Basilica Papale di San Paolo Fuori le Mura

Sabato, 29 settembre 2012, ore 17.00

 

Santa Messa nella XXVI Domenica del Tempo Ordinario

Ordinazione presbiterale di Dom Roberto, O.S.B.

 

Omelia

 

di S.Em.R. il Card. Mauro Piacenza

Prefetto della Congregazione per il Clero

[Nm 11,25-29; Sal 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48]

 

X

 

«In quei giorni, il Signore scese nella nube e parlò a Mosè: tolse parte dello spirito che era su di lui e lo pose sopra i settanta uomini anziani» (Nm 11,25).

 

L’effusione dello Spirito, che tra breve invocheremo sul nostro fratello e che verrà a lui comunicato attraverso l’imposizione delle mani, è sempre un dono partecipativo. Solo su Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, riposa la pienezza dello Spirito Santo, il quale è sempre lo “Spirito di Cristo” e del quale, per Sua stessa volontà, il sacerdote è reso partecipe.

Quasi profetizzata dall’episodio narrato nel Libro dei Numeri, la Pentecoste è effusione dello Spirito sulla Chiesa e sul Collegio degli Apostoli, i quali, per mandato di Cristo, partecipano il dono ricevuto ai Presbiteri, loro primi collaboratori.

Con la consacrazione monastica, la vita del nostro Dom Roberto è interamente consacrata a Dio, in un cammino di testimonianza e totale dedizione, che è risposta ad una specifica chiamata e che, già in se stesso, ha un significato compiuto.

Tale dono viene come perfezionato dall’Ordinazione sacerdotale, che pone il monaco ancor più al servizio di Dio e lo rende capace di compiere quegli atti di ministero, che sono sempre, radicalmente, al servizio della Chiesa tutta.

Ogni Celebrazione eucaristica, ogni assoluzione donata ai fratelli ha, infatti, un valore universale ed un effetto di grazia irriducibile, sull’intero Corpo di Cristo.

Come il cuore di ogni sacerdote, anche secolare, è chiamato ad essere un cuore monastico, a vivere un desiderio ed un proposito di radicalità, capaci di essere reale testimonianza nel mondo, così il cuore di ogni monaco è chiamato a portare – e realmente porta – la sollecitudine per tutta la Chiesa. Una sollecitudine non solo orante, ma anche celebrante, santificante e, perciò, salvifica.

La magnanimità dell’invocazione del Patriarca Mosè dice dell’abbondanza dei doni dello Spirito: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il Suo Spirito» (Nm 11,29). Un abbondanza, della quale, ancora oggi, facciamo concreta esperienza nel dono inestimabile offerto al nostro Fratello Dom Roberto, per l’utilità comune.

Se il monastero, come dice il Santo Padre Benedetto nella Regola, è “scuola del servizio divino” (cf. La Regola, XLV), con l’Ordinazione sacerdotale, il nostro Dom Roberto è costituito in una dimensione nuova di quel servizio, grazie alla quale, oltre ad essere e a mostrarsi come discepolo e servo del Maestro, è e dovrà mostrarsi anche come Alter Christus. Certamente il discepolo non è mai più del Maestro e, dunque, tutti siamo all’umile sequela del Signore.

Nell’Ordinazione sacerdotale di un monaco, tuttavia, rifulge in modo oggettivo quella testimonianza, che deriva dalla evidente convergenza tra la donazione totale di sé, nella soave “schiavitù divina”, e la configurazione ontologica a Cristo Sacerdote, Re e Profeta, che l’imposizione delle mani determina.

Qual è – potremmo chiederci – il compito principale di un monaco?

E qual è, per conseguenza, il compito di un sacerdote monaco?

Senza dubbio e senza esitazione, ad entrambe le domande, rispondiamo: la preghiera! È la costante intercessione, per gli uomini e per la loro salvezza, al cospetto del Padre, tenendo le mani alzate, perché il male e la morte non abbiano mai la meglio sui fratelli.

A ben guardare, «il centro di tutto l’impegno pastorale di Gesù Cristo erano le sue notti di preghiera sul monte, solo con il Padre. Da una tale notte vissuta nel Tu per Tu con il Padre, è nata la chiamata dei Dodici. In un tale stare sul monte, Egli ha visto come la nave della Chiesa si affatica sul lago, sulle acque di questo mondo e, lottando con il vento contrario, non avanza e sembra affondare. Egli ha dato e dà tuttora alla nave un nuovo slancio» (J. Ratzinger, Omelia nella Santa Messa di Ordinazione sacerdotale, Abbazia di Mariawald, 15 settembre 1991).

Slancio che, solo in un profondo spirito di orazione, è possibile cogliere e che, solo nella preghiera, si mantiene vivo. Un ministero senza preghiera è come una nave nelle cui vele non soffia il vento: è destinata a stagnare, a non condurre da alcuna parte e ad essere, in definitiva, in balía delle onde del mondo e delle mode culturali.

Solo la preghiera incessante permette allo Spirito di gonfiare le vele della Chiesa, delle nostre stesse esistenze e, attraverso di esse, di quanti incontriamo nell’esercizio del ministero.

Per poter essere davvero in mezzo alla gente, è sempre più urgente e necessario “salire sul monte”! Per poter parlare di Dio è indispensabile parlare a Dio!

La prima e più intima funzione del ministero sacerdotale, infatti, è «comprendere e accogliere le cose umane e trasformarle in preghiera, in modo che ciò diventi un grido davanti al volto di Dio, un grido che, toccando il suo cuore, sempre di nuovo lo induce a discendere, a venire in mezzo a noi per redimerci» (Ibidem).

Da oggi in poi, carissimo Dom Roberto, Ti è conferito il potere di “indurre Cristo a discendere”. In ogni Celebrazione eucaristica, attraverso le Tue parole, pronunciate in Persona Christi Capitis, il Risorto si renderà realmente Presente nella Chiesa, in quel modo misteriosissimo e reale che è il Pane di Vita eterna, Sacramento di Salvezza, fino alla consumazione della storia.

“Indurre Cristo a discendere” è un’espressione che potrebbe apparire paradossale, se non fosse fondata sulla Volontà del Signore, che, la notte in cui fu tradito, spezzò il pane e comandò ai Suoi discepoli: «Fate questo in memoria di Me». È Egli stesso che comanda ad ogni sacerdote di “indurLo a discendere” sul mondo, quale Fiume di grazia, Fonte di salvezza, Cibo di Vita eterna e vera Speranza delle genti.

Come non obbedire ad un tale comando del Signore?

Come lasciare passare un solo giorno della nostra vita sacerdotale, senza “indurre Cristo a discendere” nel mondo e nella storia, tra le piccolezze e le miserie umane, per salvarci ancora, per pronunciare, ancora una volta, un definitivo giudizio di Salvezza?

La preghiera di intercessione del monaco diviene allora perfetta nell’oblazione eucaristica, vertice di ogni preghiera e partecipazione reale alla preghiera che Cristo innalza al Padre, rendimento di grazie per la prossimità del Mistero alla vita degli uomini e per la Sua totale dedizione alla nostra Salvezza.

Una tale consapevolezza del Mistero che è posto nelle nostre mani e, conseguentemente, della nostra condizione, determina quell’attenzione al reale, ai dettagli del reale, che così fortemente ed efficacemente colpisce i nostri fratelli: in un tempo, nel quale tutto e tutti corrono vorticosamente e pare regnare, in ogni ambito, la mediocre legge dell’approssimazione, la stabilitas, la fedeltà, il silenzio e l’attenzione al reale, fino ai suoi apparentemente trascurabili dettagli, risultano essere, soprattutto nel rapporto interpersonale, elementi di testimonianza particolarmente efficaci.

Anche in questo, nella pagina evangelica ascoltata, ci è Maestro il Signore: «Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio Dom Roberto perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa» (Mc 9,45).

Nulla andrà perduto! Nemmeno un bicchiere d’acqua. Nessun atto dell’uomo, nessuna opera, nessuna parola, nulla di ciò che noi siamo andrà perduto, a condizione che sia chiara la ragione: «perché siete di Cristo»!

L’appartenenza a Cristo, che oggi, nell’Ordinazione presbiterale, riceve il suo sigillo sacramentale definitivo, è elemento costitutivo dell’intera esistenza ecclesiale e sacerdotale.

La Chiesa non appartiene agli uomini e non può obbedire al gusto o alle mode transitori, non si può piegare alla cultura dominante, perché, appartenendo al mondo, cesserebbe di appartenere a Cristo, mentendo su se stessa agli uomini.

Al contrario, più la Chiesa apparterrà a Cristo e si sforzerà di essere radicalmente fedele al suo Signore, più essa sarà vicina agli uomini, i quali non le domandano altro, se non di “far vedere Gesù” (cf. Gv 12,21).

Per questo, guai a coloro che “scandalizzano uno di questi piccoli” (Mc 9,47) e non solo per scandali “morali”, ma anche – e più radicalmente – per tutti quegli scandali che nascono dall’anemia di fede, da una concezione mondanizzata e funzionalistica dell’agire ecclesiale, da una ostinata volontà di ridurre il Corpo di Cristo ad una mera organizzazione umana, guardata con occhi umani, gestita con metodi umani e, talvolta, aimè, perfino guidata con criteri umani!

La Chiesa, invece, è, nel contempo, totalmente umana e totalmente divina.

Ce lo ricorda efficacemente il Concilio Ecumenico Vaticano II, che, nella Costituzione Lumen gentium, afferma: «L’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa della terra e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due realtà, ma formano una sola complessa realtà risultante di un elemento umano e di un elemento divino. Per una non debole analogia, quindi, è paragonata al Mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta è a servizio del Verbo divino come vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa è a servizio dello Spirito di Cristo che lo vivifica, per la crescita del Corpo» (Lumen gentium, 8).

L’alternativa ad una tale concezione sacramentale del Corpo della Chiesa è la sua dissoluzione nel mondo, l’autocondanna all’insignificanza storica, all’inefficacia salvifica e all’irrilevanza sociale. Cristo è entrato nel mondo, si è caricato del peccato, rinunciando alla gloria che Gli competeva come Figlio di Dio, ma non ha smesso di essere il Logos Eterno, generato dal Padre prima di tutti i secoli, e, solo per questo, i Suoi gesti, sacramentalmente perpetuati dalla Chiesa, hanno valore salvifico.

Il Sacerdote è radicalmente a servizio di tale attualizzazione sacramentale della Salvezza. Egli è chiamato, per primo, a credere in ciò che Dio pone nelle sue mani, nella Redenzione offerta da Cristo agli uomini, nella permanenza della totalità dei mezzi salvifici nella Chiesa (cf. CCC, 830) e nella strumentalità della propria persona, posta al servizio della Salvezza del mondo, attraverso l’Ordinazione sacerdotale.

La missione, quella autentica, che permette agli uomini di incontrare Cristo, si fonda principalmente su una tale corretta identità ecclesiale, la quale, proprio nel rapporto col Signore, trae linfa vitale, vigore apostolico e di testimonianza, e reale sollecitudine, perché tutti gli uomini si lascino affascinare, condurre e salvare da Cristo.

Carissimo Dom Roberto, l’ultima parola della Regola di San Benedetto è: «Giungerai». In essa è contenuta la promessa che Dio fa ad ogni uomo che si mantiene fedele.

L’ultima parola della Regola del Santo Padre Benedetto non pone l’accento sul Mistero della Croce, sulla potatura, sull’inevitabile sacrificio, che la donazione di sé comporta. Nel “giungerai”, l’accento è posto sulla potenza di Cristo Risorto, che genera al Padre i Suoi santi. Ciò che appare impossibile alle nostre povere forze umane, diviene possibile con Cristo.

La Sua Misericordia permette di tendere come un arco spirituale tra la prima parola della Regola – «Ascolta» – e l’ultima – «Giungerai». Oggi, nella tua Ordinazione sacerdotale, entrambe queste parole divengono vere. Sei qui, perché hai ascoltato la Voce di Dio e la Tua Ordinazione sacerdotale è pegno certo della promessa di compimento del Signore: «Giungerai».

La Beata Vergine Maria, che ha ascoltato la Parola e l’ha concepita nel Suo grembo verginale, Ti sostenga nell’intero Tuo cammino sacerdotale, e Lei, che già è giunta al compimento, Ti sia Madre nel dispensare quella divina Grazia della quale, da oggi, sei Ministro e sostenga questa Comunità monastica, con il proprio Abate, affinché, dilatato corde, nulla anteponendo all’amore di Cristo, possa essere, nella città di Pietro, segno eloquente della Gerusalemme Celeste.