Sacratissimo Cuore di Gesù

7 giugno 2013

 

Giornata Mondiale di Preghiera

per la Santificazione dei Sacerdoti

 

 

 

Carissimi fratelli nel sacerdozio e amici!

In occasione della prossima solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, il 7 giugno 2013, in cui celebriamo la Giornata Mondiale di Preghiera per la santificazione dei Sacerdoti, saluto cordialmente tutti e ciascuno di voi e ringrazio il Signore per l’ineffabile dono del sacerdozio e per la fedeltà all’amore di Cristo.

Se è vero che l’invito dal Signore a «rimanere nel suo amore» (cfr. Gv 15,9) è valido per tutti i battezzati, nella festa del Sacro Cuore di Gesù esso risuona con nuova forza in noi sacerdoti. Come ci ha ricordato il Santo Padre all’apertura dell’Anno Sacerdotale, citando il Santo Curato d’Ars, «il sacerdozio è l’amore del Cuore di Gesù» (cfr. Omelia nella celebrazione dei Vespri della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, 19 giugno 2009). Da questo Cuore – e non lo possiamo dimenticare mai – è scaturito il dono del ministero sacerdotale.

Abbiamo esperienza che il fatto di «rimanere nel suo amore» ci spinge con forza verso la santità. Una santità – lo sappiamo bene – che non consiste nel fare azioni straordinarie, ma nel permettere a Cristo di agire in noi e nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La caratura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con il vigore dello Spirito Santo, modelliamo l’intera nostra vita.

Noi presbiteri siamo stati consacrati ed inviati per rendere attuale la missione salvifica del Divino Figlio incarnato. La nostra funzione è indispensabile per la Chiesa e per il mondo e richiede da noi fedeltà piena a Cristo ed incessante unione con Lui. Così, servendo umilmente, siamo guide che conducono alla santità i fedeli affidati al nostro ministero. In tal modo, si riproduce nella nostra vita il desiderio espresso da Gesù stesso nella preghiera sacerdotale, dopo l’istituzione dell’Eucarestia: «Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi (…). Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno (…). Consacrali nella verità, (…) per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità (Gv 17,9.15.17.19).

           

Nell’Anno della Fede

Tali considerazioni assumono uno speciale rilievo in relazione alla celebrazione dell’Anno della Fede – indetto dal Santo Padre Benedetto XVI con il Motu proprio Porta Fidei (11 ottobre 2011) – iniziato l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e che terminerà nella solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il 24 novembre prossimo. La Chiesa con i suoi Pastori deve essere in cammino, per condurre gli uomini fuori dal “deserto” verso la comunione con il Figlio di Dio, che è la Vita per il mondo (cfr. Gv 6,33).

In siffatta prospettiva, la Congregazione per il Clero indirizza questa lettera a tutti i sacerdoti del mondo per aiutare ciascuno a ravvivare l’impegno a vivere l’evento di grazia in cui siamo chiamati, in modo particolare ad essere protagonisti ed animatori solerti per una riscoperta della fede nella sua integrità e in tutto il suo fascino, stimolati quindi a considerare che la nuova evangelizzazione è orientata proprio alla genuina trasmissione della fede cristiana.

Nella Lettera Apostolica Porta Fidei il Papa interpreta i sentimenti dei sacerdoti di non pochi paesi: «Nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (n. 2).

La celebrazione dell’Anno della Fede si presenta come una opportunità per la nuova evangelizzazione, per superare la tentazione dello scoraggiamento, per lasciare che i nostri sforzi si muovano ogni volta di più sotto l’impulso e la guida dell’attuale Successore di Pietro. Avere fede significa principalmente essere certi che Cristo, vincendo nella sua carne la morte, ha reso possibile anche a chi crede in Lui di condividere quel destino di gloria, e di soddisfare l’anelito ad una vita e ad una gioia perfetta ed eterna che è nel cuore di ogni uomo. Per questo, «la Risurrezione di Cristo è la nostra più grande certezza; è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri questo tesoro, questa certezza? Non è soltanto per noi, è per trasmetterla, per darla agli altri, condividerla con gli altri. E' proprio la nostra testimonianza» (Papa Francesco, Udienza Generale, 3 aprile 2013).

Come sacerdoti dobbiamo prepararci per guidare gli altri fedeli verso una maturazione della fede. Sentiamo che i primi a dover aprire maggiormente i cuori siamo noi. Ricordiamo le parole del Maestro nell’ultimo giorno della festa delle Capanne a Gerusalemme: «Gesù, ritto in piedi, gridò: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Gv 7,37-39). Anche dal sacerdote, alter Christus, possono sgorgare fiumi di acqua viva, nella misura in cui egli beve con fede le parole di Cristo, aprendosi all’azione dello Spirito Santo. Dalla sua “apertura” ad essere segno e strumento della grazia divina dipende in ultimo, non solo la santificazione del popolo affidatogli, ma anche l’orgoglio della sua identità: «Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco – non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione – si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” – questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini» (Idem, Omelia della S. Messa crismale, 28 marzo 2013).

 

Trasmettere la Fede

Cristo ha affidato agli Apostoli e alla Chiesa la missione di predicare la Buona Novella a tutti gli uomini. San Paolo sente il Vangelo come «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1, 16). Gesù Cristo stesso è il Vangelo, la “Buona Notizia” (cfr. 1Cor 1,24). Il nostro compito è di essere portatori della potenza dell’Amore sconfinato di Dio, manifestato in Cristo. La risposta alla generosa Rivelazione divina è la fede, frutto della grazia nelle nostre anime, che richiede l’apertura del cuore umano. «Solo credendo, quindi, la fede cresce e si rafforza; non c’è altra possibilità per possedere certezza sulla propria vita se non abbandonarsi, in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si sperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio» (Porta Fidei, n. 7). Dopo anni di ministero sacerdotale, con frutti e con difficoltà, il presbitero possa dire con San Paolo: «Ho portato a termine la predicazione del Vangelo di Cristo!» (Rm 15,19; 1Cor 15, 1-11; ecc.).

Collaborare con Cristo nel trasmettere la fede è compito di ogni cristiano, nella caratteristica cooperazione organica tra fedeli ordinati e fedeli laici nella Santa Chiesa. Questo lieto dovere implica due aspetti profondamente uniti. Il primo, l’adesione a Cristo, che vuol dire incontrarlo personalmente, seguirlo, avere amicizia con Lui, credere in Lui. Nel contesto culturale odierno, risulta particolarmente importante la testimonianza della vita – condizione di autenticità e di credibilità – che fa scoprire come la potenza dell’amore di Dio rende efficace la sua Parola. Non dobbiamo dimenticare che i fedeli cercano nel sacerdote l’uomo di Dio e la sua Parola, la sua Misericordia e il Pane della Vita.

Un secondo punto del carattere missionario della trasmissione della fede, si riferisce all’accoglienza gioiosa delle parole di Cristo, le verità che ci insegna, i contenuti della Rivelazione. In tal senso, uno strumento fondamentale sarà proprio l’esposizione ordinata e organica della dottrina cattolica, ancorata alla Parola di Dio e alla Tradizione perenne e viva della Chiesa.

In particolare, dobbiamo impegnarci a vivere e a far vivere l’Anno della Fede come un’occasione provvidenziale per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, «non perdono il loro valore, né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificati e normativi del Magistero, all’interno della Tradizione della Chiesa… Sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 57: AAS 93 [2001], 308, n. 5).

 

I contenuti della fede

Il Catechismo della Chiesa Cattolica – auspicato dal Sinodo Straordinario dei Vescovi del 1985 come strumento a servizio della catechesi e realizzato mediante la collaborazione dell’intero Episcopato – illustra ai fedeli la forza e la bellezza della fede.

Il Catechismo è un autentico frutto del Concilio Ecumenico Vaticano II, che rende più facile il ministero pastorale: omelie attraenti, incisive, profonde, solide; corsi di catechesi e di formazione teologica per adulti; la preparazione dei catechisti, la formazione delle diverse vocazioni nella Chiesa, in modo particolare nei Seminari.

La Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della fede (6 gennaio 2012), offre un’ampia rosa di iniziative per vivere tale tempo privilegiato di grazia molto uniti al Santo Padre e al Corpo episcopale: i pellegrinaggi dei fedeli alla Sede di Pietro, in Terra Santa, ai Santuari mariani, la prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro nell’imminente mese di luglio; i simposi, convegni e raduni, a livello anche internazionale, ed in particolare quelli dedicati alla riscoperta degli insegnamenti del Concilio Vaticano II; l’organizzazione di gruppi di fedeli per la lettura e il comune approfondimento del Catechismo con un rinnovato impegno per la sua diffusione.

Nell’attuale clima relativistico sembra opportuno evidenziare quanto sia importante la conoscenza dei contenuti dell’autentica dottrina cattolica, inseparabile dall’incontro con attraenti testimonianze della fede. Dei primi discepoli di Gesù a Gerusalemme si racconta negli Atti che «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42).

In questo senso l’Anno della Fede è un’occasione particolarmente propizia per un’accoglienza più attenta delle omelie, delle catechesi, delle allocuzioni e degli altri interventi del Santo Padre. Per molti fedeli, avere a disposizione le omelie e i discorsi delle udienze sarà di grande aiuto per trasmettere la fede ad altri.

Si tratta di verità da cui si vive, come dice sant’Agostino quando, in un’omelia sulla redditio symboli, descrive la consegna del Credo: «Voi dunque lo avete ricevuto e reso, ma nella mente e nel cuore lo dovete tenere sempre presente, lo dovete ripetere nei vostri letti, ripensarlo nelle piazze e non scordarlo durante i pasti: e anche quando dormite con il corpo, dovete vegliare in esso con il cuore» (Agostino d’Ippona, Discorso 215, sulla Redditio Symboli).

In Porta Fidei si traccia un percorso per far capire in modo più profondo i contenuti della fede e l’atto con cui ci affidiamo liberamente a Dio: l’atto con cui si crede e i contenuti a cui diamo il nostro assenso sono segnati da una profonda unità (cfr. n. 10).

 

Crescere nella fede

L’Anno della fede rappresenta, dunque, un invito alla conversione a Gesù unico Salvatore del mondo, a crescere nella fede come virtù teologale. Nel prologo al primo volume Gesù di Nazareth, il Santo Padre scrive sulle conseguenze negative se si presenta Gesù come una figura del passato di cui si sa poco di certo: «Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto» (p. 8).

Vale la pena meditare più volte queste parole: «l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende». Si tratta dell’incontro personale con Cristo. Incontro di ciascuno di noi, e di ciascuno dei nostri fratelli e sorelle nella fede, che serviamo con il nostro ministero.

Incontrare Gesù, come i primi discepoli – Andrea, Pietro, Giovanni – come la samaritana o come Nicodemo; accoglierlo in casa propria come Marta e Maria; ascoltarlo leggendo molte volte il Vangelo; con la grazia dello Spirito Santo, questo è il cammino sicuro per crescere nella fede. Come scriveva il Servo di Dio Paolo VI: «La fede è la via attraverso la quale la verità divina entra nell’anima» (Insegnamenti, IV, p. 919).

Gesù invita a sentire che siamo figli e amici di Dio: «Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda» (Gv 15,15-16).

 

Mezzi per crescere nella Fede. L’Eucarestia

Gesù invita a chiedere con piena fiducia, a pregare con le parole “Padre nostro”. Propone a tutti, nel discorso delle Beatitudini, una meta che agli occhi umani sembra una pazzia: «Voi, dunque, siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Per esercitare una buona pedagogia della santità, capace di adattarsi alle circostanze e ai ritmi delle singole persone, dobbiamo essere amici di Dio, uomini di preghiera.

Nella preghiera impariamo a portare la Croce, quella Croce aperta al mondo intero, per la sua salvezza, che, come rivela il Signore ad Anania, accompagnerà anche la missione di Saulo, appena convertito: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,15-16). E ai fedeli della Galazia, san Paolo farà questa sintesi della sua vita: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,19-20).

Nell’Eucarestia si attualizza il mistero del sacrificio della Croce. La celebrazione liturgica della Santa Messa è un incontro con Gesù che si offre come vittima per noi e ci trasforma in Lui. «Per natura sua, infatti, la liturgia ha una sua efficacia pedagogica nell’introdurre i fedeli alla conoscenza del mistero celebrato. Proprio per questo, nella tradizione più antica della Chiesa il cammino formativo del cristiano, pur senza trascurare l’intelligenza sistematica dei contenuti della fede, assumeva sempre un carattere esperienziale in cui determinante era l’incontro vivo e persuasivo con Cristo annunciato da autentici testimoni. In questo senso, colui che introduce ai misteri è innanzitutto il testimone» (Benedetto XVI, Esort. Ap. Sacramentum caritatis, 22-II-2007, n. 64). Non stupisce allora che nella Nota con indicazioni pastorali per l’Anno della fede si suggerisca di intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucarestia, dove la fede della Chiesa viene proclamata, celebrata e rinforzata (cfr. n. IV, 2). Se la liturgia eucaristica è celebrata con grande fede e devozione, i frutti sono sicuri.

 

Il Sacramento della Misericordia che perdona

Se l’Eucarestia è il Sacramento che edifica l’immagine del Figlio di Dio in noi, la Riconciliazione è quello che ci fa sperimentare la potenza della misericordia divina, che libera l’anima dai peccati e le fa assaporare la bellezza del ritorno a Dio, vero Padre innamorato di ciascuno dei suoi figli. Per questo il sacro ministro in prima persona deve essere convinto che «solo comportandoci da figli di Dio, senza scoraggiarci per le nostre cadute, per i nostri peccati, sentendoci amati da Lui, la nostra vita sarà nuova, animata dalla serenità e dalla gioia. Dio è la nostra forza! Dio è la nostra speranza!» (Papa Francesco, Udienza generale del 10 aprile 2013).

Di questa presenza misericordiosa il sacerdote deve essere egli stesso sacramento nel mondo: «Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio» (Idem, Udienza generale del 27 marzo 2013). Non possiamo perciò sotterrare questo meraviglioso dono soprannaturale, né distribuirlo senza avere gli stessi sentimenti di Colui che ha amato i peccatori fino al culmine della Croce. In questo sacramento il Padre ci dona una occasione unica per essere, non solo spiritualmente, ma noi stessi, con la nostra stessa umanità, la mano soave che, come il Buon Samaritano, versa l’olio che dà sollievo sulle piaghe dell’anima (Lc 10, 34). Sentiamo nostre queste parole del Pontefice: «Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano… non è cristiano! E’ un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato! Questo ci dice che l’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione - noi siamo nel tempo dell’azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo. (…) Cari fratelli e sorelle, guardare al giudizio finale non ci faccia mai paura; ci spinga piuttosto a vivere meglio il presente. Dio ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore. Il Signore, al termine della nostra esistenza e della storia, possa riconoscerci come servi buoni e fedeli» (Idem, Udienza generale del 24 aprile).

Il sacramento della Riconciliazione è dunque anche il sacramento della gioia: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa» (Lc 15,11-24). Ogni volta che ci confessiamo troviamo la gioia di stare con Dio, perché abbiamo sperimentato la sua misericordia, forse tante volte quando manifestiamo al Signore le nostre mancanze dovute alla tiepidezza e alla mediocrità. Così si rinforza la nostra fede di peccatori che amano Gesù e si sanno amati da Lui: «Quando uno è chiamato dal giudice o va in causa, la prima cosa che fa è cercare un avvocato perché lo difenda. Noi ne abbiamo uno, che ci difende sempre, ci difende dalle insidie del diavolo, ci difende da noi stessi, dai nostri peccati! Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo questo avvocato: non abbiamo paura di andare da Lui a chiedere perdono, a chiedere benedizione, a chiedere misericordia! Lui ci perdona sempre, è il nostro avvocato: ci difende sempre! Non dimenticate questo!» (Idem, Udienza generale del 17 aprile 2013)

Nell’adorazione eucaristica, possiamo dire a Cristo presente nell’Ostia Santa, con san Tommaso d’Aquino:

Plagas sicut Thomas non intúeor

Deum tamen meum Te confiteor

Fac me tibi semper magis crédere

In Te spem habére, Te dilígere.

E anche con l’apostolo Tommaso possiamo ripetere con il nostro cuore sacerdotale, quando Gesù è nelle nostre mani: Dominus meus et Deus meus!

«Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Con queste parole Elisabetta salutò Maria. A Colei che è Madre dei sacerdoti e che ci ha preceduti nel cammino della fede ricorriamo affinché ciascuno di noi cresca nella Fede del suo divino Figlio e così portiamo al mondo la Vita e la Luce, il calore, del Sacratissimo Cuore di Gesù!

 

 

 

Mauro Card. Piacenza

Prefetto

 

 

+ Celso Morga Iruzubieta

Segretario



Si propone qualche suggerimento per un momento di preghiera per il Vescovo e il presbiterio, da organizzare come Veglia di preparazione alla Giornata, oppure da farsi nel medesimo giorno.

 

 

 

Adorazione Eucaristica

 

 

Canto d’ingresso

 

Saluto liturgico del Vescovo. Segue l’orazione.

 

Preghiamo.

Padre santo e misericordioso, tu che hai reso fedeli gli apostoli nella confessione del tuo nome, confortaci con la grazia del tuo Spirito e concedi a noi tuoi servi di rimanere radicati nell’integrità della fede e di risplendere per saggezza e santità di vita nel servizio assiduo alla tua Chiesa. Per Cristo, nostro Signore. Amen.

 

 

Vangelo (Si può scegliere tra i seguenti brani: Mc 16,15-20; Lc 5,1-11; Lc 10,1-9; Gv 10,11-16; Gv 15,9-17; Gv 21,1-14).

 

Omelia

 

Rinnovazione delle promesse sacerdotali come nella Messa crismale.

 

*   *   *

 

A questo punto segue l’esposizione del SS. Sacramento. Canto (Adoro te devote)

 

Adorazione silenziosa. Durante la preghiera personale si possono meditare alcuni brani come i seguenti.

 

Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto «Presbyterorum Ordinis» sulla vita dei presbiteri, n. 3

 

I presbiteri nel popolo di Dio

 

I presbiteri sono stati presi fra gli uomini e costituiti in favore degli uomini stessi nelle cose che si riferiscono a Dio, per offrire doni e sacrifici in remissione dei peccati vivono quindi in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli. Così infatti si comportò Gesù nostro Signore, Figlio di Dio, uomo inviato dal Padre agli uomini, il quale dimorò presso di noi e volle in ogni cosa essere uguale ai suoi fratelli, eccettuato il peccato. È un esempio, il suo, che già imitarono i santi apostoli; e san Paolo, dottore delle genti, «segregato per il Vangelo di Dio» (Rm 1,1), dichiara di essersi fatto tutto a tutti, allo scopo di salvare tutti. Così i presbiteri del Nuovo Testamento, in forza della propria chiamata e della propria ordinazione, sono in un certo modo segregati in seno al popolo di Dio: ma non per rimanere separati da questo stesso popolo o da qualsiasi uomo, bensì per consacrarsi interamente all'opera per la quale li ha assunti il Signore. Da una parte, essi non potrebbero essere ministri di Cristo se non fossero testimoni e dispensatori di una vita diversa da quella terrena; ma d'altra parte, non potrebbero nemmeno servire gli uomini se si estraniassero dalla loro vita e dal loro ambiente. Per il loro stesso ministero sono tenuti, con speciale motivo, a non conformarsi con il secolo presente ma allo stesso tempo sono tenuti a vivere in questo secolo in mezzo agli uomini, a conoscere bene, come buoni pastori, le proprie pecorelle, e a cercare di ricondurre anche quelle che non sono di questo ovile, affinché anch'esse ascoltino la voce di Cristo, e ci sia un solo ovile e un solo pastore. Per raggiungere questo scopo risultano di grande giovamento quelle virtù che sono giustamente molto apprezzate nella società umana, come la bontà, la sincerità, la fermezza d'animo e la costanza, la continua cura per la giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù che raccomanda l'apostolo Paolo quando dice: «Tutto ciò che è vero, tutto ciò che è onesto, tutto ciò che è giusto, tutto ciò che è santo, tutto ciò che è degno di amore, tutto ciò che merita rispetto, qualunque virtù, qualunque lodevole disciplina: questo sia vostro pensiero» (Fil 4,8).

 

 

Papa Francesco, Omelia della S. Messa del Crisma (28 marzo 2013)

 

Cari fratelli e sorelle,

con gioia celebro la prima Messa Crismale come Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con affetto, in particolare voi, cari sacerdoti, che oggi, come me, ricordate il giorno dell’Ordinazione.

Le Letture, anche il Salmo, ci parlano degli “Unti”: il Servo di Javhè di Isaia, il re Davide e Gesù nostro Signore. I tre hanno in comune che l’unzione che ricevono è destinata a ungere il popolo fedele di Dio, di cui sono servitori; la loro unzione è per i poveri, per i prigionieri, per gli oppressi… Un’immagine molto bella di questo “essere per” del santo crisma è quella del Salmo 133: «È come olio prezioso versato sul capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste» (v. 2). L’immagine dell’olio che si sparge, che scende dalla barba di Aronne fino all’orlo delle sue vesti sacre, è immagine dell’unzione sacerdotale che per mezzo dell’Unto giunge fino ai confini dell’universo rappresentato nelle vesti.

Le vesti sacre del Sommo Sacerdote sono ricche di simbolismi; uno di essi è quello dei nomi dei figli di Israele impressi sopra le pietre di onice che adornavano le spalle dell’efod dal quale proviene la nostra attuale casula: sei sopra la pietra della spalla destra e sei sopra quella della spalla sinistra (cfr Es 28, 6-14). Anche nel pettorale erano incisi i nomi delle dodici tribù d’Israele (cfr Es 28,21). Ciò significa che il sacerdote celebra caricandosi sulle spalle il popolo a lui affidato e portando i suoi nomi incisi nel cuore. Quando ci rivestiamo con la nostra umile casula può farci bene sentire sopra le spalle e nel cuore il peso e il volto del nostro popolo fedele, dei nostri santi e dei nostri martiri, che in questo tempo sono tanti!

Dalla bellezza di quanto è liturgico, che non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato, passiamo adesso a guardare all’azione. L’olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge “le periferie”. Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L’unzione, cari fratelli, non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido … e il cuore amaro.

Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara. Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia. La nostra gente gradisce il Vangelo predicato con l’unzione, gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana, quando scende come l’olio di Aronne fino ai bordi della realtà, quando illumina le situazioni limite, “le periferie” dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede. La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze. E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: “preghi per me, padre, perché ho questo problema”, “mi benedica, padre”, “preghi per me”, sono il segno che l’unzione è arrivata all’orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica, supplica del Popolo di Dio. Quando siamo in questa relazione con Dio e con il suo Popolo e la grazia passa attraverso di noi, allora siamo sacerdoti, mediatori tra Dio e gli uomini. Ciò che intendo sottolineare è che dobbiamo ravvivare sempre la grazia e intuire in ogni richiesta, a volte inopportuna, a volte puramente materiale o addirittura banale - ma lo è solo apparentemente - il desiderio della nostra gente di essere unta con l’olio profumato, perché sa che noi lo abbiamo. Intuire e sentire, come sentì il Signore l’angoscia piena di speranza dell’emorroissa quando toccò il lembo del suo mantello. Questo momento di Gesù, in mezzo alla gente che lo circondava da tutti i lati, incarna tutta la bellezza di Aronne rivestito sacerdotalmente e con l’olio che scende sulle sue vesti. È una bellezza nascosta che risplende solo per quegli occhi pieni di fede della donna che soffriva perdite di sangue. Gli stessi discepoli – futuri sacerdoti – tuttavia non riescono a vedere, non comprendono: nella “periferia esistenziale” vedono solo la superficialità della moltitudine che si stringe da tutti i lati fino a soffocare Gesù (cfr Lc 8,42). Il Signore, al contrario, sente la forza dell’unzione divina che arriva ai bordi del suo mantello.

Così bisogna uscire a sperimentare la nostra unzione, il suo potere e la sua efficacia redentrice: nelle “periferie” dove c’è sofferenza, c’è sangue versato, c’è cecità che desidera vedere, ci sono prigionieri di tanti cattivi padroni. Non è precisamente nelle autoesperienze o nelle introspezioni reiterate che incontriamo il Signore: i corsi di autoaiuto nella vita possono essere utili, però vivere la nostra vita sacerdotale passando da un corso all’altro, di metodo in metodo, porta a diventare pelagiani, a minimizzare il potere della grazia, che si attiva e cresce nella misura in cui, con fede, usciamo a dare noi stessi e a dare il Vangelo agli altri, a dare la poca unzione che abbiamo a coloro che non hanno niente di niente.

Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” - questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione - e non la funzione -, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù.

Cari fedeli, siate vicini ai vostri sacerdoti con l’affetto e con la preghiera perché siano sempre Pastori secondo il cuore di Dio.

Cari sacerdoti, Dio Padre rinnovi in noi lo Spirito di Santità con cui siamo stati unti, lo rinnovi nel nostro cuore in modo tale che l’unzione giunga a tutti, anche alle “periferie”, là dove il nostro popolo fedele più lo attende ed apprezza. La nostra gente ci senta discepoli del Signore, senta che siamo rivestiti dei loro nomi, che non cerchiamo altra identità; e possa ricevere attraverso le nostre parole e opere quest’olio di gioia che ci è venuto a portare Gesù, l’Unto. Amen.

 

 

Benedetto XVI, Omelia a conclusione dell’Anno Sacerdotale (11 giugno 2010).

 

Cari confratelli nel ministero sacerdotale,

Cari fratelli e sorelle,

l’Anno Sacerdotale che abbiamo celebrato, 150 anni dopo la morte del santo Curato d’Ars, modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo, volge al termine. Dal Curato d’Ars ci siamo lasciati guidare, per comprendere nuovamente la grandezza e la bellezza del ministero sacerdotale. Il sacerdote non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni società ha bisogno affinché in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non semplicemente «ufficio», ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola «sacerdozio». Che Dio ci ritenga capaci di questo; che Egli in tal modo chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad essi: è ciò che in quest’anno volevamo nuovamente considerare e comprendere. Volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza; che Egli ci conduca e ci sostenga giorno per giorno. Volevamo così anche mostrare nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del nostro «sì». Insieme alla Chiesa volevamo nuovamente far notare che questa vocazione la dobbiamo chiedere a Dio. Chiediamo operai per la messe di Dio, e questa richiesta a Dio è, al tempo stesso, un bussare di Dio al cuore di giovani che si ritengono capaci di ciò di cui Dio li ritiene capaci. Era da aspettarsi che al «nemico» questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo. E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario. Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più; promettere che nell’ammissione al ministero sacerdotale e nella formazione durante il cammino di preparazione ad esso faremo tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità della vocazione e che vogliamo ancora di più accompagnare i sacerdoti nel loro cammino, affinché il Signore li protegga e li custodisca in situazioni penose e nei pericoli della vita. Se l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore. Così consideriamo quanto è avvenuto quale compito di purificazione, un compito che ci accompagna verso il futuro e che, tanto più, ci fa riconoscere ed amare il grande dono di Dio. In questo modo, il dono diventa l’impegno di rispondere al coraggio e all’umiltà di Dio con il nostro coraggio e la nostra umiltà. La parola di Cristo, che abbiamo cantato come canto d’ingresso nella liturgia, può dirci in questa ora che cosa significhi diventare ed essere sacerdoti: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).

Celebriamo la festa del Sacro Cuore di Gesù e gettiamo con la liturgia, per così dire, uno sguardo dentro il cuore di Gesù, che nella morte fu aperto dalla lancia del soldato romano. Sì, il suo cuore è aperto per noi e davanti a noi – e con ciò ci è aperto il cuore di Dio stesso. La liturgia interpreta per noi il linguaggio del cuore di Gesù, che parla soprattutto di Dio quale pastore degli uomini, e in questo modo ci manifesta il sacerdozio di Gesù, che è radicato nell’intimo del suo cuore; così ci indica il perenne fondamento, come pure il valido criterio, di ogni ministero sacerdotale, che deve sempre essere ancorato al cuore di Gesù ed essere vissuto a partire da esso. Vorrei oggi meditare soprattutto sui testi con i quali la Chiesa orante risponde alla Parola di Dio presentata nelle letture. In quei canti parola e risposta si compenetrano. Da una parte, essi stessi sono tratti dalla Parola di Dio, ma, dall’altra, sono al contempo già la risposta dell’uomo a tale Parola, risposta in cui la Parola stessa si comunica ed entra nella nostra vita. Il più importante di quei testi nell’odierna liturgia è il Salmo 23 (22) – “Il Signore è il mio pastore” –, nel quale l’Israele orante ha accolto l’autorivelazione di Dio come pastore, e ne ha fatto l’orientamento per la propria vita. “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”: in questo primo versetto si esprimono gioia e gratitudine per il fatto che Dio è presente e si occupa di noi. La lettura tratta dal Libro di Ezechiele comincia con lo stesso tema: “Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura” (Ez 34,11). Dio si prende personalmente cura di me, di noi, dell’umanità. Non sono lasciato solo, smarrito nell’universo ed in una società davanti a cui si rimane sempre più disorientati. Egli si prende cura di me. Non è un Dio lontano, per il quale la mia vita conterebbe troppo poco. Le religioni del mondo, per quanto possiamo vedere, hanno sempre saputo che, in ultima analisi, c’è un Dio solo. Ma tale Dio era lontano. Apparentemente Egli abbandonava il mondo ad altre potenze e forze, ad altre divinità. Con queste bisognava trovare un accordo. Il Dio unico era buono, ma tuttavia lontano. Non costituiva un pericolo, ma neppure offriva un aiuto. Così non era necessario occuparsi di Lui. Egli non dominava. Stranamente, questo pensiero è riemerso nell’Illuminismo. Si comprendeva ancora che il mondo presuppone un Creatore. Questo Dio, però, aveva costruito il mondo e poi si era evidentemente ritirato da esso. Ora il mondo aveva un suo insieme di leggi secondo cui si sviluppava e in cui Dio non interveniva, non poteva intervenire. Dio era solo un’origine remota. Molti forse non desideravano neppure che Dio si prendesse cura di loro. Non volevano essere disturbati da Dio. Ma laddove la premura e l’amore di Dio vengono percepiti come disturbo, lì l’essere umano è stravolto. È bello e consolante sapere che c’è una persona che mi vuol bene e si prende cura di me. Ma è molto più decisivo che esista quel Dio che mi conosce, mi ama e si preoccupa di me. “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14), dice la Chiesa prima del Vangelo con una parola del Signore. Dio mi conosce, si preoccupa di me. Questo pensiero dovrebbe renderci veramente gioiosi. Lasciamo che esso penetri profondamente nel nostro intimo. Allora comprendiamo anche che cosa significhi: Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini. Come sacerdoti, vogliamo essere persone che, in comunione con la sua premura per gli uomini, ci prendiamo cura di loro, rendiamo a loro sperimentabile nel concreto questa premura di Dio. E, riguardo all’ambito a lui affidato, il sacerdote, insieme col Signore, dovrebbe poter dire: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. “Conoscere”, nel significato della Sacra Scrittura, non è mai soltanto un sapere esteriore così come si conosce il numero telefonico di una persona. “Conoscere” significa essere interiormente vicino all’altro. Volergli bene. Noi dovremmo cercare di “conoscere” gli uomini da parte di Dio e in vista di Dio; dovremmo cercare di camminare con loro sulla via dell’amicizia di Dio.

Ritorniamo al nostro Salmo. Lì si dice: “Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (23 [22], 3s). Il pastore indica la strada giusta a coloro che gli sono affidati. Egli precede e li guida. Diciamolo in maniera diversa: il Signore ci mostra come si realizza in modo giusto l’essere uomini. Egli ci insegna l’arte di essere persona. Che cosa devo fare per non precipitare, per non sperperare la mia vita nella mancanza di senso? È, appunto, questa la domanda che ogni uomo deve porsi e che vale in ogni periodo della vita. E quanto buio esiste intorno a tale domanda nel nostro tempo! Sempre di nuovo ci viene in mente la parola di Gesù, il quale aveva compassione per gli uomini, perché erano come pecore senza pastore. Signore, abbi pietà anche di noi! Indicaci la strada! Dal Vangelo sappiamo questo: Egli stesso è la via. Vivere con Cristo, seguire Lui – questo significa trovare la via giusta, affinché la nostra vita acquisti senso ed affinché un giorno possiamo dire: “Sì, vivere è stata una cosa buona”. Il popolo d’Israele era ed è grato a Dio, perché Egli nei Comandamenti ha indicato la via della vita. Il grande Salmo 119 (118) è un’unica espressione di gioia per questo fatto: noi non brancoliamo nel buio. Dio ci ha mostrato qual è la via, come possiamo camminare nel modo giusto. Ciò che i Comandamenti dicono è stato sintetizzato nella vita di Gesù ed è divenuto un modello vivo. Così capiamo che queste direttive di Dio non sono catene, ma sono la via che Egli ci indica. Possiamo essere lieti per esse e gioire perché in Cristo stanno davanti a noi come realtà vissuta. Egli stesso ci ha resi lieti. Nel camminare insieme con Cristo facciamo l’esperienza della gioia della Rivelazione, e come sacerdoti dobbiamo comunicare alla gente la gioia per il fatto che ci è stata indicata la via giusta della vita.

C’è poi la parola concernente la “valle oscura” attraverso la quale il Signore guida l’uomo. La via di ciascuno di noi ci condurrà un giorno nella valle oscura della morte in cui nessuno può accompagnarci. Ed Egli sarà lì. Cristo stesso è disceso nella notte oscura della morte. Anche lì Egli non ci abbandona. Anche lì ci guida. “Se scendo negli inferi, eccoti”, dice il Salmo 139 (138). Sì, tu sei presente anche nell’ultimo travaglio, e così il nostro Salmo responsoriale può dire: pure lì, nella valle oscura, non temo alcun male. Parlando della valle oscura possiamo, però, pensare anche alle valli oscure della tentazione, dello scoraggiamento, della prova, che ogni persona umana deve attraversare. Anche in queste valli tenebrose della vita Egli è là. Sì, Signore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, affinché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché possiamo mostrare loro la tua luce.

“Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”: il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino. Accanto al bastone c’è il vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili. Ambedue le cose rientrano anche nel ministero della Chiesa, nel ministero del sacerdote. Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore – vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore.

Alla fine del Salmo si parla della mensa preparata, dell’olio con cui viene unto il capo, del calice traboccante, del poter abitare presso il Signore. Nel Salmo questo esprime innanzitutto la prospettiva della gioia per la festa di essere con Dio nel tempio, di essere ospitati e serviti da Lui stesso, di poter abitare presso di Lui. Per noi che preghiamo questo Salmo con Cristo e col suo Corpo che è la Chiesa, questa prospettiva di speranza ha acquistato un’ampiezza ed una profondità ancora più grandi. Vediamo in queste parole, per così dire, un’anticipazione profetica del mistero dell’Eucaristia in cui Dio stesso ci ospita offrendo se stesso a noi come cibo – come quel pane e quel vino squisito che, soli, possono costituire l’ultima risposta all’intima fame e sete dell’uomo. Come non essere lieti di poter ogni giorno essere ospiti alla mensa stessa di Dio, di abitare presso di Lui? Come non essere lieti del fatto che Egli ci ha comandato: “Fate questo in memoria di me”? Lieti perché Egli ci ha dato di preparare la mensa di Dio per gli uomini, di dare loro il suo Corpo e il suo Sangue, di offrire loro il dono prezioso della sua stessa presenza. Sì, possiamo con tutto il cuore pregare insieme le parole del Salmo: “Bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita” (23 [22], 6).

Alla fine gettiamo ancora brevemente uno sguardo sui due canti alla comunione propostici oggi dalla Chiesa nella sua liturgia. C’è anzitutto la parola con cui san Giovanni conclude il racconto della crocifissione di Gesù: “Un soldato gli trafisse il costato con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv 19,34). Il cuore di Gesù viene trafitto dalla lancia. Esso viene aperto, e diventa una sorgente: l’acqua e il sangue che ne escono rimandano ai due Sacramenti fondamentali dei quali la Chiesa vive: il Battesimo e l’Eucaristia. Dal costato squarciato del Signore, dal suo cuore aperto scaturisce la sorgente viva che scorre attraverso i secoli e fa la Chiesa. Il cuore aperto è fonte di un nuovo fiume di vita; in questo contesto, Giovanni certamente ha pensato anche alla profezia di Ezechiele che vede sgorgare dal nuovo tempio un fiume che dona fecondità e vita (Ez 47): Gesù stesso è il tempio nuovo, e il suo cuore aperto è la sorgente dalla quale esce un fiume di vita nuova, che si comunica a noi nel Battesimo e nell’Eucaristia.

La liturgia della Solennità del Sacro Cuore di Gesù prevede, però, come canto di comunione anche un’altra parola, affine a questa, tratta dal Vangelo di Giovanni: Chi ha sete, venga a me. Beva chi crede in me. La Scrittura dice: “Sgorgheranno da lui fiumi d’acqua viva” (cfr Gv 7,37s). Nella fede beviamo, per così dire, dall’acqua viva della Parola di Dio. Così il credente diventa egli stesso una sorgente, dona alla terra assetata della storia acqua viva. Lo vediamo nei santi. Lo vediamo in Maria che, quale grande donna di fede e di amore, è diventata lungo i secoli sorgente di fede, amore e vita. Ogni cristiano e ogni sacerdote dovrebbero, a partire da Cristo, diventare sorgente che comunica vita agli altri. Noi dovremmo donare acqua della vita ad un mondo assetato. Signore, noi ti ringraziamo perché hai aperto il tuo cuore per noi; perché nella tua morte e nella tua risurrezione sei diventato fonte di vita. Fa’ che siamo persone viventi, viventi dalla tua fonte, e donaci di poter essere anche noi fonti, in grado di donare a questo nostro tempo acqua della vita. Ti ringraziamo per la grazia del ministero sacerdotale. Signore, benedici noi e benedici tutti gli uomini di questo tempo che sono assetati e in ricerca. Amen.

 

*   *   *

 

I riti di riposizione eucaristica possono essere preceduti dalla Preghiera universale.

 

C - Fratelli carissimi, uniti nella preghiera come gli Apostoli nel cenacolo, chiediamo a Dio Padre, per mezzo del Figlio suo Gesù Cristo, di accogliere le nostre suppliche, per noi, per la santa Chiesa e per il mondo intero. Per questo diciamo con fede: Padre, rendici autentici e solleciti testimoni del tuo amore.

 

  1. Per il Santo Padre Francesco, il nostro Vescovo N. e per tutti i Pastori della Chiesa: perché possano essere guide buone e sagge, e saldi nella fede diano a tutti eroica testimonianza di fedeltà alla Parola di salvezza consegnata a loro dagli Apostoli. Preghiamo. 

2.      Per tutti i sacerdoti: perché le difficoltà del loro ministero non li scoraggino, ma piuttosto li spronino a tenere sempre fisso lo sguardo su Colui che ha fatto della Croce lo strumento d’amore della misericordia divina che trasforma il cuore di ogni uomo. Preghiamo.

3.      Per tutti coloro che sono chiamati da Gesù a seguirlo per continuare nel mondo la sua opera di salvezza: perché, forti di fronte alle seduzioni del maligno, rispondano con generosità all’invito del divino Maestro, imparando, come gli Apostoli sul Tabor, a gustare la bellezza dello stare con Lui. Preghiamo.

4.      Per i Rettori dei Seminari e per coloro che sono chiamati a formare i candidati al ministero sacro: perché svolgano sempre il loro compito con amore paterno, incoraggiando e aiutando ogni giovane a crescere in sapienza, età e grazia, e a mettere a frutto i buoni talenti che Dio ha riposto nel loro cuore a beneficio di tutti. Preghiamo.

5.      Per tutti i fedeli cristiani: perché, in spirito di comunione e collaborazione con tutti i ministri, sappiano vedere in loro la misteriosa presenza di Gesù Buon Pastore, che chiama continuamente a Sé le sue pecorelle, e li sostengano costantemente con la preghiera, affinché possano essere per loro ogni giorno da esempio e sicuro riferimento per vivere in modo autentico la fede nel Figlio di Dio. Preghiamo.  

6.      La sacra unzione sacramentale rende il sacerdote tale in eterno: perché tutti i sacerdoti defunti possano continuare, insieme a Cristo asceso alla destra del Padre e in unione al Suo santo Sacrificio, l’offerta d’amore di se stessi, e preparare così un posto accanto a Lui nella gloria a tutti coloro che ascoltano la Sua voce. Preghiamo.

C - Padre, la tua opera di salvezza, operata attraverso il tuo Figlio, per mezzo dello Spirito, è riflesso del mistero trinitario, che è mistero d’amore. Accogli le nostre preghiere e aiutaci a restare sempre fedeli a te. Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore. Amen.

 

Si esegue il Tantum ergo, dopodiché, prima delle Acclamazioni consuete, si può utilizzare lo schema delle Litanie di Nostro Signore Gesù Cristo, Sacerdote e Vittima (tratte dal libro Dono e mistero di Giovanni Paolo II)

 

Kyrie, eleison                                                  Kyrie, eleison

Christe, eleison                                                Christe, eleison

Kyrie, eleison                                                  Kyrie, eleison

Christe, audi nos                                              Christe, audi nos

Christe, exaudi nos                                          Christe, exaudi nos

Pater de cælis, Deus,                                       miserere nobis

Fili, Redemptor mundi, Deus,               miserere nobis

Spiritus Sancte, Deus,                          miserere nobis

Sancta Trinitas, unus Deus,                              miserere nobis

Iesu, Sacerdos et Victima,                               miserere nobis

Iesu, Sacerdos in æternum

secundum ordinem Melchisedech,                    miserere nobis

Iesu, Sacerdos quem misit

Deus evangelizare pauperibus,             miserere nobis

Iesu, Sacerdos qui in novissima cena

formam sacrificii perennis instituisti,      miserere nobis

Iesu, Sacerdos semper vivens

ad interpellandum pro nobis,                            miserere nobis

Iesu, Pontifex quem Pater

unxit Spiritu Sancto et virtute,               miserere nobis

Iesu, Pontifex ex hominibus assumpte, miserere nobis

Iesu, Pontifex pro hominibus constitute,            miserere nobis

Iesu, Pontifex confessionis nostræ,                   miserere nobis

Iesu, Pontifex amplioris præ Moysi gloriæ,       miserere nobis

Iesu, Pontifex tabernaculi veri,              miserere nobis

Iesu, Pontifex futurorum bonorum,                   miserere nobis

Iesu, Pontifex sancte,

innocens et impollute,                           miserere nobis

Iesu, Pontifex fidelis et misericors,                    miserere nobis

Iesu, Pontifex Dei

et animarum zelo succense,                              miserere nobis

Iesu, Pontifex in æternum perfecte,                  miserere nobis

Iesu, Pontifex qui per proprium

sanguinem cælos penetrasti,                             miserere nobis

Iesu, Pontifex qui nobis

viam novam initiasti,                                         miserere nobis

Iesu, Pontifex qui dilexisti nos

et lavisti nos a peccatis in sanguine tuo,            miserere nobis

Iesu, Pontifex qui tradidisti temetipsum

Deo oblationem et hostiam,                             miserere nobis

Iesu, Hostia Dei et hominum,               miserere nobis

Iesu, Hostia sancta et immaculata,                    miserere nobis

Iesu, Hostia placabilis,                         miserere nobis

Iesu, Hostia pacifica,                                       miserere nobis

Iesu, Hostia propitiationis et laudis,                  miserere nobis

Iesu, Hostia reconciliationis et pacis,    miserere nobis

Iesu, Hostia in qua habemus

fiduciam et accessum ad Deum,                       miserere nobis

Iesu, Hostia vivens in sæcula sæculorum,         miserere nobis

Propitius esto!                                     parce nobis, Iesu

Propitius esto!                                     exaudi nos, Iesu

A temerario in clerum ingressu,                        libera nos, Iesu

A peccato sacrilegii,                                        libera nos, Iesu          

A spiritu incontinentiæ,                                    libera nos, Iesu          

A turpi quæstu,                                               libera nos, Iesu          

Ab omni simoniæ labe,                                    libera nos, Iesu          

Ab indigna opum

ecclesiasticarum dispensatione,                        libera nos, Iesu

Ab amore mundi eiusque vanitatum,     libera nos, Iesu          

Ab indigna Mysteriorum

tuorum celebratione,                                        libera nos, Iesu          

Per æternum sacerdotium tuum,                       libera nos, Iesu

Per sanctam unctionem, qua a Deo Patre

in sacerdotem constitutus es,                            libera nos, Iesu          

Per sacerdotalem spiritum tuum,                      libera nos, Iesu          

Per ministerium illud, quo Patrem tuum

super terram clarificasti,                                   libera nos, Iesu          

Per cruentam tui ipsius immolationem

semel in cruce factam,                          libera nos, Iesu          

Per illud idem sacrificium

in altari quotidie renovatum,                             libera nos, Iesu          

Per divinam illam potestatem, quam

in sacerdotibus tuis invisibiliter exerces,            libera nos, Iesu          

Ut universum ordinem sacerdotalem

in sancta religione conservare digneris,             Te rogamus, audi nos

Ut pastores secundum cor tuum

populo tuo providere digneris,              Te rogamus, audi nos

Ut illos spiritus sacerdotii tui

implere digneris,                                              Te rogamus, audi nos

Ut labia sacerdotum scientiam custodiant,        Te rogamus, audi nos

Ut in messem tuam operarios

fideles mittere digneris,                                    Te rogamus, audi nos

Ut fideles mysteriorum tuorum

dispensatores multiplicare digneris,                   Te rogamus, audi nos

Ut eis perseverantem in tua voluntate

famulatum tribuere digneris,                             Te rogamus, audi nos

Ut eis in ministerio mansuetudinem,

in actione sollertiam et

in oratione constantiam concedere digneris,      Te rogamus, audi nos

Ut per eos sanctissimi Sacramenti

cultum ubique promovere digneris,                   Te rogamus, audi nos

Ut qui tibi bene ministraverunt,

in gaudium tuum suscipere digneris,      Te rogamus, audi nos

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,     parce nobis, Domine

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,     exaudi nos, Domine

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,     miserere nobis, Domine

Iesu, Sacerdos,                                               audi nos

Iesu, Sacerdos,                                               exaudi nos

 

Oremus

Ecclesiæ tuæ, Deus, sanctificator et custos, suscita in ea per Spiritum tuum idoneos et fideles sanctorum mysteriorum dispensatores, ut eorum ministerio et exemplo christiana plebs in viam salutis te protegente dirigatur. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Deus, qui ministrantibus et ieiunantibus discipulis segregari iussisti Saulum et Barnabam in opus ad quod assumpseras eos, adesto nunc Ecclesiæ tuæ oranti, et tu, qui omnium corda nosti, ostende quos elegeris in ministerium. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

 

 

Benedizione eucaristica, Acclamazioni e riposizione del Santissimo. Canto: Laudate Dominum.


Al termine della celebrazione si recita l’Atto di affidamento e di consacrazione dei sacerdoti alla SS. Vergine, secondo la formula usata da Benedetto XVI a conclusione dell’Anno Sacerdotale.

 

Madre Immacolata, in questo luogo di grazia,

convocati dall’amore del Figlio tuo Gesù,

Sommo ed Eterno Sacerdote,

noi, figli nel Figlio e suoi sacerdoti,

ci consacriamo al tuo Cuore materno,

per compiere con fedeltà la Volontà del Padre.

Siamo consapevoli che, senza Gesù,

non possiamo fare nulla di buono (cfr. Gv 15, 5),

e che, solo per Lui, con Lui ed in Lui,

saremo per il mondo strumenti di salvezza.

Sposa dello Spirito Santo,

ottienici l’inestimabile dono

della trasformazione in Cristo.

Per la stessa potenza dello Spirito che,

estendendo su di Te la sua ombra,

ti rese Madre del Salvatore, aiutaci affinché

Cristo, tuo Figlio, nasca anche in noi.

Possa così la Chiesa essere rinnovata

da santi sacerdoti, trasfigurati dalla grazia

di Colui che fa nuove tutte le cose.

Madre di Misericordia, è il tuo Figlio Gesù

che ci ha chiamati a diventare come Lui: luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-14).

Aiutaci, con la tua potente intercessione, a non venir mai meno a questa sublime vocazione, a non cedere ai nostri egoismi, alle lusinghe del mondo ed alle suggestioni del Maligno.

Preservaci con la tua purezza, custodiscici con la tua umiltà e avvolgici col tuo amore materno, che si riflette in tante anime a te consacrate diventate per noi autentiche madri spirituali.

Madre della Chiesa, noi sacerdoti vogliamo essere pastori che non pascolano se stessi, ma si donano a Dio per i fratelli trovando in questo la loro felicità. Non solo a parole, ma con la vita vogliamo ripetere umilmente, giorno per giorno, il nostro «Eccomi!». Guidati da Te vogliamo essere apostoli della divina Misericordia, lieti di celebrare ogni giorno il santo sacrificio dell’altare, e di donare a quanti ce lo chiedono il sacramento della Riconciliazione.

 

Avvocata e Mediatrice di grazia,

tu che sei tutta immersa nell’unica mediazione universale di Cristo, invoca da Dio per noi un cuore completamente rinnovato, che ami Dio con tutte le proprie forze e serva l’umanità come hai fatto tu. Ripeti al Signore l’efficace tua parola «Non hanno più vino», affinché il Padre e il Figlio riversino su di noi come una nuova effusione dello Spirito Santo pieno di stupore e di gratitudine per la tua continua presenza in mezzo a noi, a nome di tutti i sacerdoti anch’io voglio esclamare «A che cosa devo che la Madre del mio Signore venga a me?». Madre nostra da sempre, non ti stancare mai di visitarci, di consolarci, di sostenerci. Vieni in nostro soccorso e liberaci da ogni pericolo che incombe su di noi! Con questo atto di affidamento e di consacrazione vogliamo accoglierti in modo più profondo e radicale, per sempre e totalmente nella nostra esistenza umana e sacerdotale. La tua presenza faccia rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità. Faccia tornare il sereno dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il Nome e il Volto di Gesù riflesso nei nostri cuori per sempre uniti al Tuo. Così sia.

 

Canto finale: Salve Regina