XI Domenica del Tempo Ordinario

Gesù parla del Regno in parabole. Il Regno, infatti, è la realtà della venuta di Dio in mezzo agli uomini e nella storia, il Suo avvicinarsi a noi, il Suo compatire e condividere la nostra umanità, la Sua azione di salvezza per noi. In definitiva, quindi, il Regno è Gesù stesso, rivelazione del Padre e segno del Suo amore per le creature. Una realtà troppo grande rispetto alle umane comprensioni, una notizia che si avvera nella storia presente e che richiede un’apertura del cuore e una conversione della mente. Per questo, non si può certo spiegare, ma se ne può parlare solo attraverso immagini e paragoni, dunque parabole.

La Liturgia della Parola di questa domenica ci propone l’immagine del seme. E’ una delle più usate nella Scrittura e, certamente, una delle più efficaci. Il seme è piccolo ma cresce fino a dare frutti abbondanti; è seminato da qualcuno che lo pone nel terreno, ma il suo sviluppo è legato al terreno stesso; rappresentando la logica evangelica a cui ci invita Gesù, il seme per portare frutto deve prima morire nella terra.

La parola chiave che unisce le due parabole proposte dall’evangelista Marco è “crescita”. Infatti, il regno è come un uomo che getta il seme nel terreno, e il contadino – che dorma o vegli e senza sapere come – potrà vedere che “il seme germoglia e cresce”; oppure, continua Gesù, il regno è il più piccolo di tutti i semi, ma quando cresce, “diventa più grande di tutte le piante dell’orto” e fa rami grandi tanto da diventare ombra per gli uccelli. Gesù ci annuncia la dinamica del Regno di Dio che viene nella storia, cioè “come” Dio regna nella nostra vita. Egli non viene per schiacciarci o imporci dei pesi ma, al contrario, come un seme destinato a crescere dentro di noi, una realtà che ci trasforma dal di dentro, un amore che discende nel terreno della nostra vita e che, lentamente e senza rumore, germoglia, porta frutti e ci fa diventare alberi rigogliosi.

Certamente Gesù riprende queste immagini, oltre che dallo scenario paesaggistico in cui vive e dalla vita dei contadini del suo tempo, dalla tradizione biblica di Israele; nella prima Lettura di questa domenica, infatti, ci è proposta l’immagine usata dal profeta Ezechiele mentre il popolo è ancora sotto l’esilio di Babilonia. Dio annuncia – per bocca del profeta – che staccherà un ramoscello, un virgulto, dalla cima del cedro, e lo trapianterà in un altro terreno; crescerà, sarà rigoglioso e tutti gli altri uccelli verranno sotto di lui. L’immagine vuole dare speranza al popolo di Israele: Dio lo pianterà in un altro terreno, in esso farà crescere il virgulto nuovo che è Gesù e, così, diventerà il grande albero dove potranno ripararsi tutti gli altri popoli e per l’umanità. Il popolo che credeva di essere un grande cedro – Babilonia – sarà abbattuto, mentre il piccolo ramoscello crescerà.

Dio entra nella storia, dunque, e la capovolge; restituisce forza e vigore anche al più piccolo e, in ciascuno, getta il seme del Suo amore. Egli viene per far crescere in noi il Suo regno, cioè per aprirci alla relazione con Lui, che ci rende accoglienti anche nei confronti di noi stessi e degli altri. Dal seme che Egli pianta nel nostro cuore, noi impariamo ad amare e, nell’amore, cresciamo come uomini. Il regno di Dio è la presenza di Dio in noi che, come un seme che cresce, fa germogliare la nostra umanità. Se lo accogliamo nella nostra vita, Egli ci fa crescere e germogliare, ci fa diventare pienamente umani, e non permette che il male abbia il predominio su di noi.

 

Queste parabole ci indicano anzitutto che l’opera iniziale e principale è sempre di Dio. Nel cammino della fede e nella vita quotidiana, occorre certamente la nostra consapevolezza, l’accoglienza della nostra libertà e le nostre opere; tuttavia, se non diamo il primato a Dio e alla Sua instancabile azione a nostro favore, rischiamo di praticare una religione fatta di molte cose esteriori “senza Dio”, col pericolo di attribuire il bene più alla nostra bravura che alla Sua grazia. Invece, dice Gesù, il Regno di Dio accade perché Dio è un seminatore che mai si stanca di noi, che ogni giorno immette nella nostra vita e nella creazione il germe del Suo Spirito. Che dormiamo o vegliamo, di giorno o di notte, senza sapere esattamente come, Dio cresce in noi, noi cresciamo in Lui, l’umanità viene liberata e procede il cammino dall’esilio – per citare l’Apostolo Paolo – verso la gioia dell’incontro con Lui. Questa è la fede: credere che l’amore Dio cresce, germoglia, trasforma e porta frutti, nonostante le nostre resistenze e oltre i nostri meriti.

Si tratta per noi di una parola che ci incoraggia: Dio è all’opera, dentro di me e dentro la storia. Anche quando non sento, non percepisco la Sua presenza, ho coscienza solo della mia piccolezza. Anche quando intorno a me il mondo sembra essere sfigurato dall’egoismo, dal male e dalla violenza. Il Regno di Dio è qui, seminato ancora in mezzo a noi dal Seminatore Divino. A me spetta il compito di riconoscerlo, fargli spazio nel terreno della mia vita, custodirlo, annaffiarlo e farlo crescere. Diventeremo alberi che potranno offrire ristoro a chiunque si avvicina a noi.

Ma ciascuno di noi è anche chiamato a diventare seminatore, con la stessa pazienza e fiducia di Dio. Siamo spesso inclini a non vedere le possibilità del bene, a soffermarci sul negativo, a lasciarci andare nello stile lamentoso e amaro di chi crede che “non c’è più nulla da fare” e “non cambierà mai niente”. E, invece, noi possiamo gettare il seme del Regno, seme dell’amore, dell’accoglienza, del bene, della giustizia, in ogni situazione in cui viviamo. Possiamo sperare che esso cresca perché dipende dall’azione di Dio che ci precede e ci accompagna. Talvolta, essendo il più piccolo tra i semi, ci sembrerà essere debole e insufficiente ma – come ha ricordato Papa Francesco durante un’omelia a Santa Marta – “Il Regno di Dio cresce ogni giorno grazie a chi lo testimonia senza fare “rumore”, pregando e vivendo con fede i suoi impegni in famiglia, al lavoro, nella sua comunità di appartenenza…Il Regno di Dio è umile, come il seme: umile ma viene grande, per la forza dello Spirito Santo. A noi tocca lasciarlo crescere in noi, senza vantarci: lasciare che lo Spirito venga, ci cambi l’anima e ci porti avanti nel silenzio, nella pace, nella quiete, nella vicinanza a Dio, agli altri, nell’adorazione a Dio, senza spettacoli”.