VI Domenica di
Pasqua
Dalle parole di Gesù
possiamo andare al cuore della nostra fede. Accogliendole e meditandole,
possiamo sgombrare il campo del nostro cuore, da molte immagini, idee o visioni
parziali della verità di Dio e di noi stessi. Il Maestro ci riconduce
all’essenziale, al fondamento della nostra fede: Dio è amore e ti ama “per primo”. Prima di ogni tua risposta, di
ogni merito, di ogni esistenza. Prima e oltre le tue fragilità e le tue cadute.
Questo sorregge la tua vita: l’amore del Padre che, come sorgente di acqua
fresca e viva, sgorga per mezzo di Cristo. Credere, allora, è bello, è gioia, è
vita, perché non è sforzo umano, un’obbedienza forzata ad una morale, una chiusura
dentro uno schema di norme fredde. Credere è accogliere un Dio innamorato che,
con l’amore, trasforma la tua vita rendendola leggera e aperta alla gioia.
Niente ci appassiona, ci cattura, ci fa trasalire di gioia, quanto sentire e
scoprire di essere amati. Se scopriamo l’amore di Dio, perciò, la fede in Lui
smette di essere un dovere per essere fondamento della nostra vita.
E’ in questo modo che Gesù
“ci comanda” l’amore. Questo è il comandamento di Dio: che ci amiamo gli uni
gli altri come Lui ha amato noi. Non è un vero e proprio comandamento, cioè non
è un precetto esterno, un peso imposto sulle nostre spalle; è scoprire, invece,
che il fondamento della nostra vita è l’amore di Dio e questo amore diventa,
dentro di noi, una fonte, una sorgente, una spinta. Devi amare perché è l’amore
che ti rende pienamente uomo e pienamente felice. Devi amare perché Dio, che è
amore, abita dentro di te e se questo amore che ricevi lo offri agli altri e lo
impieghi nella tua esistenza quotidiana, allora rompi le barriere della
solitudine, esci dall’isolamento, puoi condividere i passi del tuo cammino,
puoi sostenere ed essere sostenuto nella sofferenza e nei gioie. Puoi perfino
creare un mondo nuovo, non più dominato dalla logica del calcolo e dell’egoismo
ma sulla gioia mistica dell’incontro, delle relazioni, dell’amicizia.
Questo annuncio liberante si
trova oggi nel Vangelo di Giovanni, prosecuzione di ciò che abbiamo ascoltato
domenica scorsa. Gesù ci annuncia l’amore di Dio e ci ama con lo stesso amore
del Padre. Così, ci dice che per incontrare Dio, fare esperienza di Lui e
vivere con una gioia piena, dobbiamo fare una sola cosa: amare. Possiamo farlo
perché la fonte dell’amore, se rimaniamo in Dio, non si prosciuga mai. Neanche
quando siamo stanchi, feriti e delusi. Dio rinnova sempre, in noi, la capacità
di amare, facendoci vincere la tentazione di chiuderci in noi stessi e vivere
una vita rannicchiata e arida. Sei intrecciato con l’amore di Dio, puoi
intrecciarti con la vita degli altri. E in questo circolo di luce, puoi vivere
pienamente, puoi risorgere, puoi gioire.
Ma lo sappiamo, soprattutto
ai nostri giorni, la parola “amore” è diventata ambigua. Troppe volte di essa
si fa teoria, e spesso è fin troppo usata, abusata, distorta, piegata a
interessi di parte, perfino maltrattata. Fino a diventare parola vuota. Cosa significa amare? E come amare? Possiamo ascoltarlo dalla
Parola di Gesù. Amare è la cosa meno romantica e più impegnativa che esiste e,
proprio per questo, la cosa fondamentale della nostra vita; non è un’idea ma
una scelta di vita. Significa offrire la propria vita per colui che ami.
Dunque, è fare spazio all’altro, spendersi per lui, donarsi perché egli cresca,
morire perché egli possa esserci. Come si fa? Come ha fatto Cristo. Amatevi come io vi ho amato, dice Gesù.
E se guardiamo a “come Lui ha amato”, vediamo che Gesù lava i piedi agli
apostoli, ascolta, accoglie, non giudica l’altro, si muove a compassione per le
ferite, rialza, guarisce. Fino a donare la propria vita. Gratuitamente.
Più che uno sforzo esterno,
l’amore è la forza interiore che realizza il nostro essere uomini, ci fa
gustare la vita in pienezza, ci fa sconfiggere fin d’ora la morte. Dio è la
fonte di questa forza. Noi dobbiamo semplicemente “rimanere” in Lui. Il dono di
questo amore ci è stato già fatto, e in pienezza, nella morte e risurrezione di
Cristo; ora, si tratta di rimanere, di non scappare via, di custodire questo
dono che è in noi. Questo ci dà la forza e la capacità di custodire la nostra vita e le nostre relazioni nell’amore
vicendevole. Abitati da questo amore di Dio, possiamo lasciarci provocare da
Gesù: rimanete in questo amore! Parola per la vita di ciascuno di noi quando ci
lasciamo irritare e ci chiudiamo in noi; per marito e moglie quando
sopraggiunge la stanchezza; per tutte le nostre relazioni, sempre bisognose di
crescere e purificarsi; per le nostre comunità cristiane quando la fede
professata diventa addirittura motivo di capricci o protagonismo. Rimani nella
logica dell’amore, rimani nei gesti e nelle parole dell’amore, rimani fermo nel
proposito dell’amore quando hai la tentazione di giudicare, reagire, vendicare.
Chi rimane nell’amore vede
l’altro con occhi nuovi. Cadono i pregiudizi e le etichette, e la vita
dell’altro la sento intrecciata alla mia. Chi ama, dello stesso amore di Dio,
si accorge che “Dio non fa preferenze di persone” e in Lui siamo tutti fratelli
abitati dallo stesso Spirito. Lo è anche Cornelio, il pagano, come ci dice la
Prima Lettura di questa domenica. Impariamo, cioè, a non dividerci più a motivo
della nostra diversità, ma ad essere costruttori di comunione e di dialogo. E
imparare che “vera religione” è praticare l’amore. Papa Francesco, nell’omelia
pronunciata a Santa Marta il 9 gennaio scorso, ha ricordato che il “cuore
indurito e chiuso all’amore” è un cuore prigioniero; si può essere così per
esperienze dolorose, per la fragilità, o anche perché ci si è barricati dietro
le proprie prigioni rassicuranti. Ma così – ha ricordato il Pontefice – “viviamo come un uomo o una donna nella cella
di un carcere dietro la grata: è una sicurezza senza libertà”; al
contrario, lo Spirito Santo rende il cuore “morbido” e “chi ha il cuore morbido e capace di amare, è davvero libero”.