Omelia
del Cardinale Mauro Piacenza
in
occasione del Congresso Vocazionale
Europeo
Mercoledì,
3 luglio 2013, ore 18,30
“Tommaso, detto Dìdimo, non era con loro
quando venne Gesù”. Con questa annotazione, l’Evangelista Giovanni pone subito
in luce la questione capitale: Tommaso non incontrò il Risorto, a differenza
dei suoi fratelli, non perché indegno o perché inadeguato; l’incontro vivo con
il Risorto è sempre una novità assoluta, totalmente gratuita, che trasforma
coloro che ne sono coinvolti e costituisce il fondamento di ogni moralità.
Tommaso non incontrò il Signore semplicemente perché “non era con loro”, non
era con gli Apostoli; non era, cioè, nel luogo scelto dal Signore quale Sua
dimora e Tempio della Sua Presenza. Non era nella Chiesa!
Solo nella Chiesa, nella comunità di coloro
che sono generati dal Signore, abbracciati dalla Sua Misericordia, rinnovati
dal Sacramento dell’Altare, ammaestrati e guidati dal Successore di Pietro e
dai Vescovi in comunione con Lui, è possibile credere all’annuncio del Vangelo
- “Abbiamo visto il Signore” - e così incontrare il Risorto!
Tale verità fornisce immediatamente un dato
fondamentale, non solo per l’essenza della vita cristiana ma, ancor più, per il
delicatissimo compito di formazione dei futuri sacerdoti. Solo nella Chiesa
santa di Dio, nella dimora del Risorto, è possibile il sorgere di nuove
Vocazioni, e “nella Chiesa” significa “nella fede della Chiesa”,
nell’esperienza sempre nuova della Chiesa, nella vita della Chiesa! La
formazione - voi lo sapete bene - non potrà mai risolversi in un’insieme di
informazioni da comunicare, né potrà mai consistere in un plasmare i candidati,
facendo affidamento su forze, spesso solo umane, o troppo umane. No! Formare i
candidati al Sacerdozio, coloro che Dio ha voluto investire di questa altissima
chiamata, significa introdurli, sempre più profondamente, nella vita della
Chiesa, cioè nella comunione degli Apostoli, che è comunione sacramentale,
comunione dottrinale e comunione gerarchica.
Ma facciamo un ulteriore passo avanti. Tutto
questo non significa introdurre i candidati al Sacerdozio, o quanti stanno
discernendo la chiamata di Dio, dentro una realtà asettica, aridamente
istituzionale - anche perché, nella Chiesa, istituzione e carisma, istituzione
e Spirito sono sempre inscindibili - ma significa introdurli dentro quella che
ormai è la nostra stessa vita, il nostro stesso Cenacolo. O la Chiesa, infatti,
nella sua totalità accade e riaccade continuamente nella vita dei ministri di
Dio, e specialmente di coloro che hanno ricevuto l’alto mandato di formare i
futuri sacerdoti, oppure non vi sarà mai autentica formazione.
La nostra vita personale, la vita dei nostri
Seminari, deve essere sempre l’accadere della vita della Chiesa, nella triplice
comunione sacramentale, dottrinale e gerarchica, che è garanzia di ogni vero
bene nel Signore. Ferire o disprezzare anche solo una di queste dimensioni
dell’unica communio cattolica, significherebbe rendere semplicemente
impossibile l’esperienza della Chiesa e quindi il sorgere di nuove vocazioni e
il loro maturare nella volontà di Dio. Il Signore non mancherà di far sorgere
le vocazioni sacerdotali nella Chiesa, anche da quelle nuove esperienze
ecclesiali che lo Spirito incessantemente suscita e che si mostrano ampiamente
feconde di vita e di grazia. Domandiamo di non essere indegni di tali doni, di
poter riconoscere e accogliere le vocazioni, quale elargizione della divina
misericordia e di accompagnarle in una crescita che sia conforme ai palpiti del
Cuore sacerdotale di Gesù.
“Se non vedo nelle mani il segno dei chiodi
e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mano nel suo costato,
io non credo”. Sebbene l’affermazione di Tommaso sia, quantomeno, irruente ed
egli voglia sottomettere la verità dell’annuncio ai suoi, personali, criteri di
verifica, queste parole, tuttavia, mettono in luce un’esigenza fondamentale,
che sempre ha accompagnato e accompagnerà la vita di ogni chiamato: l’esigenza
di “fare esperienza personale” di Cristo. In verità, la personale esperienza di
Cristo, un’esperienza forte, viva e totalizzante, rimane l’unico presupposto e
la sorgente perenne di ogni vocazione. Al di fuori di questa esperienza, non è
data alcuna autentica vocazione e non è data nemmeno una fede vera.
Parafrasando l’incipit della prima Enciclica
del Sommo Pontefice emerito Benedetto XVI, potremmo affermare: “All’inizio
della Vocazione non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro
con un Avvenimento, con una Persona” (DCE, 1)! All’origine della vocazione, può
esservi soltanto l’incontro vivo con la Persona di Cristo, con l’Autore della
nostra vita e di ogni vocazione, con il Dispensatore di ogni grazia e di quella
grazia particolarissima che è la chiamata al Sacerdozio ministeriale. Ogni
altra ragione, se vissuta con retta coscienza, domanda di maturare in questo
incontro, di essere illuminata ed accompagnata, con la preghiera e con il
nostro personale sacrificio, fino a quell’abbraccio di misericordia e di amore,
che radica il cuore nella pace e imprime nell’intimo la voce del Signore. Ogni “altra”
ragione, poi, che non fosse vissuta con retta coscienza, domanderebbe, invece,
di essere “smascherata”, senza alcun rispetto umano, al fine di evitare ogni
temerario ingresso nel Clero.
Ai formatori è pertanto affidato il
delicatissimo compito del discernimento vocazionale, il quale non sarà,
anzitutto, la verifica di quei talenti, che si ritengono più utili per
l’esercizio del ministero e nemmeno delle doti umane essenziali - sebbene queste
vadano individuate e, se necessario, purificate e aiutate a maturare – ma sarà
primieramente la verifica dell’incontro vivo con il Signore Risorto, della
personale esperienza di Lui. Su tale esperienza, poi, si fonderà ogni altro
bene: lo zelo della risposta, generosa e totalizzante, il fervore nella
preghiera, l’impegno nello studio, la passione nella vita comunitaria,
l’ascolto, in spirito di fede, di coloro che il Signore ha preposto quali Superiori
nel cammino di formazione, la docilità nell’accogliere ogni indicazione e correzione
costruttiva.
“Otto giorni dopo, i discepoli erano di
nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù”. Nel Cenacolo, nella
compagnia degli Apostoli e di Maria SS.ma, diviene allora possibile l’incontro
personale con Cristo Risorto e quella che costituisce una delle professioni di
fede più solenni e toccanti della storia cristiana ed alla quale gli artisti di
ogni epoca si sono ispirati: “Mio Signore e mio Dio”. L’atto di fede, con il
quale un uomo riconosce Cristo Presente, Vivo e Vero, è sempre un dono di
assoluta gratuità, un miracolo dinanzi al quale perennemente “stare”, con cuore
semplice ed umile, con gratitudine, per contemplare le meraviglie del Signore e
permettere che Egli rinnovi il nostro stesso atto di fede, il nostro cuore e il
nostro “sì”.
E’ una grazia particolare, infatti, quella
che vi è data: essere formatori, quindi padri e modelli per le future
generazioni sacerdotali. Il Signore affida al vostro cuore, un cuore
sacerdotale, che ogni giorno accoglie e adora il dono dell’Eucaristia, il
tesoro più grande, le primizie del Suo amore Crocifisso. La compagnia dei
Seminaristi, infatti, è anzitutto un immenso dono alla vita stessa dei
formatori, prima che una responsabilità, o un impegno, perché introduce il
nostro cuore alle sorgenti del fatto cristiano, al suo più genuino
riconoscimento e, quindi, al suo continuo riaccadere.
Da qui, dal dono di una fede rinnovata, non
potrà che derivare, per ciascuno di voi, carissimi, la più profonda gratitudine
al Signore, che mentre si serve di noi per formare i Suoi ministri, ravviva nel
nostro cuore il fuoco della vocazione, la coscienza di appartenergli e di
essere generati, sempre e solo, dal Suo Amore; da qui, deriva l’autentica
radicalità evangelica, la sola capace di accompagnare i futuri sacerdoti e di
individuare quanto è bene per lo specifico cammino di ciascuno; da qui, deriva
lo zelo apostolico e missionario per la salvezza delle anime, che sempre deve
crescere in noi e divenire testimonianza viva per quanti ci sono accanto; da qui,
il vero fervore della preghiera. Una preghiera autenticamente sacerdotale,
incessante, dovrà divampare sempre più, per abbracciare tutta la realtà ed
impetrare dal Signore ogni vero bene per la Sua Chiesa e per i Suoi Ministri.
Come Tommaso, nel Cenacolo, domandiamo lo
stesso amore per Cristo, lo stesso zelo per le anime, e, guardando a Maria,
alla Sua fede, al Suo Cuore Immacolato, professiamo sempre e di nuovo: “Mio
Signore e mio Dio”!