Università Europea di Roma –
Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”
Master in Architettura, Arti
sacre e Liturgia, Venerdì, 25 marzo 2011
Lectio Magistralis
di S. Em. R. il Cardinale Mauro
Piacenza
Prefetto della Congregazione per
il Clero
Ministri
della Bellezza:
Architettura,
Arti sacre e Liturgia al servizio della missione dei sacerdoti
Chiarissimi Rettori, Rev.mo Padre Abate, Carissimi
confratelli nel Sacerdozio, Cari e “preziosi” Architetti ed Artisti, Gentili
convenuti tutti,
Sono lieto di essere qui tra voi, oggi, nella solare
Solennità dell’Annunciazione del Signore, collocata all’esordio di primavera ed
autentica primavera teologica. Ringrazio sentitamente il Coordinatore del
Master, il Rev.do Prof. Uwe Michael Lang, per le cordiali parole di benvenuto
e, soprattutto, per il prezioso lavoro profuso in questa opera. Desidero
altresì esprimere la mia viva gratitudine a tutti voi, architetti e artisti del
Master, che frequentate in quest’anno o che siete “ritornati oggi” in quella
che, oltre ad essere un’esperienza accademica, vuole essere sempre più una dimora. La dimora è un luogo nel quale
la memoria di se stessi, di quello che siamo, delle ragioni profonde che
animano il nostro lavoro, è continuamente richiamata e sostenuta, soprattutto
attraverso quella trama di relazioni buone che caratterizzano ogni movimento
cristiano. Il modello supremo della Dimora, in questo senso, è l’Abbazia e, per
analogia, la chiesa: luogo anche fisico nel quale l’uomo può essere ri-creato!
Con questo spirito abbiamo accolto l’appello del Santo Padre
Benedetto XVI a partecipare, attivamente e con passione, a quel perenne
rinnovamento nella fedeltà che, anche nella liturgia, nell’architettura e
nell’arte sacra, sempre deve trovare spazio nella vita ecclesiale.
L’auspicio di tutti è che nei prossimi decenni possa
progressivamente, ma costantemente, anche a livello istituzionale, essere
tematizzata la cruciale questione dell’architettura e dell’arte sacra, senza
pregiudizi o contrapposizioni, senza sterili nostalgie o pericolose fughe in
avanti, perché possa aver luogo un vero e proprio rinnovamento di queste
dimensioni cruciali della vita della Chiesa. Ogni autentico rinnovamento, nella
Chiesa, non può che essere considerato alla luce dell’imprescindibile
rinvigorimento della fede accolta, professata e vissuta. Ogni passo, ogni gesto
di questo prezioso Pontificato pare inequivocabilmente votato a tale profondo
rinnovamento!
Siamo qui riuniti, per volgere insieme lo sguardo a come
l’Architettura e le Arti sacre siano chiamate a servire la Bellezza, e, quindi,
come voi stessi, carissimi architetti ed artisti, siate chiamati a diventare,
sempre più limpidamente, “ministri” della Bellezza e, conseguentemente,
collaboratori della Salvezza di Cristo.
Direbbe san Paolo: «Adiutor
gaudii vestrii» - «Collaboratore della vostra gioia» (2Cor 1,24), e quale gioia è più grande e profonda della Bellezza?
Quale esperienza è gaudio più profondo di quella estetica? Quale rimanda più
potentemente all’esperienza del soprannaturale, alla bellezza, che è Dio
stesso?
Nostro Signore, Verbo incarnato, morto e risorto, raggiunge
oggi gli uomini di ogni tempo e luogo attraverso le membra del Suo Corpo, che è
la Chiesa, attraverso l’agire sacramentale e liturgico e, perciò, in modo
unico, tramite i suoi sacerdoti.
Non intendo, con questo, delineare una mera subordinazione
della vostra professione alla Missione ecclesiale, ma soltanto riconoscere, con
voi e per voi, come l’andare a fondo dell’opera artistica, sia un divenire
anzitutto “esperti” e, poi, ministri della Bellezza. È un incrementare la
vostra stessa vita, associarvi alla “bellezza” più autentica, che è l’opera di
Redenzione dell’umanità.
Afferma a tale riguardo San Tommaso d’Aquino che la
santificazione dell’uomo, avendo come scopo e termine il bene eterno della
deificazione dell’uomo, «è un’opera più grande della creazione del cielo e
della terra, la quale ha come termine un bene mutevole» [I,II q. 113, a.9]. La
Liturgia, perciò, è l’Opus Dei per eminenza che dà il vero senso dell’eternità
della persona.
Nello svolgere questo argomento, mi soffermerò,
fondamentalmente, su tre punti: il concetto di bellezza, la novità che
scaturisce dal Mistero dell’Incarnazione e le conseguenze che ne derivano per
la costruzione dell’edificio sacro.
1. Il concetto di
bellezza
In una concezione “laica” di bellezza, dalla quale siamo
sempre, in qualche modo, contaminati, potrebbe sembrare quanto meno curioso il
titolo dell’incontro odierno: “Ministri della Bellezza”. Come sarebbe possibile
infatti concepire un arte “a servizio” della bellezza? Ad alcuni pensatori pare
più razionale, piuttosto, pensare ad un arte che sia “artefice”, “creatrice” di
bellezza o, come è avvenuto sempre più diffusamente nell’epoca contemporanea,
lasciare che sia la scuola tecnica o addirittura la singola produzione
artistica a definire che cosa è “bellezza”. In questi anni, infatti, è palese
come quanto più il contenuto di una produzione umana risulta dipendente
dall’estro dell’artista, dall’autoreferenzialità del suo pensiero, tanto più
volentieri, a tale contenuto, si attribuisca il concetto di “bello”, anche
qualora esso risulti, in se stesso, logicamente incomprensibile, irreale e,
talvolta, esplicitamente negativo.
Questa idea “laica” appare, però, totalmente inadatta ad una
concezione autenticamente umana di bellezza e sembra derivare dalla crescente
disabitudine ed incapacità da parte dell’uomo di “ascoltare” la realtà ed il
proprio cuore.
La bellezza, infatti, secondo la concezione di San Tommaso -
una delle comprensioni più alte che l’animo umano abbia mai raggiunto di se
stesso e della realtà tutta - costituisce uno dei cosiddetti “trascendentali”,
cioè di quelle caratteristiche che sono proprie di ogni ente filosoficamente
inteso, l’uno, il vero, il buono ed il bello, appunto, e che derivano dal fatto
che il suo essere è “dato”, per partecipazione, da Colui che è lo Stesso Essere
Sussistente, cioè da Dio. Secondo tale concezione, quindi, la bellezza di un
ente risulta tanto più grande, quanto maggiore è la partecipazione di quell’ente
all’Essere di Dio.
Questa è la bellezza: il venire da Dio ed a Lui condurre!
E l’uomo è, nell’universo, l’unico, eccetto gli esseri
spirituali, che sia capace di riconoscere, in modo originario ed immediato,
tale bellezza, e quindi l’unico a poter ringraziare, lodare e servire Colui al
quale essa rimanda. E le realtà create rimandano il cuore dell’uomo al Creatore
di tutte le cose, attraverso la gratuità, che la loro esistenza è, e, insieme,
attraverso la loro bontà e verità, cioè attraverso il marchio che di Dio
portano con sé e che fece scrivere a San Giovanni Apostolo: «Tutto è stato
fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste» (Gv 1,3).
In questa concezione metafisica ed antropologica di
bellezza, quindi, risulta “bello” ciò che “naturalmente” rimanda a Dio, cioè
tutta la creazione, e, in modo eminente, l’uomo religioso, colui che, con la
propria libertà, riconosce ed ama il suo Creatore. Sempre in questa concezione
di bellezza, che mi sembra essere la più oggettiva ed universalmente
sperimentabile, l’uomo che cerchi di rendere presente, col proprio lavoro, la
bellezza contemplata, vi riuscirà nella misura in cui comprenderà, prima, e
riprodurrà nella propria opera, poi, la stessa dinamica comunicativa della realtà
creata.
Quanto detto circa la realtà della bellezza, oltre a
mostrarne l’intimo legame con la verità e la bontà, ne salva anche l’assoluta
oggettività: essa infatti non dipende più dall’arbitrio dell’uomo, secondo il
pensiero idealista che considera i trascendentali come strutture
dell’intelletto, ma dipende dallo stesso sguardo di Dio sulla Sua creazione: «e
Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,25).
In secondo luogo, tale concezione salva anche la nostra
soggettività, poiché le consente di uscire dal soffocante ripiegamento su se
stessa e di svilupparsi nella libera adesione a ciò che realmente le
corrisponde, e all’interno del quale soltanto essa può fiorire in modo prima
inimmaginabile.
2. La novità del
Mistero dell’Incarnazione
Ora, se quanto detto in estrema sintesi, corrisponde alla
realtà “naturale” della bellezza, con l’Avvenimento Cristiano assistiamo al
capovolgimento totale, paradossale, ma allo stesso tempo incredibilmente
delicato ed armonioso, del concetto stesso di bellezza. Si tratta di quel
Mistero che, nella Solennità odierna, la Chiesa ci invita a contemplare: «Angelus Domini nuntiavit Mariae, et concepit
de Spiritu Sancto». La Beata Vergine Maria, offrendo il proprio
incondizionato “sì” alla divina Volontà, concepì il Cielo nel suo grembo e,
così, la Realtà vera ed eterna, alla quale tutta la creazione da sempre
innalzava il proprio canto, in Maria, si è fatta presente alla maniera di tutte
le realtà create; la Bellezza si è fatta carne: «Et Verbum caro factum est» (Gv
1,14).
Dio, l’Eterno Presente, si è fatto presente in un modo
umanamente comprensibile, cioè materialmente osservabile e misurabile, ma, al
contempo, in un modo che eccede ogni umana misura. Credo di poter dire che
qualcosa di questo paradosso divino, sia riconducibile, da un punto di vista
fenomenologico, ad un aspetto particolare del Mistero dell’Incarnazione: il
Verbo di Dio, facendosi uomo, ha assunto, ha fatto “proprio” quanto c’è di più
“divino” nell’universo, di più originario ed imprevedibile, cioè un’autentica
libertà umana.
Nella libertà di un uomo, chiamato Gesù di Nazareth, duemila
anni fa, ha cominciato ad essere presente ed operante l’Essere stesso di Dio,
tanto che l’autore sacro ha potuto scrivere: «Noi abbiamo riconosciuto e
creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore» (1Gv 4,16) e, in un altro passo: «In questo si è manifestato l’amore
di Dio per noi: Dio ha mandato il Suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi
avessimo la Vita per Lui» (1Gv 4,9).
Nel dialogo d’amore con il Signore Gesù, con Colui che è, al contempo, il
figlio del falegname ed «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,3), gli uomini hanno cominciato
ad essere attirati dentro lo stesso dialogo d’amore di Dio.
Tutta la naturale bellezza dell’universo – adesso lo
sappiamo – canta il Santissimo Nome di Gesù di Nazareth, e ciò che vi è di più
“bello”, ora, è la realizzazione, in Cristo, della perfetta umanità, cioè della
perfetta Comunione della creatura con il suo Creatore. Se, infatti, nelle
realtà create, tra le quali spicca eminentemente l’uomo, ci è dato di
contemplare il “bello” – qualcosa che viene da Dio e che a Lui conduce –, nella
culla di Betlemme è offerta ai nostri occhi la stessa Bontà, la Verità, la
Bellezza che il nostro cuore oppresso, talvolta, immaginava di potersi procurare
da sé, ma di cui restava in definitiva privo.
Quindi, innanzitutto, quella Bellezza trascendente, che è
Dio stesso, ed alla quale prima non si poteva fare che un indiretto riferimento
– ogni umana definizione, infatti, si sarebbe automaticamente configurata come
atto idolatrico –, è divenuta toccabile, udibile, visibile, cioè umanamente
esperibile, in un uomo, in un volto: il Logos, per mezzo del Quale tutte le
cose sono state fatte, si è dato a noi in un punto del tempo e dello spazio
perché potessimo riconoscerlo con gli occhi della carne, ascoltarne l’amorevole
invito e, nella Sua sequela, ritrovare noi stessi, la nostra vera identità,
cioè la perfetta Comunione con Dio.
In secondo luogo, tale perfetta Comunione è stata realizzata
«a caro prezzo» (1Cor 6,20),
giungendo al suo culmine nell’obbedienza di Cristo «fino alla morte, e alla
morte di Croce» (cfr. Fil 2,8). Se,
infatti, l’unzione sacerdotale del Verbo di Dio è stata l’Incarnazione, il
perfetto compimento di tale consacrazione-unzione è costituito dal Sacrificio
della Croce, che consuma e trasforma, col fuoco dello Spirito, la carne assunta
da Cristo.
Quella disarmata Bellezza accolta dai pastori di Betlemme,
raggiunge il culmine nella Passione di Cristo, nella Sua morte violenta,
nell’obbrobrio della Croce! Quanto vi era di più riluttante per l’uomo, cioè la
morte, è diventato con Cristo la vera Bellezza, proprio per
quell’inscindibilità del bello dal vero e dal buono, i quali, nell’Amore
oblativo di Cristo, sono perfettamente compiuti.
Questa somma ed eterna Bellezza, che si è rivelata a noi nel
Mistero della Croce, e che ci raggiunge, per dono dello Spirito, nella
Risurrezione di Cristo, può essere riconosciuta e accolta dagli uomini, adesso,
nella Santissima Eucaristia. In essa, Cristo ha affidato Se stesso e, quindi, i
tesori della Salvezza, agli Apostoli ed ai loro successori.
In essa, il Signore Risorto è come crocifisso al nostro
presente e, così, ci attira dentro il Suo futuro.
Tale divina attrazione, poi, quasi naturalmente, ci conduce
ai piedi del confessionale, per consegnare le nostre resistenze ed il nostro
peccato e ricevere in cambio la rigenerazione del Perdono.
Prosegue così, nella storia, quel circolo virtuoso, quella
“scala di Giacobbe”, nella quale tutta la nostra personale esistenza, ogni
nostro atto ed ogni circostanza, vengono abbracciati e trasformati. È la
dinamica del vivo rapporto con Cristo, che la sacra Scrittura, ed in
particolare i santi Vangeli, contengono e trasmettono, e del quale i Santi sono
limpidi testimoni.
3. Conseguenze per
la costruzione dell’edificio sacro
Dopo quanto abbiamo detto sulla novità del Mistero
dell’Incarnazione, si comprende bene quale sia il compito del Sacerdozio
ministeriale, e come la vostra missione possa contribuirvi.
Compito dei Sacerdoti è rendere presente la Bellezza che
salva e offrirla agli uomini, dopo essere stati intimamente conquistati da essa
e sacramentalmente trasformati. Ciò avviene, in modo eminente, nell’Eucaristia
e nella Confessione sacramentale, nelle quali gli uomini, da duemila anni, si
recano “fisicamente” davanti al Signore e vivono di Lui.
Compito degli architetti e degli artisti, poi, sarà
innanzitutto lasciarsi coinvolgere da questa Bellezza, che suscita e permette
l’atto di fede, aprendo sempre più il cuore dell’uomo all’opera della grazia e
“trasferendolo” davanti alla Luce invisibile del Sacramento.
Gli artisti, possono e devono innanzitutto “fruire”
dell’Amore di Cristo, che li raggiunge tramite i Sacerdoti, sia divenendo
realmente presente sull’altare, sia abbracciando l’umana miseria nel Sacramento
della Riconciliazione.
In secondo luogo, a partire dalla vostra reale, ecclesiale,
ed insieme, personalissima accoglienza del Suo Amore, potrete comunicare
qualcosa di vero agli altri. Infatti, nessuno può condurre l’altro laddove egli
già non sia, ad una meta che non conosce. Nella misura in cui vi lascerete
coinvolgere dalla Bellezza del Salvatore, potrete condurre i nostri fratelli a
riconoscerla.
Aiuterete così anche i Ministri ordinati in una duplice
maniera: da un lato, accompagnando il loro annuncio, attraverso le
rappresentazioni artistiche della realtà di Cristo e del Suo dialogo con gli
uomini, così come i Vangeli scritti e quei Vangeli viventi che sono i Santi ci
testimoniano; dall’altro, sostenendo i Sacerdoti nella comprensione della loro
reale, nuova identità, così da poter essere accompagnati, anche dalla bellezza,
in quel cammino di assimilazione dell’essere sacramentale ricevuto, che nella
Celebrazione Eucaristica ha il proprio rinnovamento ed il proprio culmine.
Conseguentemente, proprio partendo dalla bellezza
ontologicamente intesa e dalla nuova concezione di bellezza derivante dal
mistero dell’evento storico di Cristo Signore, è necessario riconoscere come
l’Incarnazione, la Croce e l’Eucaristia – presenza del Risorto tra noi e nel
mondo – siano le tre “dimensioni” dello spazio sacro.
Questo non può essere a-storico, perché il cristianesimo è
una fede rivelata e perciò storica; non può essere de-forme, perché il Verbo si
è fatto carne in una “forma” determinata ed insuperabile: l’uomo; non può,
soprattutto, essere uno spazio a-polide, disorientato e disorientante, poiché
Cristo è il Sole di giustizia, la Via, la Verità e la Vita. Egli è
l’orientamento, la stella polare verso cui l’intera esistenza cristiana guarda
costantemente.
A Cristo anche ciascun sacerdote è chiamato a guardare,
soprattutto nella celebrazione dei divini misteri: la forma dello spazio sacro,
la luce, l’arte che in esso vive e che, nel contempo, gli dona vita, sostengono
un tale orientamento interiore innanzitutto del celebrante.
Lo spazio fisico della chiesa, che è sempre un segno
inequivocabile della presenza del mistero nel mondo, acquista in modo più pieno
e compiuto il proprio reale significato nella celebrazione liturgica. È differente
lo stare in una chiesa anche molto bella, ma “muta” ed il vivere in pienezza la
liturgia che in essa si celebra. Nella liturgia e della liturgia la chiesa
vive, anche come edificio! Le pietre, le forme, le statue, gli affreschi, i
dipinti, le vetrate, la musica, il canto, i gesti, tutto vive e riverbera nella
sacra liturgia.
Lo spazio sacro viene, così, trasfigurato dal rito e, in
particolare, da quel vertice sacramentale che è l’Eucaristia! Lo spazio è
trasfigurato nella “Gerusalemme celeste”, che è realmente presente nel
Sacramento e ci accoglie al proprio interno. Esso è chiamato a significare,
così, la “precipitazione” del Cielo sulla terra, nella quale il Mistero
percorre per noi quella distanza prima incolmabile.
D’altro lato il percorso di conversione e salvezza che
l’uomo è chiamato a compiere nell’incontro con Cristo, dilata lo spazio sacro
fino a quello specialissimo ed intangibile “spazio” che è la libertà umana.
Nessun architetto o artista dovrebbe mai dimenticare come il vero “spazio sacro”,
sul versante dell’uomo, sia quello della libertà e che mai, in alcun caso, la
realizzazione di uno spazio e di un opera d’arte dovrebbe avere come
conseguenza, anche solo percepita, la costrizione, l’oppressione della persona.
Lo spazio sacro è anche lo spazio antropologico ed entrambi
sono inseriti e donano significato allo spazio cosmico. Questo, anche se oggi è
così lontano dalla comune esperienza degli uomini, è, e rimane, essenziale,
anzi determinante, per l’incontro con la bellezza seconda e con il Suo
Creatore: la Bellezza prima.
Conclusione
Essere “ministri della Bellezza” significa, allora, essere
servi della bellezza; servi della bellezza in se stessa e, soprattutto,
dell’incontro degli uomini con la bellezza.
Mentre i sacerdoti, ministri per grazia ontologicamente
conferita ed essenzialmente differente, vivono e mostrano primordialmente la
Bellezza Divina attraverso l’annuncio della Buona novella e la celebrazione dei
sacramenti, tutti siete chiamati, in forza del battesimo e - è doveroso ricordarlo
- anche della comune ragione umana, a servire la bellezza come reale
possibilità di salvezza, come antidoto alla dispersione, al disorientamento,
allo smarrimento dell’io e del significato dell’esistenza.
Allora non sarete appena Architetti ed artisti, ma sarete
“collaboratori della gioia” degli uomini, perché ministri, servi della
bellezza! Ci assista la Vergine Annunziata, la Vergine del sì che, proprio per
questo sì, è Causa nostrae Letitiae!