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Incontro con la Penitenzieria Apostolica

S. E. Mons. Celso Morga Iruzubieta

Segretario della Congregazione per il Clero

 

Cari amici sacerdoti che svolgete una missione così delicata e importante come penitenzieri di Roma, Diocesi del Successore di Pietro che presiede nella carità tutta la Chiesa universale.

 

Vi parlo come Segretario della Congregazione per il Clero, che per mandato del Santo Padre cura l’attenzione pastorale nei riguardi dei sacerdoti del mondo. Vorrei quindi improntare la mia relazione sulla vostra specifica missione in particolare come confessori dei sacerdoti che sono incardinati a Roma o lavorano abitualmente in essa o semplicemente di passaggio, pellegrini che ne approfittano per ricevere il sacramento della riconciliazione.

 

Come ben sapete, la Congregazione per il Clero ha pubblicato, nel 2011, il Sussidio per i confessori e i direttori spirituali, intitolato: “Il sacerdote ministro della misericordia divina. Sussidio per confessori e direttori spirituali”. Esso è offerto a tutti i sacerdoti come frutto dell’Anno sacerdotale, sulla scia  dell’esempio del Santo Curato d’Ars e di tanti sacerdoti santi lungo la storia della Chiesa.

 

Il sacerdote, amministratore del Sangue redentore di Cristo, ha bisogno lui stesso di ricevere il sacramento del perdono; ha bisogno di non trascurarlo consapevolmente. Se qualcuno nella Chiesa è chiamato a configurarsi interamente a Cristo affinchè la salvezza operata da Lui possa arrivare efficacemente a tutti, questi è proprio il sacerdote. La meta è l’identificazione non solo sacramentale ma anche vitale, morale con Cristo, mediante una profonda amicizia con lui, una sorte di amore innamorato. Il sacerdote deve vivere questa identificazione “ministrando”, ossia nello svolgimento fedele del suo ministero sacerdotale.

 

Il sacerdote si trova, possiamo dire, al centro, nel “bel mezzo” del dramma dell’amore di un Dio non corrisposto da parte degli uomini. Le parole della consacrazione, che lui pronuncia “in persona Christi”, durante la celebrazione della Santa Messa, sono di una profondità teologica eccezionale.

 

Il Santo Padre lo spiega molto bene nel secondo tomo di Gesù di Nazaret quando scrive che «Dio non può semplicemente ignorare tutta la disobbedienza degli uomini, tutto il male della storia; non può trattarlo come cosa irrilevante ed insignificante. Una tale specie di “misericordia”, di “perdono incondizionato” sarebbe quella “grazia a buon mercato” contro la quale Dietrich Bonhoeffer, di fronte all’abisso del male del suo tempo, si è a ragione pronunciato» (p. 151).

 

Il male, il peccato non può essere messo da parte come se non ci fosse, ignorato, lasciato stare. Deve essere vinto. Solo questa è la vera misericordia, la vera e unica bontà che non può essere in contraddizione con la verità e la giustizia.

 

Ora, sappiamo bene che l’uomo da sé non è in grado di mantenere questa fedeltà a Dio, questa santità, come ben lo dimostra la storia della prima alleanza del Sinai (Esodo 24,8) e tutta la storia dell’umanità. Egli ora, nella “nuova alleanza” (Geremia 31,31) nel sangue di suo Figlio, non agisce soltanto come Dio nei confronti degli uomini, ma anche come uomo nei confronti di Dio, fondando così l’alleanza in modo irrevocabilmente stabile. Per questo la figura del Servo di YHWH, che porta il peccato di molti (cfr Isaia 53,12) va insieme con la nuova alleanza – sangue sparso per molti – fondata in maniera indistruttibile. Questo innesto forte e perenne dell’alleanza nel cuore dell’uomo, dell’umanità stessa, si realizza nella sofferenza vicaria del Figlio che si è fatto servo.

 

Il sacerdote, ministro di questa “nuova alleanza” nel Figlio è nondimeno sottomesso al peccato, al tradimento, che in lui acquista una particolare importanza, gravità. Per questo, oltre ai restanti fedeli, i sacerdoti hanno bisogno di un’attenzione pastorale nei loro confronti più possibilmente personalizzata, soprattutto attraverso il sacramento della riconciliazione.

 

Quando un sacerdote si confessa deve sperimentare particolarmente che Dio è giusto, che non concede la “grazia a buon mercato” poiché essa è costata il sangue del Figlio. Tuttavia il Dio veramente giusto, mediante il sangue di Cristo, suo Figlio, è anche immensamente misericordioso, in quanto mi ama  in modo irrevocabilmente stabile.

 

Come ricordava il Santo Padre nel consueto incontro con la Curia Romana del 22 dicembre 2011 (Osservatore Romano, venerdì 23 dicembre 2011, p. 8), citando Josef Pieper, “nessuno può accettare se stesso se non si sente accettato da qualcun altro”. Solo a partire da un “tu”, l’ “io” può trovare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso. Questa legge insita nel cuore umano è piena veramente nell’amore di Dio. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente che “è bene che io sia”. Per questo nel sacramento della riconciliazione non è più importante il confessore o il penitente, ma Gesù Cristo, il Figlio di Dio che mi accoglie e mi perdona.   

 

Il Sussidio non vuol essere un trattato teologico sul sacramento della riconciliazione o sulla direzione spirituale, ma un invito ai sacerdoti a ricevere con frutto il sacramento del perdono e ad essere, a sua volta, docili strumenti per amministrarlo fruttuosamente.

 

In questa preparazione immediata all’Anno della fede (11 ottobre 2012 – 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re), indetto dal Santo Padre Benedetto XVI, sembra opportuno rilevare che il sacramento della penitenza - come tutti i sacramenti - sono sacramenti della fede. Alla base del Sussidio alleggia una verità teologica fondamentale: la Chiesa è sacramento primordiale di Gesù Cristo. Ciò vuol dire che la missione salvifica di Gesù Cristo è operante oggi nella Chiesa e attraverso la Chiesa. Cristo stesso, Buon Pastore, attualizza costantemente, nella Chiesa e attraverso la Chiesa, il mistero della Redenzione. Come scrive espressivamente il beato Isacco, abate del Monastero della Stella, applicando questa verità direttamente al sacramento del perdono:

 

         «due sono le cose che sono riservate a Dio solo: l’onore della confessione e il     potere della remissione. A Dio solo infatti spetta rimettere i peccati e perciò a     Lui ci si deve confessare. Ma l’Onnipotente, avendo preso in Sposa una debole         e l’Eccelso una di bassa condizione, da schiava ne ha fatto una regina e colei        che gli stava sotto i piedi la pose al suo fianco…E come tutte le cose del Padre     sono del Figlio e quelle del Figlio sono del Padre, essendo una cosa sola per        natura, così lo Sposo ha dato tutte le cose sue alla Sposa, e lo Sposa ha          condiviso tutto quello che era della Sposa, che pure rese una sola cosa con Se    stesso e con il Padre» (Dis. 11; PL 194, 1728-1729).

 

Senza questa convinzione di fede sul Cristo totale, nulla di quanto si afferma nel Sussidio avrebbe senso. Al sacerdote, come ministro esclusivo del sacramento, è affidata in prima persona questa gravissima responsabilità: che il Sangue di Cristo non diventi inefficace. Per i sacerdoti, come si afferma nella presentazione del Sussidio, «la riscoperta del sacramento della riconciliazione, come penitenti e come ministri, è la misura dell’autentica fede nell’agire salvifico di Dio, che si manifesta più efficacemente nella potenza della grazia, che nelle umane strategie organizzative d’iniziative, anche pastorali, talvolta dimentichi dell’essenziale».

 

Un suggerimento pratico che potrebbe aiutare il sacerdote in questo senso soprattutto nelle confessioni, durante quest’anno della fede, sarebbe ricordare al penitente, sia esso laico o sacerdote, con parole adeguate, che non è a lui che confessa i suoi peccati ma a Gesù Cristo; che non è lui che perdona, ma Gesù Cristo. All’ora di imporre la penitenza potrebbe essere utile la recita del Credo, o altre orazioni e letture che favoriscano atti espliciti di fede e di formazione nella fede.

 

Il risveglio della fede sarà poi il motivo fondamentale per suscitare vocazioni sacerdotali, problema fra i fondamentali in questo momento per la Chiesa.      

 

Sembra inoltre opportuno che nella confessione dei sacerdoti s’insista sull’importanza della formazione permanente, anche mediante la pratica della direzione spirituale, lo studio della teologia, in particolare della teologia spirituale, morale e pastorale. Il Sussidio si confronta con una realtà complessa e, allo stesso tempo, semplice: la persona umana, il fedele concreto, il sacerdote che deve essere formato in Cristo. La confessione sacramentale s’ispira sempre al mistero di Cristo, alla luce del quale si decifra il mistero dell’uomo (cf. GS 22). Il cammino della vita spirituale, proprio perché cammino di ricerca ed esperienza vissuta della verità, del bene e della bellezza, è intessuto d’armonia fra intelligenza, affettività, volontà e memoria. In tutto, bisogna tener conto del rapporto fra la grazia e la natura, includendo l’aiuto che possono prestare, in talune circostanze, le scienze umane. A tale proposito, sarebbe utile seguire quei documenti della Chiesa che presentano sia l’opportunità, che le condizioni, con cui possono essere usate.

 

Vorrei finire con le parole del Beato Papa Giovanni Paolo II, estese a tutti voi, con le quali desiderava: «rendere omaggio all’innumerevole schiera di confessori santi e quasi sempre anonimi, ai quali è dovuta la salvezza di tante anime, da loro aiutate nella conversione, nella lotta contro il peccato e le tentazioni, nel progresso spirituale e, in definitiva, nella santificazione. Non esito a dire che anche i grandi santi canonizzati sono generalmente usciti da quei confessionali e, con i santi, il patrimonio spirituale della Chiesa e la stessa fioritura di una civiltà, permeata di spirito cristiano! Onore, dunque, a questo silenzioso esercito di nostri confratelli, che hanno ben servito e servono ogni giorno la causa della riconciliazione mediante il ministero della penitenza sacramentale» (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, 29).