European Vocations Service

 

Convegno Europeo delle Vocazioni
Varsavia (Polonia), 3 – 6 Luglio 2014

 

L’educazione cristocentrica a servizio delle vocazioni, oggi

“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5)

 

Saluto

 

S.E. Mons. Jorge Carlos Patròn Wong

Arcivescovo - Vescovo em. di Papantla

Segretario per i Seminari della Congregazione per il Clero

 

 

X

 

 

 

  Eccellenze Reverendissime,

  Presbiteri, Religiosi e Religiose, Diaconi, Cari Seminaristi,

  Signore e Signori

 

Sono davvero lieto di essere presente oggi fra Voi e vi ringrazio vivamente per l’invito. Il tema di questo Convegno Europeo delle Vocazioni, a prima vista potrebbe apparire abbastanza scontato e per nulla nuovo; infatti, origine, fondamento e cuore di ogni vocazione cristiana è Cristo che ci chiama e ci plasma con il Suo Spirito. La stessa espressione “vocazione cristiana” significa mettersi alla sequela di Cristo ma sappiamo che ciò è possibile solo se prima siamo stati toccati da Lui e Lui è diventato il centro della nostra esistenza. Tuttavia, il tema non è né scontato e né ripetitivo perché questo è il grande tema del cammino della fede; ogni giorno, infatti, per molte ragioni alcune legate a noi stessi e altre legate a situazioni che ci girano intorno, noi in qualche modo “perdiamo” Cristo o rischiamo di spostare il centro del nostro cuore altrove e, perciò, non è mai abbastanza ribadire l’importanza di recuperare questa Sua centralità. Per questa ragione, l’argomento del Convegno «L’educazione cristocentrica a servizio delle vocazioni, oggi. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5)» merita la massima attenzione e l’approfondimento più specifico. Potremmo addirittura affermare che si tratta di una vera e propria sfida per la Chiesa di oggi, la quale certamente è chiamata a interrogare se stessa per cercare di capire “chi” o “che cosa” essa mette al centro.

 

Questo tema, affermando che Cristo e i suoi sentimenti devono essere al centro dell’educazione e formazione vocazionale, ci comunica qualcosa di preciso: la chiamata di Dio e il cammino formativo per accoglierla e mediarla nella propria vita, deve integrare tutti gli aspetti e le dimensioni dell’uomo e della fede, puntando verso un punto preciso che è Cristo stesso. Educazione cristocentrica significa, infatti, che i diversi elementi educativi e formativi –devono convivere e crescere insieme, in un processo armonioso e unitario il cui orizzonte ultimo è Cristo stesso. Tutto serve all’educazione vocazionale: una interpretazione antropologica, elementi di conoscenza psicologica, contenuti socio-culturali, maturità umana e affettiva e diverse altre dimensioni; ma ciò che è assolutamente necessario è che nessuna di queste realtà venga assolutizzata o venga a occupare il “centro”. Educazione cristologica significa che queste dimensioni della persona e della cultura in cui essa vive, devono essere orientate a Cristo e trovare in Lui la radice fondamentale e la sintesi più piena.

 

Educazione cristologica, dunque, significa Cristo al centro del processo educativo. Ciò implica alcune cose importanti e concrete:

1)il cuore della vita cristiana e di ogni vocazione non è una teoria, una filosofia, un programma politico-religioso; al centro vi è una Persona che è insieme “Via, verità e vita” (Gv 14,6), che passa anche oggi per le strade della nostra vita e chiama alla sequela, che ci offre la Sua vita e per mezzo dello Spirito ci rende annunciatori e testimoni del Vangelo. Questo vale in modo particolare per le vocazioni al presbiterato e alla vita religiosa; esse, in definitiva, sono una consacrazione totale a Cristo, un fare di Cristo il cuore della propria esistenza;

2)Mettere Cristo al centro significa che il processo educativo inizia e termina con la conoscenza di Cristo. Non si tratta però, di una conoscenza intellettuale, di un “sapere”, né tantomeno di uno slancio emotivo sganciato dalla persona e dalla sua interiorità. Al contrario, conoscerLo è ascoltarLo, frequentarLo, intessere con Lui una profonda amicizia e relazione. Il tema di oggi esprime bene tutto questo richiamando le parole dell’Apostolo Paolo: nutrire gli stessi sentimenti di Cristo fino a decentrare se stessi, porre Cristo al centro dell’esistenza, far «a far vivere Cristo in noi» (Gal 2, 20). Ciò, significa educare ad una grande libertà interiore che porti la persona ad abbracciare il progetto di Cristo come il proprio, nella gratuità e nella gioia, restando liberi e disponibile dinanzi alla volontà del Padre e, così, cooperare ala costruzione del Suo Regno;

3)Un’ultima cosa ancora significa educazione cristologica: essere educati non ad una competenza o professionalità, che pure sono importanti, ma ad avere lo stesso cuore e la stessa carità di Cristo. Essere cioè educati a immergere la propria vita in Cristo fino a farla diventare cristificata. In questo senso, le motivazioni che conducono ad accogliere la propria chiamata, come ci insegna Papa Francesco, non devono essere «legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico»[1]. Occorre liberarsi da ogni interesse personale e da ogni ansia di tipo aziendale come l’efficientismo e la produttività per lasciarsi afferrare e portare da Cristo. Mi sembra particolarmente suggestiva l’immagine che Papa Francesco ha usato nell’omelia di San Giovanni Battista, pochi giorni fa: il cristiano deve essere come il battista, uno che non porta se stesso e le proprie idee ma prepara la strada ad un Altro. Molto di più questo vale per il presbitero o chi si consacra alla vita religiosa: bisogna educarsi sin da subito alla centralità di Cristo e imparare, dalle piccole cose di ogni giorno, a “diminuire” facendo crescere il Cristo e a pensarsi come semplici amministratori di una vigna che è Sua, preparatori di una strada che sarà Lui a percorrere.

 

Dunque, continuare a «proporre ai […] giovani un cammino di speciale consacrazione»[2], sarà fallimentare se previamente non li si conduce a nutrire «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). Per questo motivo San Paolo ci dice di nutrire gli stessi sentimenti che furono «in» (ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ), e non «di» Cristo. La portata di questo «in» è essenziale per cogliere lo spirito dei sentimenti che ciascuno di noi è chiamato a condividere, per non far passare come chiamata di Dio ciò che in realtà è soltanto l’affermazione del proprio ego in lotta per l’affermazione di sé. Cristo ci ha dato l’esempio di come accogliere in sé quei sentimenti che condivise con il Padre, non accettandoli passivamente, ma fondendoli totalmente con i propri, tanto da essere «una cosa sola» (Gv 10, 30) con lui. Allo stesso modo è richiesto a ciascuno di noi.

Secondo Papa Francesco questo ci preserva da due tendenze opposte: «Uno è il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato»[3].

Ciò che occorre, dunque, è un’animazione vocazionale capace di stimolare almeno tre prospettive esistenziali concrete:

 

1)           mostrare il fascino della vita di Gesù. Un’animazione vocazionale esclusivamente basata su metodi, contenuti e prassi, per quanto importante sia tutto ciò, non riesce ancora a suscitare una disponibilità del cuore nei confronti della chiamata di Dio. E’ importante, invece, mostrare la bellezza della vita di Gesù, la Sua umanità completa, il fascino della Sua predicazione e del Suo stile, la coerenza interiore tra le parole e le azioni. In tal senso, vivere gli stessi sentimenti di Cristo, non apparirà come una forzatura o un grado da conquistare ma un desiderio profondo, il desiderio di essere il più possibile vicino a Lui, con lo stesso Suo cuore;

2)           Educare al’interiorità. A questo primo passo, occorre aggiungere che c’è bisogno di un’animazione vocazionale che promuova un’adesione interiore ed esistenziale e non esterna e intellettuale. Troppe volte la fede rimane sul piano del fascino delle idee, magari anche della chiarezza catechistica e, tuttavia, non riesce a integrarsi con la vita umana concreta e quotidiana. Quando ciò vale per le vocazioni alla vita presbiterale o religiosa, possono sorgere ideali e modelli di vita consacrata parziali e perfino pericolosi perché incapaci di fondersi con l’identità della persona. Il beato John Henri Newman, contro il razionalismo del suo tempo, affermava che il processo di maturazione della fede non avviene solo per una via “nozionale” fatta di argomenti, prove e ragionamenti ma, diversamente, passa realmente nella vita e diventa quindi esistenza concreta solo quando tocca il cuore e nutre l’immaginazione della persona. Occorre ovviamente chiarire che, per Newman, la parola “cuore” è intesa in senso biblico come centro della persona e non in senso romantico, così come la parola immaginazione non è sinonimo di fantasia ma del mondo interiore dell’uomo. In sostanza, si può aderire in duplice modo alla chiamata di Cristo: in modo astratto, assimilando magari qualche contenuto e sviluppando un’adesione esteriore; oppure in modo esistenziale autentico, facendo passare i sentimenti di Cristo nei propri e mettendosi in gioco con la totalità della propria esistenza. A questo un’animazione vocazionale cristocentrica deve condurre: ad un’adesione interiore, profonda, assimilata.

3)           Educare all’identità comunitaria della vocazione. In questa opera educativa, come si può intuire confluiscono allora due tendenze diverse che devono integrarsi: da una parte uscire da se stessi perché Cristo e i suoi sentimenti diventino il centro profondo della persona chiamata; dall’altra parte, lasciarsi guidare dal fascino di Cristo e del Suo Vangelo cercando di sviluppare un’adesione esistenziale e non formale ed esteriore. Come possono integrarsi questi due aspetti? Ritengo sia assolutamente necessaria un’animazione vocazionale che sottolinei maggiormente il valore e il significato della comunità ecclesiale. Se si entra davvero nella prospettiva comunitaria ed ecclesiale della chiamata, allora si riesce ad abbracciare quell’opera lenta e faticosa dell’uscire da se stessi, dal proprio soggettivismo, dalla tentazione del’isolamento; allo stesso modo, la comunità vivente in cui mi immergo, giorno dopo giorno mi chiede di mettermi in gioco, di prendere posizione, di testimoniare in modo coerente ciò che vivo e proprio tutte queste cose formano lentamente un’adesione reale ed esistenziale a Cristo, non solo intellettuale o formale. Certamente bisogna dare grande spazio all’incontro personale con Cristo e alla conoscenza del Suo mistero di amore. Ma questa assimilazione personale della chiamata non deve mai diventare soggettivismo né mettere in secondo piano la radice comunitaria di ogni vocazione e il suo sbocco naturale. Si è discepoli, annunciatori, religiosi e presbiteri solo grazie alla Chiesa che ci genera e per la Chiesa che attende il nostro servizio. E questo nostro servizio sarà sempre un “lavorare insieme” ai fratelli nella fede e per il bene della comunità. Pochi giorni fa, nell’Udienza Generale, Papa Francesco ha voluto ribadire con forza l’appartenenza al popolo di Dio non come funzione esterna alla nostra vita ma come nostra identità: «Non siamo isolati e non siamo cristiani a titolo individuale, ognuno per conto proprio, no, la nostra identità cristiana è appartenenza! Siamo cristiani perché apparteniamo alla Chiesa. È come un cognome: se il nome è “sono cristiano”, il cognome è “appartengo alla Chiesa”. Questo cammino lo possiamo vivere non soltanto grazie ad altre persone, ma insieme ad altre persone. Nella Chiesa non esiste il “fai da te”, non esistono “battitori liberi”»[4].

 

Il mio augurio, infine, è che questo Convegno Europeo delle Vocazioni possa individuare nuove vie per rendere sempre più centrale, nella pastorale delle vocazioni della Chiesa, la conoscenza e l’incontro personale con Gesù, la bellezza e di una vita consacrata a Lui, la possibilità di vivere secondo i suoi stessi sentimenti e la gioia di sentirsi parte viva della comunità ecclesiale.



[1] Francesco, Esort. Apost, Evangelium gaudium, 24 novembre 2013, 107.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem, 94.

[4] Francesco, Udienza Generale, 25 giugno 2014.