19 marzo
2012 – San Giuseppe
Citazioni di:
2S 7,4-5a.12-14a.16: www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9abuq4g.htm
Rm 4,13.16-18.22: www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9aufdqd.htm
Mt 1,16.18-21.24: www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9a10sxa.htm
www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9bfcvga.htm
Le più note virtù, riguardo san Giuseppe, sono
giustamente quelle dell’umiltà, della disponibilità al piano di Dio,
dell’obbedienza pronta e perfetta, del silenzio e della cura amorevole a Gesù e
a Maria. Per quanto riguarda il suo compito attuale, egli é venerato come
Patrono della Chiesa universale, titolo che fu ufficialmente riconosciuto nel
1847 dal Beato Pio IX. La predicazione si sofferma sulla grande devozione che
un numero molto elevato di Santi ha nutrito nei confronti del grande Patriarca
della fede, Giuseppe di Nazareth.
V’è, tuttavia, un aspetto che oggi viene di frequente
accantonato nello sguardo a San Giuseppe. Egli veniva ricordato anche come «Patrono
della buona morte».
La riflessione delle anime più sensibili, meditando
sulla sua figura, aveva infatti compiuto una lecita supposizione: ossia che san
Giuseppe fosse spirato della migliore delle morti possibili, tra le braccia di
Gesù e di Maria.
È noto come nei Vangeli, dopo l’episodio del
ritrovamento di Gesù dodicenne tra i dottori del Tempio, la figura del padre
putativo si eclissi. Ricorre ancora il suo nome sulla bocca della gente, quando
– meravigliata dagli insegnamenti e dai prodigi operati da Gesù – si chiede:
«Non è forse il figlio del carpentiere?». Però lui, san Giuseppe, non appare
più. La tradizione vuole che egli sia morto una volta espletato il suo ruolo, quello
di fare da padre in terra al Figlio di Dio.
Giuseppe deve aver lasciato la scena di questo mondo quando
Gesù giunse all’età della maturità, altrimenti, difficilmente si spiegherebbe la
sua assenza sotto la Croce del figlio; dunque, dev’essere morto prima che
Cristo iniziasse a predicare. San Giuseppe è morto avvolto dall’amore dei due
cuori più perfetti: il Sacro Cuore di Cristo ed il Cuore Immacolato di Maria.
Ecco perché egli, a buon diritto, può essere
considerato il “Patrono della buona morte”. Per il cristiano, infatti, non si
può immaginare morte migliore di quella in cui Gesù e Maria sono presenti e,
con il loro amore, accompagnano nell’ultimo passo dell’esistenza: quello più
difficile. Nei tempi antichi, ma infondo ancora oggi, poter morire nel proprio
letto, in casa propria, è considerato auspicabile. A ciò si aggiungono motivazioni
di fede: poter morire con la consolazione di Gesù e Maria. Nacque, così,
l’invocazione a san Giuseppe, al quale si chiede la grazia di poter spirare in
circostanze simili alle sue.
Negli ultimi decenni il tema della morte è stato
praticamente censurato dalla cultura dominante. Questo elemento rischia di
segnare profondamente anche la teologia e la predicazione liturgica. La morte è
uno dei temi quasi banditi dalle pubblicazioni e perfino dalle omelie
contemporanee. Eppure si continua sempre a morire. La morte è un problema
rimosso, non certo risolto.
Solo un’ideologica - e perfino ingenua ed irrealistica
- illusione continua a tenere la morte “lontana”
dalla nostra riflessione e dal nostro parlare. A causa di tale ideologia, anche
il patrocinio di san Giuseppe sulla “buona morte” è da tempo in ombra.
Paradossalmente sostituito dall’ideologia dell’eutanasia,
considerata la “nuova” buona morte!
Tuttavia, proprio nella moderna civiltà, resta la
violenza, la morte improvvisa, l’insicurezza diffusa e – ancor più – resta
sempre la necessità ed il desiderio di essere amati per sempre e di non morire mai,
né da soli.
Ancora oggi, anzi forse proprio oggi, è necessario
tornare a riflettere, a predicare e ad invocare il patrocinio di san Giuseppe,
affinché il Signore, per sua intercessione, ci conceda la grazia che – dopo una
vita degna del Vangelo – possiamo entrare nella luce, accompagnati da Gesù e
Maria, dai nostri cari, nella nostra casa, e dallo stesso Carpentiere di
Nazaret, che ci ha ottenuto tali celesti favori.
È questa la vera e sola “buona morte”, che introduce a
quell’orizzonte infinito e a quell’abbraccio con l’Essere che chiamiamo
Paradiso! (Cf. Spe Salvi n. 12).
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LA BELLEZZA DELLA PATERNITÀ
SACERDOTALE
Ti chiamano padre. E a te viene in
mente il Vangelo che dice: “E non chiamate nessuno "padre" sulla
terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo.” Eppure è ben
chiaro che il sacerdote vive un’autentica esperienza di paternità. Il sacerdote
è padre perché genera figli a Dio nel sacramento del Battesimo e li rigenera
nella confessione, li nutre nell’Eucaristia, li educa attraverso il fervore
di mille iniziative e mille occasioni di presenza e di incontro messe in
atto dalla Chiesa. E’ una grazia quando una comunità cristiana ritrova il suo
centro nella figura del sacerdote, e forse può accadere anche in un quartiere,
in un paese di campagna come in una parrocchia di città. C’è la Chiesa, ci sono
tutte le prestazioni offerte da una comunità ben strutturata, ma alla fine la
gente va in cerca di un volto, domanda una parola, uno sguardo, un’attenzione
particolare. Non viene solo a richiedere un documento o un’informazione, ma
domanda un rapporto, attende un cenno di dialogo, spesso invoca comprensione,
conforto, amicizia, accoglienza libera e gratuita, senza alcun giudizio o
condanna. Accade al sacerdote di prendersi a carico la vita delle persone,
accompagnandole in vicende delicate e difficili, nella tormentosa ricerca della
propria fisionomia, nella ricostruzione del proprio destino, nella ripresa di
rapporti vacillanti o interrotti. Le singole persone che si riferiscono al
sacerdote trovano a loro volta un nuovo motivo di rapportarsi tra di loro,
perché hanno in comune lo stesso riferimento, la stessa guida e sono avviate a
sperimentare una fraternità che supera il livello della carne e del sangue.
“Chi sono mia madre e i miei fratelli?”, domandava Gesù; e girando lo sguardo
tutt’attorno diceva: “Chi fa la volontà del Padre mio è per me fratello,
sorella e madre”. Da Cristo sgorgano una paternità e una fraternità senza
confine, che viene a manifestarsi in modo denso e vivo nel cerchio ristretto
delle persone che più frequentano la Chiesa, la messa, gli incontri, le
attività, ma si apre continuamente proprio in forza di questo primo cerchio:
attraverso le persone vicine si arriva sempre più lontano. Lo spazio si dilata,
perché – rimanesse il sacerdote nella stessa parrocchia per decenni – si aprono
sempre nuovi spazi umani, nella profondità insondabile del cuore delle singole
persone, e nella novità di ulteriori conoscenze.
Questa paternità del sacerdote, che
si nutre di libertà e germoglia nella fede, si coltiva nel rispetto e fiorisce
nell’amicizia e nella familiarità, è una pianta che non trattiene chi va
a posarsi sotto la sua ombra. Il prete non è una chioccia che copre i pulcini
sotto le ali. La gente non ti appartiene, così come nessun figlio appartiene ai
genitori. I figli dimostrano una vera maturità quando il rapporto con il padre
non diventa una dipendenza pesante, ma si esprime nella capacità di iniziativa
e nell’apertura verso nuove imprese. Una paternità matura del sacerdote lancia
i figli nella vita, li aiuta a spalancarsi al mondo intero, ad essere
‘universali’ secondo le dimensioni della Chiesa, Corpo di Cristo . Questo
dimostra nuovamente la verità della frase del Vangelo: “Non esiste che un solo
padre, Dio”. Il breve frammento di paternità che al sacerdote, per grazia, può
essere dato da vivere, è per generare figli a Dio Padre e alla Chiesa Madre. Ed
è per imparare nuovamente ad essere padri proprio perché a nostra volta ci
riconosciamo e viviamo come figli di Dio e figli della Chiesa. “Tam pater
nemo”: Nessuno è così padre come chi genera e fa crescere i figli non per sé ma
per amore al loro destino, consegnandoli al Padre che è nei cieli. Anche Papa
Benedetto, l’altra domenica, in una parrocchia di Roma si commoveva di fronte
alla gente che lo riconosceva come ‘papà’. Nella paternità del sacerdote, come
in ogni altra paternità e maternità che abita sotto il cielo, si riflette la
paternità di Dio. Non è stata questa la missione che Dio - in un modo
straordinario e misterioso - ha affidato a Giuseppe di Nazaret?