Convegno per i Vescovi ordinati nell’ultimo anno

Martedì, 18 settembre 2012 – ore 7.30

 

Messa votiva per la Santa Chiesa

 

Omelia

 

di S. Em. R. il Cardinal Mauro Piacenza

Prefetto della Congregazione per il Clero

[1Tm  3,1-13; Sal 100; Lc 7,11-17]

 

X

 

 

«Noli flere»… «Non piangere», «Donna, non piangere»!

Come si può dire ad una madre, vedova, che ha perduto il suo unico figlio: «Non piangere»?

Chi può avere una tale, inaudita, pretesa?

Eppure, quel giorno, nel trambusto di un corteo funebre, nell’innalzarsi di strazianti lamenti, Gesù ha colto lo sguardo e il dolore di una madre, se ne è fatto carico, lo ha abbracciato, svelando, a quel dolore inconsolabile, un nuovo, inatteso orizzonte: «Donna, non piangere».

La condivisione del bisogno dell’altro, la partecipazione alla sua storia è sempre qualcosa che genera stupore e gratitudine, ma quando è Dio stesso a condividere la nostra storia e a parteciparvi, come “dal di dentro”, tutto cambia! Improvvisamente, la prospettiva si dilata, assumendo un orizzonte prima inimmaginabile.

«Donna, non piangere».

Se si trattasse, soltanto, di una umana consolazione, del tentativo di distrarre la madre dal suo dolore, la frase risulterebbe persino irritante e sarebbe, in ogni caso, incapace di portare speranza o conforto.

Ma è Gesù a dire: «Donna, non piangere», è Lui ad abbracciare interamente il dolore di questa madre, assumendolo su di sé, partecipandovi dall’interno ed aprendolo, con uno squarcio improvviso, alla prospettiva di una vita nuova.

È proprio tale prospettiva a giustificare il monito: «Non piangere»! La risurrezione del figlio della Vedova di Naim è anticipazione di quella vita nuova che la risurrezione di Cristo ha inaugurato e che, attraverso la Sua permanente azione, nel Corpo della Chiesa, è costantemente offerta a tutti gli uomini.

 

È questo, carissimi Confratelli, uno dei principali compiti del Vescovo nella sua Chiesa particolare: essere araldo della fede, indicando, anche nelle situazioni più drammatiche, quel nuovo orizzonte, a cui la fede dilata la mente e il cuore, e che, solo, è capace di consolare realmente le nostre esistenze.

Per tale ragione, il nostro ministero episcopale ci domanda di vivere il primato della fede, il primato del rapporto con Dio, dal quale ogni altro rapporto prende forma e significato.

Incontrando quotidianamente coloro che ci sono affidati, dovremmo poter ripetere, con la vita, prima che con le parole: «Non piangere»! Come un’eco, altrettanto forte, ma forse ancora più drammatica, della parola che ha caratterizzato l’intero pontificato del Beato Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura»!

Solo di fronte alla certezza di una Presenza, solo di fronte alla certezza che la morte non è l’ultima parola sull’esistenza umana, solo di fronte alla certezza che il male – presente in noi e intorno a noi – non può vincere, finché saremo capaci di affidarci alla divina Misericordia, solo davanti a Cristo, Risorto e Presente, è possibile indicare agli uomini che la loro vita ha un senso, che sono stati creati per un disegno grande d’amore, che la loro libertà è amata e che c’è un Dio Creatore, capace di condividere la loro fatica e il loro dolore, assumendoli, salvandoli ed introducendo, così, ciascuno nella prospettiva di una vita piena, di una vita eterna, di una vita così vita che non può finire, mai, nemmeno davanti ad un grande dolore!

 

Da questo annuncio non sono certamente esclusi i nostri sacerdoti, quelli che il Signore ha affidato alla nostra paternità e quelli che ci darà la grazia di ordinare.

Anche il Presbiterio ha estremo bisogno di riconoscere, nel Vescovo, il prototipo della fede, colui che, più di tutti e prima di tutti, ha, su ogni realtà, un giudizio di fede; colui che è capace di penetrare, fino ad abbracciarlo, il cuore dei suoi preti, leggendone fatiche, comprendendone le debolezze, correggendone gli errori e, soprattutto, riproponendo, costantemente, le ragioni per vivere un’esistenza credente e totalmente donata, nel Ministero.

Tutte le belle qualità del Vescovo, elencate nella prima lettura, che imploriamo ci siano donate dallo Spirito e siano accolte dalla nostra libertà, non sono un estetico esercizio di virtù moraleggiante, o un invito spiritualistico, ma devono essere al servizio della fede di coloro che ci sono affidati, devono facilitare l’assenso della loro mente e del loro cuore, sia per la credibilità delle nostre persone, sia per la trasparenza della nostra fede.

Ad un Vescovo autenticamente credente, il Presbiterio – e il Popolo di Dio – può anche perdonare qualche errore, umanamente comprensibile! Ma quale sarà il danno per coloro che ci sono affidati, se non indicheremo con certezza la grande prospettiva che Cristo ha introdotto nel mondo, entrando Egli stesso nella storia e generando, per tutti gli uomini, la possibilità di una nuova compagnia alla loro vita, di un luogo e di uno spazio, nei quali la vita sia abbracciata, amata, sostenuta e curata.

Questo spazio – lo sappiamo – è lo stesso Corpo di Cristo!

è la Chiesa, di cui, per grazia, siamo Apostoli.

Solo chi sente rivolta alla propria vita una così consolante parola: «Non piangere», è capace di rivolgerla ai fratelli!

Solo vivendo quotidianamente la consolazione della Presenza di Cristo, specialmente nella Celebrazione del Sacramento dell’Eucaristia, è possibile offrire le nostre esistenze, affinché siano autentici fari per le esistenze dei fratelli.

 

Immaginiamo lo stupore, quasi lo sgomento, dei discepoli di Gesù, che udirono, per la prima volta, l’invito del Maestro: «Non piangere», e immaginiamo, ancora di più, quale gratitudine può essere nata in loro, di fronte al miracolo compiuto dal Signore.

In Cristo, non solo la Parola è proclamata, ma si invera, diviene storia, diviene carne, e noi siamo testimoni di questa “continua incarnazione”, della quale la Chiesa, che amiamo appassionatamente e vogliamo servire fino all’ultimo respiro, è il segno tangibile.

 

Carissimi Confratelli, noi condividiamo, lo sapete bene, il compito di questa testimonianza con il nostro Presbiterio, formato non da sudditi, ma da figli adulti, che non domandano di meglio di poter avere un padre, un padre innanzitutto nella fede, che indichi loro, costantemente, una prospettiva credente, perché anch’essi, confermati nella fede, possano indicarla agli altri fratelli.

Viviamo tutte le virtù, indicate dall’Apostolo, nel nostro ministero e domandiamo anche ai nostri sacerdoti un’esemplarità di vita, che noi per primi vogliamo e dobbiamo abbracciare.

Ma soprattutto, domandiamo, a noi stessi e al nostro Presbiterio, il dono di una professione di fede autentica, profondamente comunionale ed ecclesiale, nella certezza che solo l’appartenenza piena a quella compagnia, che è la Chiesa, permette agli uomini di essere introdotti nella medesima comunione e di poter vedere, a propria volta, quell’orizzonte di vita nuova, che giustifica la parola: «Non piangere».

 

Imploriamo dallo Spirito Santo, per intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli, ogni umana ed ogni teologale virtù, nella consapevolezza che la Madre, sotto la Croce, ha udito dal Figlio la medesima parola: «Non piangere», e vi ha creduto perché, accanto a Lei, c’era Giovanni, un Apostolo!