Dalla «Centesimus annus» alla «Caritas
in veritate»
Una nuova
evangelizzazione del sociale
di S. E. Mons. Mario Toso
Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e
della Pace
Il prossimo 1º
maggio cade il ventesimo anniversario della Centesimus annus, l'enciclica che può essere ricordata come la charta
magna del nuovo ordine sociale dopo la caduta del muro di Berlino, ma che qui
segnaliamo come luogo in cui, con riferimento alla dottrina sociale, si
tematizza la coscienza di una nuova evangelizzazione del sociale. Un aspetto
importante anche per il prossimo Sinodo. Si tratta di una dimensione della
missione della Chiesa già messa in luce dalla costituzione conciliare Gaudium et spes.
La Centesimus annus, per articolare il
rapporto tra evangelizzazione e dottrina sociale, muove dalla precedente
enciclica Sollicitudo rei socialis.
Da questo
documento, infatti, si può evincere che la dottrina sociale è da considerare
strumento di evangelizzazione, parte integrante o elemento essenziale
dell'opera di evangelizzazione della Chiesa (cfr. n. 41).
Secondo la Sollicitudo rei socialis, la Chiesa
adempie il suo ministero di evangelizzazione in ambito sociale mediante la
dottrina sociale, attuando in tal modo la sua funzione profetica, che si
articola nel duplice momento dell'annuncio e della denuncia. Tramite la sua
dottrina sociale, la Chiesa evangelizza il sociale, inteso nel modo più ampio.
Dalla Sollicitudo rei socialis emerge, dunque,
che la dottrina sociale è frutto ed espressione dell'essere apostolico della
Chiesa, della sua missione redentrice. Infatti, compito primario della Chiesa è
quello di portare la salvezza a ogni uomo, a tutto l'uomo, considerato quindi
anche nella sua dimensione sociale. Per questo, la missione della Chiesa si
estende al sociale. Per questo, esistono il compito e la vocazione della Chiesa
all'evangelizzazione del sociale.
Nella Centesimus annus è confermato ed
espresso esplicitamente quanto la Sollicitudo
rei socialis afferma indirettamente, innestandolo però nel contesto
pastorale di una nuova evangelizzazione. E, così, Giovanni Paolo II scrive nei
primi paragrafi della Centesimus annus:
«La “nuova evangelizzazione”, di cui il mondo moderno ha urgente necessità e su
cui ho più volte insistito, deve annoverare tra le sue componenti essenziali
l'annuncio della dottrina sociale della Chiesa» (n. 5). Nel paragrafo 54,
invece, scrive che la dottrina sociale «ha per sé il valore di uno strumento di
evangelizzazione».
Per la prima
affermazione, la dottrina sociale della Chiesa è un elemento essenziale della
nuova evangelizzazione. La dottrina sociale non è facoltativa in ordine
all'attuazione della nuova evangelizzazione cui la Chiesa è chiamata. Pertanto,
pretendere di realizzare una nuova evangelizzazione senza l'annuncio e la
testimonianza della dottrina sociale equivarrebbe a realizzare una nuova
evangelizzazione monca. La ragione di ciò sta nel fatto che la nuova
evangelizzazione non può che essere annuncio di Gesù Cristo salvatore e
redentore di tutto l'uomo e, quindi, annuncio di Gesù Cristo salvatore e
redentore della vita sociale, delle varie società umane: la nuova
evangelizzazione comprende necessariamente l'evangelizzazione del sociale. Ecco
perché la dottrina sociale della Chiesa è da ritenersi, a suo modo, momento
essenziale della nuova evangelizzazione. Ecco perché la nuova evangelizzazione
ha tra i suoi momenti essenziali l'annuncio e la testimonianza della dottrina
sociale.
Per la seconda
affermazione, la dottrina sociale – come già rilevato presentando la Sollicitudo rei socialis – è
evangelizzazione, sia pure particolare: evangelizzazione relativa al sociale,
all'azione costruttrice di una società migliore. Proclamando la dottrina
sociale della Chiesa strumento di evangelizzazione, se ne evoca inevitabilmente
l'indispensabilità per la catechesi, per l'educazione cristiana in genere, per
la pastorale sacramentale, per la pastorale sociale: la dottrina sociale è uno
strumento o un elemento essenziale per l'educazione alla fede matura. Senza
l'apporto della dottrina sociale, non si può educare globalmente e far crescere
alla fede matura né i singoli credenti, né le comunità ecclesiali e religiose.
Con Giovanni Paolo
II viene così aperto non solo uno sguardo più profondo sulla dimensione
ecclesiale della dottrina sociale della Chiesa – infatti, se si afferma che
essa è elemento essenziale della nuova evangelizzazione, si afferma anche che
ogni comunità ecclesiale e ogni credente deve farsene carico – ma anche sulla
sua dimensione pastorale e pedagogica, sulle sue necessarie relazioni, secondo
reciprocità, con l'attività catechetica, liturgica, di servizio all'uomo.
In definitiva,
rapportando esplicitamente la dottrina sociale alla missione evangelizzatrice
della Chiesa, Giovanni Paolo II la radica maggiormente nel mistero di Gesù
Cristo. La considera frutto ed espressione della proclamazione e della
testimonianza dell'opera di salvezza di Gesù Cristo per ogni uomo, per tutto
l'uomo, per la società. Tramite la dottrina sociale, Gesù Cristo viene indicato
come Via, proclamato come Verità, comunicato come Vita nei confronti delle
realtà sociali (cfr. Centesimus annus,
3), compresi, ovviamente, la politica, lo Stato sociale e democratico. Con
l'annuncio e la testimonianza della dottrina sociale, la Chiesa non solo
evangelizza il sociale e lo rende più umano, ma mira a coinvolgere tutti gli
uomini, incamminandoli alla comunione con l'Uomo Nuovo, Gesù Cristo, il
ricapitolatore di tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In
altre parole, con la dottrina sociale la Chiesa si ripropone di affermare,
sempre più, il regno di Dio nel mondo.
Il Compendio rappresenta un'altra tappa importante della
riflessione ecclesiale sull'evangelizzazione del sociale. Chi lo prende in mano
e lo legge con attenzione si rende presto conto che esso è sviluppo coerente
dell'impostazione teologica, cristologica ed ecclesiologica dei documenti
conciliari e, in particolare, della Costituzione pastorale Gaudium et spes, sulla base di una visione di comunione e di
missione. Mentre riprende le principali tematiche sociali della Gaudium et spes aggiornandole,
integrandole, inserendo tra di esse (matrimonio e famiglia, progresso
culturale, la vita economico-sociale, la vita della comunità politica, la pace
e la comunità dei popoli), ad esempio, l'argomento o area della salvaguardia
dell'ambiente (cfr. capitolo decimo del Compendio),
riflessioni sugli organismi geneticamente modificati e sull'uso delle
biotecnologie (cfr. nn. 472-480), sull'uso dell'acqua, sulle unioni omosessuali
(cfr. n. 228), sul cosiddetto «diritto al figlio» (cfr. n. 235), sulla «guerra
preventiva» (cfr. n. 501). Secondo la riflessione conciliare e postconciliare
sulla natura e sulla missione della Chiesa, la comunità cristiana vive,
annuncia, celebra e testimonia nel tempo, e in diversi contesti, la totalità
della caritas Christi, nelle sue molteplici e correlate dimensioni. Vive questo
grande amore di Cristo mediante un ministero di diaconia globale all'uomo, alla
famiglia umana e al cosmo, esplicandolo e programmandolo come una nuova
evangelizzazione del sociale. L'evangelizzazione del sociale – espressione di
una comunità ecclesiale che fa memoria della rivelazione piena dell'Amore
trinitario offerta dalla Pasqua del Signore Gesù – intende annunciare e attuare
la vocazione di ogni uomo e di ogni società all'amore trinitario, inscritta in
essi da Dio creatore. L'Amore trinitario è origine e meta di ogni persona e
della storia tutta (cfr. Compendio,
n. 34).
Tale connotazione
trinitaria dell'evangelizzazione del sociale la rende naturalmente fautrice di
un nuovo umanesimo o, meglio, di innumerevoli progettualità e di umanesimi
integrali, solidali, aperti alla Trascendenza (cfr. Compendio, n. 7). Questi diffondono e incarnano negli ethos dei
popoli, nelle istituzioni, nella rete delle relazioni, una visione d'uomo e di
donna la cui perfezione e identità si compiono mediante il dono di sé, nel
mutuo potenziamento d'essere, vissuti in Cristo con la forza del suo amore.
Tramite un
umanesimo trinitario, le comunità o le varie organizzazioni sociali sono
costituite come ambienti in cui le persone sperimentano e sviluppano la loro
dimensione trascendente sia in senso orizzontale che verticale. Più
precisamente, si avvalgono di un'antropologia secondo cui la libertà della
persona non è radicale, incondizionata, indifferente al vero, al bene e a Dio,
bensì è una libertà che si sceglie come libertà per il vero, per il bene e per
Dio; per la comunione e per la cura dell'altro, sulla base di un'universale
tensione all'Amore, principio di quella legge morale naturale che norma
l'azione umana. La persona, oltre che un essere per se stesso, è un essere-per
.
All'inizio del
terzo millennio, in forza della globalizzazione e delle nuove scoperte
tecnologiche che la supportano si è costruito un mondo nuovo, con enormi
possibilità di sviluppo, di comunicazione e di interconnessione, ma anche di
disumanizzazione, di emarginazione dei più poveri.
Il rischio che sta
emergendo è che, come rileva
la Caritas in veritate, «all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i
popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle
intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente
umano» (n. 9). Detto altrimenti, il mondo, sottoposto a una progressiva e a una
pervasiva globalizzazione, si trova di fronte a un bivio: o un'esistenza di
maggior comunione, di unità, di condivisione e di inclusione, o essere un'umanità
divisa, estranea a se stessa, soggiogata da una nuova ideologia, tecnocratica e
materialistica, che rinchiude persone e popoli entro un destino di alienazione
quasi totale, perché impedisce di «incontrare l'essere e la verità» (n. 70).
Le ideologie non
sono, dunque, tutte tramontate. Ne sorgono di nuove, forse meno visibili ma non
per questo meno pericolose per la dignità della persona e per il destino della
stessa umanità. In particolare, la costruzione del mondo globalizzato sembra
avviata sui binari di una cultura universale che, a causa del primato accordato
alla tecnica, a ciò che è materiale e strumentale, riduce persone e popoli a
«cose», a «merci», a «prodotto» di un fare prometeico, espressione di una
libertà assoluta, slegata dai limiti che la stessa realtà impone.
Come ha mostrato
l'ultima crisi finanziaria, con i suoi eccessi e le sue devastazioni a catena,
l'umanità può essere davvero soggiogata da ideologie che ne interpretano lo
sviluppo in termini meramente tecnocratici, aventi come unici criteri di verità
l'efficienza e l'utilità. Alla base di simili distorsioni sta un errore
essenzialmente antropologico ed etico e, prima ancora, gnoseologico. Non a
caso, la Caritas in veritate rammenta
che la questione sociale, questione globale, è diventata radicalmente questione
antropologica (cfr. n. 75).
Uno dei segni più
evidenti della devastazione antropologica che investe il processo della
globalizzazione è dato, secondo Benedetto XVI, dalla esiziale separazione tra
etica della vita ed etica sociale. È questo un ambito in cui si possono meglio
cogliere la profondità dell'alienazione contemporanea e il danno radicale che
ne deriva per la stessa convivenza civile. Una società, sia essa piccola o
grande, non può sussistere come unione morale, non può cioè essere giusta e
pacifica, quando tollera le più diverse forme di disistima e violazione della
vita umana, soprattutto se debole ed emarginata (cfr. Caritas in veritate, 51).
Un mondo
globalizzato, animato da un umanesimo spiritualmente depotenziato, appiattito
su una concezione tecnicistica e materialistica della vita, cade nella
presunzione dell'auto-salvezza e finisce per promuovere uno sviluppo
disumanizzato. È in questo contesto che Benedetto XVI propone, in definitiva,
una nuova e grande evangelizzazione del sociale.
A fronte di una
globalizzazione che avvolge il mondo con le sue potenzialità positive, ma anche
con i suoi dinamismi negativi, mediante la Caritas in veritate, affida alla Chiesa e alle comunità il compito di
annunciare Gesù Cristo come Colui che, mentre salva l'umanità associandola alla
sua pienezza di vita e divinizzandola, contemporaneamente la purifica e la
libera, rafforzandola in quella capacità di ricercare il vero, il bene e Dio,
che è praticamente negata dalla cultura post-moderna e che, invece, costituisce
la base per umanizzare la globalizzazione in termini di unità e di progressiva
comunionalità.
L'evangelizzazione
del sociale, a cui fa appello Benedetto XVI, rimanda a eventi salvifici che
sono realizzati dalla potente mano di Dio creatore e redentore, e che
costituiscono, per tutte le persone e le generazioni, un dono che le precede,
fondativo del loro essere antropologico ed etico, forza propulsiva di riscatto:
Cristo è «globalizzato» sin dalla creazione del mondo; è Colui che sospinge
l'umanità, in cui è incarnato, all'unità fraterna, all'inclusione.
Parimenti,
l'evangelizzazione richiede, da parte delle comunità, un particolare impegno
missionario. Al «principio» della vita di Cristo offerta a tutti, seminata nei
solchi della storia, deve corrispondere l'organizzazione e l'attivazione di
un'evangelizzazione del sociale avente come suo elemento essenziale la dottrina
sociale della Chiesa. Mediante quest'ultima, la Chiesa annuncia la verità
dell'amore di Cristo nella società: tutti gli uomini, destinatari dell'amore di
Dio, sono «costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi
strumenti della grazia, per effonder la Carità di Dio e per tessere reti di
carità» (Caritas in veritate, 4).
Rispetto alla crisi
della ragione e alla conseguente perdita del telos, secondo la Caritas in veritate, è decisivo e
cruciale l'annuncio di Gesù Cristo. È indispensabile un'evangelizzazione del
sociale corrispondente. Non a caso Benedetto XVI, ricalcando le orme di Paolo
VI, afferma che esso è «il primo e principale fattore dello sviluppo» (n. 8).
(©L'Osservatore Romano 31 marzo 2011)