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Santa Messa nel Bicentenario dalla nascita di San Giuseppe Cafasso   versione testuale


«Ecco l’Agnello di Dio!»; «Rabbì, dove dimori?»; «Venite e vedrete»; «Abbiamo trovato il Messia».
 
In queste quattro espressioni della straordinaria pericope giovannea, che abbiamo ascoltata, è racchiusa – si potrebbe dire – l’intera esperienza cristiana, nelle sue dimensioni di incontro, domanda, sequela come discepolato e annuncio. E non è possibile comprendere l’esistenza di San Giuseppe Cafasso, della cui nascita celebriamo oggi il Bicentenario (1811 – 15 gennaio – 2011), se non alla luce di queste quattro fondamentali dimensioni dell’essere cristiano e dell’essere sacerdotale.
 
Non a caso ribadisco la parola “essere”, poiché, in comunione con l’ininterrotta Tradizione cristiana e la comune Dottrina ecclesiale, sono intimamente persuaso che il Sacerdozio non sia soltanto una particolare funzione, esercitata da alcuni cristiani, ma sia, come chiaramente lo intendeva il Cafasso, un essere configurati a Cristo Capo e, perciò, un “cambiamento ontologico” di chi riceve in dono la Chiamata e l’imposizione delle mani, con la trasmissione dello Spirito.
 
Nella prima espressione, «Ecco l’Agnello di Dio!», è racchiusa la vocazione permanente della Chiesa. A nulla servono le nostre strutture, i nostri sforzi, le nostre celebrazioni, se non ad indicare, con forza, verità, trasparenza e determinazione l’Agnello di Dio presente nel mondo.
 
Non si tratta di un’indicazione solamente teorica, quasi di una verità ripetuta, ma della quale non si fa esperienza; al contrario, come fu per il Battista e come fu per il nostro San Giuseppe Cafasso, si tratta di indicare al mondo ciò che è vitale per noi. Solo chi fa un’esperienza esistenzialmente significativa di Cristo, può indicare ai propri fratelli l’Agnello di Dio.
 
È, altresì, necessario riconoscere come, grazie all’Ordinazione sacramentale, il Sacerdote sia, nel contempo, colui che indica l’Agnello di Dio e, in certo modo, ne realizza la presenza. Per questa ragione, è quanto mai necessario che l’indicazione sia esplicita e la trasparenza sia tendenzialmente totale. Non indichiamo appena qualcosa di esterno, lontano da noi, indichiamo Colui che, configurandoci a Sé, ci ha resi Sua Presenza e, perciò, legittimamente i fedeli attendono di riconoscere “l’Agnello di Dio” in chi, anche nella Liturgia, proclama: «Ecco l’Agnello di Dio!».
 
 
 
S. Em. Mauro Piacenza