“Formiamo seminaristi per il popolo di Dio”.

Intervista a S.E. Mons. Patrón Wong su “La Stampa” – 12/04/2012

 

Parla il Segretario della Congregazione del Clero con la “delega” ai seminari.

Sui gay: accompagnare la maturità personale

 

 

IACOPO SCARAMUZZI

CITTÀ DEL VATICANO

 

Da quando vive a Roma, Jorge Carlos Patròn Wong la sera si reca spesso in visita ai collegi sacerdotali della capitale: il collegio canadese, quello latino-americano, quello francese. Vescovo coadiutore di Papantla, in Messico, dal 2009, dal 2012 titolare della diocesi, a metà settembre scorso è stato svegliato la mattina all’alba da una telefonata del Nunzio apostolico in Messico che gli chiedeva la disponibilità a trasferirsi nel Vaticano di Jorge Mario Bergoglio. “Come ho sempre fatto in vita mia, ho detto di sì alla richiesta dei miei superiori”, racconta ora. “Ma non so perché sono stato scelto. Immagino che abbiano cercato qualcuno che aveva esperienza diretta sul campo della formazione. Ma non avrei mai immaginato di servire nella Curia romana”. 

 Patròn Wong, nominato segretario della Congregazione per il Clero ed elevato a dignità arcivescovile il 21 settembre, con la delicata delega ai seminari (materia trasferita al dicastero ora guidato dal cardinale Beniamino Stella, negli ultimi mesi di pontificato di Benedetto XVI, dalla Congregazione per l’Educazione cattolica, con l’idea che non si può scindere la formazione dei seminaristi da quella permanente dei sacerdoti), ha in effetti una lunga esperienza nel suo campo. Dal 2002 al 2008 è stato presidente dell'Organizzazione dei Seminari messicani (Osmex), quindi è stato eletto presidente dell'Organizzazione dei Seminari latinoamericani (Oslam), confermato dal 2006 al 2009.

 Visitare i collegi romani, dopo il lavoro, è un aspetto dello stile che l’arcivescovo messicano ha portato in Vaticano dal continente “quasi alla fine del mondo”: “Dialogo continuo, accompagnamento, discernimento. Tutto ciò che può costituire un servizio più qualificato e più vicino a ogni giovane affinché risponda con chiarezza e fedeltà alla chiamata di Dio. Vogliamo essere aperti a tutti, servire tutti”.

 

Monsignor Patròn Wong deve occuparsi di uno snodo fondamentale della Chiesa di papa Francesco. Il Pontefice argentino non si è espresso frequentemente sul problema della formazione dei futuri preti, ma quando lo ha fatto ha usato parole taglienti. "La formazione è un'opera artigianale, non poliziesca”, ha detto in un colloquio con i superiori generali raccontato su La Civiltà Cattolica dal direttore Antonio Spadaro. “Dobbiamo formare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri”.

 “Gli uomini hanno la capacità di fare di ogni vocazione un’esperienza mostruosa”, chiosa l’Arcivescovo messicano. “Scribi e farisei erano uomini mostruosi nel senso che hanno usato la religione come mezzo di potere, come specchio della propria malattia e della propria mostruosità. Quello che dobbiamo fare noi, in ogni momento dello sviluppo della vocazione sacerdotale, è il rapporto vero ed esistenziale con Gesù, con noi stessi, con gli altri che sono dentro la Chiesa e nella società. Perché un sacerdote deve essere uomo dell'incontro: entra in rapporto con Cristo, con i fratelli dentro e fuori la Chiesa. E se gli incontri hanno il sapore del servizio, della donazione di sé, dell'umiltà, della vicinanza e dell'aiuto degli altri, la vocazione sacerdotale sarà la luce che illumina le altre vocazioni e tutti i comportamenti diventano incontri”.

Patròn Wong tiene a precisare che il discorso non vale solo per i sacerdoti, perché il sacerdozio è un servizio al popolo di Dio: “Né il mondo, né la Chiesa, né il cristianesimo vive intorno al clero. La vocazione sacerdotale è all'interno e in compagnia degli altri, nella Chiesa e nella società, al servizio di Gesù buon pastore”. In questo modo si evita il rischio del “clericalismo” di cui pure papa Francesco ha parlato nell’incontro con i superiori delle congregazioni religiose: “Il clericalismo si cambia se siamo servitori. La cultura del dialogo e della vicinanza rompe la struttura della Chiesa clericale e lontana dal popolo”. Il sacerdozio ha certo una sua specificità: “È importante che nel processo previo all'ingresso in seminario e durante il seminario si viva la realtà di discepolato e missionarietà, con la specificità di avere il cuore come quello di Gesù pastore che cammina con il suo popolo, donando la vita per tutta la vita”.

 Ma la missione – e i rischi di “sfigurarla” – interpella tutti: “Se alla base di ogni processo vocazionale mettiamo l'essere discepoli e missionari di Cristo, all'interno del popolo che è chiamato nel suo insieme da Dio, si evita lo sfiguramento delle vocazioni. Le parole del Papa sono vere per tutti: ci possono essere laici mostruosi, consacrati mostruosi, preti mostruosi”. La “mostruosità”, spiega il Segretario della Congregazione del Clero, si materializza quando “si prende Gesù e lo si manipola per interessi personali. Quando la propria debolezza, il proprio peccato, il proprio egoismo utilizza la figura di Gesù come vantaggio di tipo personale, sociale. Allora si usa la vocazione come fonte di potere, manipolazione, controllo sugli altri, corruzione”. E invece “oggi tutti abbiamo bisogno di comprendere e vivere la nostra vocazione battesimale di essere discepoli e missionari di Cristo. All’interno di questa vocazione, di questa chiamata, si colloca la vocazione specifica della vocazione sacerdotale”.

Il ruolo della Congregazione per il Clero, spiega l’Arcivescovo messicano, è come quella dei formatori nei seminari. Che, a sua volta, “è come l'esperienza dei genitori impegnati nella formazione dei figli: ogni giorno si impara qualcosa di concreto per aiutarli nella loro crescita”. Il metodo è dunque “dialogo continuo, accompagnamento, discernimento”: il seminario è “una comunità vocazionale, perché nessuno sviluppa la sua vocazione da solo”, e “noi vogliamo essere vicini ai vescovi, ai rettori, ai formatori dei diversi paesi affinché il percorso di formazione sacerdotale tenga conto delle realtà concrete dei giovani e della società”. Più concretamente, il Dicastero vaticano guidato dal cardinale Stella, ex rettore della Pontificia Accademia ecclesiastica, la scuola diplomatica della Santa Sede, si configura in una miriade di contatti e confronti: “La Congregazione vuole aiutare tutti gli interlocutori lungo il cammino vocazionale: le associazioni di seminari, a livello locale, nazionale e continentale, le case di formazione, le conferenze episcopali. A Roma arrivano molti vescovi, in occasione delle visite ‘ad limina apostolorum’. Siamo poi in rapporto con i seminaristi dei vari paesi che studiano a Roma e con i formatori. Partecipiamo a convegni nei vari paesi, ci scambiamo informazioni, anche grazia alla risorsa di internet. È tutta una rete di comunicazione”.

Patròn Wong non schiva una domanda sul nodo della sessualità. Una istruzione di alcuni anni fa della Congregazione per l’Educazione cattolica “circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri” (2005) stabiliva che la Chiesa “non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”. Una affermazione che non sembra perfettamente in linea con una nota affermazione di papa Francesco, che sul volo di ritorno dal Brasile, l’estate scorsa, affermò in un colloquio con i giornalisti: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?”. Commenta il segretario della Congregazione del Clero: “Non possiamo giudicare l’esistenza con cui una persona arriva davanti a noi. La Chiesa vuole accompagnare i giovani a raggiungere la maturità personale, dentro una comunità costituita dalla famiglia, dagli amici, dalla società, dalla Chiesa. Una parte della maturità è quella affettiva e sessuale: la crescita equilibrata e sana della propria sessualità. Ma la maturità sessuale fa parte di una più ampia maturità personale e la maturità personale è alla base della maturità cristiana, che a sua volta è alla base della maturità sacerdotale. Sono tappe legate l’una con l’altra. Per questo è importantissimo il discernimento sincero e libero. È lì che avviene la chiamata e la risposta. E per questo non si giudica la persona, ma si aiuta la persona a raggiungere la verità della sua vocazione. Questo è importante da capire: Dio ci chiama nella nostra libertà. Nella Chiesa tutti abbiamo una vocazione, tutti siamo chiamati all'amore e al servizio. Per questo il seminario è uno strumento che ha la Chiesa, non l'unico, per aiutare i giovani a scoprire e vivere la loro vocazione. È importante essere chiari sui criteri di maturità umana, affettiva, sessuale e poi spirituale per poter abbracciare con serenità la vita presbiterale e, contemporaneamente, è importante non essere rigidi nel giudicare le persone che compiono il cammino ma, anzi, aiutarle a capire e a crescere. Ovviamente è necessario che coloro che si recano al sacerdozio ministeriale possano farlo con una sufficiente maturità umana, affettiva, sessuale, spirituale, cioè una sufficiente maturità integrale che permetta loro di essere capaci di donare la propria vita per Dio e per gli altri, rinunciando a se stessi; e senza una sufficiente maturità in tutti i sensi difficilmente si riesce a rinunciare a se stessi e a fare della propria vita un dono. Nel seminario non si perde nulla: la vocazione può essere sacerdotale o laicale e il seminario può aiutare a capire quale vocazione scegliere. È un processo aperto e dinamico. Non vogliamo mettere i giovani in uno scaffale”.