Incontro con i Sacerdoti
Identità
– Idoneità – Celibato
di S.E. Mons. Celso Morga
1.
Identità
Benedetto
XVI, nel suo discorso ai partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione
per il Clero, il 12 marzo 2010, ha ricordato che «l’identità sacerdotale(…) è determinante per l’esercizio del sacerdozio
ministeriale nel presente e nel futuro» (ASS 102 [2010], 240). Queste
parole segnalano una delle questioni centrali per la vita della Chiesa circa la
comprensione del ministero ordinato, allo stesso modo in cui è questione
centrale per la vita della Chiesa comprendere qual è l’identità del cristiano.
Nell’attuale
clima culturale conviene ricordare che l’identità del sacerdote, come uomo di
Dio e uomo presso fra gli uomini per le cose che riguardano Dio (cf. Eb 5,1), non è qualcosa di superato. E’
sempre opportuno richiamare quegli elementi dottrinali fondamentali che sono al
centro dell’identità del presbitero – e perciò al centro del suo ministero,
della sua vita spirituale e della formazione iniziale e permanente – perché
aiutino ad approfondire il significato dell’essere
sacerdote per evitare, fra altre cose, concezioni “funzionaliste”.
E’
evidente che tale richiamo e chiarezza andrà in beneficio di tutto il Popolo di
Dio.
Nella
sua Esortazione Apostolica post-sinodale Pastores
dabo vobis, il beato Giovanni Paolo II disegna così l’identità sacerdotale:
«I presbiteri sono, nella Chiesa e per la
Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo, Capo e Pastore, ne
proclamano autorevolmente la Parola, ne ripetono i gesti di perdono e di
offerta della salvezza (cf. Mt 10), soprattutto col Battesimo, la Penitenza e
l’Eucaristia, ne esercitano l’amorevole sollecitudine, fino al dono totale di
sé per il gregge (cf. Gv 10), che raccolgono nell’unità e conducono al
Padre per mezzo di Cristo nello Spirito» (n.15).
Tuttavia,
l’intera Chiesa è stata resa partecipe dell’unzione sacerdotale di Cristo nello
Spirito Santo. Nella Chiesa, infatti, «tutti
i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali
per mezzo di Gesù Cristo e annunziano le grandezze di Colui che li ha chiamati
per trarli dalle tenebre e accoglierli nella sua luce meravigliosa (cf. 1Pt 2,5.9)» (PO, 2). In Cristo, tutto
il suo Corpo mistico è unito al Padre per mezzo dello Spirito Santo, in vista
della salvezza di tutti gli uomini.
La
Chiesa, però, non può condurre avanti autonomamente tale missione: la sua
intera attività necessita intrinsecamente, vitalmente, dell’unione e comunione
con Cristo, Capo del suo Corpo. Essa, indissolubilmente unita al suo Signore, da Lui stesso (senza intermediari,
possiamo dire) riceve costantemente l’influsso di grazia, di vita e di verità,
di guida e sostegno (cf. Col 2,19)
perché possa essere per tutti e per ciascuno «il segno e lo strumento dell’intima unione dell’uomo con Dio e
dell’unità di tutto il genere umano» (LG,1).
Il
sacerdozio ministeriale trova la sua ragion d’essere in questa prospettiva
dell’unione vitale ed operativa della Chiesa con Cristo. In effetti, mediante
tale ministero, il Signore continua ad esercitare in mezzo al suo popolo quell’attività
sacerdotale che soltanto a Lui appartiene
in quanto Capo del suo Corpo. Pertanto il sacerdozio ministeriale rende
tangibile l’azione propria di Cristo Capo e testimonia che Cristo non si è
allontanato dalla sua Chiesa, ma continua a vivificarla con il suo perenne
sacerdozio.
Per
questo motivo, la Chiesa considera il sacerdozio ministeriale di alcuni suoi
fedeli – purché continuino ad essere fedeli – un dono essenziale a Lei elargito
da Cristo.
2. Idoneità
L’identità
del sacerdozio ministeriale condiziona essenzialmente l’idoneità per la sua
recezione, attraverso il sacramento che è il secondo grado dell’Ordine, e per
il suo esercizio. Bisogna che i fedeli chiamati al ministero siano in grado di
essere ripresentazione sacramentale di
Cristo Capo e Pastore fra i suoi fratelli. Il concetto canonico d’idoneità è esposto
dal canone 1029 (CIC): «siano promossi
agli ordini soltanto quelli che, per prudente giudizio del Vescovo proprio o
del Superiore maggiore competente, tenuto conto di tutte le circostanze, hanno
fede integra, sono mossi da retta intenzione, posseggono la scienza debita,
godono buona stima, sono di integri costumi e di provate virtù e sono dotate di
quelle altre qualità fisiche e psichiche congruenti con l’ordine che deve
essere ricevuto». Sono condizione di natura e di grazia del candidato all’Ordine
sacro che la Chiesa esige per legge.
Per
sapere cosa s’intende per «fede integra» bisogna considerare il canone 750 CIC
il quale afferma che hanno fede integra coloro che credono alle cose contenute
nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte come divinamente
rivelate dal magistero solenne della Chiesa o dal magistero ordinario e
universale; e nel § 2 fa riferimento a quelle verità proposte definitivamente
dal magistero della Chiesa che sono «richieste
per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede».
La
«retta intenzione» rimanda al canone 1051 CIC, che giudica l’attitudine ad
esercitare il ministero sacerdotale come retta dottrina, pietà genuina, buoni
costumi. Per alcune indicazioni sul modo di preparare le relazioni informative
per gli Ordini, cf. Congr. per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti
del 10.10.1997: Gli scrutini
sull’idoneità dei candidati agli ordini (Notitiae 33, 1997, pp.504-506 e 516-518).
Il
canone 1041 CIC precisa inoltre che: «sono
irregolari a ricevere gli ordini: §1 chi è affetto da qualche forma di pazzia o
da altra infermità psichica per la quale, consultati i periti, viene giudicato
inabile a svolgere nel modo appropriato il ministero». Non si parla di
difetti fisici come irregolarità o impedimenti, anche se il can. 1029 vi fa
riferimento, come abbiamo visto.
Riguardo
a ciò, la diversità di caratteri, le differenze culturali ecc. possono variare
molto, essendo la Chiesa cattolica veramente universale, trattandosi di uomini
delle più diverse parti del mondo, di culture ed estrazioni sociali molto
diverse, anche se a causa della globalizzazione ormai tutto sembra uniformarsi.
Una
cosa importa rilevare: il Signore – sono convinto – se i formatori sono attenti
e loro stessi centrati sulla propria vocazione, offre segni sufficienti per
giudicare, non con sicurezza assoluta che logicamente non esiste in questo ambito,
ma con sufficiente certezza morale (“prudente
giudizio”) sulla vocazione dei candidati affidati alle loro cure.
Bisogna
tener presente il principio stabilito, con tutta la tradizione ecclesiale-
canonica, dal decreto conciliare Optatam
totius n.2, e cioè che la vocazione al sacerdozio ministeriale non precede
la libera scelta del superiore ecclesiastico. Non c’è un diritto all’Ordinazione.
Per questo anche il canone 1030 CIC stabilisce una norma sorprendente: il Vescovo
proprio o il Superiore competente possono interdire l’accesso al presbiterato, o
al diaconato, anche per una causa canonica occulta, salvo ricorso a norma di
diritto.
Questo
principio è un’enorme responsabilità per i formatori e, in ultima istanza, per
il Vescovo o Superiore, ma anche un’esigenza molto forte di sincerità piena da
parte del candidato.
In
caso di dubbio, è meglio seguire la via “tutior”,
la via più sicura che, in questo caso, è procrastinare l’ordinazione o non
concederla definitivamente, cercando sempre il bene e la felicità autentica del
proprio candidato e il bene della Chiesa.
I
canoni attenenti a questo tema sono fondamentalmente i nn. 1029, 1031, 1034,
1036, 1037. Per gli impedimenti il can. 1041.
Naturalmente
sarà facile giudicare dell’idoneità alla negli anni a venire, ma problema sta
nel giudicare correttamente prima dell’ordinazione, quando ancora la persona
non ha vissuto o sperimentato il ministero sacerdotale.
3. Celibato
Un
aspetto importantissimo dell’idoneità per il presbiterato nella Chiesa latina è
giudicare sulla recezione da parte del candidato del carisma della continenza
perpetua e perfetta per il Regno di Dio che fonda la legge del celibato (cf.
can. 277 §1 CIC). Siamo tutti convinti che si tratti di un dono particolare di
Dio per aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e dedicarsi più
liberamente al servizio di Dio e degli uomini. E’ un atto sommo di carità –
dono totale di sé – alla stregua del martirio, come affermano alcuni Santi
Padri.
La
Chiesa è decisa a preservare immutata la disciplina del celibato sacerdotale e
ha affermato molte volte in questi ultimi tempi questa decisione, quale bene
prezioso per l’intera Chiesa e per il nesso esistente tra celibato sacerdotale ed
Eucaristia (Esort. apost. Sacramentum
caritatis, 24).
Nella
ripresentazione sacramentale di Cristo, nella trasformazione e configurazione
misterico-sacramentale del sacerdote con Cristo si inserisce il carisma della
perpetua e perfetta continenza per il Regno dei cieli che la Chiesa chiede ai
suoi ministri. Non è soltanto una legge o disciplina ecclesiastica, né una
legge o disciplina tardiva (Pio XI), è piuttosto una forza meravigliosa per un
ministero sacerdotale fecondo, e tante figure sacerdotali, anche del nostro tempo,
lo dimostrano.
Allo
stesso tempo, è un tesoro portato “in
vasi di argilla” e, quindi, bisogna considerare che la debolezza umana può
essere fonte di scandali e di danno molto grave per il Popolo di Dio. Si esige,
quindi, un discernimento accurato. Ricordiamo l’episodio biblico di Gedeone, nel
quale il Signore fa toccare con mano che non è la forza militare e numerica dei
combattenti quella che darà la vittoria, ma il Suo aiuto (Gdc 7). La convinzione della bellezza e della somma convenienza del
celibato nel sacerdozio ministeriale non impediscono rendersi conto fino in
fondo della sua difficoltà, soprattutto in una cultura come quella odierna,
impostata ad una libertà senza responsabilità, alla concezione dell’“amore”
come uguale a “sesso senza limiti”.
Se
si riduce l’esigenza di una vita interiore autentica (la preghiera, la santa messa,
l’ufficio divino, la confessione, la direzione spirituale, la devozione a
Maria…) le conseguenze arrivano in modo quasi infallibile: compensazioni
affettive, svuotamento interiore, mancanza di fecondità apostolica, tristezza
ecc.