S.E. Rev. Mons. Jorge Carlos Patrón Wong

 

Convegno: Social Network e formazione religiosa

La formazione religiosa nella contemporaneità digitale

 

 

Ringrazio tutti voi per l’invito che mi è stato rivolto a partecipare a questo Convegno, il cui tema è di grande importanza e attualità. Questa mia presenza in mezzo a voi, intende essere segno di attenzione e vicinanza da parte della Congregazione per il Clero. A tal riguardo, vi porto il saluto affettuoso di Sua Eminenza il Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione, e di tutti gli officiali, presbiteri e laici, che lavorano presso il Dicastero. Tutti noi, guardiamo con attenzione alla relazione tra formazione religiosa e nuovi sviluppi della comunicazione digitale e, pertanto, ritengo che il tema di questo Convegno sia particolarmente importante.

 

Il titolo del Convegno, potrebbe essere trasformato sottoforma di due interrogativi:

1)                                è possibile coniugare la formazione religiosa con il mondo della comunicazione digitale e i social network?

2)                                le odierne forme di comunicazione digitale sono un ’opportunità per la fede e la formazione religiosa oppure sono un ’insidia?

 

Probabilmente, cercando di superare sia ingenui entusiasmi che timorose chiusure, a queste domande non esiste una risposta univoca. Occorre, anzitutto, lasciarsi interrogare. La realtà dell’incarnazione, che è fondamentale nella fede cristiana, ci spinge a pensare la spiritualità e la formazione religiosa come realtà concrete, inserite cioè nella storia quotidiana e nel tempo presente.

Trovo particolarmente incisiva quell’espressione che Papa Francesco usa nell’Evangelii gaudium quando ci mette in guardia dall’essere irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato (EG 94).  Se restiamo, nel nostro caso, rinchiusi negli schemi pastorali e comunicativi di un tempo, difficilmente riusciremo a dialogare con il mondo di oggi.

Senza paura, seppure con la vigilanza che è propria del discepolo di Gesù, dobbiamo prendere atto che la nostra società è notevolmente cambiata, e la trasformazione, ancora in atto, ci pone dinanzi a una realtà completamente nuova, che dobbiamo accogliere come una sfida dell’evangelizzazione. In cosa consiste il cambiamento?

 

 

 

Vorrei sottolineare due punti:

 

1)     il primo riguarda il passaggio da un mondo strutturato, e per così dire “semplice”, a un mondo in movimento, plurale e complesso.

Nelle società del passato, generalmente, si aveva una struttura di massima abbastanza definita, valori condivisi e regole chiare attraverso cui ciascuno sapeva in qualche modo muoversi; c’erano il riconoscimento dell’autorità, una gerarchia di valori e un certo senso comune. Oggi, invece, camminiamo in una società mobile e mutevole, che qualcuno ha definito “liquida”, dove notiamo legami sociali sempre più fluidi e una “sospensione” della gerarchia dei valori della società precedente.

Cosa comporta ciò? La comunicazione è cambiata, è diventata plurale, si è lasciata cioè trasformare dalla necessità di aprirsi a svariati modelli, idee e mondi diversi. E’ una comunicazione che, attraverso il processo della globalizzazione, vuole interagire con il mondo intero e, perciò, essa si è adeguata e si è fatta veloce, istantanea, immediata. Qui sembra trovare radice l’esplosione del mondo digitale e, quindi, dei social network; a pensarci bene, il social network si presta bene a questo tipo di società veloce e in movimento: basta esserci, postare qualcosa, lanciare un tweet. Tutte cose brevi, rapide, immediate, che arrivano in pochi secondi dall’altra parte del mondo e richiedono concretezza, sintesi e incisività. Questa è per noi una sfida pastorale concreta;

 

2)     il secondo punto riguarda la formazione religiosa e la spiritualità. Noi rimaniamo attaccati a molti mezzi tradizionali di comunicazione. Questi si rivelano tuttora importanti e parte di un patrimonio che non si può abbandonare; tuttavia, dobbiamo anche considerare la grande opportunità che viene oggi data alla fede e alla spiritualità dallo sviluppo della tecnologia e dei media. Essi – ci ricorda Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazione Sociali di quest’anno - sono mezzi che fanno diventare il mondo più piccolo, «dove, quindi, sembrerebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli altri. Gli sviluppi dei trasporti e delle tecnologie di comunicazione ci stanno avvicinando, connettendoci sempre di più»[1]. Ma cosa occorre per cogliere davvero questa sfida? Quando ci avviciniamo a questo mondo, abbiamo in genere almeno due sguardi, che risultano essere quantomeno parziali: da una parte, un atteggiamento giudicante, che ci fa guardare ai mezzi di comunicazione dall’esterno e ci fa chiedere se “sono buoni o cattivi” e “come vanno usati”;dall’altra, li intendiamo solo come mezzi da riempire con un contenuto specificatamente religioso.

Abbiamo bisogno di superare questi approcci per cogliere un aspetto più profondo. Dobbiamo chiederci se e come questo sviluppo della comunicazione, attraverso il web e i social network, possa rappresentare una nuova opportunità per la fede e la formazione religiosa. E’ questa domanda che lega la formazione religiosa e i social network. L’urgenza, che deve animare lo spirito del presbitero, del religioso e del seminarista, è anzitutto quella dell’evangelizzazione e dell’annuncio.

Sotto la spinta di Papa Francesco, la Chiesa sta prendendo sempre maggiore consapevolezza che essa non esiste per se stessa, e la nostra ansia principale deve essere comunicare la gioia del Vangelo al mondo intero. La comunicazione del Vangelo, però, non si limita assolutamente ad una trasmissione di verità e non può essere solo un annuncio verbale; essa è anzitutto testimonianza, condivisione di esperienze, “contagio” di vita. Annunciare il Vangelo, infatti, significa abbattere le distanze, far cadere i muri, creare la possibilità di diventare sempre più prossimi agli altri. Tutto ciò che ci avvicina all’altro e ci permette di entrare in comunicazione di vita, favorisce la diffusione del Vangelo.

Ora, i social network devono essere interpretati in questa direzione; il web e i social network non sono soltanto mezzi e strumenti; essi sono, invece, una realtà del nostro mondo, del nostro tempo e del vivere nel mondo di oggi. Cosa dobbiamo fare allora? Dobbiamo anzitutto abitare questa realtà, essere presenza, comunicare i passaggi della nostra quotidianità.

 

Richiamando la parabola del buon samaritano, Papa Francesco ha affermato che la comunicazione va intesa nel senso della prossimità di vita. Dunque, la rete è un mondo da abitare e in cui entrare con la propria testimonianza di vita quotidiana per accorciare le distanze  e creare ponti di relazioni umane. Questo cambiamento di approccio, secondo diversi studiosi della materia, è avvenuto già con il Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali del 2013, in cui Benedetto XVI ha usato due immagini per definire la rete: spazio e porta. Evitando un approccio giudicante e moralistico, il Papa Emerito intese affermare che il social network può essere uno spazio di relazione, di esperienza, di comunicazione quotidiana di vita e, in tal senso, porta della fede e via dell’evangelizzazione.

 

 

In questa prospettiva, perciò, la formazione religiosa dei presbiteri, dei consacrati e dei seminaristi, non può limitarsi all’uso del mezzo o alla sua valutazione etica o critica. Questi sono certamente i primi passi ma, molto più profondamente, essa deve educare alla condivisione quotidiana della vita e del ministero, anche nella forma della comunicazione digitale. Con un’immagine oserei dire: l’agenda della vita, degli incontri, degli appuntamenti e del ministero di un parroco, non può restare un’agenda cartacea ma deve diventare “social”, deve essere cioè condivisa nella rete delle relazioni e dei legami a cui possiamo accedere tramite i network. Ciò non è semplice, e per questo c’è bisogno di formazione; siamo abituati – anche noi persone consacrate – a usare i mezzi, scivolando talvolta nella tentazione del narcisismo o della fuga dalla vita reale, oppure di usarli per comunicazioni superficiali che non ci aiutano a sviluppare relazioni significative. Nel percorso formativo, un primo passo dovrà essere un momento di purificazione. Bisogna educarsi alla libertà interiore e uscire dall’atteggiamento preoccupante di chi non sa staccarsi dal mezzo tecnologico; la distanza interiore e reale dai mezzi, rappresenta invece un importante primo passo, in quanto purifica il cuore e la mente da tutte le storture, i preconcetti e le idolatrie con cui una persona può iniziare il percorso formativo provenendo dalla semplice cultura del mondo.

Un successivo passaggio è educarsi a superare la tentazione di usare il social network come mezzo da farcire di contenuti spirituali che, tuttavia, appaiono a volte come una forzatura o un eccessivo sentimentalismo. Invece, ci è data l’opportunità di poter essere incisivi, brevi, sintetici e veloci nel comunicare tutto ciò che viviamo quotidianamente, di farci prossimi agli altri, testimoniando il nostro quotidiano servizio al Vangelo e, così, far maturare una feconda comunicazione della fede. Potremmo allora dire che la sfida non è come usare la rete ma come stare nella rete. A questo proposito, vorrei concludere con alcuni suggerimenti concreti sull’uso della rete sociale:

 

 

 

a)                   La condivisione della fede. Nella rete sociale, si possono condividere i propri valori o la propria esperienza legata alla fede. Tante volte, lo scopo del twitter o del wathsapp è condividere un’emozione, un successo, un’esperienza positiva. Tutto ciò ha il merito di creare comunione. Possiamo dire che le reti sociali sono un’opportunità per tradurre concretamente la dimensione comunionale del cristianesimo;

 

b)                  La convocazione. Le reti sociali raggiungono le persone per un fine che può essere un evento o un’esperienza o altro. Ma possono anche usare per invitare alla preghiera, per festeggiare un successo o un traguardo raggiunto, per un’esperienza della vita comunitaria . In tutti questi casi, la vita reale della comunità si esprime attraverso i social e, dunque, siamo dinanzi ad uno strumento di convocazione, uno “strumento ecclesiale” che afferma e rafforza il senso di appartenenza alla comunità cristiana;

 

c)                  La solidarietà. Un vero bisogno, espresso attraverso le reti sociali provoca reazioni immediate sulla linea della solidarietà con il prossimo. In questo spazio la sensibilità si apre per cercare di comprendere cosa succede agli altri e come è possibile offrire loro un aiuto. In questo senso, oggi è possibile attualizzare la parabola evangelica del buon samaritano anche con l’ausilio dei social network, attraverso cui le persone si spostano e partecipano, con rapidità, ad una “carità operativa” che assume forme diverse. La rete, dunque, crea anche un vincolo di carità cristiana, operosa e pratica;

 

d)                  La fraternità. Attraverso la rete, ho la possibilità di inviare un complimento, un segno di vicinanza, un’attestazione di affetto ai fratelli della comunità; questa è un’espressione possibile e concreta anche della fraternità presbiterale o religiosa Si tratta di una modalità corrente tra i membri di gruppi giovanili, di una stessa famiglia. La rete sociale, allora, è anche un’occasione per affermare il senso di famiglia all’interno della propria comunità cristiana.

 

Vorrei infine aggiungere che, attraverso la rete sociale, si sviluppa anche una comunicazione senza parole, fatta cioè di una semplice presenza. Qual è allora lo stile della nostra presenza nel social network?

 

 

a)     Testimonianza evangelizzatrice. La prima forma di presenza è la condivisione dell’esperienza del proprio quotidiano. Comunicare semplicemente alcuni momenti della propria giornata “di prete” o “di religioso”. L’evangelizzazione inizia proprio qui, con la testimonianza della vita quotidiana; si tratta di una condivisione dell’ordinario: la propria agenda, le preoccupazioni, le intuizioni, gli incontri, sia nell’ambito umano che pastorale;

 

b)    Presenza spirituale. Quella del prete o del religioso, dovrà evidentemente essere una presenza caratterizzata da valori spirituali, capace di parlare di Dio Ciò che conta è l’atteggiamento, il “come si sta”. Occorre cioè un atteggiamento spirituale nella realtà virtuale, che sia capace di portare gli altri a Dio, suscitando almeno un po’ di stupore e provocando qualche domanda;

 

c)     Austera bellezza. Se è vero che la bellezza ha un grande potenziale di comunicazione ed è una via per il divino, è altrettanto vero che non bisogna confondere la bellezza con un sovraccarico di forme e un’eccessiva ricchezza. Al contrario, la vera bellezza è data dalla semplicità e dalla sobrietà. Dopo il Concilio Vaticano II, questa coscienza è cresciuta. Una bellezza austera è un segno importante di vera spiritualità, in un tempo come il nostro segnato dal materialismo e dal consumismo;

 

d)    Un linguaggio accessibile e fresco. Ci si inserisce nella rete sociale solo imparando la comunicazione veloce e il linguaggio immediato. Oggi, la comunicazione della fede esige la nostra capacità di superare forme e stili di un linguaggio superato, lontano e, perciò,  incomprensibile. Al riguardo, Papa Francesco è un’artista: comunica con parole semplici, che rimandano al Vangelo e toccano la vita dal di dentro.



[1] Papa Francesco, Messaggio per la XLVIII Giornata delle Comunicazioni Sociali. Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro, 1 giugno 2014