III Domenica di
Pasqua
Citazioni:
Ac 3,13-15.17-19: www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9asubuc.htm
1Jn 2,1-5a: www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9abspcb.htm
Lc 24,35-48: www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/9bxwpfx.htm
In
questa domenica del tempo pasquale, la Liturgia della Parola ci riconduce
all’essenzialità dell’annuncio cristiano: il Gesù che non è stato riconosciuto come
Giusto e Santo, ed è stato messo a morte, Dio Padre lo ha risuscitato. E questa
risurrezione ci invita a convertirci, cioè cambiare vita, ed essere suoi testimoni
nel mondo. Il tema è sottolineato sia dalla Prima Lettura, tratta dal Libro
degli Atti, che dal Vangelo di Luca; gli apostoli annunciano la risurrezione e
invitano alla conversione come, allo stesso modo, Gesù Risorto viene incontro
agli Undici e li invia come annunciatori della misericordia di Dio e testimoni
della risurrezione.
Al
tema di questo annuncio esplicito del Cristo Risorto, accompagnato dalle stesse
apparizioni di Gesù tra i suoi, si accompagna parallelamente, quello del non riconoscimento; ci ha introdotti in
questa dinamica, domenica scorsa, “la fede incredula” di Tommaso. Dinanzi al
Cristo, alla Sua Parola e alla Sua provocazione, alla Sua Croce e alla Sua
Risurrezione, c’è sempre la possibilità che i nostri occhi restino incapaci di
riconoscerlo e il cuore resti chiuso. Pietro rimprovera al popolo, infatti, di
non aver riconosciuto in Gesù il Santo di Dio fino a farlo mettere a morte; gli
Undici, rimasti a Gerusalemme, non riconoscono Gesù Risorto che viene in mezzo
a loro, al punto che Gesù deve insistere e farsi dare qualcosa da mangiare per
mostrare che è davvero Lui!
Gli
occhi e il cuore possono restare chiusi per ragioni diverse. Si può non
accogliere Cristo e il Suo progetto perché ci si chiude a Lui, si rifiuta la
Sua Parola, si preferisce vivere la vita senza di Lui; il caso degli Apostoli,
però, ci comunica che la possibilità della chiusura e della cecità, vale anche
per il credente. Essi avevano lasciato le reti e le barche, erano stati
affascinati dal Suo sguardo e Lo avevano seguito, avevano ascoltato la Parola e
condiviso la Sua vita, avevano assistito ai prodigi da Lui operati. Eppure, non
Lo riconoscono. Ancora non hanno pienamente accolto il progetto di Dio, e lo
scandalo della croce li ha disorientati. Gesù, evocando e rileggendo tutta la
Sua storia e la parola delle profezie bibliche, li riporta a ciò che aveva
annunciato loro, cioè al progetto del Padre: bisognava che il Cristo patisse, morisse e risorgesse. Perché
“bisognava”? Non si tratta di una necessità o costrizione. Piuttosto, questo è
Dio. Il Suo essere, il Suo agire, il Suo stile. Bisognava, perché il Padre è il
Dio dell’amore, che condivide le miserie e le ferite dell’umanità, che si offre
per gli uomini, che sconfigge il male e la morte per aprire alla vita eterna.
E’ solo allora, che dagli occhi oscurati degli Apostoli cadono le barriere e
finalmente il cuore si apre alla gioia del Risorto.
Anche
noi, incontrati dal Cristo Risorto lungo le strade della nostra vita, viviamo
spesso la tentazione di non riconoscerlo.
Lo abbiamo seguito, magari con entusiasmo; spesso Lo abbiamo sulle nostre
labbra ed eleviamo a Lui la nostra preghiera. Eppure, fatichiamo a cambiare
vita lasciandoLo entrare in noi. Come per gli Undici, ciò può avvenire perché abbiamo paura o, al contrario, per lo
stupore pieno di gioia nel vederLo accanto a noi.
Possiamo
avere paura di un Dio che si fa riconoscere nei segni delle ferite della Croce,
fino a dire “Mettete qui le vostre mani”, perché è un Dio che può sembrarmi
debole, che non mi risolve i problemi, che non si impone lasciandomi libero,
così, di vivere in prima persona la mia vita. E’ un Dio misericordioso e
compassionevole, che posso realmente “vedere e toccare” se mi apro anche io
all’amore, al perdono, alla misericordia. Possiamo anche restare turbati per lo
stupore, per la gioia inaspettata di sentirLo e vederLo nel bel mezzo della
nostra esistenza più feriale e quotidiana. Questo è lo stupore della fede, che
ci conduce a Dio solo per la via della piccolezza; riconoscerLo, magari in
situazioni, volti e parole che non aspettavamo, è possibile solo questo stupore
ci rende piccoli, se ci lasciamo sorprendere, se non presumiamo di capire
tutto, se ci affidiamo.
Gesù
viene in mezzo a noi. Egli è il Risorto! Percorre le nostre stesse strade e
vive in mezzo alle nostre domande, ai nostri sogni, alle nostre ansie e ai
nostri conflitti. Mostrandoci ancora il volto di un Dio amorevole e
misericordioso, Egli ci viene incontro per creare comunione e non per dare
ordini: toccare, mangiare, condividere.
Ai discepoli, cioè, è solo richiesto di riaprire i loro sensi all’incontro con
Dio: toccare le Sue ferite, dargli del pane da mangiare, sedersi con Lui per
ascoltare e dialogare. Sperimentare cioè, che Egli non è un fantasma. E’
l’avvocato presso il Padre, annuncio vivente di misericordia e vita nuova per
la nostra esistenza, che ci manda come testimoni e operatori di questa
misericordia nel mondo.
E’
così che siamo chiamati a riconoscerlo: per la strada, nel volto dell’altro,
nel pane e nel tempo che condividiamo, nell’amore con cui ci spendiamo. E,
soprattutto, sedendoci a mensa con Lui, ascoltando la Parola e cibandoci di
Lui. E quando avremo sperimentato che questo incontro ci ha cambiato la vita,
allora potremo andare, presso tutti i popoli, ed essere annunciatori e
testimoni dell’evangelii gaudium.