Santa Maria Sopra Minerva

Roma, 29 aprile 2012, h. 18.00

 

Solennità di Santa Caterina da Siena

Vergine, Dottore della Chiesa,

Patrona d’Italia e Compatrona d’Europa

 

Omelia

 

di S. Em. il Card. Mauro Piacenza

Prefetto della Congregazione per il Clero

 

[At 5,1-8; Sal 102; 1Gv 1,5-2,2; Gv 14,21-26]

 

 

X

 

«A Colui che ci ama e ci ha liberati […] con il suo sangue, a lui la Gloria e la Potenza!» (Ap 1,6).

La Chiesa ci offre, oggi, gli occhi della grande Santa Caterina, per guardare a Cristo come lei lo guardava!

Leggiamo, nel Dialogo della divina Provvidenza: «O misericordia! Il cuore ci s’affoga a pensare di te ché, ovunque io mi volgo a pensare - ovunque io mi volgo a guardare - non trovo altro che misericordia» (DdP, XXX).

Ciò che davvero conta, l’unica cosa che conta, la suprema è questo “affogarsi” del nostro cuore nella misericordia di Cristo.

Allora le tenebre della nostra vita divengono un fuoco di luce, «fuoco sopra ogni fuoco» ripete incessantemente santa Caterina; non c’è punto della realtà nel quale non rifulga, che non riverberi, questo splendore del gesto di Dio che dal nulla della nostra creaturalità e del nostro peccato, continuamente ci ricrea.

Affogare il cuore in questo sguardo che ovunque vede solo misericordia è riconoscere che tutto è “impastato” dal sangue di Cristo, dal sangue della sua commossa tenerezza per noi. I nostri rapporti e i nostri gesti, i nostri tempi e le nostre differenze, così come le nostre umane avversità, tutto è “impastato” e “legato” dal sangue di questa divina misericordia.

Questo era lo sguardo di Santa Caterina sulla realtà, anche sulla realtà travagliata della Chiesa del suo tempo, guardando alla quale, per qualche istante, potremmo essere addirittura consolati dalle nostre odierne tribolazioni.

Guardare così alla storia, guardarci così gli uni gli altri, crea la visibilità e la sperimentabilità della comunione, crea il punto decisivo della convivenza tra noi cristiani e, per mezzo nostro, tra tutti gli uomini, anche nella società civile, perché la Chiesa è questa realtà che noi siamo, “affogata” dentro la Misericordia, e che rende stimabile anche la realtà più istintivamente detestabile, perché «ovunque io mi volgo [...] non truovo che misericordia» ripete Caterina.

Misericordia che strappa dallo sguardo la cecità del pregiudizio, aprendolo alla domanda che questa misericordia vinca, vinca le tenebre che ancora rimangono tra noi e che ci impediscono di “affogare insieme” il cuore - insieme! - nella misericordia, e senza cui non c’è pace, cioè vera comunione.

Afferma ancora il nostro Dottore della Chiesa: «Gli occhi miei non si ristiano, ma dimandoti per grazia, che essi sieno fatti due fiumi d’acqua che esca da te, mare pacifico» (ivi, CXXXIV).

Il coraggio e la forza di questa straordinaria donna, capace di richiamare i potenti alla propria responsabilità e d’interloquire con il Sommo Pontefice - nel XIVmo secolo! -, sono i “due fiumi d’acqua” che “escono” unicamente da Dio, perché «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama» (Gv 14,22).

La verifica dell’amore è l’osservanza dei Comandamenti, è la fedeltà, è la promessa che Dio “si manifesterà” a coloro che lo amano, fino a “prendere dimora”, come fece in Santa Caterina.

«Tu misericordioso Padre, sempre m’hai invitata a costringere te, con spasimati, dolci, amorosi e dolorosi desideri, con lacrime, e con umile, continua e fedele orazione, per la salute di tutto quanto il mondo, e per la riforma della santa Chiesa dolce [...] e io miserabile mai non t’ho risposto, ma sono rimasta a dormire nel letto della negligenza [...] Tu dolcissimo Dio m’hai posta a reggere anime e m’hai dato tanti diletti figli e figlie, perché io li amassi di singolare amore e con sollecitudine li indirizzassi e guidassi per la via della verità, e io sono stata per loro specchio di miseria» (cit in. G. Papasogli, Sangue e fuoco sul ponte di Dio, Ed. Cateriniane, 1971, p. 408-409).

In queste parole, pronunciate negli ultimi istanti prima della sua morte, Santa Caterina, oltre a riassumere tutta la sua missione, esprime, ancora una volta, quel paradosso che accompagna tutti i Santi, tanto più evidentemente, quanto più sono grandi, come lei.

Il paradosso cioè che, quanto più la persona si è offerta totalmente a Dio, che l’ha presa, tanto più vede con chiarezza la propria miseria, il proprio limite e peccato.

Quanto più la luce di Dio si è manifestata, tanto più Santa Caterina si è paragonata ad uno “specchio di miseria”. È il realismo dei Santi!

Quel realismo per cui San Giovanni afferma: «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi».

La vita di Santa Caterina è stata totalmente segnata da questa ricerca della verità di Dio e di sé - «Tu sei quella che non è, Io sono Colui che sono» -, e ha potuto avere una coscienza profondissima della sua miseria, del suo essere fatta e salvata, istante per istante, da Dio che, solo, è.

Immersa in questa Verità di Dio e di se stessa, che non è astrazione, ma si è riversata su di Lei nel sangue umanissimo di Cristo, ha potuto vivere una vita di totale purezza: «Se camminiamo nella luce [...] il sangue di Gesù [...] ci purifica da ogni peccato».

Purezza di vita di cui la Chiesa ha sempre estremo bisogno!

Purezza di vita, non come mancanza di peccato, ma come speranza infinita per sé e per tutti; infatti, cammina nelle tenebre non semplicemente chi pecca, ma chi non immerge continuamente il proprio peccato nel sangue di Cristo, fonte unica di speranza: «Chiunque ha questa speranza in Lui [nel suo sangue], purifica se stesso come Egli è puro» (1Gv 3,3).

Una speranza in Dio che allora diventa creatrice di comunione con i fratelli, perché c’è comunione vera solo dove si spera per tutti, anche per coloro per cui sembrerebbe inutile sperare: «Se camminiamo nella luce [nella luce di questa speranza] siamo in comunione gli uni con gli altri».

Una comunione, quella fortemente perseguita da Santa Caterina, che ha rinnovato la Chiesa e il Papato, così come ha fatto sorgere attorno a lei quella numerosa schiera di amici, uno diverso dall’altro (teologi, politici, giuristi, artisti, gentiluomini e gentildonne, semplici popolani) che la circondavano di una tenerezza appassionata chiamandola “mamma”, “madre dolce e venerabile”.

Dalla sua coscienza di abissale miseria è scaturito così l’abisso di quella misericordia di Dio che ha il volto umano di una compagnia amica dentro la storia, che cambia la storia e che può cambiare anche il volto civile di una nazione.

Si è così adempiuto, nella Patrona d’Italia e Compratrona d’Europa, il compito supremo di ogni santità, quale che sia la sua forma; quel compito supremo che il Signore ha indicato per primo e che Santa Caterina ha fatto suo, come ultima preghiera a Dio, sul letto di morte, proprio guardando i suoi figli più cari, che le stavano vicini: «Padre, egli erano tuoi e tu gli desti a me, e io ora gli rendo a te. Tu Padre eterno gli governa e guarda, e pregoti che neuno me ne sia tolto dalle mani». (G. Papasogli, op. cit., p. 410).

Preghiamo per l’unità della Chiesa, con Pietro e sotto Pietro.

Preghiamo per l’unità e la concordia del nostro amatissimo Paese, e per l’unità cristiana delle nazioni europee.

Chiediamo che dai nostri cuori, “affogati” in Cristo, esca il “fragore” delle “grandi acque” della pace di Dio, che nasce dal sangue della sua misericordia e che, diventando possesso nostro, si riversa, da noi, come possibilità di pace per tutti.

Dare la vita perché si possano moltiplicare i “luoghi” e le “esperienze” di questa Misericordia, è l’invito che oggi Santa Caterina ci rivolge!

Viviamo perché sia presente quella misericordia che i nostri occhi desiderano, e già vedono e sperimentano nella Santa Chiesa, nostra Madre.

Chiediamo questo a Santa Caterina, a lei che è Patrona d’Italia, in questo momento così particolare e difficile per il nostro popolo.

Che non sia tolta questa possibilità. La possibilità di poter vedere ovunque la divina Misericordia.