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro »» (Gv 17,26; cf. 17,24). Questa esperienza della paternità divina deve spingere i discepoli all'amore verso tutti, nel quale consisterà la loro « perfezione » (cf. Mt 5,45-48; Lc 6,35-36).

Il ministero sacerdotale di Gesù non si può capire senza la pro­spettiva dell'universalità. È chiara, a partire dai testi neotestamentari, la consapevolezza di Gesù della sua missione, che lo porta a dare la vita per tutti gli uomini (cf. Mc 10,45; Mt 20,28). Gesù, che non ha peccato, si colloca al posto degli uomini peccatori e, per essi, si offre al Padre. Le parole dell'istituzione dell'Eucaristia fanno presenti la stessa consapevolezza e lo stesso atteggiamento; Gesù offre la propria vita nel sacrificio della Nuova Alleanza in favore degli uomini: « Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti » (Mc 14,24; cf. Mt 26,28; Lc 22,20; 1 Cor 11,24-25).

Il sacerdozio di Cristo è stato soprattutto approfondito nella lette­ra agli Ebrei, dove si pone in risalto che egli è il sacerdote eterno, che possiede un sacerdozio che non tramonta (cf. Eb 7,24), è il sacerdote perfetto (cf. Eb 7,28). Di fronte alla molteplicità di sacerdoti e di sacri­fici antichi, Cristo ha offerto se stesso, una sola volta e una volta per sempre, col sacrificio perfetto (cf. Eb 7,27; 9,12.28; 10,10; 1 Pt 3,18). Questa unicità della sua persona e del suo sacrificio conferisce anche al sacerdozio di Cristo il suo carattere unico e universale; tutta la sua per­sona e, in concreto, il sacrificio redentore che ha un valore per l'eternità, porta il segno di ciò che non passa ed è insuperabile. Cristo, sommo ed eterno sacerdote, continua ancora, nella sua condizione di glorificato, a intercedere per noi presso il Padre (cf. Gv 14,16; Rom 8,32; Eb 7,25; 9,24, 10,12; 1 Gv 2,1).

Gesù, inviato dal Padre, appare anche come Signore nel Nuovo Testamento (cf. At 2,36). E l'evento della risurrezione che fa ricono­scere ai cristiani la signoria di Cristo. Nelle prime confessioni di fede appare questo titolo fondamentale in relazione alla risurrezione (cf. Rom 10,9). Non manca il riferimento a Dio Padre in molti dei testi che ci parlano di Gesù come Signore (cf. Fil 2,11). D'altra parte, Gesù, che ha annunziato il regno di Dio, specialmente legato alla sua persona, è re, come egli stesso indica nel Vangelo di Giovanni (cf. Gv 18,33-37). E alla fine dei tempi « egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza » (1 Cor 15,24).

Naturalmente, il dominio di Cristo ha poco a che fare con quello dei grandi di questo mondo (cf. Lc 22,25-27; Mt 20,25-27; Mc 10,42­45) perché, come egli stesso indica, il suo regno non è di quaggiù (cf. Gv 18,36). Per questo il dominio di Cristo è quello del buon pastore, che conosce tutte le pecore, che offre la vita per esse e vuole riunir­le tutte in un solo gregge (cf. Gv 10,14-16). Anche la parabola del­la pecorella smarrita parla, indirettamente, di Gesù buon pastore (cf. Mt 18,12-14; Lc 15,4-7). Gesù è inoltre il « pastore supremo » (1 Pt 5,4).

In Gesù si realizza, in modo eminente, quanto la tradizione vete­rotestamentaria aveva detto su Dio pastore del popolo d'Israele: « Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d'Israele [...]. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ri­condurrò all'ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia » (E% 34,14-16). E anche più avanti: « Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore. Io, il Signore, sarò il loro Dio. » (E% 34,23-24; cf. Ger 23,1-4; Zac 11,15-17; Sai 23,1-6).6

Solo a partire da Cristo ha senso la riflessione tradizionale sui tria munera che configurano il sacro ministero dei sacerdoti. Non possiamo dimenticare che Gesù si considera presente nei suoi in­viati: « Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato » (Gv 13,20; cf. anche Mt 10,40; Lc 10,16). C'è una catena di « missioni », che trova la propria origine nel mistero stesso del Dio Uno e Trino, che vuole che tutti gli uomini siano partecipi della sua vita. Il radicamento trinitario, cristologico7 ed ecclesiologico del ministero dei sacerdoti è il fondamento dell'identità missionaria. La volontà salvifica universale di Dio, l'unicità e la neces­sità della mediazione di Cristo (cf. 1 Tm 2,4-7; 4,10) non permettono di tracciare delle frontiere all'opera di evangelizzazione e di santifica­zione della Chiesa. Tutta l'economia della salvezza ha la sua origine nel disegno del Padre di ricapitolare tutto in Cristo (cf. Ef 1,3-10) e nella realizzazione di questo disegno, che avrà il suo compimento finale alla venuta del Signore nella gloria.

Il Concilio Vaticano II accenna chiaramente all'esercizio dei tria munera di Cristo, da parte dei presbiteri, come collaboratori dell'or­dine episcopale: « Partecipi, nel loro grado di ministero, dell'ufficio dell'unico mediatore, che è il Cristo (cf. 1 Tm 2,5), annunziano a tutti la parola di Dio. Esercitano il loro sacro ministero soprattutto nel culto eucaristico o sinassi, dove, agendo nella persona di Cristo e procla­mando il suo mistero, uniscono le preghiere dei fedeli al sacrificio del loro capo, e nel sacrificio della messa rendono presente e applicano, fino alla venuta del Signore (cf. 1 Cor 11,26), l'unico sacrificio del Nuo­vo Testamento, quello cioè di Cristo, il quale una volta per tutte offrì se stesso al Padre quale vittima immacolata (cf. Eb 9,11-28) [...]. Eser­citando, secondo la loro parte di autorità, l'ufficio di Cristo pastore e capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, per mezzo di Cristo nello Spirito lo portano al Padre e in mezzo al loro gregge lo adorano in spirito e verità (cf. Gv 4,24) ».8

In forza del sacramento dell'Ordine, che conferisce un carattere spirituale indelebile,9 i presbiteri sono consacrati, cioè tolti « dal mon­do »» e consegnati « al Dio vivente »», presi « come sua proprietà, affin­ché, a partire da Lui, essi possano svolgere il servizio sacerdotale per il mondo »», per predicare il Vangelo, essere i pastori dei fedeli e cele­brare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento (cfr. Eb 5,1).10

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell'allocuzione che ha ri­volto ai partecipanti all'Assemblea Plenaria della Congregazione per il Clero, ha affermato che « la dimensione missionaria del presbitero nasce dalla sua configurazione sacramentale a Cristo Capo: essa porta con sé, come conseguenza, un'adesione cordiale e totale a quella che la tradizione ecclesiale ha individuato come l'apostolica vivendi forma. Que­sta consiste nella partecipazione ad una 'vita nuova' spiritualmente in­tesa, a quel 'nuovo stile di vita' che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli. Per l'imposizione delle mani del Vescovo e la preghiera consacratoria della Chiesa, i candidati divengo­no uomini nuovi, divengono 'presbiteri'. In questa luce appare chiaro come i tria munera siano prima un dono e solo conseguentemente un ufficio, prima una partecipazione ad una vita, e perciò una potestas ».11

Il decreto Presbyterorum Ordinis, sul ministero e la vita sacerdotale, illustra questa verità quando si riferisce ai presbiteri ministri della pa­rola di Dio, ministri della santificazione con i sacramenti e l'eucaristia, e guide ed educatori del popolo di Dio. L'identità missionaria del pre­sbitero, anche se non è oggetto esplicito di grande sviluppo, è chiara­mente presente in questi testi. Si sottolinea espressamente il dovere di annunziare a tutti il Vangelo di Dio seguendo il mandato del Signore, con espresso riferimento ai non credenti e con il richiamo alla fede e ai sacramenti, per mezzo della proclamazione del messaggio evangelico. Il sacerdote, « inviato », che partecipa della missione di Cristo inviato dal Padre, si trova coinvolto in una dinamica missionaria, senza la qua­le non può veramente vivere la propria identità.12

Anche nell'Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis si afferma che, pur inserito in una Chiesa particolare, il presbitero, in vir­tù della sua ordinazione, ha ricevuto un dono spirituale che lo prepara ad una missione universale, fino ai confini della terra, perché « qualsiasi ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli »».13 Perciò la vita spirituale del sacerdote deve essere caratterizzata da slancio e dinamismo missiona­rio; sulla scia del Concilio Vaticano II si indica che i sacerdoti devono formare la comunità che è stata loro affidata, per farne una comunità autenticamente missionaria.14 La funzione di pastore richiede che lo slancio missionario sia vissuto e comunicato, perché tutta la Chiesa è essenzialmente missionaria. Da questa dimensione della Chiesa deriva in modo decisivo l'identità missionaria del presbitero.

Quando si parla di missione bisogna tener presente, necessaria­mente, che l'inviato, il presbitero in questo caso, si trova in relazione sia con chi lo invia, sia con coloro ai quali è inviato. Esaminando la sua relazione con Cristo, il primo inviato dal Padre, bisogna sottoline­are il fatto che, stando ai testi del Nuovo Testamento, è Cristo stesso ad inviare e a costituire, mediante il dono dello Spirito Santo effuso nell'ordinazione sacramentale, i ministri della sua Chiesa; essi non pos­sono essere considerati semplicemente eletti o delegati della comunità o del popolo sacerdotale. L'invio viene da Cristo; i ministri della Chie­sa sono strumenti viventi di Cristo unico mediatore.15 « Il presbitero trova la verità piena della sua identità nell'essere una derivazione, una partecipazione specifica e una continuazione di Cristo stesso, sommo e unico sacerdote della nuova ed eterna alleanza; egli è un'immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote ».16

Prendendo come punto di partenza questo riferimento cristologico, emerge chiaramente la dimensione missionaria della vita del sacerdote: Gesù è morto e risorto per tutti gli uomini che vuole riunire in un solo gregge; egli doveva morire per riunire insieme tutti i figli di Dio che erano dispersi (cf. Gv 11,52). Se tutti muoiono in Adamo, in lui tutti ritornano alla vita (cf. 1 Cor 15,20-22), in lui Dio riconcilia con sé il mondo (cf. 2 Cor 5,19), ha ordinando agli apostoli di predicare il Vangelo a tutte le genti. Tutto il Nuovo Testamento è penetrato dall'idea dell'universalità dell'azione salvifica di Cristo e della sua unica mediazione. Il presbite­ro, configurato a Cristo profeta, sacerdote e re, non può non avere il cuore aperto a tutti gli uomini e, in concreto, soprattutto a coloro che non conoscono Gesù e non hanno ricevuto ancora la luce della sua Buona Novella.

Da parte degli uomini, ai quali la Chiesa deve annunziare il Vangelo,17 e ai quali, di conseguenza, il presbitero è inviato, bisogna evidenziare come il Concilio Vaticano II, ripetutamente, abbia parlato dell'unità della famiglia umana, fondata sulla creazione di tutti ad immagine e somiglianza di Dio e sulla comunione di destino in Cristo: « Tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra; hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui provvi­denza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendo­no a tutti ».18 Questa unità è chiamata a raggiungere il suo culmine nella ricapitolazione universale in Cristo (cf. Ef 1,10).19

A questa ricapitolazione finale di tutto in Cristo, che costitui­sce la salvezza degli uomini, si rivolge l'intera azione pastorale della Chiesa. Essendo tutti gli uomini chiamati all'unità in Cristo, nessuno può essere escluso dalla sollecitudine del presbitero a Lui configurato. Tutti attendono, anche in un modo inconsapevole (cf. At 17,23-28), la salvezza che può venire soltanto da Lui: quella salvezza che è l'in­serzione nel Mistero Trinitario, nella partecipazione alla sua filiazione divina. Non si possono fare discriminazioni fra gli uomini, i quali hanno una stessa origine e condividono lo stesso destino e l'unica vocazione in Cristo. Stabilire dei limiti alla « carità pastorale » del pre­sbitero sarebbe totalmente contraddittorio alla sua vocazione, segnata dalla peculiare configurazione a Cristo, capo e pastore della Chiesa e di tutti gli uomini.

I tria munera, esercitati dai sacerdoti nel loro ministero, non pos­sono essere concepiti senza la loro essenziale relazione alla persona di Cristo e al dono dello Spirito. A Cristo è configurato il presbitero me­diante il dono dello Spirito ricevuto nell'ordinazione. Appunto come i tria munera in Cristo appaiono essenzialmente intrecciati, non possono in alcun modo essere separati, e tutti e tre ricevono luce dall'identità filiale di Gesù, l'inviato del Padre, ugualmente non possiamo separare l'esercizio di queste tre funzioni nei sacerdoti.20

Il presbitero si trova in relazione alla persona di Cristo, e non sol­tanto alle sue funzioni, le quali scaturiscono e ricevono pieno senso, dalla persona stessa del Signore. Ciò significa che il sacerdote trova la specificità della propria vita e della sua vocazione vivendo la propria configurazione personale a Cristo; è sempre un alter Christus. Nella co­scienza di essere inviato da Cristo, come egli lo è dal Padre, per la salus animarum, il sacerdote sperimenterà la dimensione universale, e dunque missionaria, della sua identità più profonda.

 

4   Fra i testi della missione troviamo Gv 3,14; 4,34; 5,23-24.30.37; 6,39.44.57; 7,16.18.28; 8,18.26.29.42; 9,4; 11,42; 14,24; 17,3.18; 1 Gv 4,9.14.

5   Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 690.

6   Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 22.

7   Cf. Ibid., 12: « Il riferimento a Cristo è la chiave assolutamente necessaria per la comprensione delle realtà sacerdotali ».

8   Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen Gentium, 28.

9   Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1582.

10   Cf. Benedetto XVI, Omelia per la Santa Messa del Crisma (9 aprile 2009); Gio­vanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 12; 16.

11  Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero (16 marzo 2009). Certo, è il battesimo che rende tutti i fedeli « uomini nuovi »». Il sacramento dell'ordine, dunque, se da un lato specifica e attualizza quanto i presbiteri hanno in comune con tutti i battezzati, dall'altro rivela quale sia la natura propria del sacerdozio ordinato, quella cioè di essere totalmente relativa a Cristo, capo e pastore della Chiesa, di servire la nuova creazione che emerge dal lavacro battesimale: Vobis enim sum episcopus — afferma Agostino — vobiscum sum christianus.

12   Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 4-6. Sui tria munera si sofferma anche a lungo Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 26.

13   Ibid, 32.

14   Cf. ibid., 26; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 67.

15   Cf. A. Vanhoye, Prétres anciens, prétre nouveau selon le Nouveau Testament, Paris 1980, 346.

16   Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 12.

17   Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Ad gentes, 1.

18   Conc. Ecum. Vat. II, Dichiar. Nostra aetate, 1; Cf. Cost. past. Gaudium et spes 24; ibid, 29.

19   Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 45.

20   Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores gregis (16 ottobre 2003), 9: « Si tratta, infatti, di funzioni tra loro intrinsecamente connesse, che recipro­camente si spiegano, si condizionano e si illuminano. Proprio per questo, il Vescovo, quando insegna, al tempo stesso santifica e governa il popolo di Dio; mentre santifica, anche insegna e governa; quando governa, insegna e santifica. Sant'Agostino definisce la totalità di questo ministero episcopale come amoris officium». Quanto viene detto qui dei vescovi, può anche essere applicato, con le dovute distinzioni, anche ai presbiteri.

 

 

 

3. Una rinnovata prassi missionaria dei presbiteri

L'urgenza missionaria attuale richiede una rinnovata prassi pasto­rale. Le nuove condizioni culturali e religiose del mondo, con tutte le loro diversità, secondo le varie regioni geografiche e i differenti am­bienti socio-culturali, indicano la necessità di aprire nuove strade per la prassi missionaria. Benedetto XVI, nel già citato discorso ai vesco­vi tedeschi, disse: « Dobbiamo tutti insieme cercare di trovare nuovi modi per riportare il Vangelo nel mondo attuale »».21

Per quello che riguarda la partecipazione dei presbiteri a questa missione, ricordiamo l'essenza missionaria della stessa identità presbi­terale, di tutti e dei singoli presbiteri, e la storia della Chiesa, che mo­stra il ruolo insostituibile dei presbiteri nell'attività missionaria. Quan­do si tratta dell'evangelizzazione missionaria all'interno della Chiesa già stabilita, volgendosi ai battezzati « allontanatisi »» e a tutti coloro che, nelle parrocchie e nelle diocesi, poco o niente conoscono di Gesù Cristo, questo ruolo insostituibile dei presbiteri si mostra in un modo ancora più evidente.

Nelle comunità particolari, nelle parrocchie, il ministero dei pre­sbiteri manifesta la Chiesa come avvenimento trasformante e reden­tore, che si attua nel quotidiano della società. Lì essi predicano la Pa­rola di Dio, evangelizzano, catechizzano, esponendo integralmente e fedelmente la sacra dottrina, aiutano i fedeli a leggere e a capire la Bibbia, riuniscono il popolo di Dio per celebrare l'Eucaristia e gli altri sacramenti, promuovono altre forme di preghiera comunitaria e devozionale, ricevono chi viene in cerca di appoggio, di consolazione, di luce, di fede, di riconciliazione e riavvicinamento a Dio, convocano e presiedono incontri della comunità per studiare, elaborare e porre in pratica i piani pastorali, orientano e stimolano la comunità nell'esercitare la carità verso i poveri nello spirito e nelle condizioni economiche, nel promuovere la giustizia sociale, i diritti umani, la uguale dignità di tutti gli uomini, l'autentica libertà, la collaborazione fraterna e la pace secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa. Sono loro, in quanto collaboratori dei Vescovi, che hanno la responsabilità pastorale immediata.

 

21 Discorso nel Piussaal del Seminario di Colonia (21 agosto 2005).

3.1. Il missionario deve essere discepolo

Lo stesso Vangelo mostra come l'essere missionario richieda l'es­sere discepolo. Il testo di Marco afferma: « (Gesù) salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Do­dici [...] perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni » (Mc 3,13-15). « Chiamò a sé quelli che voleva » e « perché stessero con lui »: ecco il discepolato! Questi discepoli saran­no mandati a predicare e a scacciare i demoni: ecco i missionari!

Nel Vangelo di Giovanni troviamo la chiamata (« Venite e vedre­te »: Gv 1,39) dei primi discepoli, il loro incontro con Gesù e il loro pri­mo slancio missionario, quando vanno e chiamano altri, annunciano loro il Messia incontrato e riconosciuto e li conducono da Gesù, che chiama ancora a divenire suoi discepoli (cf. Gv 1,35-51).

Nell'itinerario del discepolato, tutto inizia con la chiamata del Si­gnore. L'iniziativa è sempre sua. Ciò indica che la chiamata è una gra­zia, che dev'essere liberamente e umilmente accolta e custodita, con l'aiuto dello Spirito Santo. Dio ci ha amato per primo. È il primato della grazia. Alla chiamata segue l'incontro con Gesù per ascoltare la sua parola e fare l'esperienza del suo amore per ciascuno e per l'intera umanità. Egli ci ama e ci rivela il vero Dio, Uno e Trino, che è amore. Nel Vangelo si mostra come, in questo incontro, lo Spirito di Gesù trasformi colui che ha il cuore aperto.

Infatti, chi incontra Gesù sperimenta un profondo coinvolgimento con la sua persona e la sua missione nel mondo, crede in lui, sperimen­ta il suo amore, aderisce a lui, decide di seguirlo incondizionatamente, dovunque lo conduca, investe in lui tutta la propria vita e, se necessario, accetta di morire per lui. Esce dall'incontro con il cuore gioioso ed entu­siasta, affascinato dal mistero di Gesù, e si lancia ad annunciarlo a tutti. Così il discepolo diventa simile al Maestro, inviato da lui e sostenuto dallo Spirito Santo.

La domanda di oggi è la stessa di alcuni Greci, presenti a Geru­salemme quando Gesù fece il suo ingresso messianico nella città. Essi domandavano: « Vogliamo vedere Gesù! » (Gv 12,21). Anche noi po­niamo questa domanda oggi. Dove e come possiamo incontrare Gesù, dopo il suo ritorno al Padre, oggi, nel tempo della Chiesa?

Papa Giovanni Paolo II, di v. m., ha sviluppato ampiamente la necessità dell'incontro con Gesù per tutti i cristiani, affinché pos­sano ripartire da lui per annunziarlo all'umanità attuale. Al contem­po, ha indicato alcuni luoghi privilegiati in cui è possibile incontrare Gesù oggi. Il primo luogo, diceva il Papa, è « la Sacra Scrittura letta alla luce della Tradizione, dei Padri e del Magistero, approfondita attraverso la meditazione e la orazione »», ossia la cosiddetta lectio di­vina., lettura orante della Bibbia. Un secondo luogo, diceva il Papa, è la Liturgia, sono i Sacramenti, in modo specialissimo l'Eucaristia. Nel racconto dell'apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus, troviamo intimamente collegate la Sacra Scrittura e l'Eucaristia, quali luoghi di incontro con Cristo. Un terzo luogo ci viene indicato dal testo evangelico di Matteo sul giudizio finale, in cui Gesù s'identifica con i poveri (cfr Mt 25, 31-46).22

Un altro fondamentale e prezioso modo per incontrare Gesù Cri­sto è la preghiera, sia personale che comunitaria, soprattutto davanti al Santissimo Sacramento, come pure nell'orazione fedele della Liturgia delle Ore. Anche la stessa contemplazione della creazione può diven­tare un luogo di incontro con Dio.

Ogni cristiano deve essere condotto a Gesù Cristo per fare, e poi sempre rinnovare e approfondire, l'incontro forte, personale e comu­nitario con il Signore. Da questo incontro nasce e rinasce il discepolo. Dal discepolo nasce il missionario. Se questo vale per ogni cristiano, tanto più vale per il presbitero.23

Il discepolo e missionario, d'altra parte, è sempre membro di una comunità di discepoli e missionari, che è la Chiesa. Gesù è venuto nel mondo e ha dato la sua vita in croce « per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi » (Gv 11,52). Il Concilio Vaticano II insegna che « Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo ri­conoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità ».24 Gesù col suo gruppo di discepoli, in modo speciale con i Dodici, dà inizio a questa comunità nuova, che riunisce i figli di Dio dispersi, cioè la Chiesa. Dopo il suo ritorno al Padre, i primi cristiani vivono in comunità, sotto la guida degli Apostoli, e ogni discepolo partecipa alla vita comunitaria e all'incontro dei fratelli, anzitutto nello spezzare il pane eucaristico. È nella Chiesa, e a partire dalla effettiva comunione con la Chiesa stessa, che si vive e ci si realizza da discepoli e missionari.

22 Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Ecclesia in America (22 gen­naio 1999), 12.

23   Nell'allocuzione per gli auguri natalizi alla Curia Romana, il 21 dicembre 2007, Benedetto XVI ha detto: « Non si può mai conoscere Cristo solo teoricamente. Con grande dottrina si può sapere tutto sulle Sacre Scritture, senza averLo incontrato mai. Fa parte integrante del conoscerLo il camminare con Lui, l'entrare nei suoi sen­timenti, come dice la Lettera ai Filippesi (2,5). [...] L'incontro con Gesù Cristo richiede l'ascolto, richiede la risposta nella preghiera e nel praticare ciò che Egli dice. Venendo a conoscere Cristo veniamo a conoscere Dio, e solo a partire da Dio comprendiamo l'uomo e il mondo, un mondo che altrimenti rimane una domanda senza senso. Di­ventare discepoli di Cristo è dunque un cammino di educazione verso il nostro vero essere, verso il giusto essere uomini ».

24   Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 9.

3.2. La missione ad gentes

L'intera Chiesa è per sua natura missionaria. Questo insegnamen­to del Concilio Vaticano II si riflette anche sull'identità e sulla vita dei presbiteri: « Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordi­nazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, 'fino ai confini della terra' (At 1,8) [...]. Ricordino quindi i presbiteri che a essi incombe la solleci­tudine di tutte le Chiese ».25

In molte e diverse forme, i presbiteri possono partecipare alla missione ad gentes, anche senza andare nelle terre di missione. Anche ad essi, però, Cristo può concedere la grazia speciale di essere chiamati da Lui e inviati dai rispettivi Vescovi o Superiori maggiori ad andare in missione in quelle regioni del mondo dove Egli ancora non è stato annunciato e la Chiesa non si è ancora stabilita, cioè ad gentes, oppure inviati dove c'è scarsità di clero. Nell'ambito del clero diocesano pen­siamo, per esempio, ai sacerdoti Fidei Donum.

Gli orizzonti della missione ad gentes si allargano e richiedono un rinnovato impulso nell'attività missionaria. I presbiteri sono invitati ad ascoltare il soffio dello Spirito, vero protagonista della missione, e a condividere questa sollecitudine della Chiesa universale.26

 

25   Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 10.

26    Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 28; Decr. Ad gentes, 39; Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 68; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 67.

 

3.3. L'evangelizzazione missionaria

Nella prima parte di questo testo, è già stata identificata la neces­sità e l'urgenza di una nuova evangelizzazione missionaria nello stesso gregge della Chiesa, ossia tra i già battezzati.

Infatti, una grande parte dei nostri cattolici battezzati non parte­cipa ordinariamente, o a volte per nulla, alla vita delle nostre comunità ecclesiali. Questo accade non solo perché altri modelli si presentano loro come più attraenti, né solo perché decidano consapevolmente di rifiutare la fede, ma sempre più spesso perché non sono stati sufficien­temente evangelizzati. O meglio: non hanno incontrato alcuno che testimoniasse loro la bellezza della vita cristiana autentica. Nessuno li ha portati ad un incontro forte e personale e, poi, comunitario, con il Signore. Un incontro che segnasse la loro vita e la trasformasse, un incontro in cui cominciare ad essere veri discepoli di Cristo.

Questo indica la necessità della missione: dobbiamo andare a cer­care i nostri battezzati, e anche tutti i non ancora battezzati, annuncia­re loro, di nuovo o per la prima volta, il kerigma, cioè il primo annunzio della persona di Gesù Cristo, morto sulla croce e risorto per la nostra salvezza, e il suo Regno, e così condurli ad un incontro personale con lui.

Forse, qualcuno si domanderà se l'uomo e la donna della cultura post-moderna, delle società più avanzate, sapranno ancora aprirsi al kerigma cristiano. La risposta deve essere positiva. Il kerigma può essere compreso ed accolto da qualsiasi essere umano, in qualsiasi tempo o cultura. Anche gli ambienti più intellettuali o quelli più semplici pos­sono essere evangelizzati. Dobbiamo, perfino, credere che anche i co­siddetti post-cristiani possano, di nuovo, essere toccati dalla persona di Gesù Cristo.

Il futuro della Chiesa dipende, anche, dalla nostra docilità ad es­sere concretamente missionari in mezzo ai nostri stessi battezzati.27 Dall'evento salvifico del battesimo, infatti, deriva il diritto e il dovere dei sacri pastori di evangelizzare i battezzati, quale atto dovuto per giustizia.28

Certamente, ogni Chiesa particolare di ogni continente e di ogni nazione deve trovare la strada per raggiungere, in un deciso ed efficace impegno di missione evangelizzatrice, i propri cattolici che, per motivi diversi, non vivono l'appartenenza alla comunità ecclesiale. In questa opera di evangelizzazione missionaria, i presbiteri detengono un ruolo insostituibile e prezioso, anzitutto per la missione nel gregge della parrocchia loro affidata. Nella parrocchia i presbiteri avranno bisogno di convocare i membri della comunità, consacrati e laici, per prepararli adeguatamente ed inviarli in missione evangelizzatrice alle singole per­sone, alle singole famiglie, anche attraverso visite domiciliari, ed a tutti gli ambienti sociali che si trovano sul territorio. Il parroco, in prima persona, deve partecipare alla missione parrocchiale.

Sulla scia dell'insegnamento conciliare e consapevoli dell'ammo­nimento del Signore — « siano una cosa sola [...], perché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17, 21) — per una rinnovata prassi mis­sionaria è di primaria importanza che i presbiteri ravvivino in sé la consapevolezza di essere collaboratori dei Vescovi. Essi, infatti, sono inviati dal loro Vescovo a servire la comunità cristiana. Per questo l'unità con il Vescovo, che sarà effettivamente ed affettivamente unito con il Sommo Pontefice, costituisce la prima garanzia di ogni azione missionaria.

Possiamo cercare alcune indicazioni concrete, per una rinnovata prassi missionaria dei presbiteri, nell'ambito dei tre munera.

 

27   Il Papa Benedetto XVI, stimolando i Vescovi brasiliani ad « avviare l'attività apostolica come una vera missione nell'ambito del gregge costituito della Chiesa Cat­tolica », aggiunse che « si tratta infatti di non risparmiare sforzi per andare alla ricerca dei cattolici che si sono allontanati e di coloro che conoscono poco o niente di Gesù Cristo. [...] Si richiede, in una parola, una missione evangelizzatrice che interpelli tutte le forze vive di questo gregge immenso. Il mio pensiero pertanto va ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose ed ai laici che si prodigano, molte volte con difficoltà immen­se, per la diffusione della verità evangelica. [...] In questo sforzo evangelizzatore, la comunità ecclesiale si distingue per le iniziative pastorali, inviando soprattutto nelle case delle periferie urbane e dell'interno i suoi missionari, laici o religiosi. [... ] La gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa, sia nell'aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace. I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, ed il Vescovo, formato ad immagine del Buon Pastore, deve essere particolarmente attento a offrire il balsamo divino della fede, senza trascurare il 'pane materiale'. Come ho potuto mettere in risalto nell'Enciclica Deus caritas est, la Chiesa non può trascurare il servizio della carità, così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola' » (Discorso ai Vescovi del Brasile nella 'Catedral da Sé' a Sao Paulo [11 maggio 2007]).

28   Cf. Codex Iuris Canonici, cann. 229 §1 e 757.

 

Nell'ambito del munus docendi:

1. Anzitutto, per essere un vero missionario all'interno dello stes­so gregge della Chiesa, secondo le attuali esigenze, è essenziale ed in­dispensabile che il presbitero si decida, molto coscientemente e con determinazione, non soltanto ad accogliere ed evangelizzare coloro che lo cercano, sia nella parrocchia sia altrove, ma ad «alzarsi ed anda­re» in cerca, prima di tutto, dei battezzati che, per motivi diversi, non vivono l'appartenenza alla comunità ecclesiale, e anche di tutti coloro che poco, o per niente, conoscono Gesù Cristo.

I presbiteri che esercitano il ministero nelle parrocchie si sentano chiamati anzitutto ad andare alla gente che vive nel territorio parroc­chiale, valorizzando sapientemente anche quelle tradizionali forme di incontro, come le benedizioni alle famiglie, che tanti frutti hanno por­tato. Coloro, tra i presbiteri, che sono chiamati alla missione ad gentes, vedano in questo una grazia molto speciale del Signore e vadano gio­iosi e senza timore. Il Signore li accompagnerà sempre.

2.   Per una evangelizzazione missionaria all'interno dello stesso gregge cattolico, anzitutto nelle parrocchie, bisogna invitare, formare ed inviare anche i fedeli laici ed i religiosi. I presbiteri nella parrocchia, ovviamente, sono i primi missionari e devono andare in cerca delle persone nelle case ed in ogni luogo ed ambiente sociale; tuttavia anche i laici e i religiosi sono chiamati dal Signore, per il loro Battesimo e la loro Cresima, a partecipare alla missione, sotto la guida del pastore locale.

Culturalmente parlando è necessario prendere consapevolezza del fatto che l'esercizio della « carità pastorale»29 nei confronti dei fedeli impone di non lasciarli indifesi (privi cioè di capacità critica) di fronte all'indottrinamento che spesso viene dai luoghi di insegnamento sco­lastico, dalla televisione, dalla stampa, dai siti informatici, e talvolta anche dalle cattedre universitarie e dal mondo dello spettacolo.

I sacerdoti, a loro volta, debbono essere incoraggiati e sostenuti dai loro Vescovi in questa delicata opera pastorale, senza mai delegare totalmente ad altri la catechesi diretta, in modo che tutto il popolo cristiano sia orientato, nell'attuale momento multiculturale, da criteri autenticamente cristiani. Occorre distinguere tra dottrina autentica e interpretazioni teologiche, e poi, tra queste e quelle rispondenti al Ma­gistero perenne della Chiesa.

 

29   Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 14.

 

3.   L'annunzio specificamente missionario del Vangelo richiede che sia dato un rilievo centrale al kerigma. Questo primo o rinnova­to annunzio kerigmatico di Gesù Cristo, morto e risorto, e del suo Regno, ha, senz'altro, un vigore e una unzione speciale dello Spirito Santo, che non si può minimizzare o trascurare nell'impegno missionario. 30

Pertanto, bisogna riprendere, opportune et importune con molta co­stanza, convinzione e gioia evangelizzatrice, questo primo annunzio, sia nelle omelie, durante le sante Messe o altri eventi evangelizzatori, sia nelle catechesi, sia nelle visite domiciliari, nelle piazze, nei mezzi di comunicazione sociale, negli incontri personali con i nostri battez­zati che non partecipano alla vita delle comunità ecclesiali; insomma, ovunque lo Spirito ci spinga ed offra un'opportunità da non sprecare. Il kerigma gioioso e coraggioso identifica una predicazione missiona­ria, che vuol portare l'ascoltatore ad un incontro personale e comuni­tario con Gesù Cristo, inizio del cammino di un vero discepolo.

 

30   Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 44.

 

4.   È necessario illustrare il fatto che la Chiesa vive dell'Eucaristia, che ne è il centro. Nella celebrazione eucaristica si manifesta pienamen­te nella sua identità. Nell'avvenimento e nella vita della Chiesa, tutto porta all'Eucaristia e tutto parte dall'Eucaristia. Perciò anche l'evan­gelizzazione missionaria, la predicazione del kerigma, l'intero esercizio del munus docendi, devono tendere all'Eucaristia e portare l'ascoltatore, finalmente, alla mensa eucaristica. La stessa missione deve partire sem­pre dall'Eucaristia e andare verso il mondo. « L'Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa; lo è anche della sua missione: una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria ».31

 

31   Benedetto XVI, Esort. ap. Sacramentum caritatis, 84.

 

5.   L'evangelizzazione dei poveri è prioritaria, in tutte le forme, come disse lo stesso Gesù: « Lo Spirito del Signore è sopra di me [...] e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio »» (Lc 4,18). Nel testo evangelico di Matteo sul giudizio finale si costata che Gesù vuol essere identificato, in modo speciale, nel povero (cf. Mt 25, 31-46). La Chiesa sempre si è ispirata a questi testi.32

 

32   Cf. Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi del Brasile nella 'Catedral da Sé' a Sao Paulo (11 maggio 2007), 3.

 

6.   La Chiesa mai impone la sua fede, ma sempre la propone con amore, con unzione e coraggio, nel rispetto dell'autentica libertà re­ligiosa, che domanda anche per se stessa, e della libertà di coscienza dell'ascoltatore. Inoltre, il metodo del vero dialogo è sempre più indi­spensabile: un dialogo che non escluda l'annunzio, anzi lo supponga e che, in definitiva, sia una via per evangelizzare.33

 

33   Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Iesus (6 agosto 2000), 4.

7.   È necessaria la preparazione del missionario attraverso la for­mazione di salda spiritualità e un'autentica vita di preghiera, oltre a un ascolto costante della Parola di Dio, in modo speciale mediante la lettura dei Vangeli. Il metodo della lectio divina, ossia della lettura orante della Bibbia, può risultare di grande aiuto. Ad ogni modo, il predicatore deve essere infiammato di un fuoco nuovo, che si accende e si mantiene acceso nel contatto personale col Signore, e vivendo in grazia, come possiamo ravvisare nei Vangeli. A questo ascolto della Parola deve aggiungersi uno studio costante e approfondito della dot­trina cattolica autentica, come si trova anzitutto nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nella sana teologia. La fraternità sacerdotale è parte integrante della spiritualità missionaria, e la sostiene.

Nell'ambito del munus sanctificandi:

1.        L'esercizio del munus sanctificandi è anche legato alla capacità di trasmettere un senso vivo del soprannaturale e del sacro, che affascini e che conduca a una reale esperienza di Dio, esistenzialmente significativa.

Di ogni celebrazione sacramentale fa parte la proclamazione della Parola di Dio, dato che il sacramento richiede la fede di chi lo riceve. Questo fatto è già una prima indicazione di come il ministero presbi­terale nell'amministrazione dei sacramenti, e in modo speciale nella celebrazione dell'Eucaristia, possieda una dimensione missionaria in­trinseca, che può essere sviluppata come annunzio del Signore Gesù e del suo Regno, a coloro che poco, o fino ad ora per niente, sono stati evangelizzati.

2.        Bisogna inoltre sottolineare che l'Eucaristia è il punto d'arrivo della missione. Il missionario va in cerca delle persone e dei popo­li per portarli alla mensa del Signore, prefigurazione escatologica del banchetto di vita eterna, presso Dio, nel cielo, che sarà la realizza­zione piena della salvezza, secondo il disegno redentore di Dio. Ci vorrà, pertanto, una grande, calda e fraterna accoglienza di coloro che vengono per la prima volta, o tornano, all'Eucaristia dopo essere stati raggiunti dai missionari.

L'Eucaristia ha, inoltre, una dimensione d'invio missionario. Ogni Santa Messa, alla fine, invia tutti i partecipanti ad operare missiona­riamente nella società. L'Eucaristia, come memoriale della Pasqua del Signore, rende presente, sempre di nuovo, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo, che, per amore del Padre e di noi, ha dato la vita per la nostra redenzione, amandoci fino alla fine. Questo sacrificio di Cristo è il supremo atto di amore di Dio verso gli uomini.

La comunità cristiana, nel celebrare l'Eucaristia e nel ricevere degna­mente il sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù, è profondamente unita al Signore e colmata di questo suo amore senza misura. Nel con­tempo, riceve ogni volta, di nuovo, il comandamento di Gesù: « Ama­tevi gli uni gli altri, come io vi ho amato », e si sente spinta dallo Spirito di Cristo ad andare ed annunciare a tutte le creature la Buona Novella dell'amore di Dio e della speranza, sicura della sua misericordia salvatrice. Nel Decreto Presbyterorum Ordinis il Concilio Vaticano II dice: « L'Euca­ristia costituisce, infatti, la fonte e il culmine di tutta l'evangelizzazione » (n. 5). Pertanto è fondamentale la sollecitudine della celebrazione quo­tidiana da parte dei sacerdoti, anche in assenza di popolo.

3.        Anche gli altri sacramenti ricevono la propria forza santifi­cante dalla morte e risurrezione di Cristo e così proclamano la mi­sericordia indefettibile di Dio. La stessa celebrazione bella, dignitosa e devota dei sacramenti, secondo tutte le norme liturgiche, diventa un'evangelizzazione molto speciale per i fedeli presenti. Dio è Bel­lezza, e la bellezza della celebrazione liturgica è una delle vie che ci conducono al suo mistero.

4.        Bisogna pregare perché il Signore risvegli la stessa vocazione missionaria della comunità ecclesiale, dei suoi pastori e singoli membri. Gesù disse: « La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! » (Mt 9,37-38). La preghiera ha una forza grandissima davanti a Dio. Di questa forza Gesù ci rassicura: « Chiedete e vi sarà dato » (Mt 7,7); « Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete » (Mt 21,22); « Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò » (Gv 14,13-14).

5.        È opportuno ricordare come il sacramento della Riconciliazione, nella forma di confessione individuale, possieda una profonda, intrinse­ca missionarietà. Il sacerdote è chiamato, per la fecondità della missione affidatagli e per la propria santificazione, ad essere sollecito, innanzitutto per se stesso, alla celebrazione regolare e frequente di questo sacramento e, nel contempo, ad esserne fedele e generoso ministro.

6.        Il ministero pastorale del presbitero è al servizio dell'unità della comunità cristiana. La rigenerazione del popolo cristiano e la cura del­la dimensione comunitaria dell'esperienza cristiana sono, per questo, il primo compito missionario del presbitero.

7.        In conclusione, il presbitero dovrà capire meglio la natura della sete che tormenta, talvolta anche inconsciamente, gli uomini e le don­ne del nostro tempo: sete di Dio, di esperienza e di dottrina di vera salvezza, di annuncio della verità sul destino ultimo personale e co­munitario, di una religione cristiana che sia in grado di permeare tutta l'organizzazione della vita e ogni giorno più la trasformi. 34 Una sete che solo il Signore Gesù potrà ultimamente soddisfare, tenendo sem­pre presente che « la carità pastorale è il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività del presbitero ».35

 

34   Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen Gentium, 35.

35   Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei presbi­teri Tota Ecclesia (31 gennaio 1994), 43.

 

Nell'ambito del munus regendi:

1.        Sono indispensabili la preparazione e l'organizzazione della missione nelle comunità ecclesiali, nelle parrocchie. Una buona prepa­razione e una chiara organizzazione della missione saranno già pegno di fruttuoso esito. Ovviamente, il primato della grazia non può essere dimenticato, ma deve, piuttosto, essere evidenziato. Lo Spirito Santo è il primo operatore missionario. Perciò, bisogna invocarlo insisten­temente e con molta fiducia. Sarà lui ad accendere quel fuoco nuo­vo, quella passione missionaria necessaria nei cuori dei membri della comunità. Ma è necessario il concorso della libertà umana. I pastori della comunità devono pensare anche organizzativamente i modi più incisivi e opportuni della missione.

2.        Occorre cercare l'esecuzione di una buona metodologia mis­sionaria. La Chiesa ne ha bimillenaria esperienza. Nondimeno, ogni epoca storica porta con sé nuove circostanze, da rilevare circa il modo di attuare la missione. Ci sono parecchie metodologie già elaborate e provate nella prassi delle Chiese particolari. Le Conferenze Episcopa­li e le diocesi potrebbero impartire opportune indicazioni su questo punto.

3.        Bisogna andare prima di tutto ai poveri delle periferie urbane e delle campagne. Sono essi i destinatari prediletti del Vangelo. Ciò vuol dire che l'annunzio deve essere accompagnato da un'azione, efficace e amorevole, di promozione umana integrale. Gesù Cristo deve essere proclamato come una buona notizia per i poveri. Questi devono po­tersi sentire lieti e colmi di sicura speranza per quest'annunzio.36

4.        Sarebbe opportuno che la missione nella parrocchia e nella diocesi non si riducesse ad un periodo determinato. La Chiesa è, per la sua stessa natura, missionaria. Così, la missione deve far parte delle dimensioni permanenti dell'essere e dell'attuarsi della Chiesa. Pertanto la missione deve essere permanente. Ovviamente, possono esserci pe­riodi più intensi, ma la missione non dovrebbe mai essere conclusa o fermata. Anzi, la missionarietà deve essere saldamente e ampiamente integrata nella struttura stessa dell'attività pastorale e della vita della Chiesa particolare e delle sue comunità.

Questo potrebbe portare ad un autentico rinnovamento, e verrebbe a costituire un elemento molto valido per rinvigorire e ringiovanire la Chiesa oggi. È permanente anche la missionarietà degli stessi presbite­ri, i quali, indipendentemente dall'ufficio ricoperto e dall'età anagrafica, sono sempre chiamati alla missione fino all'ultimo giorno della loro esi­stenza terrena, poiché la missione è indissolubilmente legata alla stessa ordinazione ricevuta.

 

36   Cf. Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 22;  Id., Discorso ai Vescovi del Brasile nella 'Catedral da Sé' a Sao Paulo (11 maggio 2007), 3.

3.4. La formazione missionaria dei presbiteri

Tutti i presbiteri devono ricevere una specifica ed accurata forma­zione missionaria, dato che la Chiesa vuole impegnarsi, con rinnovato ardore e con urgenza, nella missione ad gentes ed in una evangelizzazio­ne missionaria, diretta ai suoi stessi battezzati, in modo particolare a coloro che si sono allontanati dalla partecipazione alla vita e all'attività della comunità ecclesiale. Questa formazione dovrebbe avere inizio fin dal Seminario, soprattutto attraverso la direzione spirituale ed anche mediante uno studio accurato e approfondito del sacramento dell'Or­dine, tale da porre in risalto come la dinamica missionaria sia intrinseca al sacramento stesso.

Ai presbiteri già ordinati servirà molto, e può diventare perfino necessaria, la formazione missionaria, integrata nel programma di for­mazione permanente. La coscienza, da una parte, dell'urgenza missio­naria e, dall'altra, della forse non sufficiente formazione e spiritualità missionarie del presbiterio, dovrà indicare, ad ogni Vescovo o Superiore maggiore, le misure da intraprendere per avviare una rinnovata prepara­zione alla missione e una più profonda e stimolante spiritualità missio­naria nei presbiteri.

Pare di poter rilevare che uno dei principali aspetti della missione sia la presa di coscienza della sua urgenza, che include l'aspetto della formazione dei candidati al ministero presbiterale, alla specifica atten­zione missionaria.

Se il numero delle vocazioni nel mondo globalmente è in cresci­ta, seppure ancora modesta, mentre soprattutto in Occidente desta alcune apprensioni, tuttavia è la formazione ad essere assolutamente determinante per il futuro della Chiesa: un sacerdote dalla chiara iden­tità specifica, con una solida formazione umana, intellettuale, spiritua­le e pastorale, genererà più facilmente nuove vocazioni, perché vivrà la consacrazione come missione e, lieto e certo dell'amore del Signore per la propria esistenza sacerdotale, saprà diffondere il « buon profumo di Cristo »» intorno a sé e vivere ogni istante del proprio ministero come un'occasione missionaria.

Appare sempre più urgente, allora, creare un « circolo virtuoso » tra il tempo della formazione seminaristica e quello del ministero ini­ziale e della formazione permanente.37 Tali momenti devono essere saldati insieme ed assolutamente armonici, perché in quest'opera an­che il clero possa divenire sempre più pienamente ciò che è: una perla preziosa ed indispensabile, offerta da Cristo alla Chiesa e all'umanità intera.

 

37 Cf. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 83.

 

Conclusione

Se la missionarietà è un elemento costitutivo dell'identità eccle­siale, dobbiamo essere grati al Signore che rinnova, anche attraverso il recente Magistero pontificio, tale chiara consapevolezza in tutta la sua Chiesa, ed in particolare nei presbiteri.

L'urgenza missionaria nel mondo è davvero grande e domanda un rinnovamento della pastorale, nel senso che la comunità cristiana dovrebbe concepirsi in « missione permanente », sia ad gentes, sia dove la Chiesa è già stabilita, cioè andando alla ricerca di coloro che noi ab­biamo battezzato e che hanno il diritto di essere da noi evangelizzati.

Le migliori energie della Chiesa e dei presbiteri sono sempre sta­te impiegate nell'annuncio del kerigma,, che è l'essenza della missione affidataci dal Signore. Una tale permanente « tensione missionaria » non potrà che giovare anche all'identità del presbitero il quale, proprio nell'esercizio missionario dei tria munera,, trova la principale via di san­tificazione personale, e quindi anche di pieno compimento umano.

Il coinvolgimento, poi, reale e fattivo, di tutti i membri del Cor­po ecclesiale (Vescovi, Presbiteri, Diaconi, Religiosi, Religiose e Laici), nella missione, favorirà quell'esperienza di visibile unità, così essenzia­le per l'efficacia di ogni testimonianza cristiana.

L'identità missionaria del presbitero, per essere tale, deve guardare incessantemente alla Beata Vergine Maria che, piena di grazia, è andata a portare e a presentare il Signore al mondo e che, sempre, continua a visitare gli uomini di ogni tempo, ancora pellegrini sulla terra, per mostrare loro il volto di Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, e per in­trodurli nella comunione eterna con Dio.

Dal Vaticano, 29 giugno 2010

Solennità dei Santi Pietro e Paolo